(Cogli l'attimo)
Quella
discussione lasciò molti più strascichi di quanto
avessi mai potuto pensare,
tanto in Ray quanto – soprattutto – in Angel.
La
mia piccoletta, il mattino dopo, si era comportata come sempre: era
stata dolce
con me, aveva sorriso alle mille scuse angosciate di Ray, ma non
l’avevo vista
con William; si era alzata per prima, svegliando noi due ancora
abbracciati sul
divano, prima di uscire da casa indossando i suoi inconfondibili abiti
da
cavallerizza.
Angel
ha sempre amato l’equitazione, la sensazione di
libertà che si può provare
soltanto sulla groppa di un cavallo; è la sua via di fuga,
il modo in cui fugge
dal mondo quando tutto diventa troppo pesante per essere sopportato.
L’atteggiamento
di Will le aveva fatto del male, l’aveva ferita
più profondamente di quanto
avessi potuto pensare; quello stesso pomeriggio era venuta da me e
avevamo
passato diverse ore a parlare, mentre Ray – dando prova di
aver detto la
verità, di non essere gelosa del rapporto fra me ed Angie
– aveva inventato una
qualche commissione da compiere ed era sparita per le vie di Londra.
La
mia bionda tenne il muso a William per giorni, rivolgendogli a malapena
la
parola quando lo incrociava nei corridoi dell’appartamento
che dividevano; fra
il lavoro e me, passò davvero poco tempo in casa nelle
settimane che seguirono,
scatenando una reazione a dir poco esagerata in quel solito irascibile
del mio
migliore amico.
Pian
piano le cose si sistemarono, tornando a una quieta
normalità che tutti quanti
agognavamo più di quanto potessi pensare; ma la vera
tempesta presto si sarebbe
abbattuta su tutti e quattro, perché soltanto io avevo
scorto una luce strana
nelle iridi azzurre di quello che non può essere definito
altrimenti che un imbecille.
-Ben,
mi togli una curiosità?-
Erano
passate diverse settimane da quella notte, rimasta ormai soltanto un
confuso
ricordo bagnato di pioggia; Ray ed io, stranamente, eravamo a casa di
William
mentre lui e Angie non c’erano, distesi sul suo letto e
abbracciati, i riccioli
dorati che mi oscuravano la vista.
Il
desiderio che provavo per lei non aveva fatto che accentuarsi, in quei
giorni;
sempre più a fatica riuscivo a nascondere il violento
languore che mi agitava
nel guardarla, gli occhi traditori che scendevano a disegnare avidi i
contorni
torniti del suo corpo.
Dopotutto,
sono un uomo anch’io; e come uomo sentivo il bisogno fisico
di amarla, di
prendere per me quelle curve invitanti che non riuscivo più
tanto facilmente ad
ignorare.
Avevo
deciso di aspettare, di aspettare sino a che Ray non si fosse sentita
pronta
per me; ma quell’attesa stava diventando snervante, e la mia
maledetta
immaginazione aveva reso insonne più di una notte nel
pensiero continuo di come
sarebbe stato fare l’amore con lei.
-Se
posso.- incuriosito, la guardai alzare gli occhi blu su di me,
guardandomi dal
basso verso l’alto, le guance appena più rosse e
un velo d’imbarazzo sulle
iridi chiare.
Era
ben stretta fra le mie braccia, i capelli che riempivano la mia visuale
e il
suo profumo che inebriava i miei sensi; faticavo davvero a mantenermi
concentrato, a mantenere il controllo su me stesso.
Davvero.
-Insomma…c’è
qualcosa che non va?- aggrottai appena le sopracciglia a quelle parole,
senza
capire a cosa si stesse riferendo.
C’era
qualcosa che non andava?
A
parte i freni tremendi che io stesso mi ero imposto nel mio
desiderio…
-Stiamo
insieme da due mesi, no?- sorrisi, nel sentirle pronunciare quelle
poche parole
che, per me, avevano un significato immenso.
Stiamo insieme.
Sì,
stavamo insieme. I primi due mesi
più
belli della mia vita.
-Direi
proprio di sì.- risposi, seguendola con lo sguardo mentre si
scostava appena da
me, stendendosi a pancia in giù al mio fianco e guardandomi
con una luce
splendida negli occhi, le labbra mordicchiate dai denti candidi.
-E
non hai mai… cioè.- arrossì ancor
più furiosamente, passandosi le dita bianche
fra i capelli. Mi alzai sui gomiti, avvicinandomi appena di
più a lei, una
lenta comprensione che si faceva strada nella mia mente.
-Non
ho mai…?- mormorai, piano, accostandomi a lei suadente come
un gatto.
Socchiuse
gli occhi quando immersi il viso nella sua gola, baciando la sua pelle
soffice
con delicatezza, suggendola come un frutto prelibato e irresistibile.
La
sentii rabbrividire, quando una scia di piccoli segni rossi comparve
sulla sua
carnagione candida; serrò il copriletto fra le dita,
reclinò appena indietro la
testa per permettermi di avere più spazio, per darmi la
possibilità di affogare
nel suo profumo fino a perdermici completamente.
