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Autore: Angel_R    29/03/2011    1 recensioni
Marta ha il cuore spezzato, e solo la romantica città di Parigi, un locale accogliente, un cameriere esuberante, un’anziana signora e una storia raccontata con tanto amore e passione, possono aiutarla a raccogliere i pezzi della sua vita e a guardare al futuro.
Quella che viene raccontata, è una storia che sopravvive nel tempo, nonostante le difficoltà, la lontananza e catastrofiche conseguenze di un periodo nero, di violenza e sofferenza.
Storia partecipante e prima classificata al contest Love Destiny - Quando l'amore può vincere anche un destino avverso indetto da Lady Kid 1412 con un punteggio di 96/100.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chocolat





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Il pomeriggio stava morendo velocemente dipingendosi di colori scuri, mentre ai lati delle strade affollate di Parigi, i lampioni proiettavano strane ombre sull’asfalto.
Lungo le interminabili vie della capitale francese, se si guardava attentamente, si poteva notare una ragazza che camminava senza una meta precisa, vagando per la città sconosciuta.
Marta, mani affondate nelle tasche della giacca e viso coperto quasi interamente da un berretto di lana e una soffice sciarpa, alzò lo sguardo, e notò che le mille lucine che percorrevano interamente la Tour Eiffel erano già state accese, rendendo la struttura ancora più maestosa e magica.
Veloce, s’impose di non guardare in quella direzione, e riprese il proprio cammino.
Parigi: la città dell’amore, dove gli innamorati si recano per trascorrere romantiche vacanze… per lei, invece, quella era solo l’ennesima ferita che si procurava da sola.
Vado a Parigi per dimenticare” aveva detto alla mamma poco prima di uscire di casa e partire. “Ho sempre desiderato visitarla… e lui mi aveva promesso di portarmi.”
Sapeva bene che lo sguardo della madre –un misto tra rimprovero e comprensione, significava: “
Figlia mia, così ti fai del male, ma è una cosa che devi capire da sola.
E lei l’aveva capito! Sapeva benissimo che cercare di dimenticare un ragazzo del quale sei profondamente innamorata e che ti ha tradito alla prima occasione possibile, oltre più andando a visitare la città più romantica per eccellenza, fosse un grave errore; ma non aveva assolutamente intenzione di tornare indietro e ammetterlo. Né alla madre, né a se stessa.
La ragazza sbuffò sonoramente. All’improvviso si accorse del luogo in cui le sue gambe l’avevano inconsciamente guidata: il cafè Chocolat.
L’aveva scoperto per caso il giorno dopo il suo arrivo, mentre faceva una passeggiata, e vi era entrata cercando riparo dal freddo pungente che colpiva la città.
Era un locale molto carino, elegante e sempre pulito e, in più, il cameriere che ci lavorava non era niente male…
“Una cioccolata calda, per favore” chiese al ragazzo dietro al bancone.
Non avevano mai parlato loro due, tranne che per qualche “Buonasera” o “Bentornata”, ma quel giovane sembrava non staccarle gli occhi di dosso. Qualche minuto più tardi le fu servita una tazza fumante accompagnata da qualche biscotto.
“Non sei di qua, vero?” Il ragazzo cui aveva ordinato le sorrideva. “E’ da un po’ che ti osservo, parli un ottimo francese, ma sei straniera.”
Presa in contropiede dall’intraprendenza del ragazzo, le parole che uscirono dalla bocca di Marta suonarono incerte: “Infatti, vengo dall’Italia, sono solo in visita.”
“Italia? Non ci sono mai stato. Comunque, buona permanenza a Parigi.”
Un ultimo sorriso e si affrettò a servire altri clienti.
Strano tipo’ pensò la ragazza mentre seguiva con lo sguardo ogni suo movimento. Sentiva una sensazione strana, proprio alla bocca dello stomaco, come se fosse in ansia per qualcosa.
Scosse la testa e poi afferrò un quotidiano abbandonato sopra il bancone e lo aprì di fronte a sé.
“Lettura interessante?”
Il cameriere la osservava con sguardo divertito mentre finiva di asciugare alcuni bicchieri.
La ragazza alzò lo sguardo e si accorse che il locale era quasi vuoto, fatta eccezione per loro due e una coppietta seduta attorno ad un tavolino appartato. Il tempo era trascorso velocemente, e la luce del giorno si era quasi completamente spenta.
