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Autore: Nenredhel    29/03/2011    9 recensioni
Storia ambientata nella sesta stagione sicuramente prima della 6x15 e dopo la 6x11 (quindi ovviamente, Spoiler! per la 6 stagione)
!Attenzione! Death-fic!
Raphael vuole togliere di mezzo Castiel una volta per tutte, e purtroppo per lui ha trovato il suo punto debole, nonchè un'arma molto particolare con cui portare a termine il suo piano.
"Castiel era rannicchiato in posizione fetale, i vestiti erano disordinati ma non molto più del solito e non si vedeva alcuna traccia di sangue su di lui, se si eccettuava una piccola ferita sulla tempia in corrispondenza del punto dove poggiava sull’asfalto, come se si fosse lasciato cadere invece che sdraiarsi per terra. I suoi occhi erano chiusi, come se stesse dormendo. Ma gli angeli non dormono."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Sesta stagione
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I Can’t Stand Losing You

 

Ancora adesso non riusciva a capire come fosse potuto accadere. Stava uscendo, tranquillo e felice, da quel fast food con i suoi mille pacchetti di hamburger e altri unti e fritti ben di Dio, e ora eccolo qui: rinchiuso chissà dove e legato come un dannatissimo salame. I polsi gli dolevano per la stretta delle pesanti catene, che gli tenevano le braccia sollevate nella grottesca imitazione di una crocifissione e inchiodate al muro; tutto il resto del suo corpo era invece percorso da spasmi incontrollati, residui dell’ultimo gentile regalo del suo carceriere, tanto quanto i capelli umidi di sudore, il labbro superiore spaccato e le gambe che minacciavano continuamente di dare forfait.

Raphael tornò a posizionarsi di fronte a lui, e Dean represse il cocente impulso di sputargli sulle scarpe, solo perché sapeva che, se lo avesse fatto, il dolore che avrebbe dovuto provare di lì ad un secondo sarebbe solo peggiorato. Nonostante questo, fu molto difficile trattenersi.

- Si può sapere cosa diavolo vuoi da me, maledetto figlio di puttana? – si era frenato dallo sputare, ma non riusciva a proprio a tenersi in gola le imprecazioni: ne sarebbe sicuramente soffocato.

- Dovresti ripulire quella tua bocca da primate, quando sei in mia presenza, Dean Winchester – replicò con tono infastidito la profonda voce roca dell’arcangelo – Tu sei meno di zero per me, ma a quanto pare sei molto importante per il mio obiettivo – Raphael sollevò una mano e Dean non ebbe il tempo di corrugare la fronte in un’espressione perplessa per le sue parole, la sofferenza gli agguantò il corpo improvvisamente, facendolo gridare senza speranza, scuotendolo come una scossa da duemila volt e trasmettendogli la sensazione che il suo stesso sangue si fosse tramutato in acido e le sue vene si stessero sciogliendo lentamente sotto la sua pelle.

L’arcangelo avvicinò il viso al suo e fece una smorfia, come se l’odore del corpo debole e mortale che aveva appena torturato lo nauseasse – Io voglio Castiel morto – sussurrò comunque, piuttosto vicino al suo orecchio – E tu sei il suo principale punto debole –

Dean sollevò la testa, avrebbe voluto fare quel movimento di scatto, ma le sue membra stavano ancora cercando di ricomporsi dal dolore e i suoi muscoli non ne volevano sapere di rispondere prontamente agli ordini della sua volontà. Guardò Raphael con espressione inorridita e solo per un millesimo di secondo la sua testa paragonò istintivamente il volto dell’arcangelo con la fredda espressione da maniaco di Hannibal Lecter. Gli faceva venire i brividi pensare che la persona davanti a lui non avrebbe avuto alcun problema a mangiarsi qualcuno, perfino uno dei suoi fratelli, se questo fosse servito ai suoi scopi. Possibile che vivere per millenni e millenni avesse fatto uscire di senno quelle che per la mitologia avrebbero dovuto essere creature del bene? Eppure Castiel era un tipo a posto, come mai tutti i suoi fratelli erano degli spietati bastardi?

- Io non lo chiamerò di certo, quindi farai bene a passare al piano B, tartaruga ninja dei miei stivali, perché Castiel non verrà – replicò mostrando una tracotanza che non sentiva veramente. Le sue costole erano ancora incise con i simboli enochiani, quindi Castiel non poteva trovarlo a meno non lo chiamasse lui, giusto? Avrebbe tanto voluto esserne certo.

- Ti dai troppa importanza, Winchester. Non è affatto necessario che tu lo chiami, quando le tue grida di dolore arriveranno fino in Paradiso, lui saprà – Raphael posò un singolo dito sulla fronte madida di sudore di Dean, e lui sentì tutti i propri muscoli tendersi, mentre si mordeva a sangue il labbro inferiore, pur senza riuscire a trattenere il grido disperato che quasi gli lacerò la gola nella sua lotta per uscire allo scoperto.

- E se anche riuscissi ad ucciderlo… - Dean avrebbe voluto mostrarsi ancora baldanzoso e sicuro di sé, ma ansimava vistosamente e sentiva che le sue spalle si sarebbero presto slogate entrambe, se non fosse riuscito a costringere le proprie gambe a reggerlo di nuovo – Il tuo paparino lo riporterebbe… indietro… come le altre volte – riuscì a biascicare in qualche modo, odiando l’eco di sofferenza che ancora lo faceva tremare da capo a piedi, indugiando nelle sue membra provate come l’elettricità statica che permea ancora l’aria dopo un fulmine.

- Oh no… - ribatté di nuovo l’arcangelo, facendo comparire nella sua grossa e ben curata mano destra un oggetto singolare: poteva sembrare la testa di una lancia, ma appariva molto, molto antica e quella che avrebbe dovuto essere la lama non era né lucida e scintillante come metallo nuovo, né arrugginita dal tempo come ci si sarebbe aspettati, bensì cosparsa da un liquido scuro ma non nero che sembrava ricoprirla quasi completamente, proteggendola da qualsiasi offesa del tempo. – Mi assicurerò che questa volta non possa tornare… –

Raphael poggiò la punta di quella strana arma contro la guancia di Dean, e il cacciatore sentì un brivido di puro terrore percorrergli completamente la spina dorsale. Qualunque cosa fosse, poteva sentire distintamente sulla pelle che non si trattava di qualcosa di buono. Poi, muovendosi con uno scatto repentino che il ragazzo quasi non riuscì a distinguere, l’arcangelo poggiò la mano al centro del suo petto ed iniziò a spingere. Il dolore fu immediato, e mano a mano che le dita del tramite di Raphael si immergevano nella carne viva di Dean, non faceva che aumentare, facendosi sempre più intenso, sempre più profondo, fino a ferire un punto, dentro di lui, talmente intimo e nascosto, che il solo sfiorarlo bastava a farlo sentire brutalmente violato.

