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Autore: Mizar19    02/04/2011    9 recensioni
Spin-off di Fior di Pesco
Una raccolta di squarci di vita quotidiana di Veronica ed Elena, piccoli spezzoni della loro vita assieme.
8. L'angelo guerriero: «Mi raccomando, la parola chiave è furtività», bisbigliò Erica. Aveva atteso di distanziare le due di almeno una ventina di metri prima di iniziare a pedinarle. «No, fammi capire: tu stai davvero seguendo tua figlia? Ed io lo sto facendo assieme a te?» domandò Paola perplessa e piuttosto scettica circa l’invasione della privacy altrui. «Esatto! Andiamo, Pale, abbiamo fatto di peggio ai bei tempi!» ridacchiò Erica. «Se però scopro che stanno assieme le faccio un mazzo tanto: come ha osato non dirmi nulla?! Non l’ho educata io così...»
Il rating e gli avvertimenti possono variare, ma segnalerò di volta in volta.
Genere: Comico, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La decima Musa'
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Chiedo perdono per la lunga assenza da Invincibile creatura, ma oltre a tutto ciò che è successo in questi mesi, ero molto impegnata a terminare Fior di pesco.Cercherò dunque di farmi perdonare con questo settimo capitolo che vede in particolare coinvolta una delle due eroine in un'avventura decisamente poco piacevole!
Buona lettura!

Genere: comico, romantico
Avvertimenti: femslash (che novità!)
Rating: giallo
*
CAPITOLO VII



BONJOUR, PARIS!

 
 
- Sei sicura di potercela fare senza di me? - sorrise Veronica usando un tono consapevolmente malizioso.
- No - piagnucolò Elena, nascondendo il volto contro il seno della compagna e gemendo, stringendosi a lei. Veronica esplose in una risata cristallina. Non capitava tutti i giorni di poter vedere quella dispotica e composta ragazzaccia lamentarsi e pigolare in quel modo indecente.
- Sarà solo per cinque giorni - tentò di tranquillizzarla Veronica, carezzandole i capelli con gesti affettuosi.
- Non è quello che mi preoccupa, lo sai - mormorò Elena, gli occhi serrati con così tanta forza che le facevano quasi male. Ma non si sarebbe spostata da quella piacevole posizione per nulla al mondo: il seno di Veronica era il suo rifugio preferito, assieme al suo ventre, contro cui amava accoccolarsi quando stava male. Momenti dolci e segreti che condivideva solo con lei. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che Elena stesse davvero male: emanava un'aura di sicurezza e stabilità molto intensa e affascinante, troppo per riuscire ad immaginarla rintanata sotto le sottane della compagna.
- Patata, ce la farai - insistette Veronica, grattandole piacevolmente la schiena con le unghie. Elena produsse una via di mezzo fra un miagolio e un gemito disperato.
- Anzitutto, - Elena alzò lo sguardo smeraldino verso quello color cielo della compagna - non chiamarmi patata. Solo io posso chiamarti così, chiaro? In secondo luogo... non ce la farò mai! -, tornò ad affondare il volto in quell'angolo di paradiso privato. Veronica scoppiò nuovamente a ridere, senza smettere di grattarle delicatamente la schiena, la morbida maglietta bianca che si alzava e abbassava lentamente, provocando alla diretta interessata piacevoli brividi.
- Ci sarà Michele a farti compagnia - tentò nuovamente di proporre un'ancora di salvezza.
- Lui non ha un seno morbido come il tuo - piagnucolò ancora, questa volta con tono più impostato e meno spontaneo. Veronica sapeva che stava per fare qualcosa, conosceva quel tono. Chiuse gli occhi e poggiò il capo alla parete alle sue spalle.
Elena posò un bacio sul suo petto, scostando con il mento lo scollo della maglietta colorata, mentre la sua mano destra abbandonava il fianco di Veronica per andarsi a posare sul suo seno.
- Patata, posso? - le domandò ironicamente, lasciandole una scia di umidi baci sul collo.
- No - replicò lei, afferrando saldamente la compagna e costringendola sotto di sé, spiazzandola. Elena la osservò prima sorpresa, poi compiaciuta, sistemandosi meglio il cuscino sotto la nuca.
- Mi piaci quando vuoi stare sopra - mormorò Elena, chiudendo gli occhi con un sospiro causato dall'improvvisa intrusione delle mani di Veronica sotto la sua maglia.
- Perché? - domandò Veronica, sistemandosi fra le sue gambe e coricandosi su di lei, arrivando a lambire con le labbra la morbida cartilagine del lobo, privo di buco per l'orecchino.
- Così almeno non devo sempre faticare io - sogghignò Elena meritandosi un colpo contro il fianco, che la fece sussultare.
- Questa me la paghi... -
Veronica scivolò verso il suo seno, insinuando nuovamente le mani sotto la stoffa per afferrare quella morbida e delicata pelle, mentre con la lingua giocava sorniona nel suo ombelico, divertendosi ad esplorarlo. Elena gemette, un gemito del tutto differente dai precedenti. Allungò una mano fino a sfiorare i capelli dorati della compagna.
- Aspetta - sussurrò Veronica, tirandosi su di scatto e lasciandola con una mano a mezz'aria e un doloroso senso di frustrazione fra le gambe.
- Cosa? -
Veronica non rispose, ma iniziò a frugarsi freneticamente nelle tasche dei pantaloni, finché non ne estrasse entusiasta un elastico nero, con cui si raccolse i lunghi capelli.
- Scusami, patata, mi sistemavo... -
Elena la strinse repentinamente a sé, catturando le sue labbra sottili. Erano calde e morbide, come al solito. Il loro nasi talvolta si scontravano, tal'altra si sfioravano delicatamente, per poi tornare a cozzare, seguendo il ritmo delle lingue all'interno delle loro bocche.
L'intenso bacio le impegnò per alcuni minuti, finché Veronica si divincolò con grazia e una luce maliziosa negli occhi che fece rabbrividire Elena.
Ridiscese verso il ventre della compagna, mordendo e suggendo le porzioni di pelle che più preferiva, per poi indugiare con consapevolezza appena sopra il bottone dei jeans. Elena inarcò la schiena, portandosi una mano al volto, attendendo pazientemente che la vivace lingua di Veronica spingesse oltre la sua curiosità.
