Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: harinezumi    20/03/2011    4 recensioni
La stanzetta era semibuia, soltanto un debole raggio di luce autunnale riusciva a passare attraverso le persiane abbassate. Era davvero disordinata, c’erano vestiti ovunque sul pavimento, e l’armadio era aperto, come se il suo proprietario fosse sempre di fretta, e non avesse il tempo nemmeno di chiudere l’anta. L’unica cosa in ordine religioso erano le file di manga sugli scaffali di un’ampia libreria. Su un comodino, quello accanto alla figura dormiente tra le coperte di un letto a due piazze, stava una foto incorniciata.
Raffigurava due ragazzi al lunapark: uno, che doveva aver scattato tenendo la macchina fotografica, dai capelli biondi leggermente lunghi e magrolino, con enormi ed allegri occhi azzurri e un sorriso stampato sul volto; l’altro, con un’espressione cupa negli occhi cremisi e una smorfia sul volto, più alto e con i capelli neri e corti, eccetto per dei ciuffetti ribelli sulla fronte.
{il seguito di "Do you want to know a secret" :D non tiratemelo dietro ^^'}
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cap 11

It Won’t be Long

[Track 1 – With The Beatles]

 

Now you’re coming, you’re coming at home
I’ve been good like no one should

«Preferirei che non venissi qui ogni giorno» affermò Fay, alzandosi in piedi dopo aver finito di sistemare dei manga in degli scaffali in basso. Quando rialzò lo sguardo sul bancone del negozio, vide che purtroppo Kurogane era sempre lì appoggiato e non sembrava intenzionato a sloggiare.

«Preferirei che tu rimanessi in vita. Che pensi che accadrebbe se tu fossi qui da solo, quando il ragazzino* è a scuola, e avessi bisogno di aiuto?» sbottò Kurogane, aggrottando la fronte. Gli pesava molto presentarsi ogni giorno al negozio, anche se Sorata non era ancora partito, perché si sentiva un idiota a palesare in modo così aperto il suo amore per Fay, anche se in effetti il biondo non sembrava accorgersene.

«Non sono affari tuoi» ribatté Fay, serafico, fronteggiando la sua occhiata malevola senza battere ciglio. «E ancora non riesco a capacitarmi com’è che al lavoro ti lascino uscire quando ti pare».

«Ho degli orari flessibili» rispose Kurogane con noncuranza. Certo, non poteva mica dirgli che correva lì ogni volta che ne aveva la possibilità, anche se si trattava soltanto di un’ora buca. Non aveva fatto nemmeno in tempo a cambiarsi, infatti era in tuta e aveva ancora la sacca da ginnastica.

«In ogni caso me la so cavare da solo, non occorre che mi segui come un cane» sospirò Fay, sedendosi svogliatamente alla cassa. La mattina non c’erano molti clienti, e Sorata era chissà dove, anche se lo sapeva benissimo che a quell’ora Kurogane sarebbe stato lì; forse aveva fatto apposta a lasciarli così brutalmente soli. Fay doveva ricordarsi di ringraziarlo.

Ma Kurogane in effetti pareva essere rimasto colpito dalle sue ultime parole, perché prima s’incantò a fissare davanti a sé con orrore, poi imprecò a bassa voce. «Il cane! Scusami, devo andare… tornerò domani».

«Non serve, grazie» sbuffò Fay, sebbene la faccenda del cane lo incuriosisse parecchio. «Hai un cane, Kuro-bau?» si ritrovò a chiedergli. Quella sua stessa domanda lo fece precipitare all’istante nella sua malinconia cronica: aveva evidenziato in una sola frase come ormai non sapesse più nulla di Kurogane e in più come ancora inconsapevolmente lo definisse con i vecchi nomignoli.

Forse però l’altro non se ne accorse, perché rispose distrattamente, raccattando la sacca da terra. «Quello non è un cane, è il demonio… ci vediamo, vedi di non morire» lo salutò, senza nessuna cortesia.

«Cercherò d’impegnarmi» sbottò Fay, cercando di sembrare infastidito da tutte quelle libertà che l'altro si prendeva. In parte, era realmente frustrato: non riusciva a cacciare Kurogane in nessun modo, e non era una buona idea considerando che non avrebbe più voluto avvicinarsi a lui.

Il moro si avvicinò alla porta, ma si fermò improvvisamente non appena ebbe appoggiato la mano sulla maniglia. Si voltò, guardando Fay. «Tu dov'è che mangeresti?»

