Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: pandamito    30/03/2011    0 recensioni
Un'altra ff della vostra Mito. Stavolta si tratta di una questione seria, riguardante la Libia. La ff si svolge in due tempi, quando era colonia italiana ed ai tempi nostri. Spero vi piaccia.
Genere: Drammatico, Fluff, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il taccuino di una margherita.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ecco, un'altra mia fanfiction che tratta un argomento serio.

  • L'OC!Centro Italia, Giulietta 'Adriana' Vargas, è sotto il mio completo copyright.
  • L'OC!Libia è sotto il mio completo copyright, il suo nome è stato scelto personalmente da me, di fatti il suo nomeha un significato ben preciso; spero inoltre che in futuro possa farvi vedere un suo disegno.
  • Si svolge in due tempi, il primo nella guerra italo-turca ed il secondo ai tempi di oggi.

Era da molto tempo che volevo fare una ff del genere e proprio stamattina - ammalata - mi è venuta l'ispirazione. Ho deciso di introdurre il mio OC e non entrambe le Italie solamente perchè volevo ricordare che il territorio libico era sotto il dominio italiano, che cercava una nuova terra, quindi mi serviva una figura che poteva essere una madre adeguata.
Spero che la ff sia di vostro gradimento. ♥

 



L’esercito turco non voleva arrendersi, mentre gli italiani oramai erano stanchi di combattere, ma altrettanto determinati a non cessare il fuoco per arrendersi e lasciare il territorio libico sotto le mani dell’Impero Ottomano.
Una divisa grigio-verde avanzava stremata nel bel mezzo del deserto, la pelle diafana voleva gridare contro quei crudeli raggi del sole che la ‘uccidevano’ col colo calore, come se volessero rompere in tanti frammenti la pelle di una bambola di porcellana. I lunghi capelli castani non erano dei migliori, pieni di sabbia, quella che circondava tutto il terreno attorno alla ragazza. Già, una bella ragazza dalle grandi iridi nere, vestita di una divisa militare troppo larga per lei e con lunghi capelli raccolti in una coda a crocchia sotto il berretto.
L’unico suo appoggio era il fucile carico che usava come bastone per reggersi in piedi. L’acqua era poca e forse lei sarebbe stata attaccata di sorpresa dai turchi.
 
Fra poco sarebbe stata primavera, ma intanto l’inverno non voleva cessare. Un paio di pantaloncini grigi a tuta ed una semplice canotta rossa, riposava allo stato più naturale su quel morbido divano, dove i capelli cascavano morbidamente su di esso.
Il campanello risuonò nella casa, facendo aprire pigramente gli occhi alla giovane.
Un altro squillo.
Ancora un altro.
Prese un bel respiro e si decise finalmente ad alzarsi, infastidita da quell’interruzione, andò verso la porta aggiustandosi molto grezzamente i capelli.
« Un attimo, arrivo! » Gridò resistendo agli occhi che le si facevano sempre più pesanti. Aprì e vide una sagoma decisamente familiare. « Gupta... » lo chiamò flebilmente, mentre rimase di stucco sull’uscio della porta.
 
Non riusciva manco ad ansimare per la stanchezza, i suoi stessi respiri le facevano male, l’aria di cui aveva bisogno per sopravvivere le bloccava la gola, mettendole la necessità di bere un po’ d’acqua, cosa che non poteva fare se voleva attraversare ancora il deserto per tornare all’accampamento e fuggire dagli arabi.
Cadde a terra, stremata, mentre gli occhi volevano chiudersi per non guardare la luce del sole che le illuminava il viso. Faceva fatica a muoversi e tentando di appoggiare una mano per rialzarsi, toccò qualcosa di morbido e leggero: una garza macchiata di rosso. Gli occhi le si aprirono improvvisamente e con essi seguì la scia della benda che continuava ancora. Si alzò in piedi, aiutandosi col fucile e pian piano seguì sempre più quella striscia bianca che pareva il suo filo d’Arianna. Più proseguiva, più esso diventava rosso.
 
« Fra poco arriverà qualcuno. » disse distaccato Gupta, come al solito.
Giulietta si voltò appena verso di lui, mentre era impegnata a cucinare qualcosa per il pranzo di quel giorno. « Chi? » chiese curiosa, ed anche un po’ preoccupata.
L’egiziano poco tempo prima era venuto alla sua porta chiedendole di ospitarlo, dicendole solo che non poteva tornare più a casa per un po’.
Gupta era seduto sul divano, non alzando mai lo sguardo verso di lei. Sospirò silenziosamente. « Un mio amico... penso che tu lo conosca abbastanza bene. » affermò, convinto, solo allora alzò gli occhi in quelli neri dell’altra, la quale rimase abbastanza confusa da quelle parole. Non sapeva cosa aspettarsi.
 
