Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: ranyare    03/04/2011    10 recensioni
Capitano giorni, a volte, che ti cambiano la vita.
Sono giorni strani, sono ore in cui non ti rendi davvero conto che qualcosa, intorno a te, è cambiato.
A me è successo: e non è stato un cambiamento piccolo, insignificante, tranquillo.
È stato un uragano, che è entrato nella mia vita e ha mandato tutto all’aria.
E si è anche divertita.

Ben Barnes ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: talento, soldi, fama, una bella famiglia, un'automobile di cui essere fiero, pochi amici ma che valgono più di chiunque altro, un sorriso in grado di far girare la testa a chiunque lui desideri e una faccia di bronzo a cui nessuno riesce mai a dire di no.
O quasi.
Fra riff di chitarra, figuracce colossali e anfibi volanti il nostro britannico eroe imparerà che è proprio la tempesta, quella che spazza via ogni certezza, che manca alla sua vita.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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(Cogli l'attimo)


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Quella discussione lasciò molti più strascichi di quanto avessi mai potuto pensare, tanto in Ray quanto – soprattutto – in Angel.

La mia piccoletta, il mattino dopo, si era comportata come sempre: era stata dolce con me, aveva sorriso alle mille scuse angosciate di Ray, ma non l’avevo vista con William; si era alzata per prima, svegliando noi due ancora abbracciati sul divano, prima di uscire da casa indossando i suoi inconfondibili abiti da cavallerizza.

Angel ha sempre amato l’equitazione, la sensazione di libertà che si può provare soltanto sulla groppa di un cavallo; è la sua via di fuga, il modo in cui fugge dal mondo quando tutto diventa troppo pesante per essere sopportato.

L’atteggiamento di Will le aveva fatto del male, l’aveva ferita più profondamente di quanto avessi potuto pensare; quello stesso pomeriggio era venuta da me e avevamo passato diverse ore a parlare, mentre Ray – dando prova di aver detto la verità, di non essere gelosa del rapporto fra me ed Angie – aveva inventato una qualche commissione da compiere ed era sparita per le vie di Londra.

La mia bionda tenne il muso a William per giorni, rivolgendogli a malapena la parola quando lo incrociava nei corridoi dell’appartamento che dividevano; fra il lavoro e me, passò davvero poco tempo in casa nelle settimane che seguirono, scatenando una reazione a dir poco esagerata in quel solito irascibile del mio migliore amico.

Pian piano le cose si sistemarono, tornando a una quieta normalità che tutti quanti agognavamo più di quanto potessi pensare; ma la vera tempesta presto si sarebbe abbattuta su tutti e quattro, perché soltanto io avevo scorto una luce strana nelle iridi azzurre di quello che non può essere definito altrimenti che un imbecille.

-Ben, mi togli una curiosità?-

Erano passate diverse settimane da quella notte, rimasta ormai soltanto un confuso ricordo bagnato di pioggia; Ray ed io, stranamente, eravamo a casa di William mentre lui e Angie non c’erano, distesi sul suo letto e abbracciati, i riccioli dorati che mi oscuravano la vista.

Il desiderio che provavo per lei non aveva fatto che accentuarsi, in quei giorni; sempre più a fatica riuscivo a nascondere il violento languore che mi agitava nel guardarla, gli occhi traditori che scendevano a disegnare avidi i contorni torniti del suo corpo.

Dopotutto, sono un uomo anch’io; e come uomo sentivo il bisogno fisico di amarla, di prendere per me quelle curve invitanti che non riuscivo più tanto facilmente ad ignorare.

Avevo deciso di aspettare, di aspettare sino a che Ray non si fosse sentita pronta per me; ma quell’attesa stava diventando snervante, e la mia maledetta immaginazione aveva reso insonne più di una notte nel pensiero continuo di come sarebbe stato fare l’amore con lei.

-Se posso.- incuriosito, la guardai alzare gli occhi blu su di me, guardandomi dal basso verso l’alto, le guance appena più rosse e un velo d’imbarazzo sulle iridi chiare.

Era ben stretta fra le mie braccia, i capelli che riempivano la mia visuale e il suo profumo che inebriava i miei sensi; faticavo davvero a mantenermi concentrato, a mantenere il controllo su me stesso.

Davvero.

-Insomma…c’è qualcosa che non va?- aggrottai appena le sopracciglia a quelle parole, senza capire a cosa si stesse riferendo.

C’era qualcosa che non andava?

A parte i freni tremendi che io stesso mi ero imposto nel mio desiderio…

-Stiamo insieme da due mesi, no?- sorrisi, nel sentirle pronunciare quelle poche parole che, per me, avevano un significato immenso.

Stiamo insieme.

Sì, stavamo insieme. I primi due mesi più belli della mia vita.

-Direi proprio di sì.- risposi, seguendola con lo sguardo mentre si scostava appena da me, stendendosi a pancia in giù al mio fianco e guardandomi con una luce splendida negli occhi, le labbra mordicchiate dai denti candidi.