«Qui. Non ho il tempo di tornare a casa» rispose il biondo, rassegnandosi al fatto che Kurogane era capace di fargli confessare qualunque cosa con una sola occhiata.

«Tra dieci minuti chiudi, no? Vieni con me» lo invitò l’altro, senza pensarci due volte. Non avrebbe voluto sembrare così entusiasta all’idea (a parte che l’entusiasmo di Kurogane era manifestato appena da una lieve distensione della sua ruga in mezzo agli occhi), ma le parole gli erano uscite di bocca prima che potesse pensarci troppo.

«Ora sai cucinare? E lo faresti per me?» Fay proruppe in un risolino malinconico. «Sono cambiate davvero tante cose, eh, Kuro-chan?»

Kurogane non gli rispose nemmeno, ma rimase a guardarlo fisso per tutto il tempo che Fay ci mise a rispondergli. Il biondo non seppe in quale maniera, né perché, ma alla fine di quel silenzioso interrogatorio disse di sì.

***

«Stai giù, dannazione! Ryu!» gridò Kurogane, afferrando il cane per il collare, cercando di tirarlo via da Fay, steso a terra sulla soglia della porta.

Ryu era ancora un cucciolo, e non conosceva certo il biondo, ma chissà per quale ragione gli era saltato addosso con una forza sovraumana non appena lo aveva visto, quando Kurogane aveva già varcato l’ingresso. Gli aveva leccato tutta la faccia, e Fay non era stato capace nemmeno di respirare dalle risate, finché Kurogane non glielo aveva levato di dosso.

«Stai bene?» domandò il moro, porgendogli una mano, mentre con l’altra teneva il cane uggiolante.

«Sì…» mormorò Fay, alzandosi in piedi da solo, senza volontariamente afferrarla. Mentre Kurogane la ritraeva, con un’espressione mesta, il biondo si concentrò sul proprio respiro, ma fortunatamente era appena corto e non sembrava che fosse in arrivo una crisi di qualche genere. «Ryu è adorabile!» esclamò, cominciando a coccolare il cane, finalmente libero e scodinzolante. Ma non stava in effetti nemmeno parlando con Kurogane, quando lo disse. «Ma come sei simpatico! Mi vuoi già bene?»

Ryu si limitò a scodinzolare più forte, e Kurogane cercò di levarsi dal cervello l’idea che i cani provano spesso gli stessi sentimenti dei padroni verso le altre persone.

«Vado a preparare qualcosa» informò il biondo, che però era totalmente immerso nel fare le coccole al cane, come se lui non esistesse. Ryu del resto sembrava essersi totalmente innamorato di Fay, si era persino steso a pancia in su sul tappeto del salotto.

Per qualche momento, Kurogane rimase a guardare di sottecchi dalla porta della cucina il soggiorno, e si maledisse per il sorriso che continuava a spuntargli sulle labbra. Vedere Ryu così felice lo faceva stare bene: si era affezionato a quel cane idiota. Ma vedere Fay in generale lo stava facendo letteralmente impazzire: il biondo era tornato in quella casa, e gli sarebbe bastato poco o niente per aprire bocca e dirgli che lo amava.

Ma non era quello che Fay voleva. Fay lo aveva lasciato, era andato a crogiolarsi nel ricordo di Ashura negli Stati Uniti, aveva preferito che fosse qualcun altro a prendersi cura di lui: anche in quel momento, non capiva perché aveva accettato il suo invito. Probabilmente, era incuriosito di vedere Ryu. In nessun modo l’aveva fatto per Kurogane; perché Fay non lo amava più, e doveva aver speso quei mesi facendo quello che realmente desiderava, che non era stare con lui.

E non c’era nulla di più importante per Kurogane della felicità di Fay. Se stargli lontano era quello che voleva, l’avrebbe accontentato: ma non era ancora fisicamente pronto a lasciarlo andare. Finché Fay non l’avesse cacciato (cosa che in effetti aveva cercato di fare più di una volta), l’avrebbe aiutato e sarebbe stato al suo fianco.

«Ti ricordi l’ultima volta che abbiamo mangiato qui?» domandò inaspettatamente il biondo, interrompendo i suoi pensieri e facendolo voltare dai fornelli verso la soglia della cucina. Fay era lì appoggiato, e fissava il tavolo con aria malinconica.