Era solo un bambino. Un bambino circondato da bende rosse su quasi tutto il corpo, erano gli unici ‘indumenti’ che lo ricoprivano. Spoglio e pieno di orribili ferite sulla pelle, delle quali molte continuavano a perdere sangue.
Lo fissò a lungo, con sguardo serio e superiore. Lo prese in braccio delicatamente, non proferendo parola e continuò di nuovo ad avanzare, più determinata di prima a sopravvivere.
Ora non era in gioco soltanto lei.
 
Avanzava nel corridoio, con il piatto in mano, dov’era la caprese appena fatta, soddisfatta che il prezzemolo dell’orto dietro casa era ancora bello verde e rigoglioso. « Gupta, alzati, è pronto a mangi... a... »
Pian piano la figura araba, vicino all’egiziano, voltò il viso verso di lei, per vederla. I suoi occhi erano calmi ed inespressivi, come sempre.
« Muhammed mi ha detto di venir qui. » spiegò rivolgendo la testa verso il fratello affianco.
Lentamente il piatto di porcellana scivolò dalle mani della bruna, restando immobile fra mille cocci che la circondavano a terra, mentre l’olio del piatto bagnava il pavimento. « Tu... » per quanto volesse, non riusciva a proferir parole, dallo stupore che ora la inondava. Quella sorpresa che le dava sia immensa gioia che doloroso timore.
« Spero che non ti dispiaccia... mamma. »

La tenda riparava dal sole ed il panno bagnato che la donna continuava a mettere sulla fronte del ragazzo, lo fece ben presto risvegliare. Si guardò un braccio e notò una cosa che lo lasciò perplesso: bende nuove.
« Buon giorno. » Una voce dolce attirò la sua attenzione. Gli occhi si posarono di lei, immobili, mentre i muscoli diventavano tesi, come per difendersi. « N-No, non devi aver paura. » Sorrise gentilmente per rassicurarlo.
Il libico si rilassò un po’ non appena la ragazza gli sfiorò la guancia, con una mano morbida; il ragazzo provò una sensazione strana, come se il calore di essa si propagasse per tutto il corpo, guarendolo improvvisamente dalle ferite.
« Qual è il tuo nome, piccolo? »
Perché lo stava aiutando?
 
Il cigolio della porta si aprì improvvisamente.
« Dove vai? » chiese preoccupata l’italiana, appena giunta dal corridoio. Gli occhi si sgranarono alla vista di quelle valige che portava in mano ed un brutto timore prese il sopravvento su di lei.
« Me ne vado. » La tranquillità delle parole del libico sembravano quasi innaturali, finte. « Per te sono solo un disturbo, in fin dei conti. » Le dava le spalle, guardando l’orizzonte che poteva scorgere in quella porta aperta, dove l’aria primaverile gli trapassava il corpo facendolo sentire quasi libero.
La donna si avvicinò velocemente verso di lui, decisa ad impedire la sua ‘fuga’. « N-No. Ma che dici, non potrei mai abbandonarti, in fondo sei mio fi- »
« Basta! » alzò il tono di voce, facendo sobbalzare l’altra. Non gridava mai, di solito, rimaneva sempre in silenzio, con quel solito tono di voce pacato e tranquillo. « Ricordati che io non ho più nulla a che fare col tuo cognome. Io non sono più un Vargas. » Avanzò di un passo fuori al giardino, lasciando la ragazza immobile sull’uscio della porta, mentre lui si voltava verso di lei con un volto duro mai avuto prima. « Ricordati che io ora sono Jihad Rayaan Mukhtar.» Aveva pronunciato il suo nome per intero, aveva trafitto con quella voce il povero cuore di Adriana, sottolineando il fatto che loro due non avevano più nulla a che fare. « Ricordati che tu non sei più mia madre. » L’ultima spina di una rosa intersecata in un cuore fragile. Si allontanava sempre più da lei, che avrebbe tanto voluto rincorrerlo ed abbracciarlo, tenerlo gelosamente per se... ma il dolore che aveva nel petto la rendeva incapace di muoversi, di urlare.
Poteva solo piangere.
 