-E non hai mai… cioè.- arrossì ancor più furiosamente, passandosi le dita bianche fra i capelli. Mi alzai sui gomiti, avvicinandomi appena di più a lei, una lenta comprensione che si faceva strada nella mia mente.

-Non ho mai…?- mormorai, piano, accostandomi a lei suadente come un gatto.

Socchiuse gli occhi quando immersi il viso nella sua gola, baciando la sua pelle soffice con delicatezza, suggendola come un frutto prelibato e irresistibile.

La sentii rabbrividire, quando una scia di piccoli segni rossi comparve sulla sua carnagione candida; serrò il copriletto fra le dita, reclinò appena indietro la testa per permettermi di avere più spazio, per darmi la possibilità di affogare nel suo profumo fino a perdermici completamente.

-Non ho mai fatto questo?- le chiesi, la voce arrochita dal desiderio che sentivo pulsare sempre più prepotentemente nel sangue.

Lasciai scivolare un ginocchio fra le sue gambe tremanti; si schiusero subito per me, al mio tocco, concedendomi di avvicinarmi al suo corpo come mai avevo osato prima di quel momento.

Scesi appena, il respiro che indugiava sulla scollatura quadrata della sua maglietta, accarezzando il solco di quel seno bianco che, in quel momento, desideravo sfiorare più d’ogni altra cosa.

Scostai con delicatezza l’orlo della canottiera, posando il palmo della mano sul suo ventre soffice; bastò sentire i suoi muscoli contrarsi repentinamente, il suo corpo reagire a me, per mandarmi completamente nel pallone.

-O questo…?- aggiunsi, piano, alzando il viso per guardarla negli occhi; ma le mie dita agivano di volontà propria, scendendo a costeggiare l’orlo dei pantaloncini di jeans che indossava, provocandola apposta.

Ray aprì gli occhi, respirando a fatica, incontrando sulla sua strada il mio sguardo oscurato dal desiderio.

-E-Esatto.- riuscì a balbettare, annuendo, disorientata.

Era la mia risposta, quella che vedevo brillare nei suoi occhi? Era quella risposta che aspettavo dalla prima sera in cui avevo incrociato il suo sguardo, dalla prima volta che l’avevo baciata?

Era lì, bella come non mai, i capelli arruffati sparsi come un’aureola intorno al viso chiaro; le guance erano rosse, facevano venir voglia di mangiarla tutta, di baciarla, di amarla…

La guardai come mai avevo fatto sino a quel momento, le sue dita che sfioravano delicate i miei capelli, la pelle che avvampava a contatto con la mia: le sue iridi erano piene di una luce del tutto nuova, una luce irresistibile, languida, le labbra gonfie e bramose di baci.

Quelle labbra… quelle labbra erano la mia droga personale, labbra che mi chiamavano e a cui non potevo resistere; nelle orecchie sentivo il sangue pulsare dannatamente veloce, sotto le dita delineai la curva morbida dell’anca di Ray, sulla bocca sentivo il suo respiro mischiarsi al mio.

Non ce la facevo più.

Non resistevo più.

E cedetti al mio stesso istinto quando curvai il volto sul suo, bevendo il suo fiato accelerato prima di catturare in un solo attimo quella soffice bocca nella mia.

In quel preciso momento, quando le mie labbra e le sue si toccarono, entrambi fummo consci di aver appena pronunciato quel che i nostri corpi attendevano da fin troppo tempo.

La percezione della sua morbida carne premuta sulla mia inondò i miei sensi, accendendo desideri che sapevo di non poter più controllare; le sentii mancare il fiato quando la baciai con forza, suggendo quella bocca dolce con ingordigia, il mio torace che si premeva sul suo seno e le strappava a forza l’aria dai polmoni.

E le mie mani risalirono finalmente decise lungo i suoi fianchi, portando con sé la canottiera e scoprendo l’invitante linea del fianco di Ray, la carnagione bianca e morbida, le costole e il bacino curvi sotto la pelle tesa e liscia…

Il nostro bacio si riempì di foga, le lingue che combattevano una lotta senza vinti, i sapori che si mischiavano l’un con l’altro; sentii le dita rapide di Ray insinuarsi fra la mia pelle e la stoffa della felpa, il tocco bollente dei suoi polpastrelli che disegnava le linee delle mie costole.

Il desiderio pulsava tra il suo corpo e il mio, nel sangue che scorreva prepotente ad accendere un bisogno del tutto nuovo, il bisogno di aversi, di possedersi, di…

-Questa sarebbe comunque casa mia.- sobbalzai di scatto, sorpreso, al suono irato e sarcastico di una voce che spezzò in un istante la passione vibrante fra me e lei.

Mi separai immediatamente da Ray, vedendo la mia stessa espressione – stravolta e stupita – sul volto della mia bionda; ero in imbarazzo, in imbarazzo senza un vero motivo logico… dopotutto, non stavamo facendo niente di male. Non ancora.

