Destroy me,
little cherry blossom.
Le gambe erano incrociate
sotto la sedia, il gomito sorreggeva tranquillamente la nuca ed un
cervello
affaticato cercava di metabolizzare qualche utile pensiero da gettare
sopra quel
pezzo di carta sperando che il ticchettare dell’orologio
affiancato al muro
segnalasse il prima possibile le quattro del pomeriggio, ponendo fine
ai suoi
recuperi pomeridiani.
Come al solito era l’unico a
frequentare le lezioni serali e, dato che Yamamoto doveva praticare
quasi tutti
i giorni i suoi allenamenti di baseball, si ritrovava ad affrontare
l’ennesima
giornata ispida e scialba nel modo più solitario e triste
possibile.
Il tempo come al solito dava
l’impressione di non trascorrere mai e l’inerzia
stava lentamente prendendo
possesso di ogni singola cellula del corpo di Tsuna, inducendolo pian
piano ad
abbandonarsi a quella dolce frescura primaverile che scivolava
attraverso la
finestra socchiusa, dove le tende color panna svolazzavano al ritmo
della
brezza ed ombreggiavano appena la sua esile figura.
Permise ancora una volta al
suo sguardo di vacillare altrove, cogliendo ogni piccolezza che
riuscisse a
imprigionare la sua attenzione e distogliendo con altrettanta voglia i
suoi
interessi con vivace semplicità.
Immerso come al solito nella
contemplazione dei fiori di ciliegio che distanziavano di qualche metro
dalla
sua aula, non si accorse della pila di pagine che inevitabilmente dal
banco
scivolarono sulle piastrelle immacolate del pavimento della classe,
cospergendo
un manto di carte arrotolate e fogli puliti letteralmente ovunque.
- Come al solito… - sospirò
afflitto, rendendosi conto ed accertando con altrettanta risolutezza
quanto
fosse irritante essere accomodati sopra una sgangherata sedia
scolastica per
tre ore di fila.
Scompostamente si scostò
dalla sua posizione sgranchendosi per qualche istante gli arti
atrofizzati dal
troppo poco movimento, fino ad accorgersi con la coda
dell’occhio della
presenza di un secondo individuo appostato con apparente pacatezza al
bordo
della porta scorrevole con una spalla.
Il corpo di Tsuna si chinò
appena, come se in realtà non si curasse affatto di
ciò che vi fosse sotto i
suoi piedi, perlopiù fu catturato da
un’espressione eloquente che con sguardo
vitreo il ragazzo dinnanzi gli rivolse usualmente, capace di lasciarlo
oltretutto spiazzato ed incapace di controbattere.
- H-Hibari-san… - azzardò,
quasi timoroso di ricevere l’ennesimo avvertimento che,
ordinariamente, puntava
in ballo la sua stessa esistenza.
La punta della scarpa
tacchettava ritmicamente contro lo stipite dell’uscio mentre,
più equilibrato e
silente del solito, con un velo di scetticismo tangibile osservava con
la
stessa attenzione di un falco durante la caccia, modulando varie
occhiate lungo
i fogli sparpagliati vicino ai piedi della cattedra.
Due iridi suggestive si
bloccarono su di lui. – Sawada. – lo riprese.
– Cosa stai facendo? – domandò
con la stessa tonalità di un’accusa, incrociando
successivamente le braccia al
petto.
Tsuna strinse convulsamente
fra le mani quei pezzi di carta straccia, raccogliendoli uno dopo
l’altro con
una veemenza mai utilizzata prima d’ora. Era imbarazzante che
leggesse ciò che
vi fosse scritto nel contenuto, tanto più se a sfogliarlo
fosse stato Hibari.
- Ah… Stavo scrivendo un tema
per le prossime lezioni… - confessò con impaccio,
precipitandosi nel
raccogliere tutto ciò che le sue braccia potessero contenere.
Dalla soglia lo osservò per
qualche minuto, controllando la tensione che ostentava più
del necessario e con
quanta foga rastrellava con le mani i numerosi pezzi di carta, tanto da
renderlo minimamente curioso di sapere cosa vi fosse scritto di
così importante
sopra.
- Mh. – storse appena le
labbra fissando con un intensità tale quel che sorreggeva
fra le braccia il
moro che sembrava volesse incenerirlo con un solo sguardo.
Non che gli importasse
particolarmente.
Il Decimo dei Vongola ripose
accuratamente il suo tema sopra la scrivania dell’insegnate,
notando con
scrupolo le particolari attenzioni che Kyoya gli stesse dedicando.
- E’ una specie di
autobiografia, parla più o meno della mia vita,
ciò che vorremmo divent-
- So’ cos’è un’autobiografia,
Sawada. – lo interruppe bruscamente, smorzandolo con uno
sguardo efficace ma al
contempo non troppo severo.
Tsuna rizzò le spalle,
nonostante vi dovesse essere abituato non riusciva a non sobbalzare
quando il
tono di voce di Hibari si alterasse per qualsiasi volubile ragione che
lui non
ritenesse opportuna.
Ogni volta che si ritrovava
ad avere a che fare con Sawada gli donava l’impressione di
maneggiare fra le
mani un fiore, lo stesso identico fiore di ciliegio che sporgeva con
irruenza
al di fuori delle mura scolastiche, lo stesso fiore che al primo
impatto
avrebbe detestato fino alla morte, odiato, disprezzato per
l’apprensione che
dimostrava verso chiunque. Con il suo colore era in grado di stregarti,
fino a
renderti succube di un destino che mai avresti immaginato, e che,
forse, non
avresti mai voluto.
