Evenstar
La
foresta è tranquilla, colma di serena accettazione di
qualcosa che sta per
accadere. Gli animali hanno chinato le orecchie e la testa, i torrenti
abbassano la voce, insinuando nella terra il loro canto che ora sa di
tragedia.
È un requiem, quello che sussurrano al vento? Sì,
e la foresta lo sa.
Qualcosa
di triste sta per accadere, qualcosa che scuote la terra di atroce
accettazione. Finanche gli alberi piegano gli arbusti, come in
religioso
rispetto di ciò che è finalmente alle porte.
Ma
qualcosa spezza il silenzio giudicatore della foresta. Un ansimo. Un
rozzo
scalpiccio di piedi umani. Qualcuno corre tra gli alberi piangenti,
seguendo la
scia luminosa che il suo stesso cuore gli indica. Non può
perderlo. Non vuole
lasciarlo andare. Non deve andare via.
Aragorn
accelera, scivola tra gli arbusti con la grazia del ramingo che
è in lui.
Niente è rimasto del re di Gondor che era: quella parte di
se, l’ha abbandonata
ai confini di Bosco Atro.
Un
dolore pulsante al petto lo scuote, ed è con dolorosa
certezza che l’Uomo
comprende a cosa sia legata quella sofferenza. Una stella si sta
spegnendo. Ma
cosa succede, se l’astro in via d’estinzione
è in realtà tuo unico e solo punto
luce in una perpetua notte di bruciante oscurità? Aragorn ha
paura del buio, e
come un bambino, si rifiuta di abbandonare la sua stella di salvezza.
Un
ultimo passo, un ultimo sforzo per raggiungere la radura ove anche il
più
grande e bello degli déi sarà costretto a
coprirsi il volto. In vita sua,
Aragorn non ha mai visto niente di più triste e meraviglioso
della visione che
gli sta ora innanzi.
Una
cerchia d’alberi silenziosi circonda un piccolo spazio erboso
e, al centro di
quest’ultimo, si innalza greve un salice piangente dalle
foglie d’argento puro.
Ai suoi piedi, è posata la stella più bella che
il cielo abbia avuto la
sfortuna di lasciar cadere. Ma, come un fiore in balia del freddo
inverno appassisce
e perde i petali, così anche la stella ha quasi estinto la
sua luce di calda
speranza. È fredda, adesso. Non riscalda più.
Aragorn
si avvicina con passo esitante, poggiando i piedi su quel terreno
intriso di
tristezza. È suolo sacro, quello. È suolo ferito
da implacabili percosse, che
ora si manifestano nella creatura distesa ai piedi del salice, padre di
tutti
gli alberi.
Una
figura snella, aggraziata, sottile come un petalo di rosa bianca.
Lunghi fili
di luce dorata scivolano sinuosi su spalle immobili, coperte da una
raffinata
casacca perlacea, e un volto delicato si piega di grazia verso
l’Uomo immobile.
I tratti sono fini, dipinti da un pittore esperto, che tuttavia solo
una volta
ha potuto imprimere su tela la sua più grande opera
d’arte. Solo due orecchie a
punta rivelano il mistero della natura di quell’angelo
silenzioso e gentile,
come solo un elfo sa essere. Un pantalone argenteo fascia le gambe
leggermente
piegate, e gli occhi sono chiusi in un’espressione quasi
addolorata, che spezza
di dolore l’incanto di quella visione.
Aragorn
vede morire la liquida lucentezza che emana dalla pelle
dell’elfo, sente la sua
anima di cristallo sgretolarsi pezzo dopo pezzo. E soffre anche lui per
questo.
È colpa sua, soltanto sua. Lo ha rifiutato senza pensarci.
Sapeva che il dolore
sa essere letale per gli elfi, ma la ragione non gliel’aveva
suggerito. Ha
ignorato il suo stesso cuore, schiacciando sotto quintali di
razionalità ogni
sentimento. Sarà Legolas a pagarne le conseguenze.
-Di
cosa hai paura, Legolas?-
-Di
perdere l’anima, Aragorn. Di perdere
me stesso.-
-???-
È
allora che Aragorn decide. Afferra la mano gelida dell’elfo
appassito, ne bacia
il dorso. Non parla, non può permetterselo. Però,
pensa. La sua mente sfiora
quella cadaverica di Legolas, toccandola timorosa. La fioca purezza che
lo
pervade scorre in lui come una limpida cascata. Lui è sempre
stato così. Candido
come la neve, implacabile come una tempesta… silenziosamente
innamorato di un
ramingo che per anni ha ignorato una realtà già
scritta.
