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Autore: minimelania    22/03/2011    1 recensioni
Una piccola favola esemplare, perché in Amore, come in molti altri casi, c'è sempre molto di più di quel che si vede. E si posside sempre più di quel che si ha ...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Strana Storia di Biancalana e il Vecchio

Biancalana era una bella fanciulla. Alta, con grandi trecce scure, bianca e rossa come dice il suo nome. Un bel giorno stava attraversando un bosco, con sua madre, quando vide una grande costruzione. La madre era molto curiosa e le propose di deviare per vedere di cosa si trattava. Biancalana accettò, ma sapeva che non doveva farlo. Si ritrovarono, in mezzo al bosco, davanti ad un grande edificio di mattoni. Sembrava enorme, come un ospedale o quei grandi posti in cui la gente si dimentica di sé: gli aeroporti, le strade senza uscita, i grandi supermercati. Biancalana strinse più forte la mano alla madre, e disse che non sapeva se entrare o se forse era meglio andare via, ma la madre le detta della sciocca e così entrarono.
Dentro era tutto una caligine di buio, coi lunghi corridoi semisommersi da antiche ragnatele da fiaba e una congerie di colonie di muffe. Oltrepassarono una porta e varie stanze, girarono molto e per lo più in tondo, ficcarono il naso in qualche cassa dal contenuto apparentemente inutile e alla fine raggiunsero una porta più pesante e massiccia delle altre.
- Torniamo indietro - fece Biancalana. Ma di nuovo sua madre, imprudente, pensò bene di non darle retta. E fu così che, la mano alla maniglia, spinse più forte che poteva in avanti. La porta, con un cigolio di cardini, si spalancò: Biancalana e sua madre si ritrovarono nel posto più strano su cui credessero di aver mai posato gli occhi.
Era una stanza male illuminata, con tutta l'aria di una cappella. Ceri delle più varie dimensioni, alcuni accesi, altri sul punto di esalare l'ultimo respiro dorato della fiamma, letteralmente ricoprivano decine di nicchie, mensole sui muri e il pavimento. Il pavimento era di pietra grezza, come in certe cattedrali medievali, la stanza piccola, fredda, diseguale, nonostante un soffitto vertiginoso si perdesse nelle profondità del buio. Tutto intorno c'era un gran silenzio, un paio di donne dagli abiti umili sembravano molto concentrare su qualcosa, ad attendere, in mezzo alla navata. Davano loro le spalle. Biancalana e sua madre si fecero avanti, un po' perplesse. Che cosa mai significava quel luogo, quella minuscola chiesa di mattoni, quelle candele e tutta quell'aria fredda all'interno di un edificio abbandonato? Biancalana e sua madre avanzarono e i passi rimbombarono dovunque. Fu allora che lo videro.
All'estremo opposto loro, dove in chiesa sarebbe logico ci fosse un altare, stava un grosso tavolaccio di mogano. Perfettamente lucido, sgombro, aveva dell'altare le grandi zampe lunghe e leonine, l'imponente solennità, la vecchia foggia, tutto. Ma non vi erano posati arredi sacri: solo un libro enorme, rilegato, pesantissimo, con tutta l'aria di essere molto antico. Per un istante Biancalana e sua madre, discoste appena dalle altre due in attesa trattennero il fiato: sembrava che le pagine giallastre, con sopra incisi caratteri gotici, si stessero muovendo da sole. C'era una donna accanto alla tavola, dall'aria assente e dimessa, con una nube di rossi e ispidi capelli rossicci, ma era troppo lontana per essere lei a far compiere alle pagine quei giri. A meno che non le muovesse col pensiero, il che era certo - lo sperarono - impossibile.