“Abbastanza” Marta ricambiò il sorriso. “A quanto pare nevicherà nei prossimi giorni.”
“Qui? In una città così calda e assolata come Parigi durante questo periodo dell’anno? Incredibile!”
Il suo tono scherzoso riuscì ad alleggerire un po’ la tensione che Marta aveva provato in precedenza, e si rilassò.
“Spero di non essermene già andata quando accadrà. Vorrei tanto vedere com’è questa città coperta dalla neve.”
“Spettacolare. Soprattutto se sali in alto, sulla Tour Eiffel. Da lì puoi vedere gran parte delle strade e degli edifici ricoperti di bianco, e se lo fai assieme alla persona che ami, diventa tutto più magico.”
Marta sussultò impercettibilmente e sviò lo sguardo da quello del cameriere.
L’improvvisa tristezza che lui le lesse negli occhi, lo fece sciogliere.
“Io sono Stèphan.”
“Marta.”
“Chi è che ti fa soffrire tanto, Marta?”
La voce calda e rassicurante del ragazzo ebbe un effetto calmante sui suoi nervi, e la tranquillizzò nuovamente. Strano come con sole poche parole riuscisse a farle cambiare l’umore da un momento all’altro.
“Una sconosciuta, a dire il vero.” L’espressione perplessa di Stèphan la fece sorridere. “E’ una storia lunga.”
Abbassò lo sguardo; se pensava a ciò che le era accaduto si sentiva sconfitta e delusa.
Si sorprese quando sentì la mano di Stèphan appoggiarsi sulla sua.
“Non devi parlarne, se non vuoi.”
Si guardarono negli occhi qualche secondo, ma la magia fu spezzata da una voce di donna proveniente dalle spalle del ragazzo.
“Stèphan, sei sempre il solito! Non ti pago per fare il filo alle belle fanciulle.” Una donna anziana stava uscendo dalla cucina avvicinandosi al bancone. Era piuttosto esile, e una nuvola di capelli bianchi le incorniciava il viso rugoso, dal quale, però, si poteva ancora cogliere la bellezza che l’aveva caratterizzato durante la giovinezza.
Sentendosi chiamato in causa, Stèphan si drizzò improvvisamente, sfoderando uno di quei sorrisi per cui era tanto famoso tra le coetanee che gli giravano attorno.
“Aiutare le belle ragazze in difficoltà è sempre stata una mia prerogativa, lo sa Madame Vivienne.”
“E lo è anche guadagnarti i soldi che ti pago.”
“Sissignora” scherzò Stèphan prima di fare l’occhiolino a Marta e tornare a svolgere le sue faccende.
“E lei, signorina, non si lasci abbindolare: è un gran dongiovanni.”
Madame Vivienne sorrise dolcemente; un sorriso che a Marta ricordò moltissimo quello che la nonna le riservava quando era bambina, poco prima di passarle qualche caramella o qualche moneta sottobanco, per farlo di nascosto dalla mamma.
“Non mi dipinga così, altrimenti Marta scapperà via e non la rivedrò più” intervenne Stèphan mentre dava il resto alla coppietta che poco prima era seduta in fondo alla sala. A quanto pareva, quei due avevano deciso di pagare il conto e di avventurarsi per le strade fredde di Parigi.
“La sto solo mettendo in guardia prima che possa pentirsene. Ne ho conosciuti molti di personaggi come te, ragazzo.”
“Già nel Medioevo si abbordavano ragazze carine e sole nei cafè?”
Vivienne riservò uno sguardo di finto rimprovero a Stèphan, il quale ricambiò con un sorriso raggiante.
Quella scenetta fece tornare il buonumore a Marta.
“Ah, la gioventù di oggi. Voi pensate che l’amore sia semplice, che basti avere qualche cosa in comune con qualcuno appartenente all’altro sesso, ma non è così.
L’ amore si costruisce assieme, è un legame profondo che unisce due persone, nel corpo e nell’anima.
E’ un sentimento che rimane nel cuore, incancellabile, anche se non può essere vissuto come si vorrebbe; anche se la distanza, il tempo, e la vita stessa, che spesso può essere una nemica crudele, ti portano ad allontanarti.”
Le parole di Vivienne affascinavano Marta a tal punto che si ritrovò a porre una domanda che mai si sarebbe sognata di fare a una sconosciuta.