La bionda, dal suo canto, si prendeva tutto il tempo necessario: non amava le cose fatte in quattro e quattr'otto, certo che no. Lei era una persona che indugiava, che prolungava il piacere fino al limite della sopportazione, una che desiderava scoprire l'amore un passo alla volta. Anche Elena le era abbastanza simile, nonostante in alcune occasioni (ad esempio nella doccia, che, per chissà quale oscuro motivo, risvegliava i suoi istinti più animaleschi) in cui non riusciva a controllarsi e l'unico suo pensiero era il piacere immediato, suo e della compagna.
Veronica scelse una posizione comoda, poi afferrò una delle gambe di Elena, che gliela posò delicatamente sulla spalla, timorosa di farle male.
- Non sono di porcellana - ridacchiò Veronica, accortasi della premura dell'altra.
- Stai zitta, ti prego - gemette ridendo, coprendosi gli occhi con le mani, ormai in visibilio, la mente completamente annebbiata dal dolore che le provocava il desiderio.
Veronica le carezzò la parte esterna della coscia che teneva su una spalla, posando delicati baci nella parte interna, baci che lentamente si avvicinavano al centro del piacere della compagna, mentre con l'altra mano le carezzava il ventre, tracciando ampie figure circolari.
Quando il suo naso sfiorò la patta dei jeans, le sue dita si chiusero contemporaneamente attorno al bottone, liberandolo della sua sede, per la gioia di Elena.
Abbassò la zip con esasperante lentezza, scoprendo un paio di semplici slip rosso scuro.
- Fa molto chi non tromba a Capodanno, non tromba tutto l'anno - rise Veronica, saggiandone la stoffa con la punta dei polpastrelli. Elena non la stava nemmeno più a sentire, farneticando fra sé insulti misti ad incoraggiamenti, tutti diretti alla sua compagna, ovviamente.
Veronica posò una mano proprio dove sapeva che l'altra ne avvertiva maggiormente la necessità, strofinando le dita lentamente, mentre con le labbra cospargeva di piccoli baci il bordo dello slip, divertendosi ad innervosirla.
Si scostò nuovamente, questa volta però per sfilarle i pantaloni, a causa dei quali l'atto risultava ostico a realizzarsi pienamente e, soprattutto, decentemente.
- Sei troppo vestita - sbuffò Elena, mettendosi a sedere e afferrando Veronica per la maglia. Lei ringhiò qualcosa di incomprensibile in protesta, ma fu bellamente ignorata dall'altra, che la liberò con un solo strattone dalla maglietta e dalla canottiera. Veronica era l'unica persona di sua conoscenza a portare la canottiera fino a maggio.
- Coricati e stai zitta, patatina - ridacchiò, baciandola sulla bocca, sistematasi a quattro zampe sopra di lei, le mani ai lati del capo dell'altra. Elena le circondò il bacino con le gambe, cosa che non faceva spesso, dunque Veronica lo interpretò come un segnale di impazienza e bisogno.
Si sistemò quindi nella posizione che aveva assunto fino a poco prima, solo che, questa volta, al posto della mano, c'erano le sue labbra. Sempre sopra la stoffa, ma era già un passo avanti.
Elena portò una mano all'altezza della compagna, per poi posarla sui suoi capelli, come aveva fatto poco prima.
- Vero... ti prego, toglili... - mugugnò, insofferente a quel sottile strato di stoffa rossa.
- Come desideri - sussurrò Veronica, le labbra a pochi millimetri dal suo intimo, che stava per essere allontanato bruscamente.
Purtroppo per loro, qualcuno bussò alla porta della stanza.
- Elena? Ci sei? -, era suo fratello Paolo, quello di mezzo. Quello arrogante e saccente.
- Che cosa vuoi? - ringhiò lei di rimando, udendo il rumore della maniglia che girava a vuoto e ringraziando mentalmente il momento in cui Veronica, guidata dal suo sesto senso, aveva deciso che sarebbe stato opportuno chiudere a chiave la porta, nonostante casa Cantalupo fosse vuota al momento del suo arrivo.
- La spesa è sul tavolo: quando avrai finito di scoparti quella, potresti anche aiutarmi a metterla a posto. Ora faccio una doccia -
Senza darle il tempo di replicare, si allontanò lungo il corridoio, fischiettando.
- Stronzo. Imbecille! Ora esco e... - ringhiò Elena, furibonda, mettendosi a sedere sul bordo del letto e pronta a rialzarsi. Un caldo abbraccio la trattenne.
- Patata, lascia che le sue parole scivolino via come l'acqua. Hanno un peso? No, sono solo sabbia nel vento - mormorò Veronica, baciandole la schiena e il collo.
- Meno male che ci sei tu, chouchou. Come farei senza la mia patata? - ridacchiò Elena sottovoce, voltandosi per poterla baciare.
- Sai, suona quasi ambigua questa frase... -
- Devi sempre dire la tua cazzata, vero? - la stuzzicò Elena, trascinandola sopra di sè. Veronica emise un suono paragonabile alle fusa dei gatti, sorridendo con dolcezza. Elena desiderava mangiarla di casti baci e, allo stesso tempo, possederla con passione. Quel viso sorridente, quel corpo candido ed esile e quella morbida voce suscitavano sempre in lei quel sentimento ambivalente, di candore e tenerezza da un lato, di prepotente erotismo dall'altro.
- Tuo fratello è nella doccia... - mormorò Veronica, scostandosi dalla fronte alcune ciocche che si erano ribellate all'elastico.
- Ti va di... - mormorò Elena a sua volta, lascando volutamente la frase in sospeso. Nulla meglio dell'aposiopesi era in grado di creare torbide immagini nella mente di due innamorati.

Avevano già sistemato la spesa, senza aspettare che Paolo terminasse di vestirsi. Meno contatti Elena aveva con lui, più era felice. Ora Veronica, seduta per una volta su una sedia, mangiava del budino avanzato preparato dalla madre di Elena il giorno precedente. Alle sue spalle, la compagna le carezzava i capelli e le parlava.
- Prometti che mi telefonerai? - le domandò sottovoce avvicinando le labbra al suo orecchio, mentre lei si limitava ad annuire, la bocca piena di budino.
- Certo! - riuscì a replicare una volta inghiottito il dolce. Rovesciò il capo all'indietro per guardare Elena negli occhi, poggiandolo contro il suo ventre. L'altra sorrise e si chinò per baciarla.
- Un bacio al contrario... - ridacchiò Veronica, prima che le sue parole venissero soffocate dalle labbra di Elena.