Cos'era allora che le muoveva? Non fecero a tempo a formulare per esteso il pensiero, che la risposta fu davanti ai loro occhi. Una delle due donne, scostandosi, lasciò vedere per intero la stretta navata che si parava davanti a loro: pietre antiche, poi tre gradini lievemente sconnessi, infine le zampe di fenicottero di una lunghissima sedia. Vi era appollaiato sopra un coso che attua prima non capirono che fosse: sembrava un vecchio vecchissimo, decrepito, con lunghe orecchie e un lungo naso a punta. Quando lo sguardo di Biancalana si posò, forse un po' più che sorpreso, su di lui, l'esse curvo sollevò la testa e fisse dentro ai suoi grandi occhi azzurri occhietti piccoli, di ghiaccio, serpentini.
- Ti aspettavo, Biancalana - sentì che le veniva rimbombato dentro le orecchie, come fosse una sorta di suo pensiero, e non quello di lui. All'apparenza il vecchio - che era alto forse neanche come un bambino - e molto svelto, stava girando le pagine del libro e non si curava di loro. Come poteva dunque lei aver sentito quel che in effetti non poteva essere detto? Biancalana scosse appena la testa. Sentì una vampa di sangue che, inquieta, andava a imporporarle le guance. Poi si riscosse. Sua madre si era messa in fila con le altre e la tirava.
- Dicono che il vecchio sa leggere il futuro. Che guarda dentro il grande libro e che sogna. E dentro il libro ci sono scritti i destini di tutti quelli come te, come noi. C'è scritto il mio, da qualche parte, e il tuo, e quello di queste donne. Basta solo che aspettiamo, e quando sarà il momento potremo chiedere al vecchio di leggercelo.
Biancalana fissò di nuovo, inquieta, le mani secche, scheletriche, del vecchio. Sembravano antica cartapecora, ossa legate male con lo spago, chiazze di niente sopra l'antichissimo mantello scuro della terra. Non le piaceva, quel vecchio proprio non le piaceva.
Aspettarono, e aspettarono, e aspettarono ancora. Per ogni donna che si avvicinava, il vecchio ci metteva più tempo: altre due erano entrate dopo l'arrivo della madre e Biancalana, un'altra stava spingendo ora alla porta. Non bussavano, non facevano rumore. Semplicemente, entravano e basta, a testa china, come chi aspetta il responso di un arcano oracolo. Il vecchio non staccava mai dai libri la sua testa bitorzoluta e calva, scorreva un dito, si leccava le labbra quando qualcuno gli chiedeva qualcosa. Cosa strana, sembrava farle passare tutte avanti, nonostante già da molto tempo sarebbe toccato piuttosto a Biancalana e a sua madre andare dall'oracolo. Ma il vecchio, noncurante, sembrava non farci caso. Chiamava per nome. Ma nomi strani, nomi di cose, che le donne, ad una ad una riconoscevano. Riconoscendoli si scuotevano appena, e a testa bassa raggiungevano il tavolo sopraelevato. Solo allora quella strana creatura si degnava di guardarle, solo allora apriva il grande libro e cominciava a voltar pagina con le dita polverose. Poi, una volta individuato il passo, inforcava meglio sul grande naso il paio di occhialini che aveva e cominciava a leggere. Non era mai proprio una lettura ad alta voce, piuttosto un bisbiglio di cui invano si percepivano lacerti.
Biancalana, in piedi da quelle che le sembravano ore, riusciva solo a cogliere, di tanto in tanto, qualche oscuro sospiro delle donne, qualche sommesso singhiozzo di pianto. Non le sembrava mai che le notizie date dal vecchio sul futuro fossero buone. Sembravano sempre notizie di morte, e distruzione, e tristezza.
- … è  così, te l'ho detto, non puoi fare nulla …
- … no, mi dispiace, ma è proprio così ….
- … non andrai mai da nessuna parte, se continui in questo modo …
Il vecchio lo le guardava mai dritto negli occhi che per un brevissimo istante. Poi le donne, come sfinite, se ne andavano stringendosi addosso il cappotto. Un paio di volte Biancalana ebbe la strana sensazione che si sarebbe uccise, prima o dopo, ma non lo disse. Sua madre sembrava rapita nella contemplazione del rito che pareva celebrarsi in quella stanza.
Fu quando fu, finalmente, il loro turno che Biancalana si riscosse: sua madre l'aveva strattonata per un gomito. Nella stanza non c'era più nessuno.
