Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Akira423    23/03/2011    6 recensioni
Tratta da una storia vera e riadattata, la storia è ambientata in un piccolo paese del Sud Italia, dove la camorra regna sovrana... Cosa succede se il viziato e prepotente erede del boss della zona stringe amicizia con un simpatico e temerario gelataio dall'accento spagnolo?
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

For an ice cream

«Fa troppo caldo! Prendiamoci un gelato!»

Faceva caldo, era un’afosa giornata d’estate, me lo ricordo molto bene. Potevo avere sì e no 10 anni. Ero col mio solito gruppetto di “amici”, un branco di pezzenti morti di fame, che mi giravano intorno solo per ricevere qualche favore.

Sapete chi ero io? Ero l’erede del boss malavitoso più importante della nostra piccola città, che, nonostante ciò, gestiva un vasto giro di affari. Il clan Vargas era temuto e rispettato da tutti. Camminavo sempre a testa alta, ero molto orgoglioso, mi sentivo davvero potente. Trattavo tutti in malo modo, senza mai dovermi preoccupare di nulla. Un piccolo bulletto, insomma. Potevo andare in qualsiasi negozio e prendere gratis tutto ciò che mi andava, o entrare al cinema, senza pagare il biglietto. Comodo,  vero? Per questo quegli straccioni mi seguivano.

Come dicevo, quel giorno si soffocava dal caldo, così a uno di loro venne la malsana voglia di un gelato. Ovviamente lo volevano da me.

«E va bene, ho capito! Andiamo da Felli, cazzo!»

La gelateria Felli era la più bella della città, una di quelle artigianali, con dei graziosi tavolini, dove ci si poteva sedere e mangiare, chiacchierando tranquillamente, inoltre il ragazzo al bancone era davvero gentile. Ogni volta che vi entravo, mi accoglieva con un sorriso caldo, servendomi allegramente.

Non come tutti gli altri negozianti, che ostentavano un sorriso forzato, per niente cortese, con la paura negli occhi. Non capivo proprio perché Antonio (questo infatti era il suo nome) non si comportasse come loro.

Comunque sia, in pochi minuti raggiungemmo la gelateria. Controllai: eravamo più o meno una decina, probabilmente qualcuno si era aggiunto sentendo odore di gelato gratis. Con un sospiro rassegnato, vi entrai, facendo tintinnare lo scacciapensieri appeso alla porta.

«Ehi, bastardo!» un avviso decisamente più efficace di stupidi campanelli.

«Buongiorno, Lovino!» sbucò da dietro il bancone, sorridendo. Al solito.

La divisa bianca metteva in risalto la pelle abbronzata e i capelli castani arruffatissimi, mentre il grembiule verde bottiglia non era minimamente paragonabile a quello brillante dei suoi occhi. Degli occhi meravigliosi, vivi e profondi. Non sfuggenti come quelli di tutti, ma sicuri e temerari, che si incatenavano ai miei, ambrati, e sembravano riuscire a scrutarmi nel profondo.

Il suo sorriso vacillò per un attimo, quando notò la banda di ragazzi che mi ero portato dietro, ma si riprese subito. «Come va? Tutto bene?» aveva uno strano accento spagnolo, chissà come mai.

Non risposi, ma mi avvicinai curioso al bancone dei gelati, per controllare se ci fossero nuovi gusti. Niente di che, pazienza.

«Ohi bastardo, un cono per me e per i miei amici.» ordinai, con poca cortesia. Lui mi si avvicinò, con una strana espressione preoccupata in volto, chinandosi un poco per sussurrare al mio orecchio.

«Ma, Lovino... hai intenzione di pagare, oggi?»

Nemmeno un minuto dopo ero già fuori dal locale, correndo in lacrime verso casa. Come aveva osato?! Quell’idiota! Si era messo le mani sui fianchi e mi aveva rimproverato. «Andiamo, lo sai che questo è il mio unico lavoro, devo sostenere la mia famiglia. Se ti regalo tutti questi gelati, mi spieghi come riuscirò a vivere? Mi dispiace, ma questa volta non se ne parla.» L’aveva detto con calma, senza arrabbiarsi o alzare la voce, tuttavia mi ero sentito davvero ferito. Come si era permesso di umiliarmi davanti ai miei compagni? Infatti, quelli avevano preso a sghignazzare e sbeffeggiarmi, così ero corso via dal negozio, con i lacrimoni. Mi sentivo tradito. Perché proprio lui? Eppure...

Ricordai un episodio successo qualche tempo prima.

«Io non vorrei farlo, mi vergogno!» parlavo a singhiozzi, con gli occhi lucidi.

«Allora perché lo fai?» Antonio era chino su di me, sinceramente preoccupato.

« È per mio nonno! Lui non mi dà mai dei soldi, perché dice che posso prendere tutto quello che voglio dove voglio. Se gli spiego che non mi piace comportarmi così, lui mi rimprovera, dicendo che non sono degno di essere suo erede, e mi riempie di botte!»