“Le è mai successo di dover abbandonare un amore?” Le parole le erano sfuggite di bocca senza che lei se ne accorgesse.
Lo sguardo dell’anziana si rabbuiò per un solo attimo, che però non sfuggì alla sua interlocutrice.
“Oh, mi dispiace, io non…”
“No, non scusarti” le sorrise la donna. “È successo a una persona che conoscevo.”
Dopo una breve pausa, nella quale si poteva leggere titubanza, decise di continuare. “Sai, quando ero giovane ero molto ricca, o meglio, lo erano i miei genitori e, che ci crediate o no, ero molto avvenente. Molti ragazzotti mi chiedevano appuntamenti su appuntamenti, ed io ogni tanto li accettavo più per cortesia che per altro. Sapevo che lo facevano per potersi vantare con gli amici o per entrare nelle grazie dei miei genitori.
Tutti quelli che abitavano nel mio quartiere erano ragazzini ancora ingenui e con l’unica aspirazione di seguire le orme del proprio padre o di ingraziarsi il mio, di padre.
La stessa cosa accadeva a mia sorella, Cécile. Cercavamo entrambe qualcosa di più, qualcuno che ci volesse bene per quelle che eravamo, per Vivienne e Cécile, non per il nostro corpo o per i soldi della nostra famiglia.”
Stèphan e Marta ascoltavano in silenzio la voce quasi ipnotica della donna, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
“Per scrollarci da dosso tutte quelle pressioni e quei nullafacenti dei nostri coetanei, convincemmo i nostri genitori a darci il permesso per andare in vacanza un’estate, ospiti di una zia che abitava in Italia.
La decisione sulla meta, oltre ad essere obbligata, era anche una scusa perfetta da rifilare: conoscevamo almeno le parole basilari della lingua, e, in più, era ed è tutt’ora un Paese ricco di storia e di arte, l’ideale per ampliare i nostri orizzonti culturali.”
Vivienne aveva puntato lo sguardo dritto davanti a sé, in un punto indefinito. Sembrava potesse vedere qualcosa che nessun altro riusciva a percepire.
“Partimmo all’inizio di giugno, e già faceva molto caldo.
Nostra zia era una donna piuttosto anziana e zitella, legata ancora alle vecchie tradizioni e al modo di pensare che, anche a quei tempi, era già antico. Di certo per due ragazze come noi non era granché vivere assieme a lei, ma ogni giorno inventavamo qualsiasi cosa pur di uscire dalla prigione che lei chiamava ‘casa’.
Non fu così difficile, dopotutto; ogni pomeriggio visitavamo musei e chiese, facevamo lunghe passeggiate e tanto shopping.
Tutto per noi era una scoperta, e ci divertivamo davvero molto.
Una mattina decidemmo di andare al mare. Era una giornata splendida, il sole risplendeva alto e luminoso nel cielo limpido.
La spiaggia era piena di persone, ed erano molti i ragazzi che si voltavano nella nostra direzione; ci divertivamo a osservare le loro espressioni, non tanto differenti dai nostri coetanei francesi.
Cécile ed io stavamo chiacchierando sedute sui nostri asciugamani, quando, all’improvviso, un pallone da calcio colpì mia sorella alla testa.
La botta fu molto forte, e credo abbia visto sfocato per parecchi secondi. Mi chinai verso di lei, cercando di aiutarla in qualche modo.
“Tutto bene?” Qualcuno si avvicinò a noi. La voce era maschile, inconfondibilmente italiana. “Mi dispiace molto, signorina. Non intendevo lanciare la palla nella vostra direzione.”
Quando Cécile aprì finalmente gli occhi ed io mi girai verso lo sconosciuto, ci ritrovammo davanti ad un bel giovanotto; capelli corti e scuri, occhi nocciola, un velo di barba sulle guance e pelle abbronzata.
Ciò che più ci colpì di lui, però, fu il suo sorriso: solare e sincero.
“Céc, tutto bene?” chiesi a mia sorella.
“Sì, certo, non è stato niente.”
Il ragazzo cominciò a guardarci sorpreso, prima una poi l’altra.
“Oh, scusate, non avevo capito foste straniere. Io…” si bloccò, continuando a fissarci visibilmente imbarazzato.
Cécile ed io non ci eravamo accorte di aver parlato in francese, e sorridemmo al suo indirizzo.
“Non si scusi, l’abbiamo capita benissimo” si affrettò a dire mia sorella. “E non si preoccupi, sto bene, è stata solo una botta.”
