Videogiochi > Sonic
Ricorda la storia  |      
Autore: La Mutaforma    08/04/2011    5 recensioni
Chiederei perdono, lancerei un urlo, butterei al mondo le mie conoscenze solo per ricominciare su un terreno vergine e accogliere solo una cosa: te. La tua storia. La mia storia. Il nostro ricordo più bello.
Dove sei? Cosa fai? Dove stai andando amore mio?
[Episodio 77, TailsxCosmo scene]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miles Tails Prower
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Forse è questo freddo, forse è un pensiero, forse è un’impressione solo, e forse non sto affatto tremando: sono in camera mia e sto sognando, tutto questo è un’illusione, magistralmente retta dal filo dei miei pensieri e dalle mie fantasie più folli. E non so davvero perché questo sia così o perché non sia così, se sia vero o sia falso; che sia il mio corpo che trema o il mio cuore, turbato da violenti scossoni, che con questa forza scuote anche il mio corpo, non importa veramente. A volte ci chiediamo cose e ci rendiamo conto che non era quello che noi volevamo sapere. E in quei momenti, capiamo di non sapere nulla. Nulla del mondo, nulla degli altri, nulla di noi stessi, nulla che avessimo imparato prima, ci resta.

E continuiamo a scavare, cercando nelle nostre reminescenze più lontane quel che ci dice la mente, quello che è, quello che non è stato e quello che un giorno sarebbe diventato.

E poi capiamo.

E poi capisco. Capisco che eri la mia unica risposta.

Chiederei perdono, lancerei un urlo, butterei al mondo le mie conoscenze solo per ricominciare su un terreno vergine e accogliere solo una cosa: te. La tua storia. La mia storia. Il nostro ricordo più bello.

Quando tendo la mano nel freddo e non trovo la tua

 

L’universo, lo sapeva bene, non ha un colore. È una massa informe di gas senza forza di gravità, illuminato dalla luce lontana di astri distanti anni luce e arricchito di pianeti, asteroidi, meteore, meteoriti e quanto ci si possa trovare in uno spazio così illimitatamente grande.

Eppure così infinitamente piccolo.

Ma perché cercare l’infinito nel vuoto? A che scopo cercare qualcosa di tanto grande in uno spazio nullo? Che importanza potrebbe avere il “tutto” quando il “nulla” forma l’eternità?

Tra pianeti, asteroidi, meteore, meteoriti aveva trovato lei. E lui non sapeva a quale divinità appellarsi, e chi avrebbe dovuto ringraziare per quel dono che era sceso letteralmente dal cielo, con la dolcezza di un petalo di rosa che si stacca dalla corolla del suo fiore e cade nel vuoto dell’universo.

Quel pensiero fu dolce, fu rilassante. L’immagine di quel fiore di melo che volteggiava nello spazio in assenza di ossigeno. La sua caduta era lenta e lineare, Tails ne avrebbe potuto tracciare la retta di spostamento in quello spazio infinito. Un lieve volteggiamento segnato da una linea a tratti, la sua retta di movimento.

Ma l’universo, non ha un colore. E fece appello a tutte le sue conoscenze di astronomia per rendere più chiaro e fluido quel concetto nella sua mente. E più lo ripeteva, più sapeva che non valeva niente. Più lo ripeteva, più quelle parole perdevano di significato. Era più una cantilena che un precetto fisico. Aveva un suono monotono, quella nota forzata e cadenzata che dolcemente gli attraversò la mente in un solo secondo.

E ci impiegò così poco perché quel pensiero la trovò incredibilmente sgombra, libera da ogni turbamento e da ogni fantasia.

Limpida e pulita, come una coppa di cristallo. Non che fosse vuota. Era solo che, ogni volta che era davanti a lei, ogni cosa perdeva senso. Tutto quello che conosceva, tutto quello che aveva faticato per studiare e per imparare, non esisteva più. Ed era strano come mesi di studio impiegassero pochi attimi per volare via.

In fondo, non c’erano mai stati, lì nella sua testa. Oppure c’erano. Solo che, in quei momenti come in quel momento, la sua mente diventava il suo cuore e il suo cuore si liberava di ogni altro legame per concentrarsi sulla sua figura sottile ed era alieno ad ogni altro pensiero, ad ogni altro sapere.

