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Autore: pandamito    27/03/2011    0 recensioni
'Un raggio di sole che illuminava la buia strada' sarebbe il titolo completo, ma fa niente. Stavolta propongo una fanfiction che non è idiota come molte altre che ho scritto in precedenza. Parla del mio OC!Centro Italia nell'età napoleonica. Spero vi piacca. ♥
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il taccuino di una margherita.'
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E bentornati a tutti con una delle altre fanfiction della Mito. ♥ Stavolta, però, non è una di quelle solite cazzate che scrivo; in realtà questa one-shot era semplicemente l'introduzione - si, avete capito bene - di una role che dovevo fare con una mia amica, player di Germania. Comunque sia, anche se non viene citato, posso dire che Sacro Romano Impero è sottinteso in questa one-shot, perchè siccome il luogo dove è ambientata la scena è casa sua, di conseguenza ritenevo il dovere di dirvelo perchè così anche per voi sarebbe stato ovvio che il cavalletto da pittore era suo, per quando riguarda il misterioso fatto della porta aperta... non so, potete credere che sia stato chiunque, per adesso diciamo che non è essenziale.
Questa one-shot l'ho messa come completa, ma non so... in futuro, per come procederà la role, potrei anche decidere di aggiungere qualche capitolo, chissà.
  • Iniziamo a precisare che l'OC!Centro Italia (Giulietta 'Adriana' Vargas) è sotto il mio completo copyright, sia l'aspetto che il carattere.
  • La fanfiction si ambienta nel periodo napoleonico, quindi il Sacro Romano Impero sta per scomparire ed il Centro Italia piano piano sta entrando a far parte del Regno d'Italia.
  • La player di Ludwig, so che non c'entra un bippo perchè manco c'è qui, è MackyVicios, leggere le sue ff, ve le consiglio vivamente!