Antonio aveva sospirato, per poi accarezzarmi il capo. «Mi dispiace, però... anche io devo mangiare, capisci? Se continuo a regalarti tutto, perderò un sacco di soldi, senza contare quelli che devo versare ogni settimana a tuo nonno... Non saprei come andare avanti.»

«Lo so...» avevo smesso di singhiozzare. «Dammi un po’ di tempo. Appena potrò trovarmi un lavoro e avrò dei soldi in tasca, ti ripagherò di tutto!»

L’avevo detto con foga, con il faccino tutto rosso e le guance gonfie.

Lui sorrise intenerito. «E va bene, però cerca di ridurre l’accumulo dei debiti, ok?»

Da allora infatti vi andavo meno spesso, cercando di spendere il minimo.

Forse quel giorno avevo davvero esagerato, però... per una volta avrebbe anche potuto chiudere un occhio, proprio perché c’erano gli altri, no?

In pochi minuti arrivai a casa, salendo le scale di corsa, rischiando anche di inciampare. Spalancai la porta dello studio (sapevo di trovarla aperta) e mi precipitai dal nonno, gettandomici addosso, scoppiando in un pianto disperato. Un vero uomo, non trovate?

Mi chiese subito cos’era successo, ma non gli risposi.

Era molto apprensivo, sapete? Da quando i miei genitori ed il mio fratellino erano morti per una regolazione di conti con una famiglia nostra rivale, ed il nonno era rimasto il mio unico parente, non mi aveva più perso d’occhio neanche un attimo e mi aveva viziato in ogni modo. Spesso mi faceva andare in giro addirittura con una scorta, diceva che “non si poteva mai sapere”.

Dopo un po’ mi calmai, e mi convinsi a raccontargli l’accaduto. Mi ascoltò con attenzione, tenendomi a cavalcioni sulle sue forti gambe e accarezzandomi, di tanto in tanto, il mio strano e caratteristico ciuffo.

Quando terminai, avevo smesso del tutto di singhiozzare, e mio nonno aveva assunto un’espressione poco rassicurante in volto. Mi preparai ad una sonora strigliata, o ad un bello schiaffone, ma non arrivò niente di spiacevole. Si alzò solamente, facendomi scendere e, dandomi leggere pacche sulla testa, disse: «Non preoccuparti piccolo, ora ci penso io.»

Aprì la porta, salutandomi con una frase di cui non riuscii subito a cogliere il significato. Aveva detto “Gli farò comprendere la sua posizione”. Dopo qualche minuto realizzai la cosa. Fui assalito dal panico.

Scesi di corsa, stavolta dovevo affrontare il percorso inverso, e ancora più velocemente di prima. Dovevo assolutamente raggiungerlo. Antonio non era certo il tipo che subisce in silenzio se sa di aver ragione, e io conoscevo molto bene il modo in cui il mio parente punisse che non gli prestasse obbedienza. In pratica l’avevo condannato.

Chiamai il nonno con tutta la voce che avevo in gola, fino a sentirmela bruciare, tuttavia non riuscii a trovarlo. Se ci si metteva era davvero veloce.

Era all’incirca sull’ottantina, ma ne dimostrava la metà. La barba sfatta e la pelle abbronzata gli attribuivano un’aria da duro, tutti lo temevano e lo rispettavano. Anche lui, come me, era sempre circondato da luridi leccapiedi. Chi invece non si sottometteva... beh, vi basti sapere che non gli aspettava nulla di piacevole. E a me andava bene così, o meglio, non mi interessava troppo. Fino a quel momento.

Non potevo assolutamente permetterlo, non dovevo! Lui non aveva colpa... era solo per un mio stupido capriccio, per un gelato!

Imposi alle mie gambe di aumentare l’andatura e dopo un po’ arrivai finalmente alla gelateria.

Il nonno ne stava uscendo proprio in quel momento. Tranquillo e pacato, mi si avvicinò accarezzandomi il capo. Quel gesto tanto abituale mi diede quasi fastidio. Lo scansai, guardandolo dritto negli occhi. Non so se riuscì a cogliere tutto quello che vi era riflesso: rabbia, paura, rimorso... e tante altre sensazioni poco piacevoli. Rimase un attimo interdetto, per poi sorridermi, rassicurante.

«Non preoccuparti, ora è tutto risolto.» Mi diede un pizzicotto sulle guancie gonfie e arrossate dalla corsa e si allontanò fischiettando allegro, con le mani in tasca.

Non era successo nulla? Possibile? Nessuno urlava, nessuno correva, niente dimostrava che fosse successo qualcosa di particolare. La porta del negozio era rimasta aperta, come ad invitarmi a entrare, ma non ne trovai subito il coraggio. Solo dopo che una grossa signora disperata (che riconobbi come la madre di Antonio), ne uscì urlando e chiedendo aiuto, capii che non potevo più aspettare.