L’universo non avrebbe dovuto avere colore. Eppure quella colorazione grigia, densa, che lo avvolgeva, c’era, esisteva, era intorno a lui. Era quasi tangibile, per quanto Tails nemmeno la vedesse.

Cosa vedeva? Una luce dolce, calda, un albero, e lei, tra i suoi rami. Almeno era questo quello che riusciva a vedere, oltrepassando le lacrime gli stavano pungendo gli occhi.

In un'altra situazione, avrebbe detto che quelle lacrime erano simili a quelle sue di bambino, quando cadeva, quando lo prendevano in giro. Adesso non gli sembrava nulla quel ricordo.

Era lì, davanti a lei. La vedeva e vedeva i suoi occhioni che lo vedevano. E lo supplicavano. E lui, che scuoteva la testa, ingoiando le lacrime.

Era lì, davanti a lei. E non c’era nulla che conoscesse fuorché lei.

Diede sfogo alla sua tristezza con uno scoppio improvviso di lacrime. Il dito scivolò dal tasto, e insieme a questo tutto gli cadde dalle mani. Quando gli era sembrato di avere tutto nella mano e il desiderio di stringere il ricordo nel suo abbraccio più forte, tutto era crollato.

Un istante, che perdeva la sua mano. Un istante bastava, ma non lo aveva imparato. Non sapeva niente. Sapeva solo piangere. E sapeva amare come non aveva mai amato prima di quel momento.

L’istante che precedette l’arrivo della sua voce fu come una sosta dopo una lunga corsa. Il momento in cui ti appigli a qualunque cosa, e prendi fiato. E stai zitto, per un attimo, prima di riprendere a correre.

Era il momento in cui pensava di aver parlato bene e di aver trovato un modo per salvarla, o meglio, per fermarla.

E poi arrivava il momento in cui la sua voce gli toglieva il fiato, e gli strappava ogni speranza. Dopotutto, non c’è incubo peggiore del risveglio.

–Tails…devi fare fuoco…–

E il suo rifiuto non poteva essere più categorico nella mente e non più debole nel cuore. Perché era sempre stato debole, dentro. Nelle sue idee tutto era chiaro, ma cosa poteva essere chiaro se di idee non ne aveva quando di lei si trattava? Nella mente era chiaramente deciso a fermarla, ma nel cuore tutto era più confuso, e in quella confusione vedeva sorrisi che piangevano, risate che gridavano dal dolore, e ferite che fiorivano di boccioli profumati. E non si arrischiava a cercare le parole nel suo cuore, perché erano troppe e senza alcun legamento logico: la sua costante ricerca di logica anche nel cuore che, questo non lo sapeva, non è e mai sarà un’istituzione logica.

Eppure, attraversando le vie illogiche del cuore, seguendo il filo discontinuo dei suoi sentimenti, si ritrovava a srotolare una matassa di pensieri, parole, sogni ed emozioni, tenendone un capo sul cuore, mentre all’altro capo, forse lo immaginava, avrebbe ritrovato lei.

E sarebbe stato come vederla la prima volta, sotto la pioggia di sentimenti che sentiva di aver concepito nei suoi riguardi. Come vedere con gli occhi del suo affetto, la sua aura vitale, il suo sorriso, il barlume di luce che inondava le sue iridi di un azzurro a metà strada, tra il blu e il grigio, come se avesse aspettato solo lui per farsi prestare il colore e tingersi gli occhi di vita.

Prima il vuoto, poi, come una terribile esplosione senza rumore, il riaffiorare di ogni sua conoscenza e di ogni suo pensiero e tutto ci accalcava, tutto si lanciava verso di lui, come in una maratona. E cercava di arrivare per primo al suo cuore.

Ma il suo cuore chiudeva da troppo tempo le proprie porte all’inutile sapere di quel momento, e aspettava il suo comando vocale, la sua voce, ad aprire il passaggio verso la chiarezza.