Will era là, sulla soglia della porta della stanza di Ray, le braccia incrociate sul petto muscoloso e gli occhi più cupi ed arrabbiati di quanto non li avessi mai visti.

Fissava Ray con astio, astio reale e concreto, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo e concentrandosi completamente sul volto di una ragazza che già stava intuendo cosa sarebbe successo entro pochi istanti.

-In questa camera, se non erro, ci vivo io.- mi voltai per osservarla, sorpreso: Ray sosteneva gli occhi furibondi di Will con pacata cautela, una luce pericolosa in fondo al blu delle iridi.

-Questo non vi autorizza a farci sesso, se non sbaglio.-

Fu quella rispostaccia, quell’esclamazione velenosa di Will, a scatenare tutto il disastro che ne seguì.

Quasi non vidi Ray alzarsi in piedi, tanto fu rapida; seppi soltanto scorgere, in quegli occhi che tanto amavo, una furia del tutto inedita – una furia che non avevo mai avuto l’occasione di vedere, di analizzare e di rispettare.

-Che cosa c’è, Will? Sei nervoso?- la sentii sussurrare, la voce pericolosamente bassa e suadente.

-Perché, te ne frega qualcosa?- replicò lui, caustico, i muscoli del volto contratti in una smorfia di palese rabbia.

Mai mi sono sentito di troppo come in quell’occasione; Will e Ray si fronteggiavano a poco più di un metro e mezzo di distanza, l’uno chiuso e venefico mentre l’altra ritta in piedi, i pugni serrati e le labbra strette.

Mi ero alzato anch’io, ma quando provai a dire qualcosa Ray mi bloccò sul nascere; le bastò alzare di scatto una mano, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.

-Ben, magari ti raggiungo più tardi.- mi disse, gli occhi blu inchiodati in quelli celesti di Will.

Per un istante rimasi immobile, assorbendo il significato delle sue parole: mi aveva chiesto non molto fra le righe di andarmene, di lasciare soli lei e Will… parte di me avrebbe voluto ubbidire all’istante e levare elegantemente le tende, ma, allo stesso tempo, non volevo lasciarla alle prese con un William assolutamente imbufalito.

-Ben, per favore.- avvertii una nota di urgenza, nella sua voce; continuava a fissare Will, e prima di me si era accorta dell’insofferenza del biondo nei miei confronti.

Cos’altro avrei dovuto fare?

Mi fidavo di Ray, sapevo che non mi avrebbe allontanato senza un motivo concreto e reale: e quindi le diedi retta, annuendo appena, allontanandomi da quell’appartamento con una brutta sensazione nel cuore.

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Non seppi mai il motivo della repentina rabbia di William, di cosa lo avesse spinto a quella reazione; provai per due ore filate a chiamare Angel, sicuro di trovarla, sicuro di poter sapere qualcosa… e invece niente, il cellulare era spento e i suoi genitori mi riferirono della sua presenza in camera sua, sprangata ormai da ore.

Detestavo non capire, non sapere: percorsi l’intero isolato intorno a casa mia per tre volte di fila, troppo ansioso e inquieto per restare fra quattro mura ad aspettare notizie; non mi era piaciuto vedere Will e Ray tanto furiosi l’uno con l’altra, proprio loro, che tanto erano legati…

Rientrai soltanto quando iniziò a piovere, una pioggia scrosciante che annunciava l’ennesimo, violento temporale estivo su Londra.

Ray non mi aveva fatto sapere nulla, non sapevo nulla di come e cosa stesse succedendo; potevo solo rodermi il fegato dall’ansia e dalla preoccupazione, maledicendomi per averle dato retta, per non essere rimasto al suo fianco.

Fu soltanto verso le dieci di sera che seppi qualcosa, che potei sincerarmi di sapere Ray in un posto sicuro: con me.

Fu un sollievo, infatti, sentire il campanello suonare e ritrovarla sulla soglia di casa mia, bagnata come un pulcino e con gli occhi arrossati, uno zaino in spalla e l’espressione più neutra ed enigmatica che le avessi mai visto.

-Posso passare la notte da te?- mi chiese, senza preamboli, con la voce arrochita e gli occhi lucidi e stanchi.

Sentii qualcosa aggrovigliarsi nel mio stomaco – un misto di rabbia e di preoccupazione che si agitava furioso dentro di me, nel riconoscere sul suo volto dei tratti che avrei preferito non vedere.

Aveva pianto.

-Ma che domande sono? Entra, sei congelata.- risposi, allibito, guardandola con una domanda inespressa scritta in viso.

Che cosa era successo?

Che cosa l’aveva costretta a piangere, che cosa aveva fatto Will per ridurla in quello stato?

