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Autore: Sidereal Space Seed    08/04/2011    1 recensioni
["World War Three, The Disclosure" Series] Qualcosa non quadra: l'Ex Regno di Prussia denuncia di aver smarrito il proprio fratello; con lui, l'Italia del Nord. E nel frattempo, la momentanea seconda guerra fredda nonchè Terza Guerra Mondiale macina catastrofi silenziose al suo granaio.
One-shot Brevi; accenni su America, Russia e Inghilterra; accenni a popolazioni sconosciute.
Genere: Mistero, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Titolo: Horns Sing Beyond The Sun ;
Serie: World War Three, the Disclosure ;
Note sulla storia: è la prima one-shot di una serie incentrata sulla Terza Guerra Mondiale: era qualche settimana che mi ronzavano intorno episodi fantascientifici, e siccome sono una di quelle che crede Fermamente nei complotti a livello mondiale, non ho trovato niente di meglio se non esprimere i miei punti di vista con la scrittura! Le one-shot saranno tutti episodi simili a quello che segue: chiaramente, ora la situazione appare confusa, ma con la pubblicazione delle prossime si delineerà il profilo del conflitto mondiale e le situazioni di tutti i personaggi =) ;
Pairing: nessuno in particolare in questo capitolo, ma non escludo possano apparire (anzi sicuramente lo faranno) nelle prossime one-shot! ;
Trama: “La Politica del passato è l’esoscheletro di un’ombra che solo ora si è rivelata come l’unico male del pianeta: le vecchie tensioni, i complotti, le bugie e le disgrazie accumulate sono finalmente sbocciate nel più grande e disastroso dei risultati, quello della Guerra Mondiale. Fra creature extraterrestri, esopolitica, Terzo e Quarto Reich e balzi evolutivi si narra la Storia degli anni ’20 del XXI secolo.” ;
Musica: Globus - Take Me Away (Link)  ;
Dedica: A TUTTI coloro che stanno apprezzando, sostenendo e condividendo il mio lavoro su Wir Leben Noch. La dedica è tutta per voi =) Grazie. ;
Note dell’autrice: Siccome sono mega influenzata, siccome sono pigra e siccome tutto questo mi ha fatto andare in brodo le idee per l’ottavo capitolo di Wir Leben Noch (che dovrei comunque pubblicare entro pochi giorni), mi cimento in quest’altro piccolo progetto, che mi bolle da tempo dentro la scatola cranica… le cose fantascientifiche e politiche mi hanno sempre entusiasmata, e questa è una buona occasione per sfogare il tutto. Non so se un giorno diventerà una Long-Fiction, ma al momento mi trovo comoda all’idea di pubblicare one-shot appartenenti ad una singola serie! Disclosure è una parola, un fenomeno, di cui si parla realmente negli ultimi anni. Viene spesso individuato come quel cambiamento che rivolterà la nostra intera concezione di esistenza, modificando irrimediabilmente il mondo in cui viviamo. Siccome sono tutte teorie e ancora deve avvenire, ognuno può dare di questo possibile evento la sua libera interpretazione. Questa non è la mia in realtà, ma la storia possiede molti elementi chiave di ciò che penso nei riguardi del nostro futuro prossimo =P Orsù, la pianto di tediarvi. Mi auguro possa stuzzicarvi, così da leggere anche le prossime one-shot =)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   Horns Sing Beyond The Sun
 