- Andiamo. E' il nostro turno, non lo vedi?
La ragazza arrancò dietro sua madre, impaurita. Non sapeva da dove venisse quella sgomenta sensazione di vuoto, di angoscia che sentiva in mezzo al petto. Ma più si avvicinava al tavolo, più  immaginava gli occhi del vecchio posati su di lei, più la paura diventava terrore. E poi panico.
- Allora, che cosa abbiamo qui? - gorgogliò lui quando le vide arrivare, proprio sotto. Fino a quel momento non lo aveva ridere. Aveva come il riso di un uccello che osserva terra appena smossa su una tomba e aspetta i vermi.
Sua madre, col sorriso sulle labbra, stava per rispondere. Un gesto del vecchio le troncò la parola.
- Mia cara signorina, voi dovete …. - così dicendo scorse gli occhi sul libro, mise a fuoco il fondo di una pagina, scrollò la testa, girò il foglio, strizzò quei suoi occhietti come macchie di inchiostro - … voi dovreste essere Biancalana. Biancalana, sì, eccovi qui. E' un piacere conoscervi, mia cara.
Come se il mondo avesse preso lievemente a vorticare intorno a lei, la ragazza sentì che il sangue le andava tutto via dalle guance. Chissà perché, ma essere riconosciuta, essere aspettata da un tizio simile, le metteva una leggera paura. O era inquietudine? Il vecchio mago se ne accorse, e rise. Solo allora, da vicino, lei notò che portava una palandrana sudicia, come una specie di giubbone tutto nero, coi bottoni davanti e una sottana stinta che sembrava quella di una donna.
- Volete sapere perché vi aspettavo? Vi domandate forse per caso perché io vi conosco?
Biancalana avrebbe tanto voluto trovare qualcosa da rispondere.
- Su, su, avanti, non siate timida. Non volete sapere il perché? Perché quel broncio, mia bambina, perché?
Biancalana non lo sapeva neanche lei, perché. Ma in quel momento le ginocchia le tremavano. Aveva tanta voglia di piangere.
- Andiamocene - disse a sua madre. O almeno, sussurrò. Ma con sgomento, volgendosi di lato, vide che non c'era più nessuna madre accanto a lei. Solo lei e il vecchio erano rimasti in quella stanza dalle pareti spoglie e umidicce.
- Non vuoi sapere perché siamo da soli?
Biancalana volse intorno gli occhi, spaventata. Perché sua madre non era più con lei? Perché se n'era andata senza dirle niente? E che fine avevano fatto le candele che rischiaravano, almeno un poco, la stanza fino a qualche attimo prima? Adesso non c'era più niente: né donne, né luce, né candele, né madre. Soltanto lei e quel vecchio polveroso che la guardava dalla cima del suo sgabello.
- Non vuoi sapere perché siamo io e te? - ripeté dentro le sue orecchie, come all'inizio. Stavolta sorrideva.
Ma Biancalana lo sapeva benissimo. All'improvviso lo aveva ricordato. Vide la mano del vecchio, rinsecchita, chiudersi lentamente sulla penna. Lo vide intingere nel calamaio la punta di una vecchia ala di corvo spennata, lo vide stendere appena le labbra pallide mentre posava la parodia di un sorriso sopra la carta ingiallita dal tempo. Biancalana, adesso lo sapeva, era lì per il suo matrimonio.
Il vecchio finì di vergare il suo nome sotto la data di quel giorno e il simbolo di un gran serpente che si mangiava la coda.
- Adesso tocca a te, mia cara - sorrise suadente, tendendole la penna - Firma qui sotto, e sarai mia sposa.

I giorni, nella casa del mostro accanto a cui aveva inciso il suo nome, erano tutti uguali uno all'altro. Non c'era requie, né tregua possibile: solo una lunga, interminabile noia che rischiava di cancellare tutto il resto.