La fissai insistentemente, senza il coraggio di chiederle apertamente che cosa fosse capitato, cercando di carpire qualcosa dal suo volto imperscrutabile; ma Ray non alzò lo sguardo su di me, limitandosi a mormorare un grazie prima di entrare, abbandonando lo zaino vicino alla porta e sospirando, sfilandosi la felpa larga che indossava.

-Ray…?- la chiamai, quando la vidi stringersi le braccia intorno al corpo, la maglietta chiara, bagnata, praticamente trasparente.

Presi un lungo respiro, costringendomi a ignorare le linee scure del reggiseno che disegnavano la sua pelle altrimenti candida, le scapole magre, la spina dorsale… un tatuaggio che delineava la curva morbida della spalla, aprendosi circolarmente sulla sua carnagione diafana.

Mi permisi d’indugiare su quelle linee scure e marcate per qualche istante di troppo, sorpreso di scoprire sul suo corpo un dettaglio che non avevo mai avuto il piacere di scorgere completamente: Ray non amava indossare abiti chiari, e avevo soltanto distinto di sfuggita i tratti scuri di quell’indelebile disegno.

L’intenso nero dell’inchiostro si attorcigliava sulla sua pelle, dipanandosi in una figura che riconobbi solo dopo qualche istante d’osservazione: una luna crescente riposava affilata sulla sua spalla, spezzata da tanti altri piccoli satelliti che si rincorrevano lungo il suo profilo ricurvo, rappresentando ogni fase del suo ciclo eterno.

Là, al centro della mezzaluna, si ergeva fiera e maestosa una bellissima lupa stilizzata, gli occhi raffigurati socchiusi e l’espressione lieve e dolce di una regina d’altri tempi.

Quel tatuaggio era meraviglioso, non avrei mai potuto pensare a nulla di più adatto a Ray, al suo stesso essere, al suo carattere.

-Ho preso la metro, ma ho scordato l’ombrello.- la sentii sussurrare, di spalle, i capelli bagnati che scendevano ad attorcigliarsi in ciocche più scure intorno al suo viso in ombra.

Mi avvicinai a lei, lentamente, quando la vidi tremare: il suo corpo mi chiamava a sé, m’incantava in una malia di strega che suadente mi avvolgeva nelle sue spire, attirandomi come una mosca golosa sul caldo e denso miele dorato.

Posai le mani sulle sue spalle, stringendola a me con delicatezza, sentendo il suo corpo fremere impercettibilmente al mio tocco.

-Hai discusso con Will, vero?- le chiesi, la voce bassa e dolce, avvertendo i suoi muscoli contrarsi al suono del nome di William.

Annuì, lieve, chiudendo gli occhi e abbandonandosi finalmente contro di me, permettendomi di avvicinarmi a lei; le passai un braccio intorno alla vita sottile, il palmo aperto della mia mano che lentamente aderiva al suo ventre, la sua gola che attirava – irresistibile – il mio respiro.

Dio, quanto la desideravo.

Socchiusi gli occhi, riempiendomi la mente del suo profumo mischiato a quello della pioggia: freddo e caldo, gelo e fuoco, fusi in un’unica creatura creata soltanto per farmi impazzire.

Per la prima volta, fra me e Ray c’era soltanto silenzio: un silenzio assoluto, un silenzio elettrico e denso di troppe parole non dette, di tutti i desideri celati.

C’era il silenzio di ciò che era quasi successo qualche ora prima, c’era il sapore di quella pelle sotto i miei baci voraci, di quel corpo morbido che s’inarcava al mio tocco… c’era la consapevolezza di aver già preso la decisione di appartenersi, il desiderio che pulsava insopportabile fra noi, spingendoci l’uno contro l’altro in un magnetismo impossibile da combattere.

Volevo fare l’amore con lei.

Questo sapevo, di questo ero certo, questo era l’unico pensiero che pulsava nella mia mente. Provavo il bisogno fisico di toccarla, di seguire le curve del suo corpo in punta di dita, di spogliarla di quegli abiti bagnati e di perdermi in quel calore che il suo corpo emanava in quel momento più che in ogni altro…

L’odore forte e inebriante della sua pelle mi colse alla sprovvista, quando inspirai profondamente, tentando di darmi una calmata: era la fragranza che avevo imparato ad amare, un profumo suadente che mi dava l’acquolina in bocca, che mi avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa, con lei…

Non riuscii a evitarmelo, non riuscii a trattenere il mio sguardo lascivo dallo scivolare lungo il suo corpo di spalle, quell’appetito che si faceva sempre più forte ad ogni istante che passavo lontano da lei: la sua pelle chiara e umida trasudava una sensualità che i miei occhi ciechi non avevano mai colto, i suoi fianchi torniti chiamavano le mie mani, il seno florido i miei baci…

-Forse… dovresti cambiarti.- fu una fatica immane costringere la mia voce a non suonare bassa, arrochita dal desiderio e dalla gola che pulsavano sempre più voracemente sotto la cintola, che formicolavano sulla mia bocca affamata di lei. -E fare una doccia calda…-

Solo il pensiero del corpo nudo e flessuoso di Ray nella mia doccia mi diede alla testa, mi sconvolse più di quanto non avessi potuto immaginare; mi scoprii a fremere, le dita che indugiavano sulla spalla della mia ragazza, tremando dal desiderio di scendere a sfiorare lidi che non mi ero mai nemmeno il permesso di guardare da lontano.