In fondo era conscio che
avrebbe continuato a distanziarlo, che in realtà sarebbe
rimasto così per
sempre, perché lui voleva che fosse così.
Ma, per quanto si possa
odiare qualcosa, infine, con essa si impara a convivere prima o poi.
Ed è proprio in quel fatidico
momento di debolezza che il fiore, così innocuo e gentile,
ti penetra nel corpo
e ne instaura le radici, rendendo i tuoi sforzi senza alcun
significato, vani,
e, per tutto ciò che tu sia in grado di fare, sai che non
riuscirai mai ed
estirparlo dalla tua anima.
Ma, finchè avesse potuto, lo
avrebbe odiato.
Tsuna cominciò a bilanciare
il peso da una gamba all’altra con nervosismo, chiedendosi
perché mai fosse
calato un silenzio così inopportuno nell’aula.
- Hibari-san… - incalzò,
sicuro di aver fatto ricadere un paio di iridi zaffiro su di lui.
– Hai mai pensato
a cosa vorresti diventare? Cioè… - si
grattò la nuca, cosciente di aver fatto
una domanda fin troppo stupida.
- No. – la voce di Kyoya
atona, quasi annoiata, lo liquidò pressoché
subito.
Il moro fece indugiare appena
lo sguardo sulla figura di Hibari ancora appollaiato nei pressi
dell’uscio. –
Io vorrei essere in grado di proteggere le persone a me care.
– sorrise timidamente.
– Diventare più forte per loro. –
La fronte del corvino si
corrugò, mentre con una cinica espressione stampata sul
volto lo osservava;
diventare più forte? Per lui non vi era una ragione per
diventare più forte.
Lui combatteva e basta,
nessuna riflessione, nessun indugio, perché così
doveva essere.
Lo vide sospirare quasi con visibile
tristezza. – Non è buffo? –
domandò quasi a sé stesso. – Il
racconto di una
vita scritto sopra un foglio di carta, così se in futuro non
ci fossi più
qualcuno prima o poi lo leggerà. –
Eppure, proprio in quel
momento, gli sembrò di aver appena trovato un motivo per
diventare più forte.
Perché qualcosa gli disse che
lui, in realtà, già sapesse cosa lo attendesse
nel futuro.
Parlava come se dovesse
morire.
Perché
Tsuna era come un piccolo fiore di ciliegio, lo disprezzava, ma
nonostante
tutto aveva imparato a conviverci.
Avrebbe
preferito allontanarlo da sé, ma con il passare dei giorni
quelle tenere radici
avevano finito per tramutarsi in rovi spessi e pungenti che avevano
finito per strozzarlo,
perché per quanto constatasse di disdegnarlo, alla fine ne
aveva fatto la sua
ragione di vita.
Quello
stesso fiore di ciliegio che molto tempo fa lo imprigionò,
e, per quanto si
dimostrasse così dolce e tenero nelle apparenze, lo aveva
straziato pian piano
all’interno, lasciandolo agonizzate fino al termine della sua
vita.
Lo
aveva prosciugato.
A
quel punto avrebbe preferito non odiarlo, avrebbe preferito non
incontrarlo,
avrebbe preferito ancora una volta l’eterna indifferenza, la
solitudine,
piuttosto del nulla.
Perché
quell’odio aveva finito per distruggerlo.
Io vorrei essere
in grado di
proteggere le persone a me care. Diventare più forte per
loro.
Quelle
sue parole sciocche lo rispecchiavano alla perfezione, dolcemente aveva
ucciso
lui, coloro che voleva proteggere.
Che
futile ironia della sorte.
- Ti
odio, Sawada Tsunayoshi. – Un coro di parole si
rispecchiarono con irruenza
sopra una bara nera, mentre un fascio di fiori rosa si distingueva
nettamente
dal candore pallido degli altri.
Avrebbe
continuato così, avrebbe ininterrottamente continuato a far
finta di odiarlo
per non sentire più niente.
Avrebbe
continuato a portargli quei fiori per dimostrargli quanto gli avesse
fatto
male, quanto nella sua vita in realtà fosse stato crudele.
Non è
buffo? Il racconto di una
vita scritto sopra un foglio di carta, così se in futuro non
ci fossi più
qualcuno prima o poi lo leggerà.
E
non gli restava altro da fare che allontanarlo nuovamente, escluderlo
dalla sua
vita.
Perché
qualcosa gli disse che
lui, in realtà, già sapesse cosa lo attendesse
nel futuro.
Parlava come se dovesse
morire.
Rimpiangeva
ancora quel tempo in cui gli avrebbe voluto rispondere che no, non
c’era
bisogno che diventasse più forte, perchè lo
avrebbe protetto lui.
Rimpiangeva
ancora quel giorno in cui aveva fatto della sua ragione di vita
un’utopica
follia.
E,
tutt’ora, rammarica quel giorno in cui lo lasciò morire.
Dovevo scrivere un’altra
1827, ne sentivo urgentemente il bisogno.
La parte scritta in corsivo
si tratta appunto di un flashback che ricorda Hibari, mentre
l’ultima parte
riguarda le sue riflessioni. (TYL)
Dopo questo spero che vi sia
piaciuta, non so perché ma alle Hibari x Tsuna tengo
particolarmente, quindi
apprezzerei davvero molto un commento : )
Un grazie anche a chi legge
soltanto : )
Golden Brown.