La casa - il regno - di Biancalana era una stanza esattamente uguale all'altra, alla chiesa. Vi si accedeva per una porticina subito dietro il grande tavolo nero dove il vecchio teneva posato il suo libro. Lei era lì, relegata, assente. Aspettava ma mai nulla succedeva davvero. I giorni erano tutti uguali, e le notti ancora più uguali dei giorni: ogni mattina il vecchio apriva gli occhi dentro la grande cuccia in cui dormiva, scrutava il buio, si alzava in silenzio e scivolava fuori dalla stanza. A sera, ritornato, mangiava giusto un pezzo di pane duro che lei, amorevolmente, gli faceva sempre trovare accanto al secchio dove tenevano l'acqua. Più di una sillaba i due non si dicevano, né si capiva perché lui fosse lì o perché lei ci fosse rimasta. Biancalana passava interi giorni a far frullare come api impazzite le considerazioni nella sua testa. Semplicemente, sapeva di essere da sempre stata destinata a quel luogo, da sempre  tesa soltanto a raggiungere quella stanza in cui non succedeva mani nulla. Biancalana languiva, mentre il vecchio non la degnava di uno sguardo, né parlava. Semplicemente loro due, marito e moglie, non esistevano l'uno per l'altro.
Ma un giorno accadde qualcosa di strano, qualcosa di nuovo. Biancalana stava accucciata per terra, come sempre, tutta intenta a fissare senza meta due file sporche di formiche che rigavano il pavimento di sconnessi puntini. Chissà mai dove andavano, da dove entravano lì, e come potevano uscire. Lei, da quando aveva scritto il suo nome, non conosceva più ritorno, né andata. Sempre lì, in una stanza monotona. Anche quel giorno, uguale a tutti gli altri, Biancalana pensava con nostalgia alla sua casa, alla sua stanza, a sua madre: come poteva averla abbandonata in quel luogo tutto buio, tutto straniero? In questi pensieri rappresa come olio freddo in un fondo di ghiacciaia, non si accorse che la porta cigolava sopra i suoi cardini. E non si accorse, neanche, poco dopo, che il suo sposo scivolava dentro reggendo tra le mani qualcosa. Era un gran sacco nero, lo trascinava solo a prezzo di molta fatica. Quando lo vide, Biancalana sbadigliò. Non disse niente, non lo aiutò, semplicemente - dato che aveva imparto il valore inestimabile e salvifico dell'inerzia - si limitò a fissare il vecchietto che armeggiava sudando con la cosa. Tintinnava, e qualunque cosa ci fosse dentro al sacco, doveva pesare parecchio. Non le venne in mente di sapere cosa c'era nel sacco, non le venne voglia di chiederlo. Semplicemente aspettò che lui avesse finito di armeggiarci, slacciando i lacci complicati che tenevano chiuso il grosso, farraginoso contenuto.
- Non vuoi vedere questa novità, mia cara?
Biancalana soffocò un altro sbadiglio. Forse perché le era permesso tutto, non faceva più caso alle maniere quando trattava con lui.
- Non mi interessa - soffiò come un gatto.
- Che peccato. Era un regalo per te.
Senza volerlo, il vecchio aveva toccato una corda che in fondo al cuore di Biancalana ancora aveva l'incerto permesso di vibrare. Che cosa era mai quel regalo? Forse un getto di acqua fresca sul fuoco della noia? Forse dei libri, qualche fiaba, un racconto, qualcosa che l'aiutasse a passare le interminabili ore di assenza tra il circospetto aprire gli occhi del marito e il suo richiuderli, a sera? Il suo carceriere, molto furbo, la fissò a lungo coi suoi occhi serpentini.
- Non vuoi vedere il tuo regalo, mia cara?
Alla fine Biancalana si decise. E non poteva essere diversamente. I molti giorni, o forse i molti inverni, che aveva passato rinchiusa le avevano un poco impacciato il passo, le avevano rallentato l'allegria, l'avevano chiusa in una corazza di inerzia. Ma nulla che non potesse essere sciolto con un po' di sorpresa, di calore.
Un poco incerta, forse anche tremante, si avvicinò al sacco.