E Dean urlò. Con tutto il fiato che aveva ancora nei polmoni, fino a squarciare le proprie stesse corde vocali; con tutta la forza che gli riusciva di racimolare; con tutta l’anima che tremava nel disperato tentativo di ritrarsi da quel tocco atroce che la stava bruciando. Dean urlò, e urlò, e urlò finché non gli parve che non esistesse altro al mondo, che in tutta la sua vita non avesse fatto altro che urlare, e fuggire da quel dolore, e pregare che finisse, e ripetere ossessivamente che ti prego Dio, basta, non posso sopportarlo ancora, darò qualsiasi cosa ma fallo smettere.

 

~~~

 

Quando finalmente Dean riprese i sensi era solo. Le spalle gli facevano un male del diavolo, ma se solo provava a tornare con la mente al poco che ricordava dei secondi prima dell’oblio, quel dolore gli sembrava quasi desiderabile. Provò a puntare i piedi e distendere le gambe per sollevarsi, ma le ginocchia cedettero immediatamente, tremando senza controllo. L’imprecazione che gli salì immediatamente alla gola uscì come un rantolo senza suono, mentre il solo tentativo di usare di nuovo la gola gli fece pensare di avere almeno un centinaio di cocci di vetro conficcati nella trachea. Fece un smorfia, mentre cercava di tranquillizzarsi e di respirare piano, per non risvegliare quella sofferenza che iniziava solo in quel momento ad assopirsi di nuovo. Le sue possibilità di movimento erano seriamente limitate. Se anche qualcuno fosse venuto a salvarlo, avrebbe dovuto portarlo via di peso. Rassegnato, si limitò a muovere il capo sul collo indolenzito ma non dolorante, per guardarsi intorno con circospezione.

Dove era andato a finire Raphael? Che lo avesse lasciato solo quando era svenuto poteva capirlo, anche se con qualche sforzo. Ma come mai ora che si era svegliato non tornava a ricominciare il suo sadico divertimento? Non che la cosa gli dispiacesse più di tanto, ma in quel silenzio solitario c’era qualcosa che non gli quadrava, qualcosa che gli faceva formicolare la pelle in una familiare quanto inquietante sensazione di pericolo imminente. E ancora una volta, come capitava un po’ troppo spesso nella sua vita, aveva la sensazione di essere lui la causa di quel pericolo: come un’esca succulenta posizionata con cura su un gigantesco amo. Ebbene… l’esca aveva funzionato, e quindi era stata lasciata sola? Raphael era riuscito a far arrivare le sue grida fino in Paradiso? Ricordando quello che aveva provato appena prima di svenire, la cosa non gli appariva poi molto improbabile.

Ma l’idea stessa di ciò che questo avrebbe comportato, fece sorgere un moto di puro panico dentro di lui. Cas non sarebbe venuto! Non era così stupido, avrebbe capito alla perfezione che si trattava di una trappola e non sarebbe venuto! Avrebbe escogitato un piano, forse avrebbe mandato qualcun altro o si sarebbe fatto aiutare da Sam, o Bobby, o… quel suo strano amico, Balthazar. Di certo non…

Dean non riuscì a terminare il pensiero perché il sommesso e caratteristico rumore di ali che fendevano l’aria annunciò l’arrivo di qualcuno, ed un secondo dopo il cacciatore stava osservando una schiena dritta ed impettita coperta da abbondante e malandata stoffa beige. Immediatamente, Dean aprì la bocca per urlare, per avvisarlo che era una trappola, stupido idiota, te ne devi andare! Ma sebbene questa volta la voce fosse veramente uscita, quello che si formò non fu altro che un rantolo disperato e una fitta terribile che gli fece lacrimare gli occhi. O forse era per un altro motivo che sentiva gli occhi diventare rapidamente umidi di rabbia cocente ed incredulità: Castiel si era voltato a guardarlo non appena aveva sentito il suo gemito strozzato, e in quel preciso istante, dietro le sue spalle era comparso Raphael. Adesso Dean stava guardando l’espressione di stupita sofferenza sul volto di Cas, mentre alcuni centimetri di quella strana lama scura iniziavano a sporgere nettamente dal centro del suo petto, proprio dove doveva trovarsi il cuore, mandando strane scariche nere attraverso il corpo dell’angelo.

La lama girò lentamente all’interno della ferita e Castiel inarcò la schiena nell’impotente tentativo di sottrarsi all’arma che l’aveva attraversato da parte a parte, prima di aprire la bocca in un urlo muto e crollare in ginocchio, gli occhi sbarrati sul nulla e le mani strette a pugno.

Solo in quel momento la lama si ritirò dalla carne dell’angelo, e Raphael sorrise di sadico compiacimento mentre una porta fuori dalla visuale di Dean si spalancava. Il nome del cacciatore, gridato dalla familiare voce di Sam, raggiunse solo in parte la sua coscienza, come se avesse dovuto attraversare metri e metri di un liquido più denso dell’acqua, lo stesso liquido in cui sono spesso immersi i sogni. Il ragazzo non riusciva a distogliere gli occhi dalla figura piegata in due, spezzata e dolorante di Castiel e da quella gonfia di crudele trionfo di Raphael, dietro di lui.

- Sei stato molto utile, Winchester – commentò l’arcangelo in un sussurro, che raggiunse, però, Dean con molta più forza dell’urlo del fratello, prima di scomparire.

Il momento successivo Sam gli bloccò la visuale parandosi davanti a lui per controllare le sue condizioni e, perdendo il contatto oculare con la scena che lo aveva quasi ipnotizzato, Dean tornò finalmente alla realtà.

- Sto bene, Sam – riuscì a replicare, in un soffio di puro dolore, ai grandi e preoccupati occhi verdi del fratello. Cercando, senza troppo successo, di formulare una frase di senso compiuto aggiunse poi – Castiel… vai da lui, aiuta lui – Sam lo guardò inarcando le sopracciglia, quindi scosse il capo mentre iniziava ad armeggiare con le catene che gli stringevano i polsi.

- Castiel può guarirsi da solo, Dean – replicò col tono di una maestra che spiega qualcosa di tremendamente ovvio ad un bambino sotto shock.

Non appena ebbe una mano libera, Dean la usò per agguantare un braccio di Sam con tutta la forza che gli restava e cercare di spingerlo via – Ho detto vai da lui! – sbottò con una voce che non era la sua e che gli mandò nuove scariche di accecante sofferenza giù per la gola. Non sapeva perché, non ne aveva proprio idea, ma era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava nella ferita che Raphael aveva inflitto a Castiel, qualcosa che la rendeva molto più pericolosa di quanto non sembrasse. La sensazione di pericolo non aveva ancora smesso di fargli formicolare la pelle, e ora quel formicolio gli diceva che il loro amico era in pericolo di vita, e dovevano aiutarlo subito.

- Dean -  la voce di Sam lo richiamò dalle sue deliranti elucubrazioni – Castiel è già andato via –

Il cacciatore adocchiò il punto dove fino a poco prima era stato accartocciato il loro angelico amico e la sua mente ci mise alcuni lunghissimi secondi per registrare che era veramente vuoto, poi crollò tra le braccia di Sam, incapace di reggersi senza l’aiuto delle catene.

 