-Non
ho mai fatto questo?- le chiesi, la voce arrochita dal desiderio che
sentivo
pulsare sempre più prepotentemente nel sangue.
Lasciai
scivolare un ginocchio fra le sue gambe tremanti; si schiusero subito
per me,
al mio tocco, concedendomi di avvicinarmi al suo corpo come mai avevo
osato
prima di quel momento.
Scesi
appena, il respiro che indugiava sulla scollatura quadrata della sua
maglietta,
accarezzando il solco di quel seno bianco che, in quel momento,
desideravo
sfiorare più d’ogni altra cosa.
Scostai
con delicatezza l’orlo della canottiera, posando il palmo
della mano sul suo
ventre soffice; bastò sentire i suoi muscoli contrarsi
repentinamente, il suo
corpo reagire a me, per mandarmi
completamente nel pallone.
-O
questo…?- aggiunsi, piano, alzando il viso per guardarla
negli occhi; ma le mie
dita agivano di volontà propria, scendendo a costeggiare
l’orlo dei
pantaloncini di jeans che indossava, provocandola apposta.
Ray
aprì gli occhi, respirando a fatica, incontrando sulla sua
strada il mio
sguardo oscurato dal desiderio.
-E-Esatto.-
riuscì a balbettare, annuendo, disorientata.
Era
la mia risposta, quella che vedevo brillare nei suoi occhi? Era quella
risposta
che aspettavo dalla prima sera in cui avevo incrociato il suo sguardo,
dalla
prima volta che l’avevo baciata?
Era
lì, bella come non mai, i capelli arruffati sparsi come
un’aureola intorno al
viso chiaro; le guance erano rosse, facevano venir voglia di mangiarla
tutta,
di baciarla, di amarla…
La
guardai come mai avevo fatto sino a quel momento, le sue dita che
sfioravano
delicate i miei capelli, la pelle che avvampava a contatto con la mia:
le sue
iridi erano piene di una luce del tutto nuova, una luce irresistibile,
languida, le labbra gonfie e bramose di baci.
Quelle
labbra… quelle labbra erano la mia droga personale, labbra
che mi chiamavano e
a cui non potevo resistere; nelle orecchie sentivo il sangue pulsare
dannatamente veloce, sotto le dita delineai la curva morbida
dell’anca di Ray, sulla
bocca sentivo il suo respiro mischiarsi al mio.
Non
ce la facevo più.
Non resistevo più.
E
cedetti al mio stesso istinto quando curvai il volto sul suo, bevendo
il suo
fiato accelerato prima di catturare in un solo attimo quella soffice
bocca
nella mia.
In
quel preciso momento, quando le mie labbra e le sue si toccarono,
entrambi
fummo consci di aver appena pronunciato quel sì
che i nostri corpi attendevano da fin troppo tempo.
La
percezione della sua morbida carne premuta sulla mia inondò
i miei sensi,
accendendo desideri che sapevo di non poter più controllare;
le sentii mancare
il fiato quando la baciai con forza, suggendo quella bocca dolce con
ingordigia, il mio torace che si premeva sul suo seno e le strappava a
forza
l’aria dai polmoni.
E
le mie mani risalirono finalmente decise lungo i suoi fianchi, portando
con sé
la canottiera e scoprendo l’invitante linea del fianco di
Ray, la carnagione
bianca e morbida, le costole e il bacino curvi sotto la pelle tesa e
liscia…
Il
nostro bacio si riempì di foga, le lingue che combattevano
una lotta senza
vinti, i sapori che si mischiavano l’un con
l’altro; sentii le dita rapide di
Ray insinuarsi fra la mia pelle e la stoffa della felpa, il tocco
bollente dei
suoi polpastrelli che disegnava le linee delle mie costole.
Il
desiderio pulsava tra il suo corpo e il mio, nel sangue che scorreva
prepotente
ad accendere un bisogno del tutto nuovo, il bisogno di aversi, di
possedersi,
di…
-Questa
sarebbe comunque casa mia.- sobbalzai di scatto, sorpreso, al suono
irato e
sarcastico di una voce che spezzò in un istante la passione
vibrante fra me e
lei.
Mi
separai immediatamente da Ray, vedendo la mia stessa espressione
– stravolta e
stupita – sul volto della mia bionda; ero in imbarazzo, in
imbarazzo senza un
vero motivo logico… dopotutto, non stavamo facendo niente di male. Non ancora.
Will
era là, sulla soglia della porta della stanza di Ray, le
braccia incrociate sul
petto muscoloso e gli occhi più cupi ed arrabbiati di quanto
non li avessi mai
visti.
Fissava
Ray con astio, astio reale e concreto, senza degnarmi nemmeno di uno
sguardo e
concentrandosi completamente sul volto di una ragazza che
già stava intuendo
cosa sarebbe successo entro pochi istanti.
-In
questa camera, se non erro, ci vivo io.- mi voltai per osservarla,
sorpreso:
Ray sosteneva gli occhi furibondi di Will con pacata cautela, una luce
pericolosa in fondo al blu delle iridi.
