E' una cosina piuttosto corta rispetto alle altre cose che ho scritto, ma spero di aver fatto un lavoro decente XD
Non so di preciso come mi sia venuta, ma sfogliavo i primi numeri l' altro giorno e...boh, niente. Miroku è un personaggio che adoro, potrei dire che è il mio preferito. Ho voluto lasciare da parte il suo continuo atteggiamento da dongiovanni a favore di un suo lato un po' più maturo, che ha ma che non mostra abbastanza spesso XD
D on't wanna close my eyes...
Il
cielo quella notte era nero come mai era stato. Le nubi spesse e scure
gravavano sul villaggio, gravide di pioggia e di freddo, come in attesa
del momento migliore per scagliare il loro minaccioso carico. Per le
strade l' unico rumore era quello del vento che sferzava gli alberi, ne
spezzava i rami e ne trasportava lontano le foglie, unito alle
imprecazioni degli ultimi contadini che si affrettavano a portare i
cavalli e gli altri animali al sicuro nelle stalle. Quando anche l'
ultimo chiuse dietro di sé le porte del granaio, la natura
rimase la sola a rompere il gelido silenzio che permeava la notte.
La casa del capo villaggio non faceva eccezione. Tutti erano stesi nei
propri letti, dai padroni a i servi. Solo una guardia solitaria stava
immobile di vedetta sul tetto, in attesa di nemici che non sarebbero
arrivati. Placida calma prima di un temporale, che sarebbe passato
così come tanti erano passati prima. Ma non per tutti. Non
per lui.
La stanza in cui si trovava era ampia e ber aerata, eppure gli sembrava
di soffocare avvolto in quella coperta. Caldo, aveva caldo. Tutto il
suo corpo bruciava di quel veleno di cui si era imprudentemente
riempito. Il sudore gli colava sulla fronte, lungo il collo, sul petto
ansante, ora bollente ora gelido. Gli scivolava addosso come un
serpente fatto di ghiaccio, insinuandosi tra i vestiti, graffiandogli i
muscoli tesi e contratti. Una nuova scarica di dolore gli fece tremare
i nervi.
Miroku si morse nuovamente le labbra, ormai prossime a spaccarsi,
cercando di trattenere i gemiti di dolore che gli salivano alla gola
sempre più insistenti e, contemporaneamente, cercando di
riempirsi i polmoni di un' aria che sembrava sempre più
rarefatta e stagnante.
Respirava veleno, ingoiava lava e piombo, tutto faceva male. Ogni
minimo movimento sembrava strappargli un arto o un' altra parte del suo
corpo. I bendaggi fasciavano stretti il suo braccio sinistro, ferito di
striscio da uno degli spettri che aveva affrontato, ma era dentro di
sé che soffriva, era dentro di sé che sentiva l'
inferno.
L' inferno. Naraku e i suoi insetti, un paragone perfetto che vestiva
il mezzo-spettro meglio della pelliccia candida dietro alla quale si
nascondeva. Aveva teso loro l' ennesima trappola, per l' ennesima volta
InuYasha aveva estratto la tessaiga e si era lanciato nel
combattimento, trucidando l' esercito di turno, loro tre più
Shippo al suo seguito.
Lo sapeva, l' aveva sempre saputo che dove c' era Naraku c' erano i
Saimyosho e sempre aveva impedito che il suo Foro del vento ne
assorbisse il miasma. Ma anche lui era umano. E lo spettro lo aveva
vinto. Per proteggere Kagome e Sango aveva risucchiato quel nugolo di
spettri, incurante delle gigantesche vespe che si muovevano con essi.
Erano entrate nella sua mano e con loro era entrato il veleno. Non c'
era stato tempo per pensare alle conseguenze, aveva dovuto agire per
salvare le ragazze. E non se ne pentiva. Ma Naraku, che fosse stato
maledetto! Miroku aveva contato ogni giorno, ogni singolo attimo che
viveva con la consapevolezza di avere il tempo contato, di dover
contemplare l' idea di una morte prematura. Aveva contato,
perchè il demone potesse pagare ogni singolo minuto che
aveva portato via a suo nonno, a suo padre e a lui. Ma ora, in quel
letto, affrontava di nuovo la realtà della sua sconfitta;
un' altra tacca sulla scala delle vittorie di Naraku, nessuna sulla
sua. Ora si rendeva conto che la sua maledizione era il Foro del vento,
che un giorno lo avrebbe risucchiato, ma anche che di modi per morire
ce ne erano tanti.
C' era stato un tempo, prima che il suo destino si incrociasse con
quello di InuYasha e Kagome, in cui un pensiero simile non avrebbe
gravato sul suo animo più di tanto. Era stato arrabbiato,
Miroku, e mai aveva smesso di esserlo, ma crescendo e diventando un
uomo aveva dovuto accettare l' idea che la sua vita sarebbe stata
breve. Se ne era sempre preoccupato il meno possibile, annegando i suoi
timori in sakè e belle ragazze, godendo al massimo del
minimo che aveva.