- Prima un bacio -  sorrise lui, porgendole la guancia.
Biancalana non ci era abituata. In genere i contatti fisici tra loro due si limitavano a occhiate. Ma prima le aveva chiesto di toccarlo, o anche solo di passargli qualcosa. Mai lei aveva dovuto combattere con l'assoluta ripugnanza di vederlo più che non fosse necessario. Tutt'al più gli aveva tirato dietro qualcosa, un paio di volte, quando era molto stizzita. Così adesso fu colta di sorpresa. Lui aspettava, la guancia glabra e bitorzoluta, sotto di lei, con gli occhi chiusi. Anche soltanto l'idea di poggiare le sue belle labbra su quello schifo le rivoltava il sangue, le faceva venire un groppo allo stomaco. Ma come si poteva rifiutare? La curiosità era troppa. Strinse gli occhi molto bene, prese un respiro, e poi baciò quella guancia rugosa. Non fu che un attimo, ma ebbe la sensazione di aver mangiato ruggine per anni, di aver masticato e masticato qualche schifezza di cui non sarebbe più riuscita a togliere l'urto dalle gengive. Il vecchio, ad ogni modo, parve soddisfatto, perché riaprì gli occhietti e sorrise.
- Adesso puoi aprire il tuo regalo - indicò, con fare magnanimo e curiosamente solenne.  
Biancalana si chinò in fretta sul sacco e lo aprì. Dentro c'era qualcosa di simile a ferraglia. Liberò con tutta la foga che poteva la strana cosa dal suo sacco di bigio. Figuratevi la meraviglia, quando vide sotto di lei comparire una lunga, lucida, antica macchina da cucire.  
- Che cosa faccio con questa? - chiese delusa. Già il sorriso di poco prima le si stava sciogliendo in lacrime sulle belle guance.
- Tu niente, cara. Ma lascia fare a me. Questo sarà il tuo regalo di compleanno.
In effetti, anche se Biancalana aveva perso il conto del tempo, il giorno del suo compleanno era vicino e suo marito - qualunque cosa fosse - non era intenzionato a dimenticarlo. Fu così che quella sera stessa, mentre sedevano uno davanti all'altra in religioso silenzio, lui smoccolò la candela e poi annunciò.
- Domattina ce ne andremo di qua.
Biancalana rimase molto sorpresa, poiché da sempre - e per sempre, credeva - era rimasta in quella stanza spoglia. Realmente non era più in grado di capire quanto tempo fosse ormai passato dal giorno in cui sua madre l'aveva lasciata lì col vecchio del grande libro. Potevano essere passati interi mesi, o forse solo giorni, o settimane. Il fatto era che - lei lo sapeva - il mondo doveva essere nel frattempo cambiato. Chissà se c'era ancora la foresta, e le cascate e gli alberi da frutta, se c'erano ancora i ruscelli gorgoglianti e grandi spazi color verde smeraldo. Chissà se c'era ancora casa sua, e se era viva sua madre.
Il vecchio, che la vide preoccupata, si avvicinò, con aria premurosa.
- Che ti preoccupa, bambina mia?
La ragazza, nei cui grandi occhi azzurri già si gonfiavano nubi di pianto, gli volse uno sguardo triste, tra le lacrime.
- Non voglio uscire, ormai non sono più niente.
Il piccolo vecchio scosse il capo.
- Sei davvero sicura, bambina mia?
- Ormai senza di te non sono nulla.
Il piccolo anziano sospirò.
- Neanche io, ma dobbiamo provare. Non ti ricordi il tuo regalo, non lo vuoi? Non sei curiosa di sapere che cos'è?
Per la prima volta nella sua lunga permanenza il quel posto oscuro, tenebroso, forse maligno, Biancalana sentì che in fondo al cuore provava di nuovo un moto di curiosità. E all'improvviso si sentì così contenta di poter tornare a prendere aria, a rivedere gli alberi - quali che fossero -, a respirare a pieni polmoni, che rise al vecchio di un riso sincero.