Milioni di parole senza suono che creavano un gran frastuono di idee, ricordi, pensieri. Immaginazione di quello che era e quello che avrebbe desiderato che fosse. E solo su quest’ultimo punto il suo cuore era indeciso. La sua mente era salda nel pensiero che alla fine, come promesso, lei sarebbe venuta a vivere sul suo pianeta.

Con lui. Come era giusto che fosse.

Ma il suo cuore si interrogava sul futuro, nella solita indecisione, se mai fosse riuscito a salvarla. Pensò di non essere quello adatto a salvarla, come era solito che pensasse.

Certo, Tails, tu non sei mai quello giusto, gli disse una voce interiore. Non si era mai fidato di se stesso.

Il pensiero di essere il più adatto a condannarla si insinuò tra le sue dita e si fece strada nel suo inconscio…trovando la strada per il suo cuore. Ed era quasi strano, bizzarro, che il male trovasse sempre un pertugio aperto per infiltrasi nel cuore delle persone.

E lei, vedendolo in lacrime, non poteva che sorridere. La sua voce era un’eco lontana, che sapeva parlare solo d’amore. Le sue parole non conoscevano né odio, né rabbia, anche se ne avrebbe avuto tanto motivo. E lui ne celava nel suo cuore più di quanto si potesse immaginare. La sua voce era una melodia di pace che non si perdeva nelle correnti di sentimenti negativi: restava sulla sua strada con la stessa decisione che aveva la mente di Tails. La sua voce era una ninnananna da sussurrargli all’orecchio, non un messaggio di pace universale da urlare a tutti gli esseri viventi. Era un’eco soffusa, che a volte, troppo spesso, si era incrinata di pianto, di tristezza.

Ma su labbra sorridenti. Su labbra che Tails non aveva mai visto in un broncio o in un lamento. Solo labbra, forse non allegre, forse non disperate.

–E’ il solo modo per salvare tutti voi…– diceva lei, con quel tono falsamente inconsapevole che avrebbe reso anche l’insulto più duro nella parola d’amore più dolce che si fosse mai sentita.

Forse era proprio la consapevolezza a rendere il suo tono di voce così bello, così importante. Così unico.

Perché, nel suo cuore se lo sentiva, non sarebbe più ritornato quel tono di voce. Non sarebbe più tornata quella voce. Non sarebbe più tornata lei. E con tutto sé stesso, cercò di afferrare quell’eco a mezz’aria e di rinchiuderla nella sua mente, nell’angolo più nascosto e segreto, dove si sarebbe riparato nei momenti in cui avrebbe voluto risentirla, facendo in modo che l’eco della sua voce soave si ampliasse e si perdesse nei suoi pensieri e che lo guidasse nelle azioni.

E sentì la sua risata, la sua voce fiduciosa, i suoi elogi, le sue tristezze, le sue malinconie, i suoi rimpianti, tutti in solo momento, come se i suoi occhi grigi avessero assunto il suono della sua vita, perché loro la vita la stavano per perdere. E mai occhi più belli si erano mai visti che negli occhi dei moribondi, dei consapevoli, di coloro che si sacrificano per altri.

Chi aveva messo da parte la propria vita, il proprio bene, il proprio amore, per darlo ad altri. E non si crucciava per quella perdita, non si lamentava, non rimpiangeva nulla. Era il rimpianto che metteva fine ai suoi rimpianti, così evitando di avere altri rimpianti se non lo avesse fatto.

La sua missione. Quello che cercava. Nascere, vivere, col solo fine di dare la propria vita. Nella sua esistenza, la vita non era un dono. Era un prestito. E alla fine, l’avrebbe dovuta restituire. Restituire il tempo vissuto, donare se stessa.

Tails non aveva sentito mai nulla di così nobile e folle, di così pazzo e dolce, meraviglioso. Stupore e rancore si unirono, gridando all’unisono con la sua voce, mentre si rifiutava di sparare.

L’egoismo prese il sopravvento su di lui, desiderando che solo lui avesse la possibilità di averla tra le mani e sentirla parlare, sentirla ridere, asciugare le sue lacrime, contemplare i suoi eterni sorrisi.

E mentre lui odiava quella parte egoista che nasceva insieme all’amore, come la sua vera ombra, lei lo amava, come amava allo stesso modo gli altri, dando di sé stessa un uguale frammento da dividere tra loro e nell’universo.