“Oh, bene! Aspettate un secondo” Detto ciò si alzò di scatto, raggiunse un gruppetto di persone, e ne tornò con un fazzoletto inzuppato d’acqua in mano, che premette delicatamente sulla fronte di Cécile.
“Lo tenga con una mano, le sarà d’aiuto.”
“Grazie.”
Lo sconosciuto sorrise nuovamente; un sorriso caldo e spontaneo, impossibile non esserne attratti, lo ammetto.
Non so per quanto tempo nessuno di noi parlò, ricordo solo che quei due non la smettevano di fissarsi l’un l’altra, dimenticandosi completamente della mia presenza.
Fu solo dopo qualche minuto che il ragazzo si ridestò, sentendo le voci degli amici che lo chiamavano.
“Scusate, devo proprio andare.”
Si alzò in piedi, fece un piccolo inchino di saluto, e si allontanò senza riuscire a staccare gli occhi da quelli di mia sorella.
Inutile dire che da quell’istante in poi Cécile non fece altro che pensare a quel giovanotto ‘tanto gentile e educato’, come lo definiva lei, e che i giorni seguenti mi trascinò in spiaggia con la speranza di rivederlo.
Erano altri tempi, ma eravamo pur sempre due giovani donne.
Rivedemmo quel ragazzo solo tre giorni dopo, mentre passeggiava distrattamente sulla riva.
Cécile gli andò incontro, con la scusa di volergli restituire il fazzoletto che le aveva lasciato e che lei aveva accuratamente lavato e stirato.
Dalla mia posizione, li osservai rapita. Era la prima volta che vedevo mia sorella in quello stato: le gote si arrossavano a ogni parola o a ogni sorriso del suo nuovo amico, e la testa si abbassava continuamente, in segno di un forte imbarazzo.
I loro incontri si fecero regolari: ogni giorno si vedevano in spiaggia, e passavano ore a passeggiare e chiacchierare.
Io, dal canto mio, li lasciavo fare: erano così dolci che mi sembrava quasi un reato disturbarli. Cécile si sentiva in colpa a lasciarmi sola, ma io la spingevo a non preoccuparsi per me; in fondo, quando Cupido lancia la sua freccia, nessuno può permettersi di ostacolarlo.
Poco a poco, i due si conobbero sempre meglio, approfondendo il loro rapporto ogni giorno di più. Per quanto quei tempi lo permettessero, s’intende.
“È incredibile quanto mi faccia stare bene la sua compagnia” mi ripeteva Cécile in continuazione. “Nessuno dei nostri conoscenti a casa mi ha mai fatto sentire in questo modo. Lui è così dolce e sensibile, e poi non sa chi sono, e questo è fantastico. Non mi conosce come Cécile, la figlia di un ricco industriale, ma solo come la ragazza che ha incontrato sulla spiaggia, quella con cui chiacchierare di tutto e di niente senza avere altro scopo.
Ci credi che non ha neanche mai provato a prendermi la mano? Non mi ha quasi mai sfiorato; e poi mi ha dato un soprannome! Mi chiama Chocolat. Sai, la prima volta che ci siamo rivisti, quando volevo restituirgli il fazzoletto, mi ha offerto un gelato… un gelato al cioccolato, il mio preferito, e quindi ha deciso che d’ora in poi mi chiamerà così.
Sono davvero felice, Viv! L’unico problema è che una volta finita l’estate, dovremmo dirci addio.”
L’ultima frase era un misto fra tristezza e delusione, e il suo viso si era spento all’improvviso.
“Non è detto” la rassicurai. “Potresti convincere i nostri genitori a farti rimanere qui con la zia, in fondo sono due persone con una mente molto aperta.”
“Non saprei… non credo accetterebbero.”
“Mai dire mai, provare non costa nulla.”
La rincuorai un po’, ma nessuna delle due poteva sapere cosa sarebbe accaduto in seguito.”
Vivienne smise di parlare all’improvviso. Sembrava non voler continuare il suo racconto.
Sia Marta sia Stèphan trattenevano quasi il respiro, desiderosi che la donna continuasse il suo racconto, ma, allo stesso tempo, nessuno dei due osava incitarla o dire qualcosa, quasi avessero il timore di spazzare via quell’atmosfera di confidenza e nostalgia che si era venuta a creare.