Il turco sfoderò la lucente lama dalla custodia della sua spada, guardando con aria di sfida la pistole puntata contro di se da quella giovane italiana.
« Ah, così dovrò affrontare la piccola Vargas. » Improvvisamente una fragorosa risata si espanse nell’aria. « Chi credi di poter battere, sciocca. » L’uomo avanzò verso di lei senza timore di essere sparato. « Ci tieni così tanto a lui? » Il dolore provocato dalla stretta dei capelli faceva gridare agghiacciatamene il bambino, che appena la ragazza vide si preoccupò, sbarrando gli occhi, pronta a minacciare ed affrontare il nemico.
Fece uno scatto, ma l’altro la bloccò subito. « Non fare mosse false, Giulietta. La sua vita, in fondo, dipende da te. » Con una mano gettò a terra il ragazzo, dolorante, mentre con l’altra sfoderava un’altra spada che lanciò ai piedi dell’italiana. « Benché tu voglia, le donne non potranno mai combattere come gli uomini. » Sadiq si tolse la maschera, guardando maliziosamente il suo avversario dall’aspetto femminile. « Magari, se fai la brava, potrei portarti nel mio harem. » Rise. Una risata che fece disgustare la bruna.
Si tolse il berretto, lasciando andare i suoi capelli in una coda. Guardò il turco con occhi gelidi.
« Muori, lurido verme. » pronunciò prima di raccogliere velocemente la spada per attaccarlo.
Sadiq si tolse il  turbante e fece cadere il suo mantello a terra.
Dopo di che, il rimbombo di lame affilate. La guerra era iniziata.
 
« Perché l’hai fatto? Non dobbiamo essere gli schiavi degli americani. » affermò convinta.
« Proprio tu? » il francese poggiò la testa sul palmo di una mano, stanco. « Tu gli hai aiutati per tutti questi anni... e guarda ora cos’hanno fatto. » La castana tremava a quelle frasi che cercavano di non offenderla, ma che trattenevano una rabbia immensa. Voleva tapparsi le orecchie. Voleva non ascoltare. « Sei contenta di come sta tuo figlio ora? »
Forse... era lei che aveva sbagliato in tutti questi anni.
 
Era sporca si sangue dappertutto. Il corpo dolente giaceva a terra immobile, incapace di muoversi, mentre il sole dava ancora fastidio alle sue iridi nere. La lama di una spada cadeva sul suolo. Il tonfo di un corpo a terra e successivamente il suo. Il calore di piccole mani che la sorreggevano, occhi così pesanti da chiudersi nonostante la voglia di vedere quella sagoma.
« Mamma. » gridò, quasi disperato. « Mamma, ti prego svegliati! »
Sentì qualche goccia umida sul suo viso, che le diede la forza di guardare il suo piccolo angelo.
« Ce l’hai fatta, mamma. E’ tutto finito. »
Il calore di quella forte – ma piccola – stretta che la circondò, la lasciò perplessa, ma con un dolce sorriso che piegò le sue labbra verso il cielo.
« Scusami. » si mortificò verso il bambino che abbracciava con tutte le sue ultime forze. « Io... »
« Ti voglio bene, mamma. » l’anticipò lui, con quel groppo in gola che si crea prima di piangere, con quella voce spezzata dal dolore delle ferite che gli aveva provocato il turco.
Era come il giorno in cui l’italiana lo trovò: sporco, spoglio e ferito. Ma tanto non importava più. Loro erano salvi.
« Ti proteggerò io d’ora in poi, sarò la tua mamma, te lo prometto. » Se ne avesse avuta la forza avrebbe gridato questa frase, invece di sussurrargliela semplicemente nell’orecchio... il suo piccolo angelo che non poteva chiamare. « Il tuo nome ora sarà Jihad Rayaan... Jihad Rayaan Vargas. » annunciò.
« Si. » acconsentì il piccolo libico, desideroso ora di stringersi forte solamente a lei: la sua nuova famiglia.
 
« La prima persona che attaccherò sarai proprio tu... »
Come poteva reggere a tale colpo una povera e giovane madre nel sapere che suo figlio non avrebbe esitato a farle del male?
 
Adriana alzò lo sguardo verso l’orizzonte. I raggi del sole illuminavano una figura che li osservava. Quella si tolse il velo ed il suo mantello, buttandoli a terra verso i due, che guardava inespressivo, ma con un pizzico di gelosia.
« Io... ti ho già visto. » cercò di ricordarsi di lui la fanciulla.
« Non dovresti scordarti di me, Giulietta. » evidenziò bene il nome della ragazza, spostando poi l’attenzione sul bambino tra le braccia di lei. « Gupta Muhammad Hassan... e questi sono i miei indumenti, per te. » Scaltro e veloce si voltò, abbandonando i due.
« Jihad, tu... lo conosci? » domandò, mentre il suo bambino fissava con viso serio e privo di emozioni la sagoma scomparire velocemente oltre la sabbia.
 
« Non voglio. » Lacrime amare scorrevano sul suo volto. « Come posso combattere contro il mio bambino? Come posso affrontare in guerra... mio figlio? » 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: pandamito