- Sì, amore - sussurrò Elena, facendo vibrare le parole nella bocca dell'altra, posandole le mani sulle guance.
Appena udirono i passi nel corridoio si separarono lentamente.

- Oh, hai già fatto – constatò notando che il tavolo era sgombro e le buste di plastica erano sparite.
- Sì, non ho bisogno del controllore per ritirare due cose – replicò freddamente Elena strappando il contenitore vuoto del budino dalle mani della sua ragazza e riponendolo nel lavandino. Lo riempì d’acqua dando loro le spalle: la sola vista del fratello la irritava tremendamente, ogni parola era sibilata con acidità.
- Non ne sono così certo: mamma e papà non ti hanno controllata abbastanza, mi pare evidente – sogghignò lui aprendo il frigorifero ed estraendo una bottiglia già aperta di birra. Veronica osservava rigidamente quello scambio di battute, desiderosa di cambiare aria il prima possibile.
- Mi pare che certe cose piacciano anche a te, Paolo – ringhiò aprendo con rabbia lo sportello sotto al lavandino, dietro al quale si celava il cestino dell’immondizia. Si chinò per buttare via un palla arrotolata di Scottex, sentendo le guance infiammarsi per la rabbia che le bruciava dentro: avrebbe afferrato volentieri una delle pentole riposte ad asciugare accanto al lavandino per romperla sulla testa del fratello.
- Ma io ho un pene, a differenza tua –
- Se l’avessi, non avrei Veronica – replicò lei uscendo dalla cucina trascinandosi dietro per un polso la sua imbarazzata ragazza.
Elena la spinse con poca grazia nella sua stanza, sbattendo con rabbia la porta alle sue spalle per poi chiuderla a chiave. Vi appoggiò la schiena, chiudendo gli occhi e sospirando sconfitta.
- Le’... – mormorò Veronica avvicinandosi con circospezione temendo la reazione della compagna; quella però non rispose ma si lasciò scivolare a terra, sedendosi sul pavimento e prendendosi la testa tra le mani.
- Tesoro – sussurrò dolcemente posando una mano sul suo braccio e sedendosi accanto a lei.
- Abbracciami – disse piano Elena senza aprire gli occhi. La sua compagna la strinse un po’ goffamente con un tenero sorriso dipinto sulle labbra. Le posò un umido bacio sulla guancia.
- Grazie. Grazie che ci sei, grazie – mormorò Elena abbracciandola a sua volta, gli occhi pieni di lacrime represse.
- Ti amo tanto, lo sai, io ci sono sempre – la tranquillizzò Veronica carezzandole i capelli, il capo della compagna posato sul suo seno.
- Mi dispiace per il teatrino di poco fa – si scusò la ragazza sfregandosi gli occhi con il dorso della mano.
- Oh, stai tranquilla. Comunque hai ragione: se tu fossi un uomo non mi avresti, perché io sono follemente innamorata delle tue belle tette – scherzò Veronica sedendosi sulle sue gambe e posandole le mani sul seno. Elena rise incapace di darle una risposta sensata.
- Oh sì, mi piacciono proprio – continuò Veronica palpandola appena e assumendo un’espressione da intenditrice. Elena rise ancora di più per poi afferrarle le braccia e tirarla verso di sé, baciandola.
- Di quali tette parli? Di quella misera seconda? Le tue sono decisamente meglio – rivelò Elena sottovoce restituendo la palpatina alla compagna, facendola squittire.
- Ah, ovviamente mi piace anche tanto farti certe cose... – miagolò Veronica sistemandosi comodamente sul bacino della compagna che sollevò un sopracciglio.
- Mi piace quando lasci intendere le cose sconce –
Subito dopo l’afferrò e coricò sul tappeto, sbottonandole i pantaloni senza tante cerimonie, la bocca che le percorreva vogliosa il collo tiepido: ogni occasione era sempre perfetta, anche se l’aveva fatto appena venti minuti prima.
 
*
 
Erano le quattro del mattino e la città dormiva; qualcuno però si era appena svegliato.
- Sveglia maledetta – bofonchiò Elena interrompendo il fastidioso trillo che l’aveva svegliata provocandole una tachicardia.
- Amore... patata... – sussurrò Elena scuotendo con dolcezza la creatura coricata nel suo letto, nuda sotto il piumone. Tracciò sulla sua spalla una scia di umidi baci, carezzandole la schiena disegnando ampi cerchi sulla sua pelle calda.
- More... sì, là nel vaso... yogurt, Fede – biascicò Veronica prima di aprire gli occhi e rendersi conto di essere sveglia. Sbadigliò sonoramente mentre la sua ragazza le strofinava dolcemente il naso fra i lunghi capelli biondi. 
- Le valigie sono già pronte, dobbiamo solo vestirci – le ricordò quando si mise di scatto a sedere scoprendo il candido seno. Elena restò ad osservarla nella penombra, completamente catturata dalla sua bellezza.
- Fatti dare un bacio – la bloccò, prima che la bionda potesse sgattaiolare fuori dal letto. Veronica automaticamente si voltò per ricevere un bacio sulle labbra, ma Elena si chinò sul petto chiudendo la bocca sul suo seno. Trasalì piacevolmente sorpresa portandole le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi.
- Dai, è ora di andare, io ho un appuntamento e tu dovresti dormire – le ricordò Elena staccando le labbra con un umido schiocco, per poi posargliele sulla bocca. La fece alzare in piede tenendola per mano.
Si vestirono nella penombra, Elena si era già preparata i vestiti la sera precedente, di modo da dover solamente lavarsi i denti e mettersi in macchina. Alle quattro e mezza, il pullman che avrebbe portato lei e la sua classe all’aeroporto, dove avrebbero preso un aereo per Parigi, sarebbe partito alle quattro e mezza, segnando l’inizio della loro ultima gita di classe.
Veronica aveva trascorso la notte a casa di Elena per farle compagnia prima della partenza e si era gentilmente offerta di portarla in macchina fino al piazzale dove si erano dati appuntamento, dopodiché sarebbe tornata a casa per completare le sue ore di sonno notturne.
Elena si stava sciacquando la faccia indossando solo un paio di mutande quando sua madre entrò in bagno.
- Ciao ma’, non vi avevo ancora svegliati perché sto finendo di prepararmi – spiegò alla donna assonnata.
- Mi sono svegliata da sola per il rumore dello sciacquone, tranquilla – rispose sua madre osservandola mentre si asciugava il volto.
- Allora ti porta Veronica? Sicura? – le domandò per l’ennesima volta.