“Quella era l’estate del 1939” riprese con un sospiro la donna. “In quel periodo stavano avendo luogo le prime battaglie dopo vari dissidi, fino a che la Germania invase la Polonia, il 1° settembre. Noi saremmo dovute tornare a casa qualche giorno dopo, ma fummo costrette ad anticipare la partenza.
L a Francia, così come la Gran Bretagna, aveva firmato un patto d’alleanza con la Polonia, quindi dovettero contrastare l’avanzata tedesca, e i nostri genitori preferirono averci a casa, dentro i confini del nostro Stato.
Col senno di poi non credo fu un’idea molto saggia, in quanto in seguito le truppe tedesche entrarono in Francia.
Comunque, ritornando alla mia storia, non appena i nostri genitori ci costrinsero a tornare prima del previsto, Cécile si disperò: pensava di aver più tempo da passare assieme al suo nuovo amico, e non era pronta a salutarlo.
La sera prima della nostra partenza, la accompagnai all’appuntamento che il ragazzo le aveva dato per salutarla.
S’incontrarono in spiaggia, la stessa sulla quale si erano conosciuti per la prima volta e che aveva visto la loro storia d’amore nascere a poco a poco.
Era quasi il tramonto, e il sole basso sembrava colorare con la sua luce l’intero mondo dei suoi colori infuocati, di rosso e di giallo, riflettendoli anche sull’acqua del mare, che, per quella sera, aveva deciso di non agitarsi e di regalare solamente qualche timida onda che s’infrangeva sulla sabbia fine e dorata.
Il leggero venticello che si era alzato giocherellava con i lunghi capelli di mia sorella e increspava la superficie dell’acqua, creando un sottofondo romantico. Sembrava quasi che la natura stessa volesse aiutarli a dirsi addio nel migliore dei modi.
Li osservai per un po’ di tempo, seduta dall’altra parte della strada, mentre loro due, mano nella mano, si stagliavano contro l’orizzonte passeggiando sul bagnasciuga.
Finalmente lui si è deciso’, pensai sorridendo.
Decisi di lasciarli soli: quello era il loro momento magico. Dissi addio a quella città e a quella parte della mia vita a modo mio, passeggiando per quelle strade e quelle vie che ormai mi erano diventate familiari, quegli odori che mai avrei dimenticato.
Anche se non avevo vissuto l’esperienza fantastica di Cécile, avrei portato a casa il ricordo di una felicità assoluta, di pace e allegria; vedere mia sorella così felice e spensierata era una gioia quasi paragonabile al dolore che lei stessa avrebbe provato una volta che avrebbe salutato quel ragazzo.
Il mattino seguente, il giorno della nostra partenza, Cécile non parlò, non disse neanche una parola, e così fu per i giorni a venire.
La vedevo spenta, profondamente cambiata, ed io non sapevo proprio come aiutarla.
Qualche tempo dopo sapemmo che anche l’Italia era entrata in guerra, nel giugno del 1940, e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Cécile aveva paura che, come tantissimi altri uomini, anche il suo innamorato fosse stato mandato in guerra, a combattere sul fronte.
La Francia e la Gran Bretagna diedero battaglia anche all’Italia, ed era una pena sapere che, tra gli stati che si stavano distruggendo a vicenda, esistevano due persone che si amavano più di qualunque altra cosa.
Quando la guerra terminò, fu possibile constatare la rovina e le perdite che essa aveva causato.
Erano migliaia, milioni, i feriti e i dispersi, e altrettanti i morti.
Fortunatamente, nessuno della nostra famiglia era rimasto succube della tragedia, e Cécile fece di tutto per ottenere notizie riguardo a quel ragazzo.
Fu solo qualche anno dopo che riuscì a sapere qualcosa.
Ritornò in Italia, facendo ricerche su ricerche, finché non riuscì a contattare le autorità capaci di darle qualche informazione.
Era stato arruolato come soldato dopo l’entrata in guerra del suo Paese, ed era stato mandato a combattere contro il suo volere. Purtroppo durante il periodo bellico è normale, come è normale che chi parte per quella crociata, non torni più a casa… e così era successo anche a lui. Fu ucciso durante una rappresaglia nemica, probabilmente colpito dalla pallottola di una pistola o di un fucile.
Non so descrivervi il dolore straziante che provò Cécile, e che, dovendole stare accanto, provai anch’io.
Nessuna delle due tornò mai in Italia.