E mentre un tremore infernale danzava sulla sua pelle, Tails si vide costretto a scostare il dito dal pulsante, per paura che vi scivolasse sopra a causa dei suoi interminabili brividi di pianto.

Piangeva così forte che sembrava un bambino. Forse perché in fondo lo era, e non voleva separarsi da lei, così importante, così unica, così simile a lui in tutte quelle cose che avrebbero dovuto scoprire. Insieme.

Quel sentimento che avrebbero dovuto investigare, chiedendone un pezzo da ogni abitante dell’universo, forse per collegarli, forse per tenerli per sé, o per scambiarseli l’un l’altro, scoprendo l’emozione che era rimasta a lungo chiusa nei loro cuori, nel suo cuore. Quel sentimento che scandiva le ore, i minuti, che li salvava nei momenti peggiori…e che li condannava, mentre Tails era lì, per gridare amore e per vendere morte.

Non sapeva se sarebbe stato meritevole di averne il ricordo, di amare il suo pensiero, mentre cresceva in lui la voglia di cancellare quello che era stato e cominciare dall’inizio, come quando studiava tante ore da solo, chiuso nella sua stanza, con davanti solo un’equazione, che poteva ricominciare in caso di errore.

Ora lo sapeva.

All’amore non si trova una radice, una soluzione.

L’amore si vive. E se quello era vivere, allora preferiva morire con lei, perché l’amore era durato troppo poco, il dolore della perdita sarebbe stato eterno.

Gridando le sue ragioni, avrebbe cercato di fermarla, ma quel suo sguardo fieramente deciso e malinconicamente amato, diceva più di quanto avrebbe potuto dire a parole. La vedeva scegliere il suo destino.

E cercava di afferrare nel freddo la sua mano, cercando a tentoni un modo per trattenerla nei suoi pensieri. Come un naufrago, che prima affondare in mare, cerca tra i relitti qualcosa che lo possa sollevare e tenere a galla. E lui, tra i ricordi e i pensieri, continuava a cercare l’amore.

In quel frangente, vivere era doloroso.

Piangere, inevitabile.

Non amare, impossibile

–E’ l’unico modo…– diceva lei, con tono convinto. E il fatto che fosse unico era impossibile. Era orribile, odioso, e Tails avrebbe voluto cancellare quella parola.

Ma che ce ne fossero stati uno o un milione di modi per salvarla, lei avrebbe solo deciso col cuore, riflettendo sulla vita trascorsa che malediva.

Malediva l’incapacità di agire, l’impotenza di fronte ai più forti. Lei non era forte, ma il suo cuore sì. E il suo battito era un’onda d’urto dalla quale Tails si sarebbe fatto piacevolmente percuotere milioni di volte.

 

Battendo il pugno sul piano di controllo, rinnegando il passato e il futuro e concentrandosi solo sui suoi occhi, abbandonando la linea di tempo, Tails si ravvide solo dei suoi ricordi più dolci, sperando che almeno sarebbero rimasti la spontaneità dei momenti passati insieme, la tenerezza del suo dolce sorriso malinconico, e le sue idee deliziose, i suoi dilemmi, i suoi drammi, di cui Tails avrebbe voluto tanto far parte.

Solo per prendersi un frammento di quel dolore da lei e alleggerirne il peso che gravava sul suo cuore.

Lui voleva testare la magia del condividere la gioia e il dolore, l’allegria e la tristezza. Come gli abitanti di un pianeta si dividono senza strafare i raggi di sole e la brezza lunare, come Mobius donava ai suoi figli il giorno e la notte, alternandosi. E mai gli sembrò più consolante quel pensiero: l’idea che pure nella tragicità di quel momento, la sua luce illuminava il suo mondo, e brillava dolce, non intensa, senza prepotenza. Come se fosse destino che in ogni ombra esistesse un po’ di luce, come nella vita di lei. Il contrasto tra il suo buio passato e il suo dolce presente, che acremente si mischiavano tra le lacrime, le risa, i rimpianti, l’amore.