~~~

 

Grazie al cielo (era proprio il caso di dirlo, stavolta) Dean non si era fatto poi molto male: i metodi di tortura degli angeli erano molto meno brutali, anche se nettamente più dolorosi, di quelli dei demoni. Certo, era passata solo una settimana e le spalle gli mandavano ancora qualche segnale di protesta tutte le volte che cercava di fare movimenti troppo ampi, o troppo veloci; aveva ancora una crosta che gli deformava il labbro superiore; e si era svegliato fin troppo spesso, nel bel mezzo della notte, con il cuore che gli martellava in gola per l’assoluta convinzione di essere ancora legato e alla mercé dell’arcangelo. Quando questo gli accadeva, c’era anche qualcos’altro che gli stringeva dolorosamente lo stomaco e faceva accelerare il suo cuore nel ritmo forsennato del panico: la certezza che Castiel fosse in punto di morte, se non già morto.

Certo, da quando era arrivato a tirarlo fuori dai casini non aveva avuto più notizie di lui, ma di quei tempi era perfettamente normale. Castiel aveva più di una patata bollente da gestire in Paradiso, come aveva ampiamente dimostrato Raphael in persona, e non aveva certo tempo di andare fino laggiù solo per far sapere a lui che stava bene… d’altra parte, anche se ne avesse avuto il tempo, era estremamente probabile che non gli passasse nemmeno per la testa che sarebbe stato carino passare di lì giusto per dire: ehi, sono vivo, non preoccuparti!

Il punto, però, era un altro. Raphael aveva avuto intenzione di uccidere Cas, ed era riuscito a colpirlo con un’arma di cui Dean non riusciva nemmeno ad immaginare la provenienza. Possibile che sfuggirgli fosse stato così facile? Possibile che Raphael avesse preso una cantonata così grossa? A Dean non pareva molto probabile che un arcangelo incazzato lasciasse il campo in quel modo, senza nemmeno combattere, a meno che non avesse già raggiunto il suo scopo.

Ma, in realtà, il punto non era nemmeno questo vero? Non era per questo sensatissimo ragionamento che si svegliava sistematicamente, tutte le notti, con un’opprimente senso di vuoto poco sotto la gola e il respiro affannoso di chi cerchi di fuggire alla realtà. Non era per questo che aveva costantemente i nervi a fior di pelle e nemmeno il nuovo lavoro che avevano trovato riusciva realmente a distrarlo dalla costante voglia di prendere a calci il mondo, o forse di rivoltarlo finché non avesse trovato il modo di sapere se Castiel stava bene o no. Il motivo era un altro, il motivo era che se lo sentiva nelle viscere. Nessun razionale giro di parole di Sam lo avrebbe mai convinto a mettersi il cuore in pace, perché lui se lo sentiva nelle viscere, sentiva, no sapeva che qualcosa non andava, che qualcosa di grave stava per piombargli addosso.

Erano passati ormai quasi dieci giorni dallo strano rapimento di Raphael quando quel qualcosa gli piombò addosso con tutta la sua gravità, colpendolo in pieno. Dean era appena uscito dal motel perché non sopportava più le occhiate apprensive che ormai Sam gli lanciava ogni tre minuti, e si stava dirigendo all’Impala, deciso a comprarsi un po’ di tranquillità liquida in qualche bar, ma fu molto prima di arrivarvi anche solo vicino che vide la figura rannicchiata di fianco alle sue ruote. L’auto era parcheggiata proprio sotto l’unico lampione del parcheggio, non poteva non riconoscere il trench che avvolgeva l’uomo rannicchiato sull’asfalto di fianco alla macchina.

- Cas – mormorò, senza stupore ma con un moto di terrore, prima di rompere in una corsa per raggiungerlo il più in fretta possibile.

Castiel era rannicchiato in posizione fetale, i vestiti erano disordinati ma non molto più del solito e non si vedeva alcuna traccia di sangue su di lui, se si eccettuava una piccola ferita sulla tempia in corrispondenza del punto dove poggiava sull’asfalto, come se si fosse lasciato cadere invece che sdraiarsi per terra. I suoi occhi erano chiusi, come se stesse dormendo. Ma gli angeli non dormono.

- Cas? – lo chiamò titubante Dean, poggiandogli una mano sulla spalla.

Castiel sobbalzò immediatamente, e tremò per alcuni secondi dopo che il cacciatore aveva ritirato la mano, ma non diede segno di voler aprire gli occhi, o di avere in qualche modo coscienza di dove si trovasse. Questo non andava bene, questo non andava per niente bene. Dean restò rannicchiato accanto all’angelo per alcuni lunghi minuti, e provò a chiamarlo solo un’altra volta, prima di decidere che quella non era decisamente la tecnica giusta. Alla fine decise che l’unica cosa che poteva fare era portarlo nella loro stanza e tentare di capire, insieme a Sam, cosa diavolo fosse successo.

Quando Sam andò ad aprirgli, dopo che ebbe bussato due volte con un piede, a Dean passò per la testa di sparare in faccia la fratello un bel “te l’avevo detto”, ma il peso morto e vagamente tremante che teneva tra le braccia gli fece passare istantaneamente la voglia di prendersi qualsiasi rivincita.