- Sì, mamma, ha la macchina e così poi se ne torna a casa sua perché lei domani ha scuola – ripeté Elena afferrando una spazzola e fingendo di pettinarsi i disordinati capelli castani, per poi arruffarli subito dopo con le mani.
- Mi raccomando ringraziala –
- Certo, l’ho già fatto almeno mille volte – la rassicurò la figlia afferrando il deodorante al tè verde e spruzzandolo sotto le ascelle.
- Oh... scusate – mormorò Veronica che era appena entrata in bagno: non si era accorta della presenza della signora Cantalupo.
- Entra, tranquilla – la esortò Elena facendole segno con la mano di avvicinarsi. Veronica si era già vestita, infilandosi un paio di jeans lunghi e una morbida maglietta verde brillante, sopra di essa un golfino grigio aperto le copriva le braccia.
- Mi devo solo sciacquare la faccia – mormorò avvicinandosi al lavandino, evitando di guardare la sua compagna, che non indossava nulla tranne le mutande.
- Grazie per il passaggio, Veronica. Ele, buona gita, mi raccomando, chiama! – la ammonì la madre dandole un bacio sulla guancia.
- Di nulla – sussurrò Veronica, gli occhi chiusi per l’acqua che si stava spruzzando sul volto.
- Sì, mamma, tranquilla. Ti chiamo quando saremo in aeroporto – al solo pensiero Elena rabbrividì ma si astenne dal farlo notare a qualcuno, era troppo orgogliosa.
- Buon viaggio – le augurò ancora la signora Cantalupo baciandola su una guancia, prima di ritirarsi nella sua camera da letto e chiudere la porta.
- Vestiti – sibilò Veronica ad Elena quando fu sicura che la madre fosse tornata nel proprio letto. Elena le si avvicinò con aria maliziosa, abbracciandola da dietro, le braccia attorno alla vita della compagna.
- Okay, vado subito –
Saltellò in punta di piedi nella sua stanza per poi infilarsi i calzini corti rosso scuro, jeans sbiaditi lunghi e morbidi, cintura, maglietta grigia ed una semplice felpa blu.
- Sei sempre così femminile – la prese in giro Veronica aggrappandosi alle sue spalle e costringendola a chinarsi per avere un suo bacio.
- Se speri di vedermi un giorno indossare un corto e aderente vestitino nero con tacco otto ai piedi, sbagli di grosso. Io porto pantaloni – ridacchiò sciogliendole i capelli e infilandosi al polso il suo elastico nero.
- Ah, certo! –
- Sì, me lo tengo io come portafortuna – piagnucolò Elena proteggendosi il polso destra con la mano sinistra, nascondendolo allo sguardo di Veronica, che si rassegnò a sistemare con le dita le spettinate ciocche bionde.
- Hai un’aria molto selvaggio con tutta questa criniera – la prese in giro Elena afferrando con due dita un ciuffo dei suoi capelli appena ondulati.
- Smettila e prendi la tua valigia, non scordarti la fetta di crostata – le ricordò Veronica con tono molto materno. Elena eseguì gli ordini con un sorriso ebete stampato in faccia che si tramutò in una smorfia di muto orrore quando si rese conto che stava davvero per partire, per prendere un aereo. Lo stomaco le si contrasse costringendola a portarsi una mano al ventre.
- Tutto bene? – domandò immediatamente Veronica affiancandola e appoggiando le labbra alla sua spalla.
- Sì, sono solo nervosa... –
Caricata la valigia in macchina, Veronica mise in moto e in meno di dieci minuti erano al piazzale. C’erano già una ventina di ragazzi, fra i quali Elena riconobbe alcuni suoi amici e compagni di classe. Veronica posteggiò l’auto, poi accompagnò Elena verso il piccolo gruppo.
- Buongiorno! – proruppe allegramente rabbrividendo per il freddo improvviso.
- Salve anche a te! E a te – aggiunse Michele, il migliore amico di Elena, che pareva aver visto Veronica solo dopo un attimo.
- Ehilà – mormorò lei incrociando le braccia e strizzando gli occhi assonnati.
- Come mai sei qui? – le domandò Giuseppe, il ragazzo con il grosso paio di occhiali spesso che lo rendevano simile ad un gufo.
- Ho accompagnato Elena in macchina, appena ve ne andate torno a casa a dormire – spiegò la ragazza mentre la sua compagna le passava un braccio attorno alle spalle in segno di riconoscenza.
- È la mia donna – sospirò Elena baciandole i capelli.
- La mia donna è a casa che dorme – borbottò Michele controllando il display del telefono.
- Almeno Nadia è una persona intelligente, non come me che sono qua a patire il freddo e il sonno – scherzò Veronica poggiando il capo sulla spalla della compagna.
Loredana sbuffò, scostandosi dal volto i ricci scuri, per poi annunciare loro che lei e il suo ragazzo, Luca, si erano lasciati esattamente cinque ore prima.
- Mi dispiace, Lori... – dissero in coro i ragazzi.
- Non farti rovinare l’ultima gita da quello lì, okay? – la intimidì Giuseppe puntandole contro un dito.
- Oh no, tranquilli, ho intenzione di dare tutta me stessa – proclamò la riccia sollevando il pugno sinistro al cielo.
- Sante parole – biascicò Veronica intontita dal sonno.
- Ce la fai a tornare a casa intera? – le domandò preoccupata Elena carezzandole una guancia.
- Sì, dammi altri cinque minuti al freddo e mi sveglio del tutto – ridacchiò la sua compagna.
- In effetti fa più freddo del previsto – borbottò Michele stringendosi nella sua giacchetta.
- Ecco Giancarlo! – esclamò Loredana indicando una figura curva che trascinava una valigia scura.
- Freddo... sonno... freddo... valigia... – borbottò il ragazzo avvicinandosi a loro.
- Ti senti bene? –
- Freddo... sonno... freddo... –
- Come darti torto? – sospirò Elena.
Chiacchierarono allegramente per cinque minuti, durante i quali Veronica si riprese e i suoi acquistarono una nuova lucidità, abbandonando la patina appannata di chi è ancora per metà nell’onirica dimora notturna.
- E’ ora di andare – le fece notare Veronica indicando la massa di ragazzi che si era lanciata contro le porte dei pullman con la stessa foga e lo stesso sguardo micidiale di un’orda di Lanzichenecchi durante il sacco di Roma.