-Questo
non vi autorizza a farci sesso, se non sbaglio.-
Fu
quella rispostaccia, quell’esclamazione velenosa di Will, a
scatenare tutto il
disastro che ne seguì.
Quasi
non vidi Ray alzarsi in piedi, tanto fu rapida; seppi soltanto
scorgere, in
quegli occhi che tanto amavo, una furia del tutto inedita –
una furia che non
avevo mai avuto l’occasione di vedere, di analizzare e di rispettare.
-Che
cosa c’è, Will? Sei nervoso?- la sentii
sussurrare, la voce pericolosamente
bassa e suadente.
-Perché,
te ne frega qualcosa?- replicò lui, caustico, i muscoli del
volto contratti in
una smorfia di palese rabbia.
Mai
mi sono sentito di troppo come in quell’occasione; Will e Ray
si fronteggiavano
a poco più di un metro e mezzo di distanza, l’uno
chiuso e venefico mentre
l’altra ritta in piedi, i pugni serrati e le labbra strette.
Mi
ero alzato anch’io, ma quando provai a dire qualcosa Ray mi
bloccò sul nascere;
le bastò alzare di scatto una mano, senza nemmeno voltarsi a
guardarmi.
-Ben,
magari ti raggiungo più tardi.- mi disse, gli occhi blu
inchiodati in quelli
celesti di Will.
Per
un istante rimasi immobile, assorbendo il significato delle sue parole:
mi
aveva chiesto non molto fra le righe di andarmene, di lasciare soli lei
e Will…
parte di me avrebbe voluto ubbidire all’istante e levare
elegantemente le
tende, ma, allo stesso tempo, non volevo lasciarla alle prese con un
William
assolutamente imbufalito.
-Ben,
per favore.- avvertii una nota di urgenza, nella sua voce; continuava a
fissare
Will, e prima di me si era accorta dell’insofferenza del
biondo nei miei
confronti.
Cos’altro
avrei dovuto fare?
Mi
fidavo di Ray, sapevo che non mi avrebbe allontanato senza un motivo
concreto e
reale: e quindi le diedi retta, annuendo appena, allontanandomi da
quell’appartamento con una brutta sensazione nel cuore.
.
Non
seppi mai il motivo della repentina rabbia di William, di cosa lo
avesse spinto
a quella reazione; provai per due ore filate a chiamare Angel, sicuro
di
trovarla, sicuro di poter sapere qualcosa… e invece niente,
il cellulare era
spento e i suoi genitori mi riferirono della sua presenza in camera
sua,
sprangata ormai da ore.
Detestavo
non capire, non sapere: percorsi l’intero isolato intorno a
casa mia per tre
volte di fila, troppo ansioso e inquieto per restare fra quattro mura
ad
aspettare notizie; non mi era piaciuto vedere Will e Ray tanto furiosi
l’uno
con l’altra, proprio loro, che tanto erano legati…
Rientrai
soltanto quando iniziò a piovere, una pioggia scrosciante
che annunciava
l’ennesimo, violento temporale estivo su Londra.
Ray
non mi aveva fatto sapere nulla, non sapevo nulla di come e cosa stesse
succedendo; potevo solo rodermi il fegato dall’ansia e dalla
preoccupazione,
maledicendomi per averle dato retta, per non essere rimasto al suo
fianco.
Fu
soltanto verso le dieci di sera che seppi qualcosa, che potei
sincerarmi di
sapere Ray in un posto sicuro: con me.
Fu
un sollievo, infatti, sentire il campanello suonare e ritrovarla sulla
soglia
di casa mia, bagnata come un pulcino e con gli occhi arrossati, uno
zaino in
spalla e l’espressione più neutra ed enigmatica
che le avessi mai visto.
-Posso
passare la notte da te?- mi chiese, senza preamboli, con la voce
arrochita e
gli occhi lucidi e stanchi.
Sentii
qualcosa aggrovigliarsi nel mio stomaco – un misto di rabbia
e di
preoccupazione che si agitava furioso dentro di me, nel riconoscere sul
suo
volto dei tratti che avrei preferito non vedere.
Aveva
pianto.
-Ma
che domande sono? Entra, sei congelata.- risposi, allibito, guardandola
con una
domanda inespressa scritta in viso.
Che cosa era successo?
Che
cosa l’aveva costretta a piangere, che cosa aveva fatto Will
per ridurla in
quello stato?
La
fissai insistentemente, senza il coraggio di chiederle apertamente che
cosa
fosse capitato, cercando di carpire qualcosa dal suo volto
imperscrutabile; ma Ray
non alzò lo sguardo su di me, limitandosi a mormorare un grazie prima di entrare, abbandonando lo
zaino vicino alla porta e
sospirando, sfilandosi la felpa larga che indossava.
-Ray…?-
la chiamai, quando la vidi stringersi le braccia intorno al corpo, la
maglietta
chiara, bagnata, praticamente trasparente.
