The Patch
Alle due e mezzo di notte sentii bussare alla mia porta << Abby.>> era sbronzo da far paura, parlava come se stesse cantando << apri questa cazzo di porta.>> mi alzai e, titubante, aprii la porta.
I suo vestiti erano mezzi sgualciti, aveva delle sbavature di rossetto sul collo e teneva in mano una bottiglia di un qualche super alcolico dolciastro << non riesco a riscaldare la pasta.>>
Esasperata uscii dalla stanza per poi andare in cucina a riscaldargli la cena. Dopo di che me ne ritornai in stanza.
Chiusa la porta mi resi conto di non aver preparato la cartella e mi misi a svuotarla presa dall’insonnia. La capovolsi letteralmente sulla scrivania, non avevo voglia di star li preoccuparmi di non sgualcire due quaderni, ma, mentre guardavo le cose che fuoriuscivano dal mio zaino nero la mia attenzione venne catturata da un foglietto che volò sul pavimento, un bigliettino.
Lasciai perdere lo zaino e raccolsi il pezzo di carta per poi sedermi. Su di esso cera un numero di telefono e una frase scritta con una bella calligrafia: - Per qualsiasi cosa. - il biglietto era firmato : Garth Carter. Cos’ero?! Il suo caso umano?! Chi si credeva di essere?! Cosa ne voleva sapere lui della mia vita?!
Accartocciai il foglietto e lo gettai nella spazzatura sotto la scrivania e me ne andai a letto con la rabbia in corpo.
Il giorno dopo mi alzai piuttosto presto e me ne andai mezzora prima a scuola.
Per fortuna era aperta così potei salire fino alla mia aula dove lo trovai.
<< Siamo mattinieri vedo.>> la rabbia mi arrivò al cervello, non seppi più controllarmi e lo spinsi facendo spargere per tutto il corridoio i fogli che teneva in mano.
<< Chi si crede di essere?!>> il suo volto era impassibile, era illeggibile.
<< Non capisco.>> si accovacciò per raccogliere i fogli.
<< Il numero di telefono!>> calpestai il foglio che stava per raccogliere << cosa le fa credere che chiamerei lei! Perché dovrei chiamare lei?!>> alzai la scarpa permettendogli di impilare la scheda << crede di conoscermi per caso?! Di sapere cosa sta succedendo nella mia vita?!>>
<< No.>> si alzò dopo aver raccolto tutti i fogli.
<< Appunto.>> me ne andai. Marinai la scuola, rimasi tutto il giorno accucciata nella casetta del parco giochi vicino alla scuola, non volevo sentire nessuno, non volevo vedere nessuno. Spensi persino il cellulare.
Alle otto di sera mi decisi a tornare a casa, ma, purtroppo, ad aspettarmi, c’era mio padre.
Appena varcai la soglia di casa venni scaraventata da uno schiaffo a terra. La guancia mi bruciava, sentivo la sagoma della sua mano andare a fuoco.
<< Ha telefonato la scuola. Ha detto che non ti sei presentata.>> ero ancora a terra, con le lacrime che stavano per sgorgare quando mi si avvicinò << così mi ripaghi?!>> mi assestò un calcio nello stomaco, mi sentii morire, non riuscivo a respirare, continuavo ad annaspare nel disperato tentativo di far arrivare ossigeno ai polmoni << ti ho preso con me!>> mi alzò per i capelli per poi scaraventarmi dall’altro lato della stanza << Ti ho cresciuta! Ti ho dato da mangiare!>> tirò un pugno sul tavolo << vattene in camera, non mangi.>> per fortuna era sobrio, perché se no, non me la sarei cavata con così poco.
Il giorno dopo me ne andai a scuola con un enorme cerotto sulla guancia, era rimasto il segno e pur di non far vedere le cinque dita di mio padre m’inventai la scusa di essere caduta dalle scale quando avevo la febbre. E per fortuna i miei compagni, che non erano poi molto intelligenti, ci cedettero. Anche quel giorno rimasi in classe fin dopo le lezioni, fin dopo il crepuscolo. Volevo rimanermene il più possibile fuori casa.
Nell’aula entrò il professor Carter, che, dopo avermi vista sorrise.
Di scatto cercai di nascondere il cerotto con i capelli, non volevo essere compatita, non da lui.
Come al solito si sedette nel banco di fronte al mio << Dove sei stata ieri?!>> la sua espressione era indecifrabile.
<< A casa, non stavo bene. >> cercai di non guardarlo negli occhi, non volevo che capisse.
<< Non eri a casa. Abbiamo telefonato.>> appoggiò entrambi i gomiti sul banco dietro alla sua schiena.
Risi istericamente << Complimenti, non è male come detective, sa?!>> la sua espressione da divertita cambiò in un instante espressione, il suo sorriso lasciò spazio alla preoccupazione, le mascelle gli si serrarono, i pugni gli si chiusero facendo sbiancare le nocche.
<< Abby…>> si avvicinò, la sua mano scostò la mia ciocca di capelli scoprendo il cerotto, con due dita strinse un lembo di esso.
Con entrambe le mani gli presi il polso cercando invano di fermarlo << Sono caduta dalle scale.>> ma lui fece finta di non sentirmi e continuo a staccare il cerotto, con tutte le mie forte tentavo di fermarlo, ma ero troppo debole al confronto. In pochi istanti il cerotto venne rimosso e gli occhi gli s’incupirono alla vista della forma del mio rossore.
Calò un silenzio inquietante, nessuno dei due sapeva o osava parlare. Rimanemmo così, come due ebeti a fissarci, incapaci di prendere parola. Il sole era ormai completamente tramontato e su di noi era calata la notte << Devo tornare a casa.>> fuggii da quella situazione così scomoda ed imbarazzante.
<< Si.>> si alzo nello stesso istante in cui lo feci io ed uscimmo dall’aula per poi dividerci nel corridoio.
Questo capitolo è da un sacco di tempo che ce l'avevo scritto, ma non ero sicura di come l'avevo fatto terminare e di fatti ho cambiato la fine. XP
Spero che vi piaccia quanto piace a me ( anche se so che è impossibile ^^)
Allora aspetto I vostri commenti!!
Ciaoooo... Princess__Dadi