Lo vidi e capii chi fosse senza che le mie compagne di squadra me lo indicassero di persona: Kei.
Ero nella squadra italiana ai mondiali di BeyBlade, la più forte del mio continente, e sapevo che mi sarei scontrata con lui molto presto.
- Chiamo le squadre dei Blade Breaker e delle Five Blader.- disse l'arbitro di gara.
Corsi assieme alle mie compagne dall'arbitro di gara e là incontrammo i nostri avversari, dei maschi, i Blade Breaker, tra i quali c'era anche Kei. Strinsi la mano al capitano della squadra, Takao, e dopo andammo alle rispettive panchine. Loro erano in cinque, forse quattro che combattevano, mentre noi eravamo tutte e cinque delle combattenti nate.
- Maria, Takao è tuo.- decisi.- Valentina, hai Max. Giulia, Rei. Ester, se combatte, il Professor Kappa. Io ho un conto in sospeso con Kei.-
- Sei sicura, capitano?-
- Sì, voi vedete di vincere e divertirvi più che potete: non devono sentire il nostro nervosismo, sapete che ciò è di vitale importanza. Vai, Maria, ti hanno chiamato.-
Osservai il combattimento tra Maria e Takao, sedendomi più comoda, cioè con una gamba appoggiata sulla panchina e la schiena appoggiata alla parete che la ricopriva, sentendo uno sguardo puntato su di me. Forse era Kei che mi studiava, probabilmente non ricordandosi dove mi avesse già visto e non sapendo neppure che portavo avanti una vendetta da diversi, molti anni, da prima ancora che ne potessi capire il motivo. Mentre ero persa su tali pensieri, Maria e Giulia avevano perso e Ester e Valentina avevano vinto, ora toccava a me il punto della vittoria, o della sconfitta; tutto dipendeva da qualcos'altro, come diceva il caro Albert Einstein, tutto è relativo. Raggiunsi la mia postazione e lo guardai negli occhi, facendogli capire bene il mio odio represso, ma lui aveva occhi così freddi che era impossibile distinguere di che tipo fossero i suoi pensieri.
- Blader, tre, due, uno, pronti... LANCIO!-
Lanciammo contemporaneamente i nostri BeyBlade, che si attaccarono fino dal primo momento.
- Guardavi così anche mia madre, prima di ucciderla, vero?-
- Cosa stai dicendo?-
- Non dire che non mi riconosci, Kei, o che hai già dimenticato mia madre. ATTACCA, RED DRAGON!-
- Non capisco...-
- Kei, la conosci?- chiese Takao, dalla panchina.
- Sono sicuro di no.- rispose.- Dimmi chi sei.-
- D'accordo, ti rinfrescherò la memoria.- mi tolsi l'elastico, facendo cadere i capelli sulle spalle poiché, proprio per quei capelli, più volte mi avevano detto che ero la fotocopia vivente di mia madre.- Sono la figlia di Sonia, figlia di colei che hai ucciso barbaramente a colpi di BeyBlade, e il mio nome è Michelle. RED DRAGON, FIRE ATTACK!-
- Guarda che big power...- commentò il Professore.- ... impressionante.-
- Sono cresciuta da allora, quando entrambi avevamo solo due anni, e mio padre mi portò nel mio nuovo paese, l'Italia, per sfuggire al destino che mi sarebbe seguito se fossi rimasta lì, ora sono una BeyBlader e posso dire che ho raggiunto il tuo livello. Nemmeno ora ti ricordi quanto male tu mi feci allora, quando mi tolsi ciò che mi era più caro al mondo?-
- Non so niente di cosa parli.-
- RED DRAGON, ATACO DESAPARECIDO!-
Il mio Bey sparì dal campo, comparendo solo un attimo, prima di attaccare il BeyBlade di Kei. Forse furono le lacrime che uscirono a forza dai miei occhi, lottando contro la mia forza di volontà perché non avevo mai pianto la madre scomparsa quand'ero troppo piccola per capire cosa stesse succedendo, o forse qualcos'altro a fargli ricordare il passato.
- Sì, ora ricordo, Michelle, ma lo sai che devo vincere quest'incontro.-
- Anch'io, Kei.- tesi le braccia davanti a me, divaricando un po' le gambe e unendo le mani, incrociando le dita come a formare una pistola, dopo le alzai e le abbassai velocemente, urlando.- RED DRAGON, FINAL ATTACK!-
Entrambi i Bey si attaccarono, ma il mio schizzò via, passandomi accanto e causandomi una piccola ferita che si sarebbe fermata non molto tempo dopo.
- Ho... perso.- mormorai, bloccata al mio posto.
- Michelle.-
Guardai Kei, che mi porse il mio Bey. Lo presi, delicatamente, dalle sue mani e mi allontanai un po' da lui, ma mi voltai e lo abbracciai forte, piangendo. M'accarezzò dolcemente la testa con la mano destra, mentre con la sinistra mi stringeva più forte.
- Non volevo ucciderla, Michelle, mi era stato ordinato con la forza di farlo, ma non volevo. Michelle...-
Mi sollevò il viso, delicatamente, quasi fossi fatta di vetro, e si chinò su di me.
- ... io ti amo, Michelle.- sussurrò un attimo prima di baciarmi e mi strinse con entrambe le braccia.
L'odio con il tempo si affievolisce e ci si affeziona all'oggetto del proprio odio (proverbio arabo)