Presi
un lungo respiro, costringendomi a ignorare le linee scure del
reggiseno che
disegnavano la sua pelle altrimenti candida, le scapole magre, la spina
dorsale…
un tatuaggio che delineava la curva morbida della spalla, aprendosi
circolarmente sulla sua carnagione diafana.
Mi
permisi d’indugiare su quelle linee scure e marcate per
qualche istante di
troppo, sorpreso di scoprire sul suo corpo un dettaglio che non avevo
mai avuto
il piacere di scorgere completamente: Ray non amava indossare abiti
chiari, e
avevo soltanto distinto di sfuggita i tratti scuri di
quell’indelebile disegno.
L’intenso nero dell’inchiostro si attorcigliava sulla sua pelle, dipanandosi in una figura che riconobbi solo dopo qualche istante d’osservazione: una luna crescente riposava affilata sulla sua spalla, spezzata da tanti altri piccoli satelliti che si rincorrevano lungo il suo profilo ricurvo, rappresentando ogni fase del suo ciclo eterno.
Là,
al centro della mezzaluna, si ergeva fiera e maestosa una bellissima
lupa
stilizzata, gli occhi raffigurati socchiusi e l’espressione
lieve e dolce di
una regina d’altri tempi.
Quel
tatuaggio era meraviglioso, non avrei mai potuto pensare a nulla di
più adatto
a Ray, al suo stesso essere, al suo carattere.
-Ho
preso la metro, ma ho scordato l’ombrello.- la sentii
sussurrare, di spalle, i
capelli bagnati che scendevano ad attorcigliarsi in ciocche
più scure intorno
al suo viso in ombra.
Mi
avvicinai a lei, lentamente, quando la vidi tremare: il suo corpo mi
chiamava a
sé, m’incantava in una malia di strega che
suadente mi avvolgeva nelle sue spire,
attirandomi come una mosca golosa sul caldo e denso miele dorato.
Posai
le mani sulle sue spalle, stringendola a me con delicatezza, sentendo
il suo
corpo fremere impercettibilmente al mio tocco.
-Hai
discusso con Will, vero?- le chiesi, la voce bassa e dolce, avvertendo
i suoi
muscoli contrarsi al suono del nome di William.
Annuì,
lieve, chiudendo gli occhi e abbandonandosi finalmente contro di me,
permettendomi di avvicinarmi a lei; le passai un braccio intorno alla
vita
sottile, il palmo aperto della mia mano che lentamente aderiva al suo
ventre,
la sua gola che attirava – irresistibile – il mio
respiro.
Dio,
quanto la desideravo.
Socchiusi
gli occhi, riempiendomi la mente del suo profumo mischiato a quello
della
pioggia: freddo e caldo, gelo e fuoco, fusi in un’unica
creatura creata
soltanto per farmi impazzire.
Per
la prima volta, fra me e Ray c’era soltanto silenzio: un
silenzio assoluto, un
silenzio elettrico e denso di troppe parole non dette, di tutti i
desideri
celati.
C’era
il silenzio di ciò che era quasi successo qualche ora prima,
c’era il sapore di
quella pelle sotto i miei baci voraci, di quel corpo morbido che
s’inarcava al
mio tocco… c’era la consapevolezza di aver
già preso la decisione di
appartenersi, il desiderio che pulsava insopportabile fra noi,
spingendoci
l’uno contro l’altro in un magnetismo impossibile
da combattere.
Volevo fare l’amore
con lei.
Questo
sapevo, di questo ero certo, questo era l’unico pensiero che
pulsava nella mia
mente. Provavo il bisogno fisico di toccarla, di seguire le curve del
suo corpo
in punta di dita, di spogliarla di quegli abiti bagnati e di perdermi
in quel
calore che il suo corpo emanava in quel momento più che in
ogni altro…
L’odore
forte e inebriante della sua pelle mi colse alla sprovvista, quando
inspirai
profondamente, tentando di darmi una calmata: era la fragranza che
avevo
imparato ad amare, un profumo suadente che mi dava
l’acquolina in bocca, che mi
avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa,
con lei…
Non
riuscii a evitarmelo, non riuscii a trattenere il mio sguardo lascivo
dallo
scivolare lungo il suo corpo di spalle, quell’appetito che si
faceva sempre più
forte ad ogni istante che passavo lontano da lei: la sua pelle chiara e
umida
trasudava una sensualità che i miei occhi ciechi non avevano
mai colto, i suoi
fianchi torniti chiamavano le mie mani, il seno florido i miei
baci…
-Forse…
dovresti cambiarti.- fu una fatica immane costringere la mia voce a non
suonare
bassa, arrochita dal desiderio e dalla gola che pulsavano sempre
più
voracemente sotto la cintola, che formicolavano sulla mia bocca
affamata di
lei. -E fare una doccia calda…-
Solo
il pensiero del corpo nudo e flessuoso di Ray nella mia doccia mi diede
alla
testa, mi sconvolse più di quanto non avessi potuto
immaginare; mi scoprii a
fremere, le dita che indugiavano sulla spalla della mia ragazza,
tremando dal
desiderio di scendere a sfiorare lidi che non mi ero mai nemmeno il
permesso di
guardare da lontano.