Avevo già dimenticato la discussione che aveva avuto con William, del motivo per cui era lì con me; per me, in quell’istante, esisteva soltanto il suo profumo, la sua pelle bagnata di pioggia.

-O vuoi parlarne?- le chiesi, usando violenza su me stesso per porle quella domanda; non avevo mai avuto meno voglia o intenzione di parlare in vita mia.

-No.-

La voce di Ray mi parve terribilmente lontana, trasognata, figlia di un sogno da cui non volevo assolutamente svegliarmi; il suo corpo caldo era fra le mie braccia, sotto i palmi avvertivo il suo ventre contrarsi mentre le mie dita scorrevano sulla sua pelle e sfioravano l’orlo degli scuri pantaloncini che indossava.

Quell’istante cristallino parve durare per un’eternità assolutamente inaccettabile; il mio respiro le accarezzava la gola, scendendo a sfiorarla là dove io desideravo ardentemente arrivare.

La sentii sospirare, prima che repentinamente sciogliesse la stretta delle mie mani su di lei e si voltasse a guardarmi, intrecciando le dita alle mie.

E, quando i suoi occhi s’incatenarono ai miei, seppi di essere perduto.

Non c’era ombra di dubbio nelle sue iridi, nessuna traccia di paura o di esitazione; il blu dei suoi occhi ardeva, ardeva di desiderio, gli screzi grigi brillavano di brama e sconvolgevano ogni cellula del mio essere, lasciandomi disarmato e impaziente dinanzi a ciò che – lo realizzai soltanto in quell’istante – volevamo entrambi.

Mi lasciai trascinare lungo il corridoio, lungo le scale che portavano al piano di sopra, al bagno; nella penombra di casa mia il suo corpo spariva e appariva nell’oscurità della notte, il suono della pioggia che ticchettava pressante sui vetri, scandendo i battiti del mio desiderio.

Non riuscivo a smettere di guardarla, stregato dal suo sguardo e dalle fiamme che ribollivano appena dietro il velo blu dei suoi occhi, sull’orlo delle sue labbra carnose, completamente ammaliato dall’ardente decisione che vibrava sotto la sua pelle bagnata.

Quasi non mi accorsi di essermi lasciato condurre nell’ampia doccia che troneggiava nel bagno principale, quasi non sentii l’acqua calda bagnare tanto me quanto lei, il vapore confondere per un istante la mia vista e i miei sensi.

Per me c’era soltanto lei.

E, quando le sue labbra incontrarono le mie, io non capii più nulla, la brama che prendeva bruscamente il sopravvento sul mio labile autocontrollo.

La baciai con forza, intrecciando la lingua alla sua senza la minima esitazione; mi rispose con la stessa veemenza, strattonando lievemente i miei capelli per tirarmi ancor di più versi di lei.

Affogai nelle sue labbra con violenza, senza risparmiarmi, appropriandomi di ogni millimetro di quel caldo antro che mi apparteneva – perché lei era mia, solo e solamente mia.

Le mie mani corsero fameliche sul suo corpo, scendendo dalle sue spalle e percorrendo le curve toniche dei suoi fianchi, appropriandomene e superando la barriera dei suoi abiti umidi nel tempo di un battito di ciglia.

Un brusco sospiro le spezzò il fiato, quando le mie dita calde risalirono possessive il suo ventre, il nostro bacio che si spezzava per il tempo esatto di sfilarle la maglietta.

Aggredii nuovamente quelle labbra saporite senza quasi darmi tempo di respirare, il seno sodo velato soltanto dal pizzo nero che premeva insistentemente sul mio petto. La sua bocca mi accolse con una violenza che sfociava nell’esasperazione; sentivo le sue mani risalire voraci il mio torace, slacciando veementemente i bottoni della mia camicia oramai fradicia.

L’acqua batteva sui nostri corpi mai stati così vicini, le barriere degli abiti e dei ripensamenti che sparivano una dopo l’altra; eravamo soltanto noi due in quel momento, Ray ed io, noi e il desiderio che non voleva più saperne di restare in catene.

Quel bacio si spezzò quando entrambi avemmo bisogno di ossigeno, i respiri affannati che si mischiavano al suono scrosciante della doccia, il vapore che saliva pigramente verso l’alto ed annebbiava anche l’ultimo barlume di raziocinio.

Lo sguardo di Ray mi raggiunse ancora una volta, trafiggendomi come mai nessuna donna era stata in grado di fare: ed io vidi me stesso, riflesso in quegli specchi blu mai scorti tanto scuri prima d’allora.