- Non voglio – piagnucolò Elena abbracciandola e affondando il volto nell’incavo del suo collo, il naso premuto contro la pelle tiepida caratterizzata dall’intenso profumo che Elena conosceva molto bene.
- Sei adulta e vaccinata, smettila di frignare – la redarguì la bionda rovesciando il capo all’indietro per poter guardare negli occhi la sua compagna.
- Se la smetto cosa mi dai in cambio? – sussurrò Elena chinandosi fino a poggiare le sue labbra sull’orecchio dell’altra.
- Ne riparliamo quando torni, ora vai che c’è Michele che ti sta facendo dei gesti osceni – la informò Veronica. L’altra si voltò in tempo per cogliere Michele in flagrante dietro al finestrino del pullman. Per farsi perdonare le spiegò a gesti che le aveva tenuto il posto accanto a sé.
- Ci sentiamo, chouchou – mormorò Elena dandole un ultimo bacio prima di salire sul pullman.
- Divertiti! – le augurò mentre si allontanava. Attese che la sua compagna si facesse largo fino al posto riservatole, dal quale si appiccicò al finestrino per mandarle un bacio. Soddisfatta, Veronica tornò alla macchina stropicciandosi gli occhi stanchi.
- Era proprio ora che questa gita arrivasse, tutto lo stress scolastico mi stava abbattendo peggio di un rullo compressore sulla schiena – sospirò Michele sprofondando nel sedile.
- Già... – borbottò Elena osservando la schiena della sua ragazza sparire nel parcheggio.
- Forza, innamorata, ti vogliamo con il morale alle stelle! – esclamò Loredana voltandosi: era seduta di fronte a loro accanto ad Angela.
Nella sezione di Elena c’erano solamente sette ragazze, lei inclusa: Angela e Loredana erano migliori amiche fra loro, due persone affabili e semplici con le quali si trovava bene e talvolta ci usciva anche assieme; le altre quattro erano un po’ il cosiddetto Lato Oscuro della classe, sciocche ragazzotte dal temperamento aggressivo e polemico fra le quali spiccava come una punta di diamante la famigerata Sabrina. Dal canto suo, Elena preferiva starsene con Michele.
Erano diventati amici quel lontano settembre di quattro anni prima, giunti contemporaneamente e per primi nella nuova classe che avrebbe ospitato il loro transitorio viaggio attraverso l’agognata scuola superiore. Si erano scrutati con circospezione come due pistoleri in un vecchio western, poi lei si era fatta avanti piena di diplomazia da quattordicenne e gli aveva sporto la mano presentandosi.
- Conosci qualcuno? – le aveva domandato lui accennando ai banchi vuoti che nel giro di qualche minuto si sarebbero riempiti di volti nuovi .
- No, nessuno, la maggior parte dei miei compagni di classe è al linguistico e quelli che sono venuti allo scientifico frequentano un altro corso – spiegò Elena, infatti si ritrovava sola e spaesata in una classe di sconosciuti.
- Nemmeno io, non abito qui ma a San Rocco e i miei compagni si sono sparpagliati anche in altre città –
- Mi sembra un ottimo motivo per diventare vicini di banco –
Così era iniziata la loro amicizia.
- Voglio tornare a dormire da Veronica – biascicò Elena, la fronte appoggiata al freddo vetro e gli occhi persi nell’oscurità della piazza.
- E io voglio una sana scopata, ma qua non c’è trippa per gatti! –
- Sempre raffinato, un gentleman – lo prese in giro Elena.
- No, sul serio, non so per quale motivo ma Nadia è da un po’ che ogni volta ha una scusa diversa: mal di testa, mestruazioni, mal di pancia, lo stress, non ne ha voglia, mal di schiena... inizio a pensare che mi voglia scaricare – sbuffò Michele osservando il soffitto del veicolo.
- Magari non è nulla, solo una serie di sfortunate coincidenze... –
- Veronica ha mai fatto così? – domandò storcendo il naso.
- Ehm, veramente... no – sospirò Elena, per poi affrettarsi ad aggiungere – Ma senz’altro non è nulla, un po’ di paranoia capita quando si è fidanzati! –
- Sì, ma Nadia ed io stiamo insieme da un anno e mezzo, non dovrebbe capitare –
- Mi dispiace molto ma oltre all’ipotesi che tu vada ad affrontarla di petto chiedendole apertamente cosa succede, non vedo vie di fuga –, Elena distolse lo sguardo dall’amico e lo puntò sul motivo geometrico del sedile che aveva di fronte.
- Hai ragione, non ho molta scelta... dopo la gita andrò da lei e le parlerò a quattr’occhi – sentenziò risoluto.
- Mi sembra la decisione più saggia –
 
Sonnecchiarono punzecchiandosi fino all’aeroporto di Malpensa, dove furono scaricati dal frettoloso autista. Una volta recuperati i bagagli, si spostarono in massa verso l’ingresso, i professori che scorrazzavano come cani pastori tirandosi dietro vecchi trolley consunti figli del loro magro stipendio. Si radunarono nell’atrio per essere divisi per classi prima che qualcuno fuggisse dal gruppo e poi vennero forzatamente messi in coda al check in.
- Perché deve fare così caldo qua dentro? – sbuffò Michele aprendosi il giubbotto e sfregandosi la fronte con una mano.
- Guarda che si sta bene. Sarai in andropausa... – ridacchiò Elena dovendosi poi sorbire i suoi grugniti di virile rivendicazione.
- La mia valigia non passerà il controllo, pesa almeno trenta chili! – si lagnò Loredana saltellando da un piede all’altro attorno alla sua valigia, come se quella danza rituale potesse sortire qualche magico effetto sul peso del suo carico.
- Non può pesare trenta chili, è matematicamente impossibile. A meno che tu non l’abbia caricata di lingotti – precisò puntiglioso Giancarlo.
- Dovresti fare il carabiniere! – disse Angela ridendo della rigidità mentale dell’amico.
Elena osservava distrattamente la donna assonnata e dalla faccia sbattuta che passava con poco garbo i biglietti ai ragazzi e ringhiando li invitava a togliersi di mezzo per far posto a chi ancora doveva imbarcare il suo bagaglio. Sospirò pensando a quando sarebbe stata rinchiusa in quella scatola volante con un centinaio di persone ad una spropositata altezza dal suolo. Sperava solo che le assegnassero un posto molto lontano dal finestrino: non voleva nemmeno vedere un batuffolo di nuvola.