Avevo
già dimenticato la discussione che aveva avuto con William,
del motivo per cui
era lì con me; per me, in quell’istante, esisteva
soltanto il suo profumo, la
sua pelle bagnata di pioggia.
-O
vuoi parlarne?- le chiesi, usando violenza su me stesso per porle
quella
domanda; non avevo mai avuto meno voglia o intenzione di parlare in
vita mia.
-No.-
La
voce di Ray mi parve terribilmente lontana, trasognata, figlia di un
sogno da
cui non volevo assolutamente svegliarmi; il suo corpo caldo era fra le
mie
braccia, sotto i palmi avvertivo il suo ventre contrarsi mentre le mie
dita
scorrevano sulla sua pelle e sfioravano l’orlo degli scuri
pantaloncini che
indossava.
Quell’istante
cristallino parve durare per un’eternità
assolutamente inaccettabile; il mio
respiro le accarezzava la gola, scendendo a sfiorarla là
dove io desideravo
ardentemente arrivare.
La
sentii sospirare, prima che repentinamente sciogliesse la stretta delle
mie
mani su di lei e si voltasse a guardarmi, intrecciando le dita alle mie.
E,
quando i suoi occhi s’incatenarono ai miei, seppi di essere
perduto.
Non
c’era ombra di dubbio nelle sue iridi, nessuna traccia di
paura o di
esitazione; il blu dei suoi occhi ardeva, ardeva di desiderio, gli
screzi grigi
brillavano di brama e sconvolgevano ogni cellula del mio essere,
lasciandomi
disarmato e impaziente dinanzi a ciò che – lo
realizzai soltanto in
quell’istante – volevamo entrambi.
Mi
lasciai trascinare lungo il corridoio, lungo le scale che portavano al
piano di
sopra, al bagno; nella penombra di casa mia il suo corpo spariva e
appariva
nell’oscurità della notte, il suono della pioggia
che ticchettava pressante sui
vetri, scandendo i battiti del mio desiderio.
Non
riuscivo a smettere di
guardarla, stregato dal suo
sguardo e dalle fiamme che ribollivano appena dietro il velo blu dei
suoi
occhi, sull’orlo delle sue labbra carnose, completamente
ammaliato dall’ardente
decisione che vibrava sotto la sua pelle bagnata.
Quasi non mi
accorsi di essermi lasciato condurre nell’ampia doccia che
troneggiava nel
bagno principale, quasi non sentii l’acqua calda bagnare
tanto me quanto lei,
il vapore confondere per un istante la mia vista e i miei sensi.
Per me c’era soltanto lei.
E, quando le sue
labbra incontrarono le mie, io non capii più nulla, la brama
che prendeva
bruscamente il sopravvento sul mio labile autocontrollo.
La baciai con
forza, intrecciando la lingua alla sua senza la minima esitazione; mi
rispose
con la stessa veemenza, strattonando lievemente i miei capelli per
tirarmi
ancor di più versi di lei.
Affogai nelle sue
labbra con violenza, senza risparmiarmi, appropriandomi di ogni
millimetro di
quel caldo antro che mi apparteneva – perché lei
era mia, solo e solamente mia.
Le mie mani corsero
fameliche sul suo corpo, scendendo dalle sue spalle e percorrendo le
curve
toniche dei suoi fianchi, appropriandomene e superando la barriera dei
suoi
abiti umidi nel tempo di un battito di ciglia.
Un brusco sospiro
le spezzò il fiato, quando le mie dita calde risalirono
possessive il suo
ventre, il nostro bacio che si spezzava per il tempo esatto di sfilarle
la
maglietta.
Aggredii nuovamente
quelle labbra saporite senza quasi darmi tempo di respirare, il seno
sodo
velato soltanto dal pizzo nero che premeva insistentemente sul mio
petto. La
sua bocca mi accolse con una violenza che sfociava
nell’esasperazione; sentivo
le sue mani risalire voraci il mio torace, slacciando veementemente i
bottoni
della mia camicia oramai fradicia.
L’acqua batteva sui
nostri corpi mai stati così vicini, le barriere degli abiti
e dei ripensamenti
che sparivano una dopo l’altra; eravamo soltanto noi due in
quel momento, Ray
ed io, noi e il desiderio che non voleva più saperne di
restare in catene.
Quel bacio si
spezzò quando entrambi avemmo bisogno di ossigeno, i respiri
affannati che si
mischiavano al suono scrosciante della doccia, il vapore che saliva
pigramente
verso l’alto ed annebbiava anche l’ultimo barlume
di raziocinio.
Lo sguardo di Ray
mi raggiunse ancora una volta, trafiggendomi come mai nessuna donna era
stata
in grado di fare: ed io vidi me stesso, riflesso in quegli specchi blu
mai
scorti tanto scuri prima d’allora.
Solo allora, la
concretezza di ciò che avevo intorno riprese forma e
materia; il mio udito
riprese a funzionare, riempiendosi del battito forsennato del mio cuore
e del
suono scrosciante della doccia in cui Ray mi aveva trascinato.