Solo allora, la concretezza di ciò che avevo intorno riprese forma e materia; il mio udito riprese a funzionare, riempiendosi del battito forsennato del mio cuore e del suono scrosciante della doccia in cui Ray mi aveva trascinato.

La mia vista si godeva finalmente la vista del corpo tanto a lungo agognato di Ray, avvinghiata a me con la stessa possessività con cui avrei desiderato averla, amarla; il tatuaggio e l’intimo del medesimo colore spiccavano contro la sua carnagione chiara, gli shorts spariti chissà quando, i capelli biondi che si attorcigliavano fradici attorno al viso accaldato e stravolto.

Le sue labbra erano gonfie e dischiuse, attendevano soltanto me, soltanto il mio bacio, soltanto la mia passione…

Furono ingordi, i miei occhi, quando percorsero avidi quella pelle candida imperlata di miriadi di gocce trasparenti. Risalii e discesi le sue forme più volte, costeggiando i fianchi soffici, il ventre tonico fin su, sino alle costole, sino alle ricche curve del seno.

Tornai a guardarla in volto nello stesso istante in cui mi accorsi delle sue dita abili sul mio ventre, della mia camicia scomparsa, del tocco provocante che costeggiava i miei jeans.

I suoi occhi mi attendevano lì, d’un blu tanto scuro da sembrare quasi nero; vibravano dello stesso desiderio che pulsava nel mio sangue, di ciò che sentivo sempre più costretto oltre il bordo dei pantaloni scuri.

E, più lei mi guardava in quel modo, più sentivo il sangue affluire prepotente alla mia eccitazione, destabilizzando quel poco di autocontrollo che ancora possedevo.

E l’acqua bollente scendeva ancora, in rivoli bollenti che accarezzavano quel corpo bianco che tanto desideravo, tracciando scie sulle mie spalle, sulla mia schiena.

Le sue iridi perforanti non si spostarono nemmeno per un istante dalle mie, lasciandomi annegare in quel torbido oceano in tempesta quando le sue dita slacciarono il bottone che ancora ci divideva.

Rabbrividii, quando sentii la zip abbassarsi con studiata lentezza – con troppa lentezza, per ciò che ruggiva bramoso dentro di me.

Ogni suo gesto pareva calcolato, ma le sue mani tremavano almeno quanto le mie; e, nello sguardo inchiodato nel mio, leggevo la medesima impazienza che mi stava logorando dentro, che bruciava sempre più intensamente nelle mie vene.

Il suo volto era a un sospiro dal mio, le sue labbra erano bagnate e gonfie, il suo corpo pareva aspettare soltanto me.

Posso?, avrei voluto chiederle.

., mi urlavano in silenzio i suoi occhi, il fisico mezzo nudo che mi chiamava irresistibilmente a sé.

E cedetti.

Cedetti a tutto, colmando in un respiro la distanza fra le mie labbra e le sue, lasciando che i miei jeans sparissero insieme a quel poco che ancora ci vestiva.

Quando la trassi a me, il suo corpo aderì perfettamente al mio, rivoli caldi che scendevano a legarci insieme, il calore del suo seno, del suo ventre, delle sue labbra che bruciava al contatto con me.

La sua lingua danzava con la mia in un bacio che sapeva di brama, di possessione, di noi.

La sollevai e lei si aggrappò a me, le dita immerse nei miei capelli bagnati, la bocca che rubava respiri inframmezzati dai baci.

La premetti fra il mio petto e le mattonelle umide, il bisogno di averla che mi dava alla testa, che pulsava nel mio sangue annebbiando ogni altro pensiero che non fosse lei.

E non ne potevo più di aspettare, non riuscivo più a tollerare il bisogno che provavo, l’amore che ruggiva.

Mi spinsi fra le sue cosce con decisione, spezzando il contatto fra le sue labbra e le mie, riempiendomi i polmoni di quell’aria calda e satura di passione.

-Ben…- Ray schiuse gli occhi, le iridi dense di lucida frustrazione, le guance arrossate e le mani serrate sulle mie spalle.

La fissai a lungo, il respiro corto quanto il suo, carbone e ghiaccio che si trovavano e si mischiavano, sciogliendosi nell’acqua bollente che accarezzava densa i nostri corpi ancora intollerabilmente divisi.

E non smisi un istante di guardarla, l’eccitazione sempre più pressante, mentre le sue cosce si stringevano alla mia vita e il suo ventre mi accoglieva morbidamente dentro di lei.

Ero dentro di lei.

La consapevolezza esplose con violenza nella mia mente, nel mio corpo, ribollendo e bruciando come un vulcano in eruzione.

Ero dentro di lei.

Era il suo corpo che ora si adattava gradualmente a me, alla mia durezza pulsante e terribilmente insopportabile, i muscoli che si contraevano e si rilassavano in quell’incastro perfetto.