- Forza ragazza, non ho tutto il giorno – ringhiò la biondina isterica dell’accettazione. Sbuffando, Elena posò la sua valigia sul nastro trasportatore: i numeri digitali si ricomposero a formare 12.4 kg, poi estrasse il portafoglio e sbatté la carta d’identità di fronte alla tizia nevrastenica, che sobbalzò osservandola in cagnesco.
Una volta ottenuto il suo biglietto si avvicinò a Michele che già era passato fra le grinfie dell’arpia. Insieme osservarono un’agitata Loredana posare la valigia sul nastro e incrociare le dita, pregando qualche divinità pagana di far sì che la sua valigia avesse un peso legale. I numeri digitali lampeggiarono un 18.5 che la fece esultare, mentre la sempre più perplessa e tesa donna le porgeva il suo biglietto con occhi allucinati.
- Sono passata, sono passata! – trillò la riccia avanzando a passo di danza verso di loro.
Attesero Angela, Giancarlo e Giuseppe, poi si precipitarono in un bar a drogarsi di caffeina per risvegliarsi del tutto. Elena, invece, beveva per dimenticare.
- Ti senti bene? – le domandò Angela intingendo un croissant caldo nel suo cappuccino. Mordendolo, il liquidò le scivolò lungo il mento, dove lo raccolse con la lingua.
- Io? Sì, certo! Perché mai? – ridacchiò Elena finendo di bere la terza tazzina di espresso.
- Non hai bevuto troppi caffè? – provò a domandarle Michele.
- Mi processerete per tre caffè?! Non è mica un crimine averne voglia –
- No, va bene, ma sei un po’ nervosa e dunque non mi sembra il caso che tu ne beva altri – la redarguì Loredana. Elena sbuffò però poi si limitò a restare seduta osservando i suoi amici terminare la loro colazione. Il pensiero di dover davvero volare la stava mandando in paranoia e la sua sadica mente si divertiva a propinarle una serie di scenari apocalittici, facendogli scorrere di fronte agli occhi come un macabro film, ma chiudere le palpebre non serviva a nulla.
Bighellonarono all’interno dell’aeroporto dove Michele acquistò un giornaletto di enigmistica in modo da potersi intrattenere con Elena durante il volo, mentre Loredana una rivista di gossip indirizzata ai preadolescenti per poter leggere con Angela le assurde domande di natura sessuale rivolte da tredicenni precoci a frustrate psicologhe.
Giancarlo e Giuseppe discutevano fra loro se fosse meglio interpretare un mezz’elfo bardo o un nano chierico e ogni tanto Loredana s’intrometteva sostenendo che la sua elfa druida evocatrice di panda avrebbe spaccato il culo a tutti loro.
Improvvisamente la tasca di Elena iniziò a vibrare con forza facendola trasalire. Era una chiamata in arrivo da parte di Veronica.
- Che stai facendo? Non dovresti essere a scuola? – la rimproverò bonariamente accettando la chiamata.
- Sì, ma sono in bagno e comunque le lezioni non sono ancora iniziate. Volevo sapere come stavi... –
- Mm, come alle quattro di sta mattina – ridacchiò Elena.
- Forza, ce la puoi fare. Sappi che noi ti pensiamo! – esclamò Veronica allegra.
- Noi, chi? – domandò laconica.
- Noi! Bianca, Andrea e Martina – spiegò a favore della compagna, che non pareva essere completamente in sé.
- Be’, siete molto gentili... –
- Ti voglio tanto bene, ma ora devo andare che è appena suonata! Ti mando un bacio e... be’, fatti sentire quando atterrerai – disse con tono dolce la sua compagna, mentre Elena sospirava attendendo quel momento con ansia.
- Buona lezione, chouchou, un bacio! –
Dopo aver chiuso la chiamata tornò dagli altri che si erano affollati attorno allo scaffale dei fumetti facendo ad alta voce commenti poco carini sulle tendenze sessuali di alcuni storici eroi e delle loro spalle.
- Te lo dico io cosa facevano nella bat-caverna! – stava sbraitando Angela.
Continuarono il loro giro di perlustrazione finché, avvicinatasi l’ora dell’imbarco, superarono gli ultimi controlli e si accasciarono sulle poltroncine nella sala d’attesa.
Poco lontano da loro stavano Sabrina e le sue tre amiche, intente a confrontarsi le tonalità dello smalto.
- I colori complementari! – squittì Morena sventolando le mani.
- Potrei vomitare – borbottò Michele estraendo le parole crociate dallo zaino, Elena gli porse una biro poi iniziarono un’epocale battaglia con un ostico cruciverba.
- 16 orizzontale: la seconda moglie di Atamante! La seconda moglie di... cosa?! – esclamò perplesso Michele scuotendo il capo affranto.
- Ino. Ci sta? –
- Sì! Come facevi a saperlo?! –
- Me l’ha detto Veronica... – si giustificò Elena sottovoce.
- Nei momenti di intimità lei ti snocciola genealogie mitologiche? – ridacchiò Michele.
- E’ troppo occupata ad emettere suoni senza senso, è già tanto se pronuncia il mio nome in maniera comprensibile – lo informò Elena con un tono che trasudava vanto da ogni parola.
- Quanta vanagloria, Cantalupo, abbassa la cresta – la ammonì Michele con un circolare gesto della mano imitando le ragazzine dei telefilm americani. Gli mancavano solo le extensions e l’ombretto glitterato.
- Sfido, trovami qualcuno alla mia altezza – lo provocò Elena sollevando un sopracciglio.
- Io – replicò lui con tono pomposo.
- Siete pietosi – li rimproverò Loredana alzando gli occhi dalla nemmeno troppo puerile rivista che stava sfogliando con Angela.
- Io sono molto meglio, comunque – intervenne non interpellato Giancarlo, il dito indice sollevato.
- Ma se la vedi con il binocolo!  - lo prese in giro Elena dato che era da più di un anno che il loro amico era single.
- Ragazzi, vi prego, sentite questa! – esclamò fra le lacrime Loredana, in preda ad un’isterica ridarella. Angela si premeva le mani sul volto arrossato, tentando di trattenere gli spasmi.
- Okay, okay... – borbottò Loredana asciugandosi le lacrime,osservata obliquamente dalle altre quattro ragazze, poi prese a declamare - Salve dottoressa, ho un dubbio da più di 3 anni: quando si hanno le mestruazioni si hanno perdite di sangue e poi anche delle perdite sempre rosse però molto dense tipo gelatina, sa dirmi cosa sono? C’è chi mi ha detto che sono pezzi di fegato, è vero? Grazie
- Non ci voglio credere – disse Michele sgranando gli occhi all’inverosimile, mentre Angela era piegata in due dal ridere.