La mia vista si
godeva finalmente la vista del corpo tanto a lungo agognato di Ray,
avvinghiata
a me con la stessa possessività con cui avrei desiderato
averla, amarla; il
tatuaggio e l’intimo del medesimo colore spiccavano contro la
sua carnagione
chiara, gli shorts spariti chissà quando, i capelli biondi
che si
attorcigliavano fradici attorno al viso accaldato e stravolto.
Le sue labbra erano
gonfie e dischiuse, attendevano soltanto me, soltanto il mio bacio,
soltanto la
mia passione…
Furono ingordi, i
miei occhi, quando percorsero avidi quella pelle candida imperlata di
miriadi
di gocce trasparenti. Risalii e discesi le sue forme più
volte, costeggiando i
fianchi soffici, il ventre tonico fin su, sino alle costole, sino alle
ricche
curve del seno.
Tornai a guardarla
in volto nello stesso istante in cui mi accorsi delle sue dita abili
sul mio
ventre, della mia camicia scomparsa, del tocco provocante che
costeggiava i
miei jeans.
I suoi occhi mi
attendevano lì, d’un blu tanto scuro da sembrare
quasi nero; vibravano dello
stesso desiderio che pulsava nel mio sangue, di ciò che
sentivo sempre più
costretto oltre il bordo dei pantaloni scuri.
E, più lei mi
guardava in quel modo, più sentivo il sangue affluire
prepotente alla mia
eccitazione, destabilizzando quel poco di autocontrollo che ancora
possedevo.
E l’acqua bollente
scendeva ancora, in rivoli bollenti che accarezzavano quel corpo bianco
che
tanto desideravo, tracciando scie sulle mie spalle, sulla mia schiena.
Le sue iridi
perforanti non si spostarono nemmeno per un istante dalle mie,
lasciandomi
annegare in quel torbido oceano in tempesta quando le sue dita
slacciarono il
bottone che ancora ci divideva.
Rabbrividii, quando
sentii la zip abbassarsi con studiata lentezza – con troppa lentezza, per ciò
che ruggiva bramoso dentro di me.
Ogni suo gesto
pareva calcolato, ma le sue mani tremavano almeno quanto le mie; e,
nello
sguardo inchiodato nel mio, leggevo la medesima impazienza che mi stava
logorando dentro, che bruciava sempre più intensamente nelle
mie vene.
Il suo volto era a
un sospiro dal mio, le sue labbra erano bagnate e gonfie, il suo corpo
pareva
aspettare soltanto me.
Posso?, avrei voluto chiederle.
Sì., mi urlavano in silenzio
i suoi occhi, il fisico mezzo nudo che mi chiamava irresistibilmente a
sé.
E cedetti.
Cedetti a tutto,
colmando in un respiro la distanza fra le mie labbra e le sue,
lasciando che i
miei jeans sparissero insieme a quel poco che ancora ci vestiva.
Quando la trassi a me,
il suo corpo aderì perfettamente al mio, rivoli caldi che
scendevano a legarci
insieme, il calore del suo seno, del suo ventre, delle sue labbra che
bruciava
al contatto con me.
La sua lingua
danzava con la mia in un bacio che sapeva di brama, di possessione, di noi.
La sollevai e lei
si aggrappò a me, le dita immerse nei miei capelli bagnati,
la bocca che rubava
respiri inframmezzati dai baci.
La premetti fra il
mio petto e le mattonelle umide, il bisogno di averla che mi dava alla
testa,
che pulsava nel mio sangue annebbiando ogni altro pensiero che non
fosse lei.
E non ne potevo più
di aspettare, non riuscivo più a tollerare il bisogno che
provavo, l’amore che
ruggiva.
Mi spinsi fra le
sue cosce con decisione, spezzando il contatto fra le sue labbra e le
mie,
riempiendomi i polmoni di quell’aria calda e satura di
passione.
-Ben…- Ray schiuse
gli occhi, le iridi dense di lucida frustrazione, le guance arrossate e
le mani
serrate sulle mie spalle.
La fissai a lungo,
il respiro corto quanto il suo, carbone e ghiaccio che si trovavano e
si
mischiavano, sciogliendosi nell’acqua bollente che
accarezzava densa i nostri
corpi ancora intollerabilmente divisi.
E non smisi un istante di guardarla, l’eccitazione sempre più pressante, mentre le sue cosce si stringevano alla mia vita e il suo ventre mi accoglieva morbidamente dentro di lei.
Ero dentro di lei.
La consapevolezza
esplose con violenza nella mia mente, nel mio corpo, ribollendo e
bruciando
come un vulcano in eruzione.
Ero
dentro di lei.
Era il suo corpo
che ora si adattava gradualmente a me, alla mia durezza pulsante e
terribilmente insopportabile, i muscoli che si contraevano e si
rilassavano in
quell’incastro perfetto.
Era Ray
a tremare fra le mie braccia, le
gambe serrate con forza attorno al mio bacino – spingendomi a
penetrarla di
più, ad averla più a fondo, a renderla ancora
più…
Mia.