L’affetto, che glielo aveva consegnato come in un pacco regalo segreto che lei aveva aperto, solo per donarlo alla galassia. Vuotandosi di ogni bene e di ogni dono, solo per farlo moltiplicare dai suoi amici.

Tails si sentiva sempre più come il vaso di Pandora: vuoto di tutto. E gli era rimasta appunto solo la speranza, il sole dei disperati.

–Abbi fiducia in me…– diceva la sua voce. E come non aver fiducia in lei? Non era forse il primo istinto di vita fidarsi di ogni bene, di cosa buona? E come darle quella fiducia che lei tanto chiedeva, e dunque permetterle di darsi via? Era sempre stata come un fiorellino in bocciolo, estirpato, che aveva trovato eremo nel cuore di Tails.

E non servivano concetti, preconcetti, cartelli stradali, istruzioni, per trovare la via per quell’eremo solitario, eppure così accogliente.

E Tails non voleva credere che alla fine sarebbe appassito quel fiorellino che aveva protetto dai soffi di vento troppo forti, dalla furia cieca di Shadow, lo stesso bocciolo verde che aveva stretto al petto per ripararlo dal dolore, dal freddo. Quel fiore appena sbocciato che aveva alimentato con il calore del suo sorriso, quasi come raggi di sole tra le fronde delle sue foglioline.

E in quello stesso freddo, lui la teneva per mano. Per proteggersi a vicenda. E ora quel fiore era sbocciato. Con tutta l’intenzione di voler sfiorire.

E perché, si era chiesto Tails, un fiore tanto bello dovrebbe appassire? Era il dilemma dell’infanzia, quando strappavi un fiore per capriccio e con tristezza lo vedevi afflosciarsi tra le mani. O come quando la gente perde tanto tempo per curare una pianta e questa da un giorno all’altro appassisce.

Quale potrebbe essere il senso della vita per un fiore? Quello di fiorire, quello di sbocciare, o quello di appassire? Perché tutti i fiori dovrebbero sfiorire? E perché, soprattutto, lui non avrebbe mai potuto nulla per salvarli, o meglio, salvarla?

L’egoismo dell’amore per quel fiore in bocciolo appena fiorito, l’istinto, erano di insegnare a quel fiorellino capriccioso quale dono meraviglioso fosse la vita e che grazia divina fosse l’amore, in ogni sua forma. E le sue lacrime, erano come un ricatto, qualcosa per costringerla a restare.

A non andare via.

“Non abbandonarmi” gridava il suo cuore.

E se appassire fosse stato il vero scopo della breve vita di un fiore? E se non avesse dato la sua vita per salvarli e se Tails avesse distratto quel fiorellino profumato dal suo scopo, non sarebbe ugualmente sfiorita la sua vita?

A che senso continuare a vivere, se ala fine si deve morire?

Ringraziò che ci fossero momenti della vita in cui il primo istinto è quello di scordarsi talvolta della morte, dei fiori appassiti. Dei sogni infranti. Altrimenti non si potrebbe vivere.

Ringraziando il cielo, per quanto brevemente avessero vissuto, avevano vissuto e non tutti avrebbe potuto vantarsi di quel vantaggio.

Non avrebbe mai accettato di vivere senza adempiere al suo scopo, al fine che le era stato posto dalla sua nascita, fin da quando i suoi occhi si erano aperti sul mondo. Immeritevole, di possedere una tale grazia. Aveva passato la vita, trascorso l’ansietà dei momenti senza la sua famiglia, solo alla ricerca della sua missione.

Con quale coraggio le avrebbe detto di non compierla? Quale amore avrebbe permesso di farla soffrire, privandola del suo scopo vitale.

E se ci fosse stato un vero dio, ovunque avrebbe preferito stare, di certo si sarebbe pentito di essersi privato del suo angelo più importante per darlo a chi lo tratteneva tra le mani per non farlo andare via. Come per lei era stato un prestito la vita, per lui era stato un prestito l’amore.

E prima o poi, lo avrebbe dovuto restituire, e non c’era modo per evitare quel debito angosciante.