Le avevano detto di preparare le valige. Manco quando aveva dovuto lasciare Villa Carriedo le avevano detto di preparare le valige, l’unica cosa che le fece capire a quel tempo che la stavano portando - strappando - via da lì, era la morbida mano di Françis e gli occhi glaciali di Roderich che la guardavano. Ora, invece, l’avevano avvertita e lei, in realtà, aveva una tremenda paura… paura di ciò che sarebbe successo, se l’avrebbero strappata via per l’ennesima volta dai suoi fratelli, proprio ora che si stava riavvicinando a Veneziano. No, forse non doveva avere paura. E per quale semplicissimo fatto? Perché finalmente lei ed i suoi fratelli si stavano per rincontrare di nuovo tutti e tre assieme. Avrebbe voluto tanto ritornare in quel campo di margherite in cui da piccoli passavano le giornate a giocare, ai tempi in cui loro nonno era forte, non temevano nessuno ed erano uniti più di quanto lo fossero mai stati negli anni successivi. 
Le cose erano cambiate. Maledettamente cambiate.
Oramai nessuno li rispettava più come un tempo, oramai l’unica cosa che subivano erano le guerre, in cui loro erano le povere vittime, deboli perché separate. Se solo fossero stati tutti e tre assieme, forse avrebbero cacciato quel barlume di forza che risiedeva nell’abisso dei loro cuori. Forse sarebbero tornati la gloriosa nazione che erano un tempo, quando tutti li invidiavano, quando tutti li temevano, quando tutti li desideravano, ma non si azzardavano a tentare una follia come la ribellione. 
Quei tempi sono finiti, ed anche da un pezzo. Quell’infanzia sembrava tanto lontana da ora, che poi ora è ancora una bambina, manco può considerarsi un’un adolescente, Giulietta. Non può considerarsi una bambina, perché sta crescendo. Non può considerarsi un’un adolescente, perché è ancora troppo immatura. Non può considerarsi forte, perché in fondo lei è più fragile di un fiore. Solo che come fiore non può considerarsi manco una margherita, semplicemente perché non si sente pura e candida come quella, quello splendido fiore che pare un angelo in miniatura, morbido e delicato come una di quelle creature alate che volta alta nel cielo, annunciatori delle parole del Dio Creatore, Nostro Signore. 
Sperava, inoltre, di non dover ritornare da suo zio, quell’uomo che viveva nel Vaticano, che sembrava così caritatevole e gentile, ma che alla fine il fine di tutte le sue azioni andava sempre ad aumentare i suoi di interessi. Alla fine, a lui non importava nulla degli altri, pensava solo a se stesso e se in passato aveva fatto i comodi di Adriana era solo per abbindolarla e tenersela buona unicamente per sfruttare il potere che un tempo esercitava, quando faceva parte della casta dei potenti. 
Sospirò, decidendo che questi brutti ricordi non la rallegravano per niente in quella situazione. Chiuse con forza la piccola valigetta ed a passo lento e pacato si incamminò verso gli intersecati corridoi della casa austro-tedesca, che parevano ai suoi occhi un enorme labirinto che la teneva prigioniera. Quel giorno sarebbe venuto ancora il francese a prenderla, molto probabilmente, afferrandole delicatamente quella sua piccola mano, quasi l’uomo dalla chioma bionda avesse pena del triste destino che attendeva l’italiana.
Mentre vagava con quel pesante fardello che doveva portare con se, Giulietta si fermò, attirata dalla porta socchiusa di una delle camere; tornando con qualche passo indietro, per vedere meglio all’interno della stanza - impicciona com’era - la brunetta poté constatare che era vuota; era la stanza del pianoforte, così vi entrò, convinta che fosse stato Veneziano ad aprirla e si fosse nascosto lì dentro per paura che il tutore austriaco si arrabbiasse con lui per aver ficcato il naso dove non doveva. 
Il cigolio fastidioso dell’aprirsi e socchiudersi piano di quella porta, fu susseguito immediatamente dal rumore dei piccoli passi delle ballerine laccate nere, che portava ai piedi l’italiana, quando camminava sul parquet.
« Veneziano, Veneziano! » Lo chiamò, cercando di non alzare esageratamente la voce, se neanche lei voleva una ramanzina da quel ‘vecchio’ e sgorbutico aristocratico. Però, nessuno le rispose. Strano, eppure era convinta che ci dovesse essere per forza qualcuno al suo interno. Era impossibile che Roderich si fosse dimenticato di chiudere la porta, inoltre Elizabeta era nelle cucine, l’aveva vista prima a colazione! Insomma, Giulietta non era matta, o per lo meno non lo era ancora.
Passò vicino all’enorme pianoforte nero, alzandosi il vestitino giallo per sedersi sulla sediolina rossa, anche se per la sua altezza fu abbastanza faticoso, e poi si sistemò il grembiulino bianco. Passò i piccoli polpastrelli sul coperchio dei tasti, sentendo quant’era liscio il legno, poi lo alzò,sfiorando delicatamente qualche tanto che risuonò un’armonia per tutta la stanza. Ad ogni minima nota provocata da quello strumento, lei si guardava attorno, affascinata da come l’acustica fosse perfetta, da poter essere ascoltata in qualsiasi posizione. Mentre rimaneva a bocca aperta di fronte a quello spettacolo, il coperchio le cadde sulle mani, le quali ritirò subito indietro al minimo cenno di pressione si di esse, provocando però un intenso frastuono che rimbombò per la sala. Decise di lasciar perdere, caso mai il suo tutore, a tempo determinato, l’avesse beccata a combinare altri casini, di sicuro non l’avrebbe passata poi così liscia.
Scese da quello sgabello, facendo attenzione affinché il vestito non si impigliasse da qualche parte e, sistemandosi il fazzoletto che portava sul capo, si avviò verso il cavalletto rivolto verso l’enorme vetrata che ridava sul giardino di casa. Il raggi del sole penetravano da quell’ampia finestra, da cui si poteva direttamente uscire ed affacciarsi sul giardino. Vicino al cavalletto una tavolozza, dell’acqua e delle tempere, mentre sul foglio qualche segno di matita ed un po’ di colore, che presto o tardi sarebbero divenuti un capolavoro. 
Ma oramai l’attenzione di Giulietta era rivolta altrove. Non potendo resistere, aprì desiderosa quella porta-finestra ed una volta spalancata non poté fare a meno che sorridere ampiamente, mentre il viso le si illuminava. Sfiorò delicatamente la margherita nei suoi capelli, sfilandola e rigirandosela fra le piccole dita, guardandola con invidia e possessività, per poi ritornare al meraviglioso paesaggio che, per quanto fosse banale e semplice - un giardino - a lei sembrava qualcosa di meraviglioso. Eppure c’erano prati più belli da lei. Ma forse non era questo il punto, lei aveva trovato un barlume di felicità in tutta quella tristezza. Un raggio di sole che le illuminava la buia strada.

   
 
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