Era Ray a tremare fra le mie braccia, le gambe serrate con forza attorno al mio bacino – spingendomi a penetrarla di più, ad averla più a fondo, a renderla ancora più…

Mia.

La strinsi con forza, serrando le mani sulle sue natiche, abbassando il capo sotto la violenta consapevolezza che bruciava nella mia carne.

Ray era mia.

L’incavo della sua spalla accolse il mio volto stravolto, i suoi denti che martoriavano la mia pelle bollente, le mani che si appropriavano di quel seno meravigliosamente caldo, tenero, invitante.

Mia.

La sentii sospirare il mio nome, le unghie che, immerse nella mia carne, penetravano nella schiena.

Non mi trattenni, non ne ero più fisicamente capace; nella mia mente si avvicendavano profumi e sensazioni, sapori e piacere che si mischiavano al pulsante desiderio che urlava ormai per essere ascoltato.

E mi spinsi dentro di lei con forza, possessivo, avvertendo il bruciore dei suoi graffi fondersi al piacere, il suo ventre contrarsi alle mie spinte intense e meravigliosamente profonde, i suoi gemiti riempirmi la mente.

Mia.

Non ragionavo più, non capivo più. Per me c’era solo quella gola, quella pelle, quelle labbra travolte dalla mia lingua possessiva in un bacio che di casto non aveva proprio nulla.

Mia.

L’acqua sferzava il suo viso, le mie spalle, le sue mani ed io ero dentro di lei, sentivo il suo piacere crescere e sconvolgerla a ogni affondo sempre di più; per me c’era solo e solamente lei, il suo corpo – e il desiderio, che esplodeva violento e distruttivo nel mio sangue e nel suo.

Mia.

La serrai contro le mattonelle ormai bollenti, fredde al confronto della pelle che scorreva perfetta sotto le mie mani esigenti; e la baciai ancora, ancora e ancora, i suoi capelli bagnati che mi scorrevano fra le dita, il suo volto fra le mani, il mio nome in un gemito fra quelle labbra perfette.

Mia.

E poi affogai nel suo sapore, riempiendo il suo corpo di me e la mia mente di lei.

.


.

-Mmm… caffè.-

-Bravo. E questo?-

-Fragola?-

-Esatto.-

Sorrisi, negli occhi soltanto buio pesto, la presenza calda e concreta di Ray accomodata cavalcioni sul mio ventre; sentivo il suo corpo a contatto col mio, avvertivo la stoffa della camicia che aveva indossato sfiorarmi la pelle.

Le sue dita soffici si posarono ancora una volta sulle mie labbra, un sapore nuovamente diverso che si mischiava al suo.

Mi presi un istante per riconoscere il gusto sulla sua pelle; era qualcosa che non riuscivo a non associare a lei, che mi ricordava nitidamente voraci segni rossi su una pelle candida.

Il mio sorriso si trasformò in un sogghigno, quando chiusi con delicatezza il suo polso fra indice e pollice; percorsi le sue braccia in punta di dita, risalendo il suo corpo senza tralasciarne nemmeno un millimetro, sentendola morbida e docile al mio tocco.

Raggiunsi la gola sentendola riempirsi di pelle d’oca, immersi le dita in quei riccioli ancora umidi: e la trassi con dolcezza a me, baciando quelle labbra soffici e dolci che sapevano esattamente di panna.

Fu un bacio lungo e intenso, caldo, denso della particolare sensazione d’intontimento che si prova dopo l’amore; sfilai la cravatta che mi oscurava gli occhi, separandomi da lei con un mezzo ghigno soddisfatto sul volto.

-Ray.- sussurrai, sicuro, ed i suoi occhioni immensi e luminosi mi sorrisero con malizia, divertiti.

-Veramente era panna, ma va beh…- ridacchiò, posando la vaschetta da gelato ormai vuota sul comodino, premendo le mani fresche sul mio torace e spingendomi con dolcezza sul letto, accoccolandovisi soddisfatta dopo un istante.

I capelli le ricadevano in cascate di boccoli biondi intorno al viso, ancora umidi dopo la doccia; la camicia nerissima che aveva indossato contrastava magnificamente con la sua pelle candida, con le iridi celesti che mi guardavano con dolcezza, i lineamenti distesi e sorridenti come non mai.

Era un poco scarmigliata, arruffata, serena; ed era, semplicemente, stupenda.

-Tu sai di panna.- sottolineai, accarezzando quei capelli biondi in un tocco leggero, sfiorando non del tutto casualmente l’incavo ipersensibile dietro l’orecchio sinistro; socchiuse pigramente gli occhi, mugolando come una micia, nascondendo fra le braccia il viso e strusciando il nasino sul mio torace.

Sorrisi, quando in una scia di piccoli baci raggiunse la mia gola, lasciandosi morbidamente scivolare al mio fianco e permettendomi di voltarmi verso di lei, il respiro che si unì al mio quando la trassi contro di me e la intrappolai nel mio abbraccio.