- Stai scherzando, spero? – anche Elena pareva sconvolta e allungò una mano per farsi consegnare quel giornaletto. Loredana glielo lanciò addosso, offesa per la sua diffidenza.
Elena si immerse nella lettura, attorniata dai tre ragazzi inebetiti dal raggiungimento di questo nuovo traguardo di stupidità umana.  
- Non possono esistere persone così stupide, ti prego – borbottò Elena ridacchiando, mentre sfogliava distrattamente le pagine con le domande alla psicologa.
- Guarda che faccia ha in questa foto: sembra abbia ingoiato un limone! – rise Giuseppe puntando il suo grosso indice sulla fotografia della dottoressa.
- Ci credo, fa un lavoro di merda: rispondere a quattordicenni ninfomane, gli aborti della società! –
- Ragazzi, in piedi! Venite! – li stava chiamando il professore di un’altra sezione. Si alzarono controvoglia, interrotti sul più bello.
- Comunque noi abbiamo ancora una discussione in sospeso – sussurrò Michele posando le mani sulle spalle di Elena e stringendogliele fastidiosamente. Rinunciò a divincolarsi perché in quel momento le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno il motivo per cui si trovavano lì in coda: era iniziato l’imbarco!
Fece un profondo respiro mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata, i muscoli delle gambe tesi al massimo.
- Sei sicura di sentirti bene? – le domandò lui preoccupato sentendola irrigidirsi in quel modo.
- No, non sto bene ma ne parliamo dopo – sibilò Elena costringendolo a mollare la salda presa sulle sue spalle. Sfilò il cellulare dalla tasca e lo spense, per poi gettarlo nello zainetto nero che si portava sulla schiena. Fu imitata immediatamente da Michele che l’aveva scordato.
Una donna decisamente più cordiale dell’impiegata al check in strappò i loro biglietti augurando buon volo a tutti quanti con un gran sorriso. Doveva essersi svegliata con il piede giusto perché non era la solita smorfia di plastica, pareva sinceramente allegra.
- Non allontanarti – ringhiò Elena a Michele, che stava per superarla lungo la passerella d’imbarco.
- Scusa? –
- Per favore – addolcì il tono lei. Michele, spiazzato, rimase al suo fianco fino all’ingresso dell’aereo, dove Elena esitò a procedere.
- Benvenuti a bordo – trillava svogliatamente la hostess, stretta e tirata nel suo fasciante completo blu scuro.
- A bordo, ha detto, forza – Michele fu costretto a spingerla e fu in quel momento che realizzò – Tu, Cantalupo, tu hai paura di volare! –
- Non ridere, cazzo, non fa ridere! Mi sento malissimo, sediamoci in fretta. Soprattutto, non dirlo a nessuno – sibilò Elena cercando i loro posti.
- Qua, Ele –
Michele si sedette accanto al finestrino, Elena al centro e alla sua destra, accanto al corridoio, sedeva una signora sulla quarantina, apparentemente sola.
- Prendi fiato e rilassati - le disse Michele con fare esperto.
- Ci provo – borbottò Elena allacciandosi immediatamente la cintura con mani tremanti.  Aveva i palmi sudaticci e il cuore in gola, soffocata nell’abitacolo e stretta dalla cintura. Per sfogare la tensione, iniziò a ridere istericamente, finché Michele le intimò in modo molto minaccioso di smettere.
- Almeno abbiamo scoperto il tuo punto debole – sogghignò Michele dandole di gomito. Elena grugnì, per nulla felice della cosa. Fissava ostinatamente il sedile di fronte a sé, rifiutandosi di prestare attenzione al macabro teatrino delle hostess.
- Okay, ora spiegami di cosa hai paura –
- Di volare, delle altezze: soffro di vertigini, va bene? Non guarderò in basso se saliremo sulla Tour Eiffel, sia ben chiaro. E sia altrettanto chiaro che ucciderò chiunque mi faccia qualche scherzo! –
- Va bene, scusa, calmati. Che ne dici di fare due parole crociate per stemperare la tensione? – propose il ragazzo estraendo il giornale dallo zaino sistemato sotto al suo sedile.
- Mm, io però non staccherò gli occhi da questo delizioso sedile color sedano, sappilo – lo avvertì Elena, lo sguardo sempre fisso in avanti coerentemente con le sue parole.
- Ciao, cara – disse Sabrina con tono squillante voltandosi: era nel sedile di fronte al loro assieme a Morena e ad un ragazzo di un’altra sezione.
Elena grugnì il suo disappunto per poi incrociare i suoi occhi nocciola: non voleva senz’altro dare a quella serpe la soddisfazione di farle sapere che pativa l’aereo. Strinse i denti tentando di soffocare la nausea che il solo stare seduta lì, ferma, le provocava.
- Ehi –
- Come mai così scontrosa? Passato una notte in bianco? – sghignazzò Sabrina scuotendo la lunga chioma castana, arricciata ad arte.
- No, ho passato la notte a fare l’amore con Veronica. Soddisfatta, ora? Puoi voltarti e continuare a parlare di smalto con quella
- Quella sgualdrina figlia dei fiori può fottersi da sola per quanto mi riguarda – sibilò Sabrina che mal tollerava quest’atteggiamento di Elena, pronta a schiaffarle in faccia la cruda verità senza cedere alle sue provocazioni.
- Un’altra parola su Veronica e te ne pentirai quando scenderemo da questo aereo: mettitelo in testa, Sabrina, è finita. Chiuso. Stop. Fine. Punto e a capo. Fattene una ragione – ringhiò Elena che se fosse un cane stata avrebbe senz’altro avuto un minaccioso rivolo di bava alla bocca.
- Lo so che è finita, cosa credi? Che io sia single ad aspettare te? –
- No che non lo credo, ma devi smetterla di tormentarmi. Ci siamo lasciate, è finita: io amo Veronica, non te, non ti amavo nemmeno prima, va bene?! – le sbatté in faccia quella dura rivelazione, che colpì Sabrina come un ceffone.
- Stai dicendo che era solo... cosa? Sesso? –
- No, ti volevo bene, ma non ti amavo come amo Veronica ed ora smettila, smettila! Non ti sopporto, girati, siediti e... – non fece in tempo a finire la frase che il motore dell’aereo iniziò a rombare.