«No» rispose Kurogane, con uno sbuffo. Mentiva spudoratamente, ma Fay non si meritava una risposta proprio a quella domanda. «È pronto».

«Oh! Hai fatto gli okonomiyaki!» esclamò il biondo, avvicinandosi con interesse ai fornelli, ignorando il fatto che l’altro avesse storto il naso. Cercò di non far notare quanto lo avesse rattristato la risposta di Kurogane. «Sei veramente capace di cucinare!»

Kurogane lo guardò malissimo, tanto che Fay indietreggiò, andando a sedersi a tavola con un sorrisetto di scuse. «Io avrò anche imparato a cucinare, tu però non hai imparato a tenere la bocca chiusa» sbottò quasi lanciandogli davanti il piatto con il suo okonomiyaki.

«Ehm, Kurogane, il tovagliolo» lo informò Fay, notando il modo alquanto approssimativo con cui l’altro aveva preparato la tavola.

«Prenditelo» fu tutta la risposta, in un tono a dir poco seccato.

Fay non riuscì ad arrabbiarsi, ma scoppiò in una risatina, alzandosi in piedi (costantemente tallonato dal cane che lo aveva seguito dal soggiorno, nonostante avesse il pranzo nella ciotola) e andando a raccattare due tovaglioli dove li avevano sempre tenuti. In effetti, se qualcuno li avesse visti in quel momento, avrebbe detto che non era cambiato un granché tra di loro.

Il biondo tornò a sedersi, piegando e mettendo accuratamente il tovagliolo anche al posto di Kurogane. Lo aspettò con diligenza, prima di cominciare a mangiare, in silenzio, insieme a lui.

«Stavo pensando…» cominciò improvvisamente Kurogane. Fay non aveva accennato a spiccicare mezza parola, ma alzò gli occhi dal piatto quando lui aprì bocca. «Forse potresti tornare a stare qui».

Fay non si rese per un attimo conto che gli era caduta rumorosamente la forchetta sul piatto. Sì, perché l’altro gli aveva dato una forchetta, lo sapeva benissimo che era totalmente imbranato con le bacchette. Rimase a fissarlo a bocca aperta, senza rispondere, mentre Kurogane gli sembrava –possibile?- imbarazzato, anche se non evitava il suo sguardo.

«Non è che la prospettiva mi faccia impazzire» precisò allora. «Ma in fondo non stiamo più insieme. Se venissi a stare qui potrei aiutarti».

«Non se ne parla!» esclamò allora Fay, alzandosi bruscamente in piedi. «Nemmeno dovevo venire adesso».

«Perché, hai tanta fretta di morire da solo come il tuo prezioso Ashura?» sbottò Kurogane, irritato da quella risposta. In fondo stava solo cercando di essere gentile.

Nemmeno sentì lo schiaffo che Fay gli tirò su una guancia un attimo dopo, ma l’espressione ferita che vide sul suo volto quando alzò gli occhi sui suoi glielo fece risuonare nelle orecchie per cinque minuti buoni, assieme al forte dolore che gli invase il petto.

Il biondo incespicò sulla sedia, ma se ne liberò, uscendo dalla cucina con passo deciso, pieno di rabbia, e gli occhi pieni di lacrime. Però, quando posò la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, sentì benissimo che Kurogane lo aveva seguito e gli aveva afferrato un polso.

Come in un sogno, capì che lo stava tirando di nuovo indietro, verso di sé, contro il proprio petto, e lo stava abbracciando talmente forte che l’unica cosa che gli impedì di prolungare quel contatto fu il bisogno di respirare.

«Lasciami» ansimò, ringraziando il cielo che lui non lo potesse vedere negli occhi, dato che lo stava stringendo da dietro.

«Ti prego, vieni a stare qui… non voglio che tu muoia per la tua stupidità» gli rispose Kurogane. Aveva una voce straordinariamente tranquilla, calda, rassicurante, quasi quanto il suo abbraccio, soltanto lievemente allentato.

Fay non riusciva a fare altro che farsi salire sempre di più le lacrime agli occhi, non poteva certo rispondergli in quella situazione. Ryu li guardava scodinzolando, dopo averli seguiti fino al corridoio, il che lo fece stupidamente ridere. «Il cane…» mormorò, allungando appena una mano perché l’animale la leccasse, contento. «Credo che al cane piacerebbe che io restassi».

«È un sì?» chiese Kurogane, appena titubante, sciogliendo ancora di più quell’abbraccio.