 

~~~

 

Avevano provato a svegliarlo in ogni modo, ma Castiel non faceva altro che continuare a giacere sul letto dove lo avevano posizionato, tranquillo come se stesse semplicemente dormendo, almeno finché il suo corpo non veniva scosso da spasmi tanto violenti da sembrare convulsioni. Ogni volta che questo succedeva, Cas sembrava non poter fare a meno di appallottolarsi sotto le coperte, piegato in due dal dolore proprio come l’aveva trovato nel parcheggio, artigliandosi ferocemente la camicia in corrispondenza del cuore, come se tutta la sua sofferenza provenisse da lì. E ogni volta convincerlo a rilassarsi e a tornare a sdraiarsi sulla schiena, anche dopo che le convulsioni erano finite ed il suo respiro era tornato regolare, era un po’ più difficile. Non era solo il dolore, sembrava che qualcosa stesse spaventando a morte Castiel nei suoi sogni, inducendolo a rannicchiarsi come un bambino spaventato da un incubo. E tutto questo era così terribilmente sbagliato che Dean aveva voglia di vomitare.

Lui e Sam lo vegliavano a turno, non sapendo cos’altro fare. Avevano chiamato Bobby per prima cosa quella mattina, chiedendogli di cercare tutte le notizie che riusciva a trovare sullo strano pezzo di lancia che aveva ferito Cas più di una settimana prima, perché malgrado tutte le proteste di Sam, Dean era ancora convinto che il problema risalisse al momento in cui aveva visto quella lama scura uscire dal petto di Cas. Alla fine, il fatto che l’angelo continuasse ad afferrarsi proprio quel punto quando sembrava soffrire, aveva convinto il minore che il fratello poteva avere ragione. Bobby, però, non aveva ancora richiamato e la giornata era trascorsa tra una crisi e l’altra, con i due ragazzi costretti a restare a guardare impotenti mentre il loro amico soffriva. Ora Sam dormiva, e Dean era seduto sul bordo del letto (visto che le seggioline di formica di quel motel sembravano appiattirgli ferocemente il culo dopo cinque minuti che ce lo aveva appoggiato) ad osservare Castiel mentre sembrava fare lo stesso, gli occhi chiusi e l’espressione placida, come non fosse mai accaduto nulla.

In quel preciso momento Castiel ebbe un sussulto, e Dean allungò istintivamente una mano per poggiarla sul suo braccio, aspettandosi di vederlo iniziare a contorcersi e quindi rannicchiarsi come ogni volta, ed avvicinandosi solo un poco, mentre stringeva forte le dita sulla stoffa liscia della sua camicia, nell’illusione che uno qualsiasi dei suoi gesti potesse realmente, in qualche modo, alleviare il dolore. Aveva il tremendo sospetto che in realtà servissero solamente a farlo sentire un po’ meno inutile. Questa volta, però, Castiel non iniziò a tremare, si limitò ad irrigidirsi completamente ed un secondo più tardi i suoi occhi erano spalancati.

La stanza era buia, ma non abbastanza perché Dean non si accorgesse del cambiamento nel viso di Castiel: sembrava ancora più terrorizzato della volta che lo aveva portato in quel bordello. Il cacciatore si sporse su di lui, cercando di entrare nel suo campo visivo, nella speranza di tranquillizzarlo, ma l’angelo stava già iniziando ad agitarsi, confuso. Dean premette di più la mano che ancora gli teneva sul braccio appena prima di chiamarlo sommessamente.

- Cas, calmati – aveva un gran paura che l’angelo iniziasse a dimenarsi veramente, perché a quel punto non era sicuro che sarebbe riuscito ad impedirgli di ridurre l’intero motel in briciole. Per quanto fosse malato, era pur sempre una angelo, dannazione.

Non appena Castiel intravide i preoccupati occhi verdi di Dean, sembrò rilassarsi un po’, ma le sue sopracciglia erano ancora corrugate in quella peculiare espressione che diceva che c’era qualcosa che proprio gli sfuggiva. Era forse la prima volta che quell’espressione non faceva venir voglia di ridere al cacciatore.

- Dean… dove sono? Perché sono qui? – domandò con una voce ancora più bassa e roca di quanto fosse normalmente, tanto che Dean riuscì a malapena a sentire cosa aveva detto.

- Speravo che me lo dicessi tu – rispose Dean, con fin troppa secca ironia, prima di rendersi conto di cosa stava uscendo dalla propria bocca. A volte pensava persino lui che avrebbe dovuto imparare a pensare prima di aprire la sua boccaccia – Sei a Paterson, New Jersey. Io e Sam stavamo seguendo un caso prima che tu comparissi, accartocciato, di fianco alla mia auto – Dean esitò alcuni secondi prima di pronunciare la domanda seguente, la domanda che lui e suo fratello si erano posti ininterrottamente dalla notte precedente – Cas, cosa ti è successo? Te lo ricordi? –

Castiel corrugò ancora di più la fronte e chiuse gli occhi, respirando profondamente come se all’improvviso avesse difficoltà a raggiungere l’aria che gli era necessaria – Ho bisogno di aiuto… - rispose solamente l’angelo, mentre il suo viso iniziava a contorcersi quasi come quando aveva una di quelle terribili crisi.

- Cas -  lo richiamò Dean con urgenza, poggiando una mano sulla sua spalla per convincerlo a guardarlo di nuovo – Sono qui. Ti aiuterò, ma devi dirmi come! – esclamò abbastanza forte che era sicuro avrebbe svegliato anche Sam. Il che non sarebbe stata una cattiva idea, di solito suo fratello ragionava più freddamente di lui in certe situazioni – Devo chiamare qualcuno? Qualche tuo amico piumato? Balthazar? – fu l’unico nome che gli venne in mente: anche se avrebbe preferito mangiare una palata di merda piuttosto che rivedere quell’arrogante figlio di puttana, era l’unico angelo che aveva dimostrato una benché minima propensione ad aiutare Cas, e se fosse servito a farlo stare meglio, lui avrebbe ingoiato merda e l’avrebbe chiamato.

Dean non aveva ancora finito di pronunciare quelle parole, che la mano di Castiel scattò ancora una volta ad afferrarsi la camicia proprio in corrispondenza del cuore, ma stavolta l’angelo non si appallottolò su se stesso, invece riaprì gli occhi e lo sguardo che rivolse al cacciatore era molto più presente, molto più Castiel di quanto non fosse stato fino ad un secondo prima. Lentamente, come se il movimento gli costasse una grande sforzo, l’angelo scosse la testa, mentre gli angoli della sua bocca si sollevavano nella parvenza lontana di un sorriso malinconico.

- Nessuno può aiutarmi – la sua voce appariva debole ed affannata e Dean non poté fare a meno di notare le nocche bianche della mano stretta convulsamente sul suo petto – Credo di essere venuto qui perché preferisco morire qui, con te, che in Paradiso… - il tono delle sue parole sembrava lasciare intendere che volesse continuare a parlare, ma i suoi occhi si richiusero, strizzandosi mentre l’espressione del suo viso si contorceva e il suo corpo si rannicchiava di nuovo, tremando da capo a piedi.

Dean non staccò le mani dalla spalla e dal braccio di Cas, ma anzi le strinse ancora di più, come nel tentativo di richiamarlo alla coscienza, richiamarlo a sé. Evidentemente, però, Castiel era arrivato allo stremo cercando di resistere all’attacco quel tanto che bastava per dirgli quelle poche parole.

- Io non ci credo Cas – sussurrò Dean, parlando più a se stesso che alla forma tremante sotto le coperte – Non ci credo che sei venuto qui per lasciarmi a guardarti morire – concluse con determinazione, e solo in quel momento, sollevando lo sguardo attraverso l’oscurità, si rese conto degli occhi verdi di suo fratello che lo guardavano con espressione preoccupata dall’altro letto presente nella stanza.

 