Forse, solo guardando in quegli occhi spenti, che lui amava, piangeva, e che supplicava, per trattenere il suo sguardo fisso nella sua retina, capì davvero. E se avessero chiuso gli occhi, o l’uno o l’altra, sarebbe rimasto lo sguardo dell’altro negli occhi di chi non ne aveva più per guardare il mondo.

Forse, solo guardando in quegli occhi spenti, avrebbe compreso. E capì che non si sarebbe mai lasciata salvare da lui. Lo amava troppo per non salvarlo, e lo salvava, perché non lo amava poco.

E avrebbe preferito che non lo salvasse affatto, avrebbe voluto prenderle le mani e volare in alto, come lui aveva sempre sognato di fare quando era più piccolo.

Aveva sognato di volare in alto, ma non aveva mai pensato alla possibilità di farlo con qualcuno. Con lei.

Cercò di sorridere, anche tra le lacrime. Cercò di sorridere perché si fidava di lei. Si era sempre fidato, e lo avrebbe continuato a fare. La sua amicizia, quel bizzarro affetto che li legava, aveva aiutato entrambi, a vivere per un po’ a cuore più leggero, inducendoli a dimenticare i sobbalzi dell’anima, le lacrime piante dal cuore, i sorrisi perduti, i sentimenti non ricambiati.

La pace negata.

Quel sentimento gli aveva insegnato a sorridere senza un motivo, e a cercare di vivere il più possibile per vedere il viso dell’altro, timorosi di perdersi. Le notti insonni, a pensare agli occhi dell’altro, i momenti in cui chiudevano gli occhi per vedere gli occhi dell’altro stampati nel loro cuore, giusto perché non erano più vicini, adesso assumevano un significato diverso. Se prima Tails li viveva come la speranza di riviverli, vivendoli come un “presente prossimo”, in quel frangente, prima che accadesse, erano già ricordi. Perché sapeva che non sarebbero più tornati indietro. Non esisteva più la linea di tempo: esistevano loro, e quel bottone rosso che Tails avrebbe dovuto premere ma che lui guardava con orrore quasi, con la paura dipinti negli occhi.

Paura non di quello che stava per succedere.

Ma di quello che non avrebbe potuto impedire. L’ordine al quale non avrebbe mai voluto adempiere, ma al quale era costretto. Come se l’amore stesso gli avesse bendato gli occhi e gli avesse legato le mani.

–Fidati di me, Tails…fa’ come ti ho detto…– ed era impossibile negarglielo. E solo in quel momento gli parve di capire, di capirla. Di comprendere il senso di impotenza che lei aveva provato quando il suo popolo era stato sterminato. L’incapacità di agire, di fare qualcosa per trattenere di più a sé tutti gli affetti, mentre questi volano via sotto i nostri occhi.

Come petali di fiori appassiti trasportati dal vento.

A che senso cercare di salvarla, se lei non doveva essere salvata? Adempieva al suo destino, stava facendo quel che le diceva il cuore. E lui non avrebbe mai potuto impedirglielo.

Rimandò nella sua memoria uno sguardo alla cara fotografia scattata il giorno della festa, e due altri due “loro” sorridenti, inconsapevoli, gioiosamente ignoranti di quali sarebbero i risvolti di quella guerra.

“Beati loro… beati noi” si disse Tails nel pensiero, lodando il cielo che quelle drammatiche circostanze non gli avessero impedito di vivere con gioia quei momenti.

Cosicché sarebbero rimasti per sempre felici, nel suo cuore. O almeno, una parte di loro. E “loro due”, impressi nella carta di cellulosa di quella foto, sarebbe stati per sempre insieme e si sarebbero amati per l’eternità, incollati sulla carta da fotografia. Il ritratto del loro amore. Loro due, che si tenevano la mano e sorridevano.

“Beati noi” si ripeté Tails “Beati noi, perché quei momenti non sarebbero più ritornati e li abbiamo vissuti fino in fondo”

Le disse addio, gridando per sovrastare i pensieri e le lacrime. E non era un addio come gli altri, non agitava la mano per salutarla, nemmeno la guardava negli occhi.

Eppure nemmeno era diverso.

Qualcuno da piccolo gli aveva detto che gli addii non sono mai per sempre. In cuor suo sperò che questa tale persona non si fosse sbagliata.