La strinsi con
forza, serrando le mani sulle sue natiche, abbassando il capo sotto la
violenta
consapevolezza che bruciava nella mia carne.
Ray
era mia.
L’incavo della sua
spalla accolse il mio volto stravolto, i suoi denti che martoriavano la
mia
pelle bollente, le mani che si appropriavano di quel seno
meravigliosamente caldo,
tenero, invitante.
Mia.
La sentii sospirare il mio nome, le unghie che, immerse nella mia carne, penetravano nella schiena.
Non
mi trattenni, non ne ero più fisicamente capace; nella mia
mente si
avvicendavano profumi e sensazioni, sapori e piacere che si mischiavano
al
pulsante desiderio che urlava ormai per essere ascoltato.
E
mi spinsi dentro di lei con forza, possessivo, avvertendo il bruciore
dei suoi
graffi fondersi al piacere, il suo ventre contrarsi alle mie spinte
intense e
meravigliosamente profonde, i suoi gemiti riempirmi la mente.
Mia.
Non
ragionavo più, non capivo più. Per me
c’era solo quella gola, quella pelle,
quelle labbra travolte dalla mia lingua possessiva in un bacio che di
casto non
aveva proprio nulla.
Mia.
L’acqua
sferzava il suo viso, le mie spalle, le sue mani ed io ero dentro di
lei,
sentivo il suo piacere crescere e sconvolgerla a ogni affondo sempre di
più;
per me c’era solo e solamente lei,
il
suo corpo – e il desiderio, che esplodeva violento e
distruttivo nel mio sangue
e nel suo.
Mia.
La
serrai contro le mattonelle ormai bollenti, fredde al confronto della
pelle che
scorreva perfetta sotto le mie mani esigenti; e la baciai ancora,
ancora e
ancora, i suoi capelli bagnati che mi scorrevano fra le dita, il suo
volto fra
le mani, il mio nome in un gemito fra quelle labbra perfette.
Mia.
E
poi affogai nel suo sapore, riempiendo il suo corpo di me e la mia
mente di
lei.
-Mmm…
caffè.-
-Bravo.
E questo?-
-Fragola?-
-Esatto.-
Sorrisi,
negli occhi soltanto buio pesto, la presenza calda e concreta di Ray
accomodata
cavalcioni sul mio ventre; sentivo il suo corpo a contatto col mio,
avvertivo la
stoffa della camicia che aveva indossato sfiorarmi la pelle.
Le
sue dita soffici si posarono ancora una volta sulle mie labbra, un
sapore nuovamente
diverso che si mischiava al suo.
Mi
presi un istante per riconoscere il gusto sulla sua pelle; era qualcosa
che non
riuscivo a non associare a lei, che mi ricordava nitidamente voraci
segni rossi
su una pelle candida.
Il
mio sorriso si trasformò in un sogghigno, quando chiusi con
delicatezza il suo
polso fra indice e pollice; percorsi le sue braccia in punta di dita,
risalendo
il suo corpo senza tralasciarne nemmeno un millimetro, sentendola
morbida e
docile al mio tocco.
Raggiunsi
la gola sentendola riempirsi di pelle d’oca, immersi le dita
in quei riccioli
ancora umidi: e la trassi con dolcezza a me, baciando quelle labbra
soffici e
dolci che sapevano esattamente di panna.
Fu
un bacio lungo e intenso, caldo, denso della particolare sensazione
d’intontimento
che si prova dopo l’amore; sfilai la cravatta che mi oscurava
gli occhi,
separandomi da lei con un mezzo ghigno soddisfatto sul volto.
-Ray.-
sussurrai, sicuro, ed i suoi occhioni immensi e luminosi mi sorrisero
con
malizia, divertiti.
-Veramente
era panna, ma va beh…- ridacchiò, posando la
vaschetta da gelato ormai vuota sul
comodino, premendo le mani fresche sul mio torace e spingendomi con
dolcezza
sul letto, accoccolandovisi soddisfatta dopo un istante.
I
capelli le ricadevano in cascate di boccoli biondi intorno al viso,
ancora
umidi dopo la doccia; la camicia nerissima che aveva indossato
contrastava
magnificamente con la sua pelle candida, con le iridi celesti che mi
guardavano
con dolcezza, i lineamenti distesi e sorridenti come non mai.
Era
un poco scarmigliata, arruffata, serena; ed era, semplicemente,
stupenda.
-Tu sai di panna.- sottolineai,
accarezzando quei capelli biondi in un tocco leggero, sfiorando non del
tutto
casualmente l’incavo ipersensibile dietro
l’orecchio sinistro; socchiuse
pigramente gli occhi, mugolando come una micia, nascondendo fra le
braccia il
viso e strusciando il nasino sul mio torace.
Sorrisi,
quando in una scia di piccoli baci raggiunse la mia gola, lasciandosi
morbidamente scivolare al mio fianco e permettendomi di voltarmi verso
di lei,
il respiro che si unì al mio quando la trassi contro di me e
la intrappolai nel
mio abbraccio.