~~~

 

Bobby chiamò in tarda mattinata, mentre Sam era fuori a procurare qualcosa da mangiare per pranzo e Dean si era sdraiato, cercando inutilmente di recuperare un po’ delle ore di sonno perse quella notte. Sam gliel’aveva praticamente imposto, ma questo non voleva dire che sarebbe riuscito a smettere di pensare ad un modo per aggiustare la situazione di Cas, o a prendere sonno. Dalla voce di Bobby si deduceva che nemmeno lui aveva dormito molto quella notte, presumibilmente per cercare di trovare qualcosa sulla misteriosa “cosa” che aveva ridotto il loro angelo personale in quello stato.

- L’unica cosa che potrebbe corrispondere alla tua descrizione è la Lancia del Destino, la lancia con cui, secondo il Vangelo di Giovanni, un soldato romano ha colpito il Cristo in croce – spiegò la voce impastata di Bobby attraverso il cellulare – Quello che Giovanni non racconta è che probabilmente il colpo della lancia non è solo servito a verificare la morte di Cristo, ma l’ha effettivamente ucciso. La lancia è stata conservata gelosamente a Gerusalemme per molto tempo, ma se ne sono perse le tracce intorno al 600 quando Gerusalemme è stata conquistata dai persiani –

- Aspetta, aspetta… - esclamò Dean, confuso – La Lancia del Destino non doveva essere quella cosa che serviva per portare sulla terra il figlio del diavolo? – domandò mentre non riusciva ad impedirsi un sogghigno quando la sua mente paragonò spontaneamente il viso etereo di Tilda Swinton con quello molto meno avvenente e sicuramente più beffardo del vero Gabriel.

- Ragazzo, tu dovresti guardare meno film e iniziare a leggere un po’ di più – lo rimproverò Bobby con uno sbuffo che fece crepitare la linea.

- Sam legge già abbastanza per entrambi – lo liquidò Dean, tornato improvvisamente serio nel momento stesso in cui aveva sentito l’inconfondibile rumore di Castiel che si agitava tra le lenzuola – Insomma cosa c’entra qui Cas? Ma soprattutto, come facciamo a salvargli il culo? –

- A quanto pare non è un caso che proprio quella lancia e quel soldato uccisero il Cristo in croce, c’è sotto qualcosa di demoniaco, ma ovviamente non sono cose che vengono scritte nei libri, queste. Il punto è che quella lancia, ancora impregnata del sangue di Cristo, è un anatema per gli angeli. Le poche cose che ho trovato sono oscure riguardo a quali siano precisamente gli effetti di una ferita provocata dalla Lancia, ma sembrano essere tutti d’accordo sul fatto che non ci sia rimedio… - Bobby aveva abbassato la voce nell’ultimare quell’ultima frase, come se non volesse realmente dare la notizia al suo ragazzo.

- Non è vero – replicò Dean, con una freddezza che lasciò di stucco il suo interlocutore.

- Come scusa? –

- Non è vero che non c’è rimedio – ribadì il ragazzo, mentre una roca vena di rabbia iniziava a vibrare nella sua voce – Dobbiamo solo cercare meglio! C’è sempre una soluzione, dannazione! – con queste parole, Dean chiuse bruscamente la comunicazione e gettò il cellulare sul letto, come se fosse improvvisamente diventato rovente, quindi si voltò e tirò un calcio alla maledetta seggiolina piazzata di fianco al letto, che la fece volare attraverso la stanza, fino a mandare il suo esiguo schienale di formica e scheggiarsi contro il muro.

Sam rientrò nella stanza in quel momento e riuscì ad evitare per un soffio il pezzo di mobilio volante. Osservò la sedia con le sopracciglia inarcate, quindi portò gli occhi su Dean in un’espressione a metà tra il rimprovero e la compassione.

- Non guardami in quel modo Sammy! – sbottò immediatamente Dean, che non aveva nessuna voglia né di sentirsi ulteriormente in colpa per una stupida sedia, né tanto meno di essere compatito da nessuno. Non era lui quello immobilizzato in un letto a morire, in fondo.

- Che cos’è successo? – domandò Sam mentre poggiava i sacchetti del pranzo sul tavolo e raddrizzava la sedia scheggiata.

- Niente! Proprio niente è successo! Bobby ha trovato vita, morte e miracoli di quella lancia! Sa perfino qual è il maledetto legno con cui era fatta l’asta ma non sa come si fa a riaggiustare un angelo ferito da quella cosa! – Dean continuava ad andare su e giù per la stanza, camminando a grandi passi e fermandosi per non più di un secondo ogni volta che incontrava un muro.

- Dean, calmati. Troveremo una soluzione – cercò di tranquillizzarlo Sam, sedendo e posizionando sul tavolo il suo laptop già acceso.

- Puoi scommetterci che la troveremo! – replicò il fratello con rabbia, puntando l’indice contro di lui come se lo stesse accusando di qualcosa.