Aragorn
vede i millenari abissi della mente decaduta dell’elfo, e
distingue con
chiarezza una zona scura che la infetta, dilatandosi a macchia
d’olio sul
bianco dell’innocenza morente. Ha paura, il ramingo. Ha
paura, il re di Gondor.
Ma non è re o ramingo, lì. Nell’anima
di Legolas, il suo io non conta.
Qualcosa
aggredisce la mente di Aragorn, la schiaccia contro mura invisibili,
soffocandola
implacabilmente. Ma l’uomo non si da per vinto. Chiama
Legolas, si aggrappa al
suo nome con le ultime forze di speranza che esso gli infonde.
L’amore che
infonde in ogni lettera scuote di violenza
l’ostilità dell’elfo che
inconsapevolmente sta uccidendo il suo unico amore. Aragorn non
permetterà che
la vicenda sfoci in tragedia, mai.
-Ti
Amo!- urla la sua mente. Lo grida con innocente sincerità,
bagnando di rugiada
le ferite di Legolas. L’elfo avverte qualcosa, la morte che
lo attanaglia
freme.
Il
dolore si piega dinanzi alle ali della speranza.
La
paura fugge ferita dalla spada dell’amore.
L’abbandono
cede davanti al sincero coraggio di un uomo che non si
arrenderà pur di salvare
chi ama.
E
l’ultimo colpo viene inferto da Legolas stesso che, con fiera
determinazione
schiaccia la morte. Un raggio di sole avvolge le due anime stanche per
la
battaglia, guarendole caritatevolmente.
Aragorn
trema e si accascia sul petto di Legolas, ansimando stancamente. Non
vuole
aprire gli occhi per guardare in faccia la morte di colui che ama. Non
vuole
restare in balia del gelo di un mondo non più riscaldato
dalla sua stella più
bella.
Però,
qualcosa accade. Una mano stringe forte quella di Aragorn, un movimento
lo fa
trasalire di aspettative quando il petto dell’elfo si muove
di nuovo, pulsante
di vita. E finalmente, Aragorn trova il coraggio di alzare gli occhi,
per
incontrare due zaffiri di candida innocenza che gli rimandano
un’occhiata di
semplice carità gentile.
Le
tenebre del cielo del ramingo vengono allontanate. Una stella guardiana
è
tornata a brillare su di lui, vegliandolo come un angelo custode che
schiude le
ali a difesa del suo protetto.
Legolas
sorride, attirando a se il forte corpo del ramingo, che si aggrappa
alla sua
veste con rinata felicità. Mille cose non dette corrono in
quel contatto, non
c’è bisogno di parlare. Solo un ultimo gesto sigla
il futuro di quelle due
creature. Un bacio a fior di labbra.
Un
bacio semplice, di bambino.
Un
bacio leggero, come ali di farfalla.
Un
bacio che darà inizio a un nuovo capitolo del libro della
vita.
Cosa
ne fu dei due amanti? Non fu lo sporco pregiudizio dei sudditi a
dividerli, e
nessuno ci riuscì mai. Anche nella morte che raggiunse
addirittura un elfo non
più immortale, Legolas e Aragorn restarono uniti. Anime
affini, si suol dire.
Io non sono d’accordo. Non sono mai stati semplici anime. Li
reputerei due
facce di una sola medaglia.
Amore,
fratellanza, sincerità, speranza. Questo fu
l’insegnamento che vestì di
gloriosa magnificenza la loro unione. E ancora adesso, questo strascico
non è
scomparso. Avvolge invisibile coloro che amano con l’anima, e
che l’anima sono
disposti a donare per l’altro. Sbattete le palpebre, amici
miei. Ognuno di voi
ha una stella su cui contare, un astro che illumina il cielo, che
spesso
diventa troppo buio. Può accadere che le tenebre soffochino
l’amore, ma non
dimenticate che, anche sepolto sotto un manto di nero, il bianco
c’è sempre, e
saprà vincere. Io ho imparato questo grazie a un elfo e a un
uomo, i quali
contarono l’uno sulla luce dell’altro, e che ancora
adesso vegliano angelici su
coloro che si aggrappano all’amore, che sia fatto di amare
lacrime o di candidi
abbracci.
Dedicata
a
coloro che
Credono
nella luce.
Dedicata
a
coloro che
Rifiutano
l’odio del mondo.
Dedicata
a
chi combatte giorno per giorno
Le
difficoltà di una vita insidiosa.
Che
le
stelle vi proteggano,
E
che la
speranza brilli sempre
Nei
vostri
cuori.
Tomi
Dark
Angel