Quel breve momento di intimità tra loro si stava spegnendo in fretta; e ne erano consapevoli entrambi, perché si lasciarono con decisione, anche se con un’espressione decisamente mesta in viso.

«Può essere» mormorò Fay, stando bene attento a non guardare Kurogane negli occhi, una volta voltatosi lentamente verso di lui, ma spostando lo sguardo sul cane a cui stava grattando un orecchio. «Sorata sarebbe contento. E anche Kuyo. Io… non ti disturberò».

«Ti ho chiesto di stare qui, non mi disturberesti in ogni caso. Io posso dormire sul divano finché non prenderò un letto da mettere nello studio».

«No» esclamò Fay, alzando bruscamente lo sguardo e mordicchiandosi il labbro. «Non voglio che tu dorma sul divano! Cercherò io un letto, io… non sono neanche sicuro che sia una buona idea stare qui». Non sono sicuro perché diventerà difficile non dirti che ti amo. Ma questo non lo disse.

«Credimi, è la cosa migliore».

***

«Ho visto che c’è qualcuno con te, oggi» mormorò la dottoressa Satsuki, alzando gli occhi dalla cartella clinica di Fay, appoggiato alla sua scrivania con un gomito.

«Mh? Sì, è il mio coinquilino» affermò Fay, con un sorrisetto, pensando a Kurogane fuori dallo studio ad aspettarlo.

«Sono contenta che hai deciso di abitare con un’altra persona. Non ti sentirai molto bene i primi tempi della dialisi». La dottoressa era molto gentile, ma piuttosto diretta. Portava i capelli corti e gli occhiali, ed era stata con Fay anche in America, in quanto era una delle collaboratrici di Ashura; era stata lei a scoprire la sua malattia ancor prima che lo facesse lui.

«È stato molto buono ad offrirmi questa possibilità» sussurrò appena Fay.

La dottoressa non sembrò notare la malinconia nel tono delle sue parole, ma gli passò una ricetta medica con un sorriso quasi accennato, il che era il massimo che riusciva a fare di solito. «Devi prendere queste una volta ogni due giorni, va bene? Ci dobbiamo anche vedere venerdì».

«Grazie» rispose Fay con un sorriso, tornando a dimostrare la sua solita allegria, anche se negli ultimi tempi gli riusciva in maniera piuttosto fiacca. Prese la ricetta, uscendo dallo studio della dottoressa dopo vari saluti.

Sorata era partito quella mattina, e Kurogane aveva preteso di accompagnarlo fino all’ospedale per l’appuntamento che aveva. Era inspiegabile per Fay come il moro improvvisamente non avesse più in lavoro e non studiasse più, da quando era rientrato nella sua vita; ma finché Kurogane giurava che andava tutto bene, non poteva aprire bocca.

«Andiamo?» gli chiese, quando si accostò alle sedie d’aspetto del corridoio dell’ospedale. «Però dovrei passare in farmacia, forse è meglio che tu vada a casa».

«No, faccio io» fece con noncuranza Kurogane, allungando una mano perché gli passasse la ricetta. Si era alzato in piedi e gli si era accostato, con tutta la naturalezza del mondo, come se tra loro non fosse mai successo nulla di spiacevole. «Tanto la farmacia è qui fuori, no? Tu aspettami al parcheggio».

«Ma perché, non sono mica un bambino…» sbuffò Fay, infastidito. Certo, potevano essere tornati minimamente in intimità, ma non avevano ancora smesso di battibeccare per ogni inezia.

«Fallo e basta» sospirò Kurogane. «Tieni le chiavi della moto».

A Fay toccò fare esattamente quello che gli era stato detto, e una volta arrivato alla moto vi si appoggiò, arricciando il naso nel notare la figura di Kurogane poco più in là, mentre entrava nella farmacia.

«Chi si crede di essere…» sbottò tra sé e sé, anche se i suoi pensieri vennero presto interrotti da uno squillo di cellulare che lo fece sobbalzare.

Chissà perché Kurogane aveva tenuto per sei mesi interi la stupida suoneria che lui gli aveva affibbiato, quella de “La Sirenetta”. Con le mani tremanti a causa di questa domanda che gli martellava in testa, Fay raccattò il cellulare dal vano dentro il sedile della moto, dove Kurogane lo aveva dimenticato, e leggendo il display notò che era la scuola dove lavorava.