Sam era già pronto con le dita posizionate sulla tastiera, ma l’attenzione del maggiore fu nuovamente attirata da Castiel prima che potesse fargli la domanda cruciale: cos’era che stava uccidendo il suo angelo sulla spalla?

- Dean – Castiel era di nuovo cosciente, ma questa volta sembrava fare ancora più fatica nel tenere gli occhi aperti e focalizzati sul cacciatore – Questa volta non c’è una soluzione – il tono rauco della sua voce poteva sembrare quello di un padre che spiega qualcosa di terribilmente difficile e doloroso ad un figlio e Sam guardò suo fratello stingere le mani a pugno fino a farle tremare – Va bene così. Ho vissuto per milioni di anni, ho visto innumerevoli generazioni diventare polvere, ora è il mio momento di scomparire e va bene così – la sua voce era debole, ma la dignità che vi era infusa era palpabile su di lui.

- No! – scosse la testa, ancora una volta, Dean – Ci sarà pur qualcosa che posso fare… - il cacciatore spezzò la frase quando sentì che il peso che sentiva sul petto e nella gola non gli avrebbe permesso di continuare oltre.

- Perché non puoi lasciarmi andare, Dean? – chiese Castiel mentre le sue mani artigliavano le coperte nel chiaro intento di controllare ancora un po’ più a lungo il dolore che montava dentro di lui.

- Non me ne starò qui a guardarti morire, Cas! E’ chiaro? – esclamò e la sua voce sembrava essergli stata strappata a forza dalla gola, tanta sofferenza vi aveva vibrato dentro, quindi si voltò ed uscì come un ciclone dalla stanza, dopo aver recuperato in fretta le chiavi dell’Impala dal tavolo.

Istintivamente, Sam si alzò e seguì la figura del fratello che attraversava il cortile a grandi passi e si infilava nella macchina. Con sua sorpresa, il motore non si accese ancora per alcuni lunghi minuti e questo poteva significare una cosa sola. L’ultima volta che aveva visto Dean ridotto così era stato per la morte di papà: anche quella volta non aveva potuto farci niente, anche quella volta si era sentito in colpa, e anche quella volta, alla fine, quando aveva smesso di fare finta che andasse tutto bene, si era chiuso nella sua auto e aveva pianto. Sam aggrottò le sopracciglia e si voltò per vedere Castiel nuovamente rannicchiato nel letto mentre stringeva i denti e cercava di lottare contro l’inevitabile, ma fu quando i suoi occhi si posarono sul trench abbandonato sul letto, accanto a lui, che il suo cervello decise improvvisamente di riproporgli un’immagine che veniva indubbiamente dal nebuloso anno in cui il suo corpo se n’era andato in giro senza l’anima. Fu fastidioso, ma non doloroso, questa volta, perché ciò che il suo cervello gli mostrava non era il ricordo di uno dei numerosi omicidi che doveva aver commesso in quel periodo, bensì l’immagine della prima volta che avevano rivisto Castiel dopo un anno di assenza.

Sam riportò lo sguardo fuori dalla finestra giusto in tempo per vedere l’Impala lasciare il parcheggio. Forse capiva cosa aveva voluto intendere Castiel quando aveva parlato di “un legame più profondo”. Forse anche suo fratello iniziava a capirlo solo ora.

