A Inu no Taisho che amò un'umana sotto il disgusto dei suoi soldati.
Ed a Sesshomaru, patetico spettatore».
La storia della Hime
Izayoi
amava la primavera; adorava i fiori che sbocciavano
colorati all’alba di un nuovo giorno, il risveglio dolce
cullato dai primi
raggi del sole, la consueta festa d’equinozio che sua madre
indiva per
festeggiare la fine dell’inverno.
Quella primavera però,
fu diversa. Sua madre morì all’alba della bella
stagione, portando con sé i
sorrisi, i colori, le danze. Non ci fu nessuna festa, nessun nuovo
fiore. Quel
giardino spoglio, dove la principessa si recava ogni mattina, non
accennava a
rivivere, pareva quasi in lutto per la morte prematura della propria
padrona.
Fu solo il primo sintomo di una spietata carestia che
dilagnò il regno della
Hime senza risparmiare niente, neppure i campi più miseri.
Quello stesso anno, il suo piccolo impero entrò in guerra.
Regno esiguo e ricco, era preda continua di grandi potenze che volevano
annetterlo
ai propri possedimenti. Grandi eserciti arrivavano alle mura della
città,
troppi soldati tentavano di assediare il castello; serviva unirsi con
un alleato potente e forte.
L’esigenza di maritarla quindi, divenne urgente. Suo padre,
quel padre che non c’era mai nel castello sontuoso, mandava
ambasciatori in
ogni parte del Giappone per dare in sposa la sua unica figlia.
«Bella come le notti di luna, dolce come il nettare del più colorato fiore, giusta come un giudice».
Quella
descrizione le scivolava lenta
sulla pelle con indifferenza e disgusto, facendola apparire agli altri
ciò che
non era. Risposero in tanti, ma nessun pretendente pareva soddisfare
suo padre.
Ne era sollevata, anche se la paura dell’assedio cresceva
ogni giorno.
Quando, si chiedeva Izayoi mentre sorrideva stanca ai volti
preoccupati dei suoi sudditi che attendevano la notizia di un
matrimonio, la
situazione era diventata così nera?
Tutto così irrecuperabile, tutto così cupo.
L’unica cosa che poteva fare era pregare rivolta a quel
cielo enorme, così lontano; a volte, desiderava ardentemente
esserne
inghiottita, fuggire via da tutto. Non riusciva a farne a meno,
nonostante
provasse vergogna nel formulare certi pensieri. Che principessa era,
mormorava senza
piangere nelle notti in solitudine, se preferiva la prospettiva della
fuga alla
prestigiosa posizione di moglie e padrona?
Il tempo intanto passava e con amarezza arrivò
l’estate. Non
le era permesso uscire dal castello, troppo pericoloso dopo gli ultimi
spietati
assedi. Ne era estremamente amareggiata; come avrebbe potuto
conquistare la felicità
rinchiusa tra quelle mura soffocanti?
Una
sera afosa di un giorno d’agosto la principessa
uscì nel
giardino, da sola, ad osservare le stelle sotto la chioma
dell’albero centrale.
Ci trovò steso, sotto quello, un bellissimo demone dai
capelli d’argento,
addormentato così profondamente da non accorgersi di lei.
Né scappò né chiamò
qualcuno; si sedette accanto allo
sconosciuto ad osservare le stelle.
Chissà quanto tempo passò prima che decidesse di
rialzarsi;
si allontanò leggiadra chiudendosi alle spalle la shoji,
con la certezza di avere gli occhi del demone puntati su di lei.
La sera seguente lo trovò nello
stesso punto, seduto all’ombra dell’albero, ma con
gli occhi aperti ad
osservarla. Gli sorrise, senza paura o vergogna.
Si sedette nuovamente accanto a lui, presentandosi in un sospiro.
Incosciente? Eppure non aveva timore.
Quel demone tornò tutte le sere, perfino quando le stelle erano offuscate dalle nubi autunnali. La principessa Izayoi venne baciata in quel giardino in una fredda serata d’inverno.
La consapevolezza che la felicità era finalmente giunta da lei arrivò quando le labbra calde di Inu no Taisho si posarono sulle sue.
E l’inverno divenne la sua stagione preferita.
Il resto lo conoscete già