- Va bene, andiamo - disse - Mi preparo.

Quella notte dormirono molto bene, lui nella sua cuccia per terra e lei nel letto soffice di piume e cuscini che il vecchio le aveva ceduto dal primo giorno. Aggrovigliata nella grande coperta, Biancalana di nuovo sognava, sognava case e boschi e alberi, e sua madre. Sognava lunghi castelli svettanti con banderuole lucide nel vento e apparecchi per volare e tricicli con sopra bambini allegri, e feste, feste, miriadi di feste con signori e donne e giovani vestiti con vestiti che più magnifici non si poteva.
Quella notte, a mezzanotte in punto, il piccolo vecchio aprì gli occhi. La punta del suo naso fremette nell'aria scura, mosse un alluce, l'altro, poi, scivolato giù dalla sua cuccia, cercò a tentoni le babbucce, in silenzio. Era davvero uno strano vecchio, così piccino, e curvo, e gentile. Poteva essere terribile, davvero, e infatti molto ne avevano paura, poteva essere astuto e cattivo, crudele, immaginifico, potente. Ma soprattutto sapeva che le cose hanno un tempo per nascere, e crescere. Svelto, sempre in silenzio, si avvolse nella vestaglia di lana che mani amorevoli, tanti anni prima, avevano confezionato per lui. E un sospiro - davvero breve - per un istante tese la sua bocca sottile.
- Oh, Creatore, che tutto cuci e tutto sai cucire, o Creatore che hai insegnato ai poveri servi fedeli come me a cucire quel tanto che basta perché gli uomini non siano ciechi e sappiano vedere. Oh, Creatore, assistimi anche adesso, perché stanotte si compie il nostro fato. Il mio e di questa dolce fanciulla che non ho amato mai come nessuna, anche se lei non può capire il mio amore.
Dopo di che, sempre in silenzio, il vecchio andò verso la macchina da cucire. La trasse fuori dal suo involucro di sacco e le fece una carezza. Quella brillò per un istante nel buio. Poi, come se fosse comparsa dal nulla, da una nicchia segreta srotolò la stoffa più pregiata che mai si fosse vista. Potrebbero essere trovati mille mila paragoni per quella liscia seta, per le onde crespe di marea del tessuto, per i minuscoli brillanti inattesi che vi brillavano, come occhi, ad ogni piega. Era la veste che un pavone celeste avrebbe stretto tra le piccole fauci e portato via, in volo, come coda. Era la crespa vitalità dell'acqua quando gocciola su boccioli di rosa e vi discende, insinuandosi, al culmine dell'arcana segretezza che richiudono. La stoffa, stretta in un rotolo, allentata da un laccio, era la cosa più bella su cui mai occhi si fossero potuti posare. Soltanto Biancalana era bella quasi quanto quella stoffa di sogno. Il giorno che fosse stata innamorata, lo sarebbe stata di più.
- Oh, bene. E adesso cominciamo a lavorare - fece il vecchio, e tra sé sorrise, come in sogno.
Lavorò tutta la notte alla macchina. Era piccino, ma i suoi lunghi piedi arrivavano al pedale con l'ausilio di un complicato marchingegno di leve che permetteva anche di rimanere molte ore nella stessa posizione senza stare male. La macchina, per quanto enorme, e complicata, non faceva alcun rumore percettibile. La stoffa, come acqua, scendeva a misurare i secondi e i minuti perfettamente lavorata dal vecchio. Quando alla fine il vestito fu pronto, era il più bello che mai si fosse visto. Il vecchio lo sistemò su un manichino e lo coprì con un telo, per bene.
- E adesso andiamo a riposare - sospirò.