 

~~~

 

Era tornato da poco. Era rimasto fuori tutto il giorno, seduto in un internet cafè a fissare pagine e pagine di informazioni, inutili e spesso nemmeno corrette, sulla Lancia del Destino. I pochi siti trovati che sembravano un po’ più attendibili ripetevano tutti la stessa cosa: la Lancia del Destino è una delle poche armi che possa distruggere un angelo, non c’è modo di invertire i suoi effetti. Di quali fossero davvero questi “effetti”, nessuno faceva parola. Qualcuno insinuava addirittura che fossero proprio tutte superstizioni e che la Lancia del Destino non esistesse più o non fosse mai esistita. Forse non era neppure stata quella a ferire Cas, ma il punto era che il suo angelo personale stava morendo ugualmente.

Prima di rientrare aveva bevuto, certo, perché quello era l’unico modo che conosceva per affrontare certe situazioni, ma non aveva bevuto abbastanza da stordirsi completamente. Quella fase sarebbe venuta dopo, quando… se! No, non avrebbe lasciato che il suo cervello andasse fin lì.

La stanza era buia quando era rientrato, Sam russava sommessamente occupando completamente, con la sua stazza, uno dei due letti, mentre Castiel sembrava ridotto alla dimensioni di un bambino mentre si contorceva, rannicchiato sotto le coperte. Senza pensare a cosa stava facendo, probabilmente grazie all’alcol che pompava agilmente via dalla sue vene le normali inibizioni, Dean si sdraiò accanto a lui e lo abbracciò stretto, come se volesse fermare i tremiti con la sola forza delle sue braccia. Qualche secondo più tardi, Castiel sembrava davvero essersi tranquillizzato: Dean non osava sperare che fosse davvero merito suo, ma non per questo sciolse quell’abbraccio. Era curioso, ma quella gli sembrava la posizione più confortevole che avesse mai assunto in vita sua, come se il suo corpo fosse stato fatto appositamente per quello.

Il cacciatore fece scivolare la testa sul cuscino finché la sua fronte non fu in contatto con quella di Cas. Era così strano: la sua fronte non era calda, né c’era un filo di sudore sulla sua pelle, nulla sarebbe sembrato fuori posto in lui, non fosse stato per quei tremiti irrefrenabili che continuavano a scuotere violentemente il suo corpo, mostrando quanto potesse essere fragile perfino un angelo. Dean osservò il volto contratto di Castiel attraverso l’oscurità rotta dal ritmico lampeggiare di un insegna al neon fuori dalla finestra, quindi abbassò lo sguardo sul suo corpo seminascosto dalle lenzuola. Senza il suo perenne trench, con la camicia tutta spiegazzata da giorni di agonia e rannicchiato a quel modo, sembrava impossibile che lui fosse la stessa creatura che aveva fatto irruzione in quel capanno, tra una cascata di scintille, più di tre anni prima, lo stesso che lo aveva “afferrato e salvato dalla perdizione”. Sembrava piccolo, molto più piccolo di quanto dovesse mai apparire un angelo del Signore.

Dean portò una mano sul petto di Castiel, proprio nel punto dove lui stringeva convulsamente la camicia ogni volta che aveva uno dei suoi attacchi. Lentamente, infilò le dita fra due bottoni ed oltre la stoffa, fino a sfiorare la pelle intatta e perfetta del suo torace. Non c’era segno della ferita che Raphael vi aveva lasciato con la Lancia, eppure continuava a fare male, a consumarlo da dentro. Dean percepì il cuore di Castiel battere all’impazzata sotto le sue dita, battere come nessun cuore umano avrebbe mai potuto fare senza esplodere, e quando sollevò di nuovo lo sguardo non fu poi tanto stupito di incontrare il blu scuro dei suoi occhi aperti. Dean ritirò di scatto la mano che stava sfiorando la pelle di Cas, ma le dita dell’angelo si strinsero sul suo polso, trattenendolo dov’era.

- Cas – sussurrò Dean prima che l’angelo potesse pronunciare alcuna parola, prima che potesse ricominciare a ordinargli di lasciarlo morire, ma riuscire ad estrarre la sua voce dalla gola non era mai stato così difficile – Dio ti riporterà indietro, vero? Come sempre… - non voleva ammettere di essersi arreso, non voleva ammettere che qualcosa dentro di lui aveva cominciato a sua volta a ripetergli che non sarebbe riuscito a salvarlo, che sarebbe morto e sarebbe stato per colpa sua, ma aveva bisogno ugualmente di una speranza.

Castiel sollevò lentamente la mano che non stava tenendo quella di Dean, per posarla sulla guancia del cacciatore, carezzando leggermente con il pollice la linea decisa della sua mascella mentre la punta delle dita affondava nei corti capelli castani sulla tempia – Non è colpa tua – bisbigliò, leggendo con facilità nei suoi pensieri, come sempre, senza che i suoi occhi interrompessero mai il contatto con quelli verdi così vicini a lui.

Dean sospirò piano, socchiudendo appena le palpebre mentre sentiva il calore della mano dell’angelo sul viso. Una piccola parte di lui, un residuo di razionalità rimasto annidato sul fondo del suo cervello, si ostinava a ripetergli che quella era una situazione tanto anomala che avrebbe dovuto fuggire, o perlomeno essere tanto in imbarazzo da irrigidirsi completamente. La verità era che stava bene e che l’idea che non avrebbe mai veramente potuto scoprire cosa lo faceva stare così bene, sdraiato in un letto ed abbracciato ad una creatura celeste chiusa nel corpo di un uomo, gli procurava un dolore tanto violento da essere fisico, tanto intenso da fargli credere che tutta la sua anima, tutto quello che Castiel aveva recuperato della sua anima all’Inferno, fosse concentrata lì, in quel punto del petto che non smetteva di dolere, e nel tocco leggero della mano di un angelo sulla sua guancia.

- Non è colpa tua, Dean e io sono felice di essere qui – i suoi occhi blu sembravano veramente sereni per la prima volta da giorni, mentre cercavano di nuovo il contatto con il suo sguardo – Non vorrei che fosse nessun altro a farlo… - aggiunse l’angelo, e in quel momento la sua mano si staccò da quella del cacciatore per iniziare a spostarsi verso il basso.

Dean corrugò la fronte, confuso, e abbassò gli occhi per vedere cosa stava cercando di fare quando sentì i propri addominali irrigidirsi d’istinto, non appena le dita di Castiel lo sfiorarono. Iniziò a percorrere lentamente la cintura dei suoi pantaloni finché non incontrò, dietro la sua schiena, il rigido profilo sporgente dell’impugnatura di un arma. Qualche secondo più tardi la mano dell’angelo stava facendo scivolare in quella del cacciatore, ancora poggiata al suo petto, il pugnale di Ruby. Dovette chiudere le dita intorno a quelle di Dean per indurlo ad impugnare come si deve l’arma, perché malgrado sapesse bene che quell’affare non poteva uccidere un angelo, malgrado lo sapesse per certo perché lo aveva visto con i suoi occhi strapparselo di dosso come niente fosse, mentre guardava dritto in quel placido ma determinato blu, sentiva crescere un terrore che era quasi panico, il terrore di ciò che Castiel stava per chiedergli.

- Mio Padre non potrà riportarmi indietro stavolta, Dean – sussurrò Castiel, rispondendo finalmente alla sua domanda mentre teneva ancora stretta la mano intorno a quella del cacciatore – Qualche tempo fa mi hai detto che siamo amici… -

Dean riuscì a malapena a muovere abbastanza la testa per annuire piano. Si sentiva come sotto un incantesimo, ipnotizzato dallo sguardo scuro di Castiel che lo inchiodava lì, gli impediva di sfuggire alla realtà, di rifiutare ancora una volta che tutto ciò stesse succedendo davvero. Aveva detto che erano amici, perché Castiel era chiaramente in difficoltà lassù in Paradiso e lui voleva aiutarlo come l’angelo aveva sempre aiutato lui. Voleva ancora aiutarlo. Lo voleva con tutta l’anima. Ma… ma c’era qualcosa dentro di lui che tremava di timore, che tremava di paura, e solitudine e…qualcos’altro.