Entrai di corsa, chiamando a gran voce il nome di Antonio, ma non ricevetti risposta.

Poi notai il lago di sangue che si estendeva da dietro al bancone, e compresi. Ormai il delitto si era consumato.

In quel momento mi resi conto che Antonio non avrebbe più potuto rispondermi, non mi avrebbe mai più accolto con quel suo meraviglioso sorriso, non mi avrebbe mai più preparato alcun gelato, non mi avrebbe mai più consolato se fossi corso da lui in lacrime.

Ricordo che piansi, urlai, cercai persino di farlo risvegliare, macchiandomi in quel mare vermiglio. Ma niente, perché lui era già morto. Uscii fuori, in strada, cercando aiuto, ma nessuno volle prestarmi attenzione. E anche dopo, l’omicidio passò inosservato, tra l’indifferenza totale della gente.

Ed ora eccomi qui, a presiedere all’ennesimo processo antimafia. Da quel giorno, infatti, ripudiai mio nonno e scappai di casa, intraprendendo seriamente gli studi, che fino ad allora avevo trascurato.

Che ironia, eh? L’erede di un potente capo di camorra che diventa un importante magistrato.

Non volevo più vedere nessuno fare una fine del genere, soprattutto nell’indifferenza di tutti. Per questo ho dichiarato guerra sia alla criminalità organizzata che all’omertà.

Sono passati più di 15 anni da quando ho abbandonato il mio paese natale, ma ogni tanto torno a farci visita.

La gelateria non ha più riaperto, nessuno dei parenti di Antonio se l’è sentita di continuare l’attività, posso ben capirlo. Anche loro, come me, hanno preferito lasciare la città.

Sulla tomba del mio amico non c’è mai nulla. Non un cero, non un mazzo di fiori... nulla.

Senza la commemorazione della famiglia, non c’era nessun altro che si preoccupasse di lui. Persino chi viene ucciso, chi è morto e caduto per contrastare o semplicemente per non essersi voluto piegare alla mafie, viene diffamato.

Eppure io, ogni volta che posso, vengo qui e lascio un grande mazzo di fiori (colorati, come piacevano a lui), dopo aver pregato a lungo, nonostante gli sguardi carichi di disapprovazione e disprezzo degli altri.

Quello che ho capito è che il vero problema è la mentalità della gente, che va assolutamente cambiata, non basta arrestare criminali su criminali.

Ma come fare? Sono anni che cerco una risposta a questa domanda, ma ancora non ne ho trovata una soddisfacente.

Vorrei semplicemente che tutti capissero che non si può morire per un capriccio... per un gelato.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------

¡Hola! Eccomi tornata con una seconda fanfiction. Avevo promesso che questa sarebbe stata qualcosa di più allegro della precedente, ma a quanto pare... sì, insomma, non ci posso fare niente se le storie tristi mi vengono meglio D: 

Questa ff nasce dal racconto di mio nonno di una storia vera, cioè quella di una suo amico ucciso proprio per una sciocchezza del genere, per un gelato (Felli è appunto il nome reale della gelateria). Anche se capiamo tutti che in realtà un atto del genere vuol dire ribellarsi al sistema, e non è una cosa che chi lo gestisce gradisce molto.
Riadattata parecchio devo ammettere, ovviamente il piccolo bulletto non sarà diventato un affascinante magistrato... "E cos'è diventato allora?" mi ha schiesto una mia compagna di classe "... Un camorrista come il padre suppongo." Lo dico anche a voi, per chi se lo chiedesse. Ah, e ovviamente non era il nonno a prendersi cura di lui, ma il padre, ma nonno Roma in veste di boss era troppo figo**  Poi anche Antonio in veste di gelataio lo era (ma lui lo è sempre e comunque).
Che dire, uhm... se questo racconto è riuscito a lasciarvi qualcosa, mi sentirei davvero soddisfatta. Perchè è proprio per questo che ho voluto scriverlo, per cercare di trasmettere a tutti voi il brivido che mi ha attraversato la schiena, o la stretta allo stomaco che ho provato, quando ho ascoltato questa storia agghiacciante. Per quanto riadattata, la trama di fondo è vera, e vi vorrei invitare a riflettere su quanto ingiusta e inaccettabile possa essere una società che permette ciò.
Perciò non lasciamo solo il magistrato Lovino Vargas nella sua lotta, sobbarchiamoci un po' anche sulle nostre spalle questa gravosa responsabilità.
*Fa tanto pubblicità progresso* ecco, ho rotto l'atmosfera seria...

Bien, vi saluto, spero che questa fanfiction vi sia piaciuta e vi sarei immensamente grata se vorreste lasciare una recensione anche piccola piccola^^
Alla prossima :3
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Akira423