«Pronto?» rispose, non vedendo Kurogane arrivare.

«Pronto? Professor Suwa?» domandò una voce femminile, perplessa.

«No… mi scusi, il professore non può rispondere adesso. Sono il suo coinquilino, se è importante posso riferirgli un messaggio» si affrettò a spiegare Fay, rendendosi improvvisamente conto di non avere più nessun diritto a rispondere alle chiamate di Kurogane. Le parole “fidanzato” e “coinquilino” avevano due significati molto diversi.

«Capisco» disse la donna, dopo una piccola pausa. Fay ebbe la strana sensazione che lei avesse capito molte cose dall’unica frase che le aveva detto. «Sono la preside della scuola del professore. Beh, può dirgli che se ha intenzione di organizzare le gare di primavera e mantenere il suo lavoro, è meglio che si presenti alle riunioni, domani. Ha saltato sei ore in quattro giorni, è inammissibile!»

Fay sentì il cuore salirgli in gola, ma cercò di non balbettare, quando rispose. «S-sì, certo, lo scusi. Ha avuto dei problemi». Già, ha avuto me a cui pensare. «Glielo dirò, non si preoccupi. Non mancherà più».

Il biondo riuscì a mantenere quasi la calma quando vide Kurogane uscire dalla farmacia, anche se avrebbe tanto voluto corrergli incontro per picchiarlo. «Buona giornata a lei» rispose distrattamente alle parole che la preside gli aveva rivolto, riattaccando.

Incrociò le braccia, quando Kurogane, senza nemmeno guardarlo, si accostò a lui, gettando il sacchetto con le medicine nel vano aperto e prendendovi il casco. «Beh, togliti se vuoi andare» sbottò senza gentilezza, notando che Fay rimaneva appoggiato al manubrio a fissarlo con aria buia. «Hai dimenticato di chiedere qualcosa alla dottoressa?»

«No» sibilò Fay, gettandogli letteralmente il telefono addosso. Con la coordinazione e i riflessi che lo contraddistinguevano, Kurogane riuscì ad afferrarlo, guardandolo con aria allibita. «Mi hai mentito! Il tuo lavoro non va bene e ti ostini a starmi costantemente intorno, nonostante io ti abbia detto chiaramente che non voglio!! Ti ha telefonato la preside, e non sembrava contenta…»

«Ehi» lo interruppe Kurogane, chiaramente arrabbiato. «Io faccio quello che voglio con il mio lavoro, da quando ti ho detto che puoi rispondere al mio telefono?»

«Quello che volevi l’hai ottenuto no?» gridò Fay, tirando un calcio alla moto, anche se fece fatica a non urlare dal dolore poi, dato che il veicolo non si spostò di un millimetro. «Ora sto da te, quindi fammi un favore, occupati di te stesso! Mi hai sentito? O è un concetto troppo difficile da capire?»

Furente, afferrò il sacchetto dei medicinali, ignorando Kurogane che lo fissava a metà tra il furioso e l’allibito, e lo lasciò lì dov’era, correndo via. Anche se sapeva benissimo che era stato lui a commettere un errore, stabilendosi da Kurogane: ma stando così le cose, almeno sarebbe riuscito a costringerlo ad andare a lavoro.

Non poteva in nessun modo lasciare che lui si rovinasse la vita a causa sua. La vita di troppe persone era già stata rovinata a causa sua.



*si riferisce a Watanuki u.u magari non era chiaro xD (a me rileggendo, no)




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oh ma guarda, ci ho messo duemila anni ad aggiornare! ma non se n’è accorto nessuno scommetto ^^ muahahah! *fugge via sperando che se la bevano (?)*
ps: da qui in poi non sono responsabile del casino di dolore e tristezza che ho scritto.
pss: non lo ero neanche prima ç_ç
psss: fate finta che nella dieta di Fay anche se è malato gli okonomiyaki ci stiano benissimo u.u
 
ringrazio tantissimo Julia_Urahara, yua, Shatzy, Herit e quell’amabile ragazzo che è __Di, ma non credo di avere abbastanza neuroni per fornirvi risposte alle recensioni al momento, lo farò comunque la prossima volta ç_ç accontentatevi del fatto che ho aggiornato.. e ok, ora mi uccidete. meglio che me ne vada ^^’ e, ehm, grazie anche a chi legge semplicemente <3


harinezumi

prossimo capitolo: i’m looking through you

 
  
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