Era mattina quando Biancalana aprì gli occhi. Nella stanza sempre buia c'era luce, una luce così accecante che all'inizio non seppe bene da dove proveniva. Poi si accorse che la grande porta che dava sulla chiesetta era aperta, e che la luce filtrava da lì. Si alzò in piedi stiracchiandosi, girò gli occhi d'intorno ma del vecchio nessuna, nessuna traccia. Fece allora per avvicinarsi alla porta, per capire se era andato di là, se era tutto uno sbaglio quel luogo aperto, quella porta da dove filtrava la luce, quella perfetta serenità del mattino. Anche nell'altra stanza non c'era nessuno. Non un'anima, né libro, né le donne che solitamente aspettavano. Anche l'odore di chiuso era sparito, e al suo posto c'erano larghi raggi che filtrano brillanti e impolverati in grandi, splendide colonne di pulviscolo. Non credeva che ci fossero finestre in quella chiesa, non le aveva mai viste. Eppure dovevano esserci, se proprio in quel momento quella luce, tutta l'enorme luce del creato pareva riversarsi proprio lì. Prese un respiro, felice. Quando tornò dentro la stanza che era stata a lungo la sua prigione, per prima cosa vide che anche la cuccia del vecchio era sparita, e così pure ogni arredo e suppellettile. L'unica cosa che c'era ancora, in un angolo, era un oggetto oblungo, alto più o meno come una persona in piedi, coperto da un lungo telo. Biancalana si avvicinò.
- Che cosa faccio? - si chiese. Aveva una gran voglia di scostare quel telo pesante, vedere che cosa mai si nascondeva sotto. Perché il vecchio andandosene via, senza dire niente, aveva lasciato quella cosa? Alla fine Biancalana si decise, e con un gesto rapido della mano, tirò giù il velo.
Non si può descrivere la faccia che fece: le sue guance si imporporarono fino a essere ciliegie, i grandi occhi si spalancarono, la bocca le si aprì in un grido di sorpresa: sotto la campana di stoffa stava il vestito più bello che mai si fosse visto. Biancalana si avvicinò, circospetta.
- Che cos'è? Ma sono perle, quelle? Oh, santo cielo …
Era largo come una campana, con una grande gonna a fili d'argento. I vari strati di tessuto, morbidissimo, formavano come una nube intorno alla vita e ai fianchi, ma non come in certi vestitini da dama, che nascondono le forme di donna sotto misurati tagli infantili. No, questo riusciva ad essere il vestito più bello e femminile che mai si fosse visto. Poco più in alto, la stoffa della gonna si avviticchiava in mille rivoli di perle a formare il bustino: un corpetto d'oro finissimo tutto intessuto di minuscoli granelli di pietre. Biancalana vi passò una mano sopra e quelle tintinnarono lievemente, come si trattasse di una musica. Poco più sopra, dove le spalle nude si congiungevano alla pelle della gola, c'era un velame di organza sottile, che poteva essere messo o levato. Biancalana era ammirata da cotanto splendore, dalla perizia da maestro che - chiunque ne fosse l'artefice - aveva reso il vestito come un sogno fatto a occhi aperti.
- E' possibile che sia stato lui? - si chiese sbalordita - Ieri il vecchio … aveva una macchina da cucire!
Ma anche quella era svanita. Tutto era svanito, se non lei e la veste che trionfava nella luce del giorno e la invitava, la supplicava di spogliarsi, di liberarsi dai suoi vecchi stracci e tuffarsi in quel mare di seta.