Ci costruimmo le nostre vite, le nostre famiglie, ma sono sicura che lei non abbia mai dimenticato quell’amore così importante e speciale. Il suo ricordo è sempre rimasto indelebile nel suo cuore e nei suoi pensieri.”
Il silenzio era assoluto. L’ultima frase uscita dalle labbra di Vivienne rimase in sospeso per alcuni minuti, fino a che lei stessa non decise di parlare.
“Questa è una storia di tanto tempo fa, e, molto probabilmente, non v’interessa neanche. Se non vi spiace, io andrei casa, si è fatto molto tardi. Buonanotte ragazzi.”
La donna si alzò in piedi senza dire altro e senza dare il tempo ai due ragazzi di aprire bocca, e ritornò da dove era arrivata, nella stanza sul retro.
Non immaginava, però, quanto si fosse sbagliata! Nessuno dei due giovani sapeva spiegarsi come si sentiva in quel preciso momento.
Stèphan era confuso, mentre Marta, invece, aveva migliaia di pensieri che le volavano liberi nel cervello come tanti uccellini che cercano di uscire dalla propria gabbia.
Pensava al ragazzo che l’aveva tradita, con una sconosciuta, una serata come tante. E pensava anche a Cécile e al suo innamorato, di cui, ci faceva caso solo in quell’istante, Madame Vivienne non aveva mai detto il nome; al loro amore che non era potuto sbocciare in tutta la sua vita e la sua bellezza, che era stato troncato troppo presto, ma che, nonostante la guerra e la morte, la lontananza e la sofferenza, era comunque sopravvissuto nel cuore della donna.
Pensava che, se al suo ex fidanzato era bastata solo una notte e qualche bicchiere di troppo per dimenticarsi della sua esistenza e andare a letto con un’altra persona, significava che non la amava abbastanza, che non la rispettava tanto da non cedere ai bassi istinti.
E quindi iniziò a chiedersi se davvero il loro fosse un amore vero, se tra loro poteva davvero nascere quel legame magico che unisce due persone e le fa diventare una cosa sola, che ti fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio… e si rispose di no, che non poteva esserci tra loro due.
Un rapporto di quel tipo ha bisogno di fiducia e sincerità, di rispetto per la persona che ti sta accanto e di fedeltà, tutte cose che lui non le aveva dimostrato con ciò che aveva fatto.
Lei sentiva ancora un profondo affetto per quella persona… ma lo amava ancora? No, assolutamente…
"Nel momento in cui ti soffermi a pensare se ami o no una persona, hai già la risposta." Così diceva la frase che Marta aveva letto in uno dei suoi libri preferiti: “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón.
Lo conosceva quasi a memoria, ormai, quel volume, ma mai come in quel momento quelle parole le risuonarono vivide nella testa.
Era già qualche giorno che chiedeva a se stessa se il loro fosse stato un grande amore o meno, se lei si sentiva ancora legata sentimentalmente a quel ragazzo, e, in quel momento, era sicura di aver trovato la risposta alle sue domande.
“Che strano.”
Il filo dei suoi pensieri fu reciso dalla voce pensierosa di Stèphan.
“Cosa?”
“Stavo riflettendo… È ormai qualche anno che lavoro qui e che conosco Madame Vivienne. Ricordo che una volta le è stata recapitata una lettera, una vecchia multa mai pagata. Quella multa era di suo fratello, morto qualche mese prima.” Stèphan si poggiò con i gomiti al bancone, guardando Marta dritto negli occhi. “Vivienne, in quell’occasione, mi disse che quello era l’unico fratello che avesse.”
La ragazza fissò la persona davanti a sé per qualche secondo, con la bocca aperta per la sorpresa.
“Sei sicuro che…”
“Sì” la bloccò Stèphan. “Mi è venuto in mente quando era circa a metà storia, ma non ho voluto interromperla; era così triste… e poi mi sono appassionato al racconto” ammise infine con un leggero imbarazzo.
“Quindi tu credi che si sia inventata tutto di sana pianta?”
“No, cioè, forse… non saprei! Sembrava così sicura e sincera.”
“Già” sussurrò Marta. Poi, all’improvviso, un pensiero la colpì. “E se fosse successo a lei stessa?”
“E perché avrebbe dovuto farla passare per la storia della sorella?”
“Non ne ho idea, magari… Sai che ti dico?” esclamò d’impeto, battendo un pugno sul bancone. “Non m’importa! Insomma, una bella storia è sempre e comunque una bella storia, vera o inventata che sia.”