-Sei mia.- sussurrai, guardandola penetrante negli occhi – quegli occhi accesi e bellissimi come non pensavo di averli mai visti prima d’allora.

Allacciai le mani sulla sua schiena, insinuandomi sotto la stoffa della camicia e accarezzando quella pelle vellutata, morbida.

-Sei soltanto mia.- riconfermai, baciandola sulla punta del nasino, godendo del suo sorriso.

Annuì convinta, bella come non mai, accarezzandomi una guancia e giocherellando con i miei capelli lunghi con aria assorta, pensierosa. La baciai sul polso quando la distinsi attorcigliarsi una ciocca sulle dita, strappandole una risata dolce e cristallina.

-Ti amo, sì. Tanto.- mormorò, piano, gli occhi che tornavano repentinamente nei miei. Vividi, splendenti, antichi di migliaia di anni; Ray era la mia dea dimenticata, la bellissima creatura che avevo il privilegio di stringere fra le braccia.

Era la seconda volta che la sentivo pronunciare quelle due parole che tanto potevano significare; e, per la seconda volta, sentii il cuore accelerare violentemente nel mio petto, minacciando di fracassare qualche costola nella folle corsa in cui si era lanciato.

Sorrisi, sorrisi di un sorriso immenso e felice, accarezzandole una guancia e disegnando quelle labbra con il pollice, seguendone il profilo roseo e perfetto.

-Ti amo anch’io, mia principessa.- e il rossore che le colorò istantaneamente le guance fu la succosa ciliegina sulla torta, prima che il suo viso si nascondesse repentinamente nel mio collo, strappandomi una risata.

La definii principessa, in quel momento, per la prima volta da quando la conoscevo: Ray era la sconosciuta principessa di un luogo dimenticato, di un cuore che non poteva essere altro che il mio.

-Non è possibile, mi fai diventare fluorescente, non è giusto…- la sentii mugugnare, il corpo che si accostava al mio; immersi il volto nei suoi capelli, socchiudendo gli occhi e sentendola rilassarsi nel mio abbraccio.

-E’ giustissimo, invece. Sei uno spettacolo, quando arrossisci.- le feci notare, accarezzando in punta di dita la sua schiena e disegnando arabeschi immaginari sulla sua pelle.

Quell’intimità del tutto nuova era qualcosa di meraviglioso, di assolutamente perfetto; finalmente mi ero permesso di desiderarla appieno, di sentirla, di fare l’amore con lei come da troppo tempo sognavo di fare.

Averla lì con me nella penombra dorata della mia camera, fra le lenzuola di un bel broccato rosso, e sentirla sospirare felice fra le mie braccia… era perfetto.

Era semplicemente perfetto.

La sentii soffocare uno sbadiglio, le dita affusolate che cercavano le mie.

-Dormi, Ray.- sussurrai con dolcezza, posando un bacio sulla sua tempia ed allungando un braccio per abbassare l’interruttore della luce, lasciando che soltanto un flebile bagliore color ocra illuminasse fiocamente la camera.

Scosse debolmente la testa, testarda.

-Non voglio dormire. Voglio stare con te.- mormorò, assonnata, sfregandosi gli occhi come una bimba capricciosa.

Sorrisi, abbracciandola più saldamente e stringendola a me, la mente beatamente piena soltanto di lei.

-Sei con me, Ray. Sarai sempre con me; non ti lascerò andare via, è una promessa.- la rassicurai, chiudendo gli occhi nel profumo intenso di sapone e di shampoo dei suoi capelli.

E la sentii sorridere, un bacio che si posava delicato come una farfalla sulla mia gola e il silenzio che scendeva fragrante fra noi, rotto soltanto dal ticchettio della pioggia sulla finestra.

Era tutto perfetto, sì.

Non poteva esserlo più di così.

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My Space:
Buonasera darlings! Sì, avevo promesso di aggiornare prima Seven Gods, ma... insomma, questo capitolo era l'unico che avessi pronto, e ci tenevo a pubblicarlo ^^''''''
Allora! Finalmente ho infranto la regola del quinto capitolo :D
Un solo appunto: Will.
C'è un motivo per l'atteggiamento di Will, per la sparizione di Angel, per la discussione fra Ray e Will. Spiegherò tutto nel prossimo capitolo, una cui buona parte sarà incentrata proprio sul biondastro e Angie. Non abbiatecela con lui, c'è un motivo logico per tutto, è solo un ragazzo ferito ^^'
Spero che la scena lemon fra Ben e Ray vi sia piaciuta: il senso di confusione, di scatti, di irrealtà che prova Ben sono voluti, ve lo sottolineo per non farvi pensare che sia poco curata ^^' ci ho messo un mese a scriverla ^^'''''
Spero vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuto scriverla! :)
Alla prossima :)
B.
   
 
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