- Questa cosa non mi sta uccidendo Dean – ricominciò a parlare Castiel, e perché quelle parole non portarono il minimo sollievo a quella cosa impaurita dentro di lui? - Mi sta trasformando… in un demone – nel momento esatto in cui pronunciò queste parole, gli occhi di Castiel si serrarono di scatto e Dean sentì il corpo dell’angelo irrigidirsi completamente.

Sapeva che questo preludeva sempre ad una crisi, ed una parte di lui ne fu sollevata, sollevata del fatto che Castiel non fosse riuscito a concludere il suo discorso, non ancora perlomeno. Aveva bisogno di tempo, altro tempo per rimediare a questa situazione. Ora che sapeva cosa stava succedendo era sicuro di poter trovare una soluzione. Anzi lo avrebbe fatto immediatamente! Il cacciatore fece il gesto di allontanarsi, per alzarsi e gettarsi sul computer a cercare un rito, una cosa qualsiasi che potesse impedire quella mostruosa trasformazione, ma prima che potesse muovere un muscolo sentì le braccia di Castiel trattenerlo lì dov’era con una forza che non poteva combattere. Per la prima volta Dean sentì un brivido freddo di inquietudine percorrergli la schiena, e le sue dita si strinsero automaticamente sul manico del pugnale, pronte a lottare per la vita come sempre.

Quando gli occhi di Castiel si riaprirono erano completamente neri. Ma fu solo un secondo, tanto rapido che Dean pensò subito che fosse stato solo uno scherzo della sua immaginazione. Non poteva succedere ora, non così presto, non prima che lui potesse trovare una soluzione!

- Dean… non voglio diventare un demone – bisbigliò la voce stanca, terribilmente stanca di Castiel, mentre sembrava cercare le parole tra gli ansimi che il dolore gli imponeva, e nello stesso momento la mano che stringeva quella del cacciatore sopra l’impugnatura dell’arma iniziò a muoversi, costringendola a voltarsi finché la punta della lama non fu poggiata al petto indifeso dell’angelo, proprio all’altezza del cuore – Devi uccidermi Dean –

Continuava a ripetere il suo nome, come se fosse parte di una magico incantesimo che poteva aiutarlo a resistere, a trattenersi ancora un po’, a combattere ancora, per il tempo necessario.

- No! Troveremo una soluzione! – e questa frase era invece il suo personalissimo incantesimo, il mantra ossessivo che non poteva smettere di ripetersi perché non poteva, questa volta non poteva arrendersi.

- Non c’è più tempo – replicò Castiel, e questa volta non era un’impressione, questa volta non era la sua immaginazione, i suoi occhi si stavano lentamente colorando di nero.

- Non puoi chiedermi questo, Cas. Non posso farlo – replicò immediatamente, stringendo convulsamente il pugnale tra le dita, eppure incapace di allontanarsi, di allontanare quell’arma ora potenzialmente mortale dal petto dell’angelo – Non posso perderti, Cas – Dean maledì la sua voce spezzata e il bruciore che iniziava ad accumularsi sul fondo degli occhi, e maledì il desiderio insopprimibile di dare retta a quella vocina che gli sussurrava all’orecchio che se lo avesse lasciato andare, se lo avesse lasciato trasformarsi in un mostro, almeno sarebbe stato ancora vivo, ci sarebbe stata la speranza di poterlo riportare indietro, di poterlo riportare da lui.

- Perché? Ti prego, non lasciare che io diventi un mostro! Perché non puoi fare questo per me? – la voce di Castiel si stava facendo più profonda, mentre tra le implorazioni pregne di orrore per un futuro tanto indegno di un essere puro come una angelo del cielo, si annidava già la rabbia di un anima perduta.

- Perché ti amo, dannazione! – gridò Dean, senza più preoccuparsi neppure che suo fratello potesse svegliarsi, sentire, vedere perché niente aveva più veramente importanza, certamente non la sua stupida reputazione. Strinse disperatamente su di lui il braccio con cui gli aveva circondato la vita, quello che appariva già come un secolo prima, per cercare di lenire il dolore, aggrappandosi alla sua camicia come se così potesse in qualche modo impedirgli di scivolargli tra le dita.

- Allora uccidimi, Dean – replicò Castiel, e il ragazzo sapeva che stava sorridendo anche se aveva gli occhi chiusi. Poteva sentire quel sorriso contro le palpebre così come sentiva il nero dell’Inferno scivolare nel corpo disteso accanto a lui, così come sentì le sue labbra morbide posarsi alle proprie mentre si stringeva forte contro di lui, e la lama aprirsi impietosamente la strada fino al cuore di Castiel, facendogli sbocciare un rosso fiore mortale al centro del petto.

Ed era come se quella lama fosse penetrata nello stesso momento anche in lui, privandolo di quel poco di felicità che aveva gelosamente conservato per sé nel corso degli anni, quel poco di affetto che non aveva riversato su Sam, o su Bobby, o perfino su Lisa e Ben, quello spicchio, quel centimetro segreto che aveva tenuto come una reliquia nell’attesa fiduciosa del giorno in cui avrebbe trovato a chi apparteneva veramente. Ma ora l’aveva perduto, gli era stato strappato dal cuore ed era come se gli avessero strappato il cuore stesso. Era solo un angolino, solo un centimetro, tanto piccolo e nascosto da apparire ridicolo ma quando, con il tocco leggero di quelle labbra sulle proprie, aveva capito che il giorno era arrivato, era stato felice, era stato completo, almeno per un istante. E ora che lo aveva pugnalato a morte, le grida della sofferenza, che scorreva come fiele nelle sue vene, rimbombavano di morte nel vuoto assordante che gli era rimasto al posto dell’anima.

Sentì la mano di Sam posarsi sulla sua spalla ma non si mosse, non si voltò a guardarlo, a spiegare, a gridare. Avrebbe passato il resto della vita a gridare, ora voleva suggere avidamente da quel corpo già condannato l’ultimo calore di un abbraccio di amore e di morte, voleva imprimersi nella mente e nelle membra la forma di quella vita che non aveva saputo di amare, per conservarla lì, dove quel centimetro aveva atteso con tanta fiducia il suo padrone fino alla fine. Sciolse la presa convulsa attorno al pugnale e strinse entrambe le mani, a pugno, sulla schiena di Castiel, tenendolo più forte, gridando silenziosamente il suo nome con tutto il corpo mentre aspettava con orrore il momento in cui lui sarebbe scomparso per sempre tra le sue dita.

Dean non smise di baciare le sue labbra quando sentì la prima lacrima scavare crudelmente la propria strada nella sua solitudine fino ad insinuarsi come un’orribile intrusa in quel bacio divenuto già freddo come la morte. Dean continuò a stringere a sé il suo corpo, possessivo e disperatamente incapace di lasciarlo andare, quando percepì le terribile scariche, che mille volte avevano reclamato l’anima di un demone, venire a portarsi via l’anima di un angelo, a strappargli via il suo angelo.

 

 

 

Perdonatemi… lo so questa storia non ha né capo né coda e non si capisce proprio perché io l’abbia scritta. Se posso addurre una giustificazione, l’unica che mi viene in mente è le pagine di word sono un po’ come uno psicanalista per me e quindi… beh, momento depresso = fiction depressa. Nonostante tutto, spero che questa storiella vi sia piaciuta almeno un po’, e se vorrete lasciarmi un commento per farmi sapere cosa ne pensate ( qualsiasi cosa ne pensiate! ) io farò davvero i salti di gioia!
Grazie a chiunque abbia perso alcuni minuti della propria vita a leggere questa e un grazie doppio a chi ne perderà altri a commentare!
Baci dall’Autrice!

   
 
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