-Sei
mia.- sussurrai, guardandola penetrante negli occhi – quegli
occhi accesi e
bellissimi come non pensavo di averli mai visti prima
d’allora.
Allacciai
le mani sulla sua schiena, insinuandomi sotto la stoffa della camicia e
accarezzando quella pelle vellutata, morbida.
-Sei
soltanto mia.- riconfermai, baciandola sulla punta del nasino, godendo
del suo
sorriso.
Annuì
convinta, bella come non mai, accarezzandomi una guancia e
giocherellando con i
miei capelli lunghi con aria assorta, pensierosa. La baciai sul polso
quando la
distinsi attorcigliarsi una ciocca sulle dita, strappandole una risata
dolce e
cristallina.
-Ti
amo, sì. Tanto.- mormorò, piano, gli occhi che
tornavano repentinamente nei
miei. Vividi, splendenti, antichi di migliaia di anni; Ray era la mia
dea
dimenticata, la bellissima creatura che avevo il privilegio di
stringere fra le
braccia.
Era
la seconda volta che la sentivo pronunciare quelle due parole che tanto
potevano significare; e, per la seconda volta, sentii il cuore
accelerare
violentemente nel mio petto, minacciando di fracassare qualche costola
nella
folle corsa in cui si era lanciato.
Sorrisi,
sorrisi di un sorriso immenso e felice,
accarezzandole una guancia e disegnando quelle labbra con il pollice,
seguendone
il profilo roseo e perfetto.
-Ti
amo anch’io, mia principessa.- e il rossore che le
colorò istantaneamente le
guance fu la succosa ciliegina sulla torta, prima che il suo viso si
nascondesse repentinamente nel mio collo, strappandomi una risata.
La
definii principessa, in quel momento, per la prima volta da quando la
conoscevo: Ray era la sconosciuta principessa di un luogo dimenticato,
di un
cuore che non poteva essere altro che il mio.
-Non
è possibile, mi fai diventare fluorescente, non è
giusto…- la sentii mugugnare,
il corpo che si accostava al mio; immersi il volto nei suoi capelli,
socchiudendo
gli occhi e sentendola rilassarsi nel mio abbraccio.
-E’
giustissimo, invece. Sei uno spettacolo, quando arrossisci.- le feci
notare,
accarezzando in punta di dita la sua schiena e disegnando arabeschi
immaginari
sulla sua pelle.
Quell’intimità
del tutto nuova era qualcosa di meraviglioso, di assolutamente
perfetto;
finalmente mi ero permesso di desiderarla appieno, di sentirla,
di fare l’amore con lei come da troppo tempo sognavo di
fare.
Averla
lì con me nella penombra dorata della mia camera, fra le
lenzuola di un bel
broccato rosso, e sentirla sospirare felice fra le mie
braccia… era perfetto.
Era
semplicemente perfetto.
La
sentii soffocare uno sbadiglio, le dita affusolate che cercavano le mie.
-Dormi,
Ray.- sussurrai con dolcezza, posando un bacio sulla sua tempia ed
allungando
un braccio per abbassare l’interruttore della luce, lasciando
che soltanto un
flebile bagliore color ocra illuminasse fiocamente la camera.
Scosse
debolmente la testa, testarda.
-Non
voglio dormire. Voglio stare con te.- mormorò, assonnata,
sfregandosi gli occhi
come una bimba capricciosa.
Sorrisi,
abbracciandola più saldamente e stringendola a me, la mente
beatamente piena
soltanto di lei.
-Sei
con me, Ray. Sarai sempre con me; non ti lascerò andare via,
è una promessa.-
la rassicurai, chiudendo gli occhi nel profumo intenso di sapone e di
shampoo
dei suoi capelli.
E
la sentii sorridere, un bacio che si posava delicato come una farfalla
sulla
mia gola e il silenzio che scendeva fragrante fra noi, rotto soltanto
dal
ticchettio della pioggia sulla finestra.
Era
tutto perfetto, sì.
Non poteva esserlo più
di così.
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My Space:
Buonasera darlings! Sì, avevo promesso di aggiornare prima Seven Gods, ma... insomma, questo capitolo era l'unico che avessi pronto, e ci tenevo a pubblicarlo ^^''''''
Allora! Finalmente ho infranto la regola del quinto capitolo :D
Un solo appunto: Will.
C'è un motivo per l'atteggiamento di Will, per la sparizione di Angel, per la discussione fra Ray e Will. Spiegherò tutto nel prossimo capitolo, una cui buona parte sarà incentrata proprio sul biondastro e Angie. Non abbiatecela con lui, c'è un motivo logico per tutto, è solo un ragazzo ferito ^^'
Spero che la scena lemon fra Ben e Ray vi sia piaciuta: il senso di confusione, di scatti, di irrealtà che prova Ben sono voluti, ve lo sottolineo per non farvi pensare che sia poco curata ^^' ci ho messo un mese a scriverla ^^'''''
Spero vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuto scriverla! :)
Alla prossima :)
B.