Stèphan la fissò per qualche istante, poi scoppiò a ridere. Marta s’immobilizzò presa in contropiede.
“Scusa, è che avevi un’espressione così buffa” si giustificò il ragazzo.
Marta non riuscì a non farsi contagiare dalle risate del cameriere, e lo seguì ridendo a sua volta.
“Se la storia è in qualche modo vera… è triste! Pensa a come si possa vivere sapendo che la persona che più ami non c’è più, che non la rivedrai mai.
Beh, certa gente è proprio meglio non rivederla neanche in fotografia, ma il loro era un vero amore, uno di quelli che ti entra dentro e da cui molte persone farebbero meglio a imparare qualcosa!”
Si accorse troppo tardi di avere alzato la voce più del dovuto. La rabbia e la frustrazione a causa della propria situazione sentimentale le erano esplose nel petto.
Stèphan la guardava confuso, ma capiva benissimo che ci fosse qualcosa dietro quelle parole, una storia; e non una storia qualunque, ma la sua, quella di Marta.
La ragazza abbassò lo sguardo, cercando di dissimulare il furore che l’aveva rapita poco prima. “Scusa, è che a volte non capisco il comportamento di alcune persone: prima dicono di amarti, di non volerti lasciare mai più, e poi basta così poco prima che…” Si bloccò quando sentì la mano di Stèphan appoggiarsi sulla sua.
“Non devi parlarne, se non vuoi.”
Marta ricordò che poco prima che Madame Vivienne spuntasse dal retro e raccontasse loro la storia, Stèphan aveva agito esattamente allo stesso modo, stesso gesto e stesse parole che l’avevano rassicurata.
“Io… credo di volerne parlare…” La sua voce era esitante, quasi timorosa, ma aveva davvero voglia e bisogno di confidarsi con qualcuno.
“Bene!” esclamò Stèphan. “Io qui ho finito, mi cambio e sono subito da te.”
Marta si ritrovò, nonostante tutto, a chiedersi se stesse prendendo la decisione più giusta; in fondo, fidarsi tanto di uno sconosciuto, non era la cosa più indicata da fare… sua mamma le aveva sempre insegnato di non dare troppa confidenza agli estranei, soprattutto se sei in una città nella quale nessuno ti conosce… Quei pensieri furono spazzati via non appena Stèphan le si avvicinò con il solito sorriso tranquillo stampato in faccia.
Si era cambiato: il grembiule nero e la maglietta bianca erano stati sostituiti da una camicia azzurra e da una giacca scura.
I suoi occhi verdi sorridevano assieme alla sua bocca, mentre i corti capelli castani gli davano un’aria seria ma, allo stesso tempo, giovanile.
Cara mamma, sconosciuto o no, a questo proprio non posso resistere” si ritrovò a pensare Marta mentre seguiva il ragazzo fuori dal locale.





Le tenebre erano ormai calate, e la luna era quasi del tutto coperta dalle nubi minacciose di pioggia. Parigi era sempre più fredda e la solita folla ostruiva le strade della città.
Se si guardava molto attentamente, si potevano notare un ragazzo e una ragazza, uno accanto all’altra. Lei pronta a raccontare la propria storia, lui pronto ad ascoltarla.
Con un po’ di attenzione in più, si poteva fare ingresso all’interno di un cafè, nella stanza sul retro, e vedere una donna anziana che, sorridente e compiaciuta di essere riuscita nel suo intento, sedeva nel buio del proprio locale, e pensava a quel ragazzo e a quella ragazza, e alla storia che entrambi avrebbero potuto costruire assieme.






Fine









Okay, forse non è il massimo della bellezza, questa fiction, ma l'ho scritta davvero con tutto il cuore, provando a mettermi in gioco nel mio primo contest^^
Non so bene cosa ne sia potuto venire fuori, datemi le vostre opinioni. E' la primissima storia originale che pubblico, quindi sono piuttosto nervosa.
Ringrazio ancora Lady Kid per avere avuto la pazienza di leggere questa storia e per averla valutata =)


E' parecchio tempo che manco da EFP, ma credo che ora che ho ricominciato a scrivere, posterò altro di mio.. quindi, se siete interessati, seguitemi, non mi farò attendere molto.



Angel_R

  
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