Strinse convulsamente il bracciolo finché le nocche le sbiancarono.
- Ne riparliamo dopo – sibilò Sabrina mettendosi composta nel suo sedile. Michele toccò la spalla di Elena con due dita.
- Ignorala, ignorala, ignorala... – le ripeté lentamente come un mantra, sperando che le anestetizzasse il cervello surriscaldato dal mal di testa e dalla rabbia.
- Aspetta che usciamo da qui, le metto le mani addosso: sarà la prima volta che alzo le mani su una ragazza ma giuro, com’è vero che la Terra gira intorno al Sole, che le spacco la faccia, gliela riduco ad un budino! –
Elena era furiosa: oltre all’angoscia che le attanagliava lo stomaco, serrandoglielo con bruta forza, causata dalle manovre dell’aereo, sintomo del suo prossimo alzarsi in volo, la testa le esplodeva per il nervoso e i tre caffè. Si maledisse per aver ceduto all’amore per la caffeina.
Appoggiò la testa contro il sedile e chiuse gli occhi, sperando che il mondo attorno a lei sparisse. Immediatamente il volto sorridente di Veronica le guizzò davanti agli occhi.
- Amore, rilassati e andrà tutto bene! Qua la professoressa di italiano sta interrogando Bianca: l’ha colta in flagrante, non aveva nemmeno ripassato e sta facendo una figura un po’ becera! Ricordati di chiamarmi quando atterri! –
La meravigliosa visione svanì quando l’aereo s’immobilizzò sulla pista. I secondi di immobile quieta prima della tempesta. Michele osò sfiorarle una mano e lei gliel’afferrò, stritolandogliela senza pietà.
- Oh mio Dio, Atena, Visnù, Diana, Ramos, vi prego... – borbottò Elena stringendo gli occhi. Il comandante comunicò rapidamente con la torre di controllo che, evidentemente, gli diede il nulla osta perché il motore tornò a ruggire come un leone, per poi iniziare ad accelerare.
- Stai calma, andrà tutto bene... – tentò di calmarla Michele, ma le sue parole erano senz’altro meno efficaci di quelle della dolce Veronica, nonostante fossero sottoforma di allucinazione.
- Sta per decollare, vero? – mormorò sentendolo staccarsi leggermente da terra. Il suo stomaco fece una capriola per il felice sciaguattare dei suoi succhi gastrici.
- Sì, però calmati, non capiterà nulla –
A nulla valsero i tentativi di Michele: quando l’aereo si staccò definitivamente da terra, un’ondata di nausea investì Elena che gemette impercettibilmente, chiudendo gli occhi. Le si erano tappate le orecchie che ora le facevano un male tremendo, gli organi interni schiacciati dentro di lei per la pressione, si sentiva sprofondare in quel sedile.
- Quanto odio l’aereo – ringhiò a denti stretti, la mano di Michele sempre agonizzante nella sua.
La signora accanto a lei pareva assolutamente indifferente a tutto quanto e stava sgranocchiando serenamente dei pistacchi che estraeva già sgusciati da un sacchetto trasparente.
- Durerà ancora tanto? –
- No, si sta stabilizzando, non senti? –
- No! Non voglio sentire né vedere nul... oh santi Numi! – esclamò coprendosi gli occhi: per sbaglio aveva lanciato un’occhiata fuori dal finestrino e tutto quell’azzurro sconfinato l’aveva terrorizzata.
- Ragazza, dovresti prenderla più sul ridere: immagina di essere un angelo su una biga dorata e magica che solca il cielo senza bisogno d’ali e goditi lo spettacolo fuori dal finestrino – disse la signora con i pistacchi sorridendo gentilmente.
- Mi spiace, signora, ma sono bloccata – mormorò Elena il cui stomaco ancora bruciava.
- Allora distraiti con qualcosa – propose lei, per poi immergersi nella lettura di un libro.
- Dai, continuiamo con le nostre parole crociate! – esultò Michele sollevando il giornaletto.
- La biro, dove l’hai messa? –
- Qua in giro, ora la recupero –
Elena sorrise alzando gli occhi: la paura non le era per nulla svanita ma almeno la prospettiva di farsi due risate in compagnia di Michele l’aveva messa di buon umore e lui era finalmente riuscito a mettere in salvo la sua mano destra prima che andasse in cancrena.
- 8 verticale: caduta di vocale o sillaba iniziale di una parola – lesse Michele. Elena sbirciò la serie di caselle corrispondenti al numero delle lettere, poi diede la risposta.
- Aferesi –
- Non sai quanto ti odio quando sai le risposte – grugnì lui riportando la parola.
- Be’, quella dopo non la so –
- 9 verticale: cotechino tradizionale del Friuli-Venezia Giulia – lesse Michele per poi sbuffare sonoramente: riusciva a malapena a collocarlo geografica sulla cartina politica dell’Italia, figurarsi conoscere il suo cotechino.
 
L’atterraggio era stato piuttosto brusco perché su Parigi soffiava un forte vento: Elena aveva rischiato di vomitare la colazione non ancora digerita ed era tornata a ridurre in poltiglia la mano del suo sventurato amico. La discesa rapida e turbolenta, ancora prima, l’aveva fatta raggelare nel suo sedile, contratta e immobile come una statua di marmo d’età classica: nella sua prigione di austero ed imperturbabile marmo erano intrappolate tutte le passione dell’animo umano. In questo caso il terrore e la nausea.
Quando il pilota aveva annunciato di allacciarsi le cinture a causa delle intemperie atmosferiche, Elena aveva temuto di svenire e Michele era stato costretto a rifilarle un ceffone che senz’altro lei gli avrebbe restituito una volta scesi dalla trappola volante.
I vuoti d’aria erano stati terribilmente angoscianti, la sensazioni di precipitare nel vuoto, di sprofondare in quel baratro di cielo e schiantarsi sulla fredda terra sotto di loro. No, cercava di non pensarci ma le riusciva difficile con tutta quella gente che strillava per ogni sobbalzo.
Alla fine, però, esultante era riuscita a scendere dall’aereo e non appena ebbe messo piede a terra, terminata la scaletta metallica, inspirando a fondo l’aria fresca di Parigi, vomitò finalmente quella maledetta colazione accanto alle scarpe di una Morena in preda al panico.
- Bonjour, Paris, siamo arrivati! – esultò Michele dando una pacca sulla spalla di Elena.
 

 
   
 
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