31 Marzo
Ho sempre
sognato di tenere un diario: molti, infatti, sono i libri autobiografici che ho
letto, fantastiche le vite che ho osservato comodamente sdraiato sul mio letto
dalle lenzuola tappezzate di astronauti dalle favolose tute blu e rosse.
Allora oggi ho deciso di cominciare a tenere appuntati i miei ricordi più
profondi.
Non
scrivo bene, faccio un sacco di errori grammaticali, perciò ho deciso di tenere
un diario più che speciale: nella mia testa.
Sono le
Con passo
spedito raggiungo il mio banco in tempo per il suono della campanella. Non mi
sono mai piaciute le regole riguardo al proprio stile di vita, il rispettare il
solito orario: ma ho il carattere mite e tranquillo e sono troppo vigliacco per
cambiare ciò che non mi sta bene.
Seguo il
solito ciclo di lezioni senza avere intenzione di ascoltare: nella mente di un
bambino super carico come me, ci riesce a stare solo un sentimento alla volta
(sì, lo ammetto, mi sento molto una fata) e in questo momento non riesco a
pensare ad altro che ai miei ricordi scritti con l'ausilio di una penna d'oca e
inchiostro sanguigno sulle pareti del mio cranio. Come se il mio cervello fosse
prigioniero della mia volontà e stesse scontando una pena; la sua cella: la mia
scatola cranica.
Sorrido
sognante, mi sento dannatamente bravo a parole. Vorrei poter far capire quanto
io sia speciale sia ai miei genitori sia alle persone che in questo istante mi
stanno tirando per il cappuccio, strozzandomi. Le stesse che mi prendono per la
mia vita stretta e mi trascinano di peso dietro alla scuola, scappando sempre
agli occhi vigili dei professori. Le stesse che mi spogliano del mio zainetto
con le finiture rosa – di cui vado tanto fiero – e mi buttano per terra tirando
un calcio alla schiena. Sono maledettamente debole e non riesco a reagire
perché la paura mi blocca ogni arto e la lingua mi si incolla al palato.
L'unica
cosa che rimane immutata sono i miei pensieri che, folli, vomitano dalla mia
testa e attraversano tutto il mio corpo martoriato dalle scarpe da ginnastica
di questi stronzi che mi chiamano frocio, che mi augurano le
peggiori cose.
Mi copro
con le mani già sanguinanti la testa, ho paura che mi possano fermare il
pensiero, la capacità di parlare. Il mio corpo trema.
-Ehi!
Lasciatelo stare!- una voce di bambino, più acuta della mia, mi ferisce i
timpani da quanto è forte.
Con le
poche forze che mi rimangono, alzo di poco il capo per cercare il volto del mio
salvatore ma la vista è appannata da lacrime mischiate a sangue.
Riconosco
solamente la perfezione dei suoi lineamenti prima di crollare di nuovo con la
testa sul cemento freddo.
Sento
solamente un rumore brusco, di nocche contro ossa e capisco che ha tirato un
pugno in piena faccia ad uno dei miei aggressori. Gli altri, atterriti, si
danno alla fuga.
Mi tende
una mano, scheggiata per il pugno appena inflitto. Gliela prendo e la stringo
forte, mi aggrappo a lui con entrambe le mani, in un tacito ringraziamento.
-Non ti
preoccupare Emmett, ci sono qui io adesso- la voce
del ragazzo più popolare della città, Brian Kinney,
arriva alle mie orecchie prima di perdere conoscenza.
Dedico ogni singola parola
a tutti coloro che hanno dovuto subire in silenzio la violenza di persone che
non accettano la loro diversità; che hanno dovuto vivere questo incubo; che
hanno dovuto nascondere per tutto questo tempo la loro natura.
A queste persone dedico
tutto il mio affetto e la mia stima per il loro coraggio.
Nuwanda