E Biancalana lo fece. Uscì nel grande palazzo che era stato di pietra, subito fuori dalla porta della chiesa. Adesso brillava di cristalli come fosse scolpito nel ghiaccio: grandi colonne semoventi vagavano fischiando antichi misteri benigni, piccole alate colombe pigolavano nei loro teneri, riposti nascondiglio. A Biancalana si allargarono i polmoni: dietro una tenda, in una stanza c'era un bagno con una vasca d'argento profumata. Vi si immerse, perché l'acqua era calda e le zampine di leone della vasca sembravano muoversi a passo di danza. Vi si immerse e non seppe più niente finché la schiuma non le fece il solletico e il sole in cielo fu talmente alto da darle il capogiro, da instillare in ogni vena la felicità di esistere. Solo allora si alzò, e completamente nuda, perfetta, gocciolante raggiunse di nuovo la sua vecchia prigione. Siccome le cose murtavano, anche la chiesa stava mutando, già: come se fosse divenuta preda anche lei del devastante, dolcissimo sortilegio che stava rapendo tutto il resto, non era più buia, anzi, le tenebre erano sparite, erano lontane, sconfitte. Sul tavolo non più un librone polveroso, ma cascate di fiori, vegetali, edere e pampini che si avviticchiavano su per le antiche colonne. Tornò alla stanza. In mezzo c'erano fauni e sirene, e grandi bestie dagli occhi mansueti e piccoli angeli che cantavano in coro. La invitarono con larghi sorrisi e inchini riverenti. Lei lasciò che l'aiutassero a indossare il vestito, che le allacciassero i lacci, che sciogliessero i suoi capelli profumati in cascate di gioia pura, e armonia, e candore. Quando fu pronta non c'era al mondo cosa, figura, essere o magia che fosse come Biancalana, o più bella. Anche le piccole bestie, venute da chissà dove, anche la natura si inchinava al suo passaggio.
- Andiamo - sussurrò lei al suo nuovo corteo. Una musica come di cembali aveva cominciato a suonare. Tutti si mossero, e lei in testa avanzò come danzando, e a ogni passo di danza, ad ogni salto in cui sfiorava il terreno dalla carezza dei suoi piedi nudi nascevano asfodeli e gigli bianchi. Quando fu giunta al limitare della chiesa si volse indietro, ma già quella spariva.
- Non preoccuparti - le disse un satiro - Tutto passa e ritorna, in un'altra maniera.
Biancalana, coi suoi denti di perla, fece in tempo sorridere appena come pervasa da una nuova meraviglia che si trovò, non si sa come, all'aria aperta. Stava svanendo tutto quel che di natura non era frutto: i mattoni, e le porte, e gli angoli e gli spigoli e le tenebre fitte, annodate, del grande palazzo. Al loro posto solo cattedrali d'alberi, e canto di usignoli e meraviglia. Biancalana si voltò sorpresa.
- Cosa succede? - chiese. Ma il corteo era sparito, come tutto il resto.
- Succede che rivivi, mia Biancalana - sorrise un bel Principe che passava di lì. Non si capiva a tutta prima che era un principe, ma poi a guardarlo, con quei grandi occhi, e quel cavallo tutto bianco e quel sorriso … non si poteva non capire che era un Principe. Biancalana gli si fece vicino tutta contenta.
- E tu da dove spunti? - chiese.
- Da dove mai pensi che spunti, Biancalana? Dai tuoi sogni, come ogni Principe che si rispetti, ovviamente. Ti ho sentito che chiedevi aiuto dentro quell'antro buio e scuro, ti ho sentita quando piangevi e avevi paura, quando dormivi e sognavi sogni inquieti, quando vagavi con la mente chissà dove e le giornate sbiadivano una a una. Ti ho sentito tutte quelle volte, e i tuoi pensieri mi hanno guidato fino a qui.
Biancalana era felice:
- Grazie - disse, avvicinandosi al cavallo bianco - Grazie, mio Principe, di avermi salvata da quel bruttissimo mostro, grazie ancora …
Il principe la prese tra le sue belle braccia e l'aiutò a sollevarsi.
- Andiamo via?
Fu nel momento in cui la sollevò accanto a sé che lei vide il braccialetto di serpente: un serpe che si mordeva la coda, uguale a quello sul libro del vecchio.
- Ma cosa mai … il braccialetto … tu …
- E' importante? - fece sorridendo il Principe, e poi la strinse forte a sé: partirono, e nella luce del mattino furono belli come sono splendide le comete quando rigano il cielo.
Avrebbe avuto tante cose da chiedere, la bella Biancalana, ma non lo fece. Quel che sapeva era sempre stato scritto dentro quel circolo che va e che viene. Chi fosse il Principe e chi fosse stato il Vecchio, non le importava. Voleva solo essere felice, ora. E grata, tanto grata alla Vita che le aveva donato un amore così infinito da scendere nel buio e illuminarlo.

 

  
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