Imitò un sorriso, disegnandoselo a forza sul viso, con la rabbia e la tristezza per essere sul punto di perdere una persona cara, ma perlomeno viveva con grande trasporto quella perdita.

Non se ne perdeva nemmeno un attimo, e appuntava nella sua mente tutto quello che sentiva. Così, quando sarebbe andato a sfogliare quei momenti, avrebbe provato la stessa sensazione e quasi si sarebbe consolato, pensando che lei fosse ancora stata con lui.

Come se oltre la salvezza, lei gli stesse regalando anche il suo ricordo eterno, per farne quel che voleva.

 

 

Premette il pulsante, con il dito sul pulsante e il pulsante sopra il cuore. E una grande luce squarciò l’universo che non era più stato grigio, segno che le sue conoscenze man mano stavano riaffiorando.

Era durata pochi secondi l’indecisione? Erano trascorse molte ore?

Non lo sapeva.

La luce spezzò il buio e il silenzio, dirigendosi verso di lei. E Tails guardava lì, tenendosi il cuore tra le mani, mentre fissava la scena mordendosi le labbra e stringendo i pugni.

Ci una breve esplosione, e un sole immenso illuminò tutte le cose. La luce giunse fin dentro di lui, illuminandolo all’interno. Come la speranza. E allora lo vide.

Il sole dei disperati.

E voleva gridare, ma si trattenne, per non sovrastare la sua voce dolcissima.

Grazie Tails…non ti dimenticherò mai!

 

 

…resta solo una cosa. E’ la tua vita, che fiorisce nella mia e in quella di tutti coloro alla quale l’hai donata, a portarmi avanti con il tuo ricordo. Ti tenevo per mano, e ti sei persa, ti sei allontanata, solo per il gusto di fare la cosa più corretta, mentre io assaporavo l’ipocrisia.

Me ne rendo conto.

E ti ammiro per quello che hai fatto e quello che continui a fare per me, per noi.

Mi pare di aver accettato tutto ciò. Dopotutto, se una cosa dura poco, non significa che non ci sia mai stata, che non sia mai venuta. Non si nega mai l’esistenza del dolore, ma si vive affermando l’esistenza del bene, della gioia, e dell’amore. E solo con la tua perdita avrei potuto comprendere l’importanza della sua presenza accanto a me.

Continuo a vivere ricordando il male, rimpiangendo la solitudine, e il mio solo sguardo è testimone della grandezza della vita. Si vive non per morire, ma si vive per ricordare quanto l’amore sia importante, e come possa essere impossibile per il dolore soffocarlo.

Il dolore è un sentimento devastante. Non spegne i sentimenti, ma amplia i confini del proprio cuore, facendo provare sensazioni di amorevole ansia che mai si potrebbero provare normalmente.

E se ci portano sofferenza, poco male. Meglio dei rimorsi, meglio dei rimpianti e delle nostalgie lontane.

Però, l’importante è non dimenticare. Forse solo adesso mi sembra di avere più comprensione nei confronti di Shadow, che viveva del ricordo di Maria e del rimorso di non aver potuto nulla per salvarla.

Io, non ho dimenticato. E nemmeno tu hai dimenticato. C’è nebbia intorno a noi, ma tendo ancora la mano nel freddo pungente, cercando la tua. Forse un giorno riuscirò a riprenderti. Oppure, come una rondine, sarai tu a tornare da me. Mi ricordo dell’egoismo, del dolore, della voglia di tenerti con me e di non volerti perdere. I miei atteggiamenti visti da un occhio critico erano simili a quelli di chi sigilla le rose nei libri, nei dizionari.

Appassite, restano lì per sempre. E non se ne vanno mai. Come te.

Siamo nella nebbia, e ci sembra di volare. Sorvolando l’odio, che tu rifiutavi, evitando l’invidia, che il tuo spirito negava, fuggendo il rancore, che non ti ha mai colpita, e abbandonandoci ai sospiri.

Come soffi di vento leggeri, delicati, che ti trasportano lontano da me. E tu, fiore raro, come tutti i fiori rari, vivi un giorno solo.

Ma resti per sempre!”

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: La Mutaforma