Avrebbe voluto essere della stessa opinione in quel momento. Avrebbe
voluto accettare le fitte lancinanti, le scosse di dolore mandate dal
veleno che gli attaccava i nervi, come un dono di Buddha e abbandonarsi
al suo ultimo sonno, senza doversi preoccupare di lasciare nessuno che
avrebbe potuto piangere per lui, forse all' infuori del suo maestro.
Voleva tornare ad essere il Miroku di qualche mese prima e smettere di
provare quel macerato terrore che gli procurava l' idea di trapassare.
Perchè lo sapeva che prima o poi la sua ora sarebbe giunta,
che differenza faceva qualche anno?
Si poneva insistentemente quelle domande, eppure lo sapeva
perfettamente il motivo. Quella sofferenza corporale non era nulla, non
era il vero problema, perchè in tanti anni lui al dolore
fisico si era abituato. Aveva passato anni della sua vita a subire e
leccarsi ferite, così come l’enorme marchio che
gli squarciava il palmo testimoniava, assieme a segni e cicatrici
disseminati sulla sua pelle. Era un dolore differente quello che pativa
ora, un dolore che nasceva dal petto e si diramava in tutto il corpo
dall’interno, come il puro veleno che gli scorreva nelle
vene; era qualcosa che gli si artigliava ferocemente al cuore nello
spietato tentativo di strapparglielo dal corpo. Stava
soffrendo per qualcun altro. Per qualcuno che non era lui stesso. Era
una sensazione nuova, un dolore diverso, e lui non sapeva cosa fare. Si
sentiva perso, disorientato, impotente, e soprattutto, tormentato nel
profondo. E tra i deliri della febbre quelle sensazioni sembravano
centuplicate, nel costante pulsare delle sue tempie rimbalzava costante
quella voce che cercava di attirarlo a sé e che lo
spaventava come un bimbo con il buio.
"San...go" quel nome, quella parola così corta
uscì dalla sua bocca come un suono raschiante e basso
causato dalla gola arida: "San...go" ripeté alle tenebre, le
uniche che potessero udire i suoi vaneggiamenti. La stanza che la
cacciatrice di spettri divideva con Kagome era poco lontana, ma un
suono così lieve non sarebbe giunto alle sue orecchie. Il
pensiero fece salire agli occhi del monaco lacrime che mai avrebbe
pensato di versare.
Vieni con me, ora.
sussurrò la voce nella sua mente. Scosse la testa per
scacciarla, ma ottenne solo un ulteriore fitta. Non voleva andare, non
voleva chiudere gli occhi. Voleva lei.
"Sango..."
Sango, Sango. Quel nome ormai sembrava l' unica cosa che lo teneva
saldamente ancorato a quel mondo, l' unica cosa che lottava contro le
voci incantatrici che invece cercavano di trascinarlo via. Salvami, Sango. Salvami.
Non erano le braccia della morte quelle in cui voleva sentirsi
stringere, non era la morbidezza di un cuscino quella che voleva sul
viso, non era la coperta che le sue mani volevano stringere.
Non adesso, ancora qualche mese, qualche giorno. Qualche ora.
Perché capiva quelle cose in punto di morte? Era anche
quello uno scherzo di Naraku? L’ ultima beffa,
affinché con dolore potesse anche morire? Altre lacrime gli
rigarono il volto, o forse erano sempre le stesse di prima che
rimanevano sospese sulle sue guance. Sempre lo stesso era il veleno,
sempre le stesse le lacrime.
Sempre lo stesso il nome.
“Sango…!” un gemito, più
forte. L’ ultimo.
Prima del nulla.
Muoio.
L’ acquazzone preannunciato si rovesciò sui campi
e sulle case, irrigò i prati e rese le strade impraticabili
ammassi di fango.
Non seppe dire quanto tempo trascorse.
L’ odore di terra e di pioggia invase le sue narici,
l’ abbaiare di un cane selvatico sorpreso all’
aperto dal temporale arrivò alle sue orecchie come un suono
ovattato e indistinto.
Sono morto.
Una mano lo afferrò, e fu l’ ultima cosa che i
suoi sensi avvertirono. Una mano delicata, dalla pelle morbida che
intrecciò le proprie dita alle sue. Un’ altra si
aggiunse per stringere la sua mano in un dolce abraccio.
Miroku girò il viso. Erano davvero dolci, gli spettri della
morte, e a quanto pareva si mostravano con un volto familiare. I suoi
occhi velati si illuminarono e le sue labbra si piegarono in un debole
sorriso. Il dolore sembrò scemare tutto d’ un
colpo, come se ogni goccia di veleno se ne fosse andata, lavata via
dalla pioggia.
Il calore nel suo petto non bruciava più. C' era solo quel
volto, solo lei.
“Sei bellissima…”
Miroku non sapeva che gli spettri della morte potessero arrossire. La
sua ora forse non era ancora giunta, perché l’
apparizione, rossa in volto, lasciò la sua mano e corse via
con la stessa velocità con cui era apparsa. Dietro di
sé lasciò solamente il miagolio di quello che
sembrava un gatto.
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La fine è LOL.
Penso che andrò a meditare sulle mie azioni su un cucuzzolo del monte Hakurei *upuntinousenzaaccento*