 
Quindi, Germania, ci rammenti?
Ricordi i lontani eppur tanto vicini tempi in cui le vostre case si sgretolavano e le bombe erano i semi che avrebbero visto crescere raccolti fatti di sogni e ideali, e poi di nuove bombe?
Così, mentre comunica, un tentacolo serpeggia gentile attorno al profilo del pallido collo, una stretta non aggressiva e quasi premurosa, sebbene scivoli su quella che è la trachea d’una Nazione.
A Germania tremano le palpebre, c’è un qualche tipo di shock incredulo che lo fa sussultare con garbo e che gli schiude le labbra da cui non esce alcun suono.
Torniamo perché i tempi sono maturi. E perché, come sai, voi siete le Fenici. Ti aiutammo. Lo ricordi… certo che lo ricordi. E non ci hai comunque portato rancore, dopo il tuo disastroso finale: sebbene noi l’avessimo permesso. Abbiamo sempre creduto: ce l’avresti fatta.
Germania non ha paura. La sua coscienza fluttua sul margine spazio-temporale del nulla cosmico e dell’infinita saggezza dell’universo, e si sente tutto, e si sente niente. Si sente quindi meravigliosamente. Come mai gl’era successo. Nessuna coscienza del corpo, nessuna percezione materiale, solo la certezza di Esistere, fluttuante, nell’etere del cosmo.
La punta romboidale e smussata del tentacolo gli accarezza a tratti le gote e le labbra, e le mani grandi del tedesco lasciano ascendere le dita a quell’appendice estranea, poi l’accarezza leggiadro, quasi privo di sensi. Le palpebre smettono di sussultargli, ora sono chiuse e rilassate, ma le labbra no, ancora no, sono sempre socchiuse.
Hai dimenticato le Aquile. Sì, l’hai fatto infondo. Ne eravamo certi.
Un altro tentacolo, con i suoi argentei riflessi bluastri, un’epidermide che è velluto fresco; scala la divisa della Nazione e non sfiora semplicemente la sua bocca, ci si intrufola dentro quasi timida e solo appena, appena –si poggia lì, sull’umida tavola di una lingua con i suoi impercettibili movimenti—.
La creatura fa un passo, ne fa due, solleva le gambe con movimenti gentili prima di lasciar aderire le tre robuste dita sul pavimento freddo –sembra non sentirlo, sembra ignorarlo—: gli occhi così grandi e speculari, di bellissimi riflessi spettrali, portano l’attenzione su quelli cristallini di una Nazione ora veramente pura, che dell’evoluzione si è liberata, nel passato, quando venne sottoposta a giudizio.
Abbiamo giocato allo schiaffo del soldato, sussurra la mente della Germania, espirando fluttuanti pensieri eterei le armi erano nostre, le armi erano vostre…
…le armi erano un fuoco: quello della selezione. Noi vi abbiamo dato assaggi di un potere irraggiungibile: e poi vi siete giustiziati, e a quel giudizio siete sopravvissuti con la sofferenza. Che è amore, che è sentimento.
Germania si addormenta quasi nei segnali e nelle onde tradotte in parole nella sua mente e nell’abbraccio alieno di quella circostanza a lui in qualche modo familiare, quella stretta di animoso calore provato durante la guerra, quando a combattere non furono soli.
E in quei tocchi così privi d’ogni tipo di sottinteso, di valore, di giudizio, di qualsivoglia connotato emotivo terrestre, lui si crogiola, e trova la beatitudine: quella di aver rincontrato la selezione.
La selezione che s’era trasformata, in quella parte d’universo, in creature minute e imponenti, dalle più suggestive e aggraziate sembianze.
Sa in quel momento che né l’America né la Russia possono turbare il presente e l’imminente futuro, perché quel fenomeno è arrivato, quelle che le culture chiamano Disclosure, che la resistenza terrestre combatterà inglesi, americani e russi.
E la selezione è tornata, di nuovo lo abbraccia, senza la violenza della sconfitta: stavolta la guida è lui, lui sarà il salvatore. Lui sarà la mano e il giudizio che darà delle vittorie ai suoi nemici, per poi vederli cadere, sconfitti, per sempre.
 
«Quisquiglie? Insulsaggini? Lo sa che le ambasciate non esistono più, sì? Perché, guardi… siamo un tantino in GUERRA!»
La Francia sussulta: è abituato alla pressocchè totale assenza di pazienza nel carattere della Germania dell’Est –o anche meglio conosciuto come Ex Regno di Prussia—, ma solitamente il tedesco si esprime più con ironia che con vera e propria rabbia.
«Gilbert, ma chi è?»
«Nessuno, ed è un aggettivo!» aggancia il telefono con forza sufficiente da far sobbalzare le penne sulla tavola in ferro, e Francia sussulta ancora: ci sta mettendo mezz’ora per disinfettarsi i profondi tagli sul viso, un compito che avrebbe sì e no richiesto –quanto?—, cinque minuti forse?
«Non sanno dov’è,» mormora finalmente, il sole al tramonto che tratteggia forte il suo profilo «ti rendi conto Francis? Una Nazione è sparita, eppure in Germania non accade nulla. E’ tutto normale, sempre escludendo le forti tensioni e il fatto che Berlino è una massa informe di carne, eppure Lui non c’è.»
A Francia giunge il sottile filo angoscioso che lega le note della voce dell’ex-prussiano, lo stesso filo sinfonico che aveva incrinato la sua quando s’era rifiutato, appena qualche giorno prima, di proseguire al fianco dell’Inghilterra.
Era un po’ quello, a quanto sembrava, il canto di battaglia della Terza Guerra Mondiale.
«Penso che» cominciò il francese, accantonando la malizia che da sempre caratterizzava la musicalità della sua voce «non ci sia più grande assicurazione di questa. Se la Germania non presenta cambiamenti, vuol dire solo che Ludwig… be’… è impegnato in qualcosa in cui non desidera invitati.»
«Vado a trovare Berlino:» dice d’un tratto l’albino, ignorando il discorso appena affrontato «spero riesca a parlarmi…»
…perché non posso sopportare il silenzio della nostra capitale.
Francis annuisce, osservando la figura di Gilbert vestito della divisa militare uscire dal grande portellone del bunker.
Poi accade qualcosa. Quel qualcosa che in guerra non aveva mai smesso di palesarsi con suoni ritmici o mediamente prolungati –un codice morse, una sirena, un segnale—, ed ecco che le segnalazioni radar si svegliano.
 
La spia comincia a lampeggiare.
Tu—
Tu—
Tu—
«Weillschmidt.»
«Prussia!»
«Ciao Feliciano,» un sorriso vibra nella voce dall’altra parte della cornetta «dimmi, cosa c’è?»
«Che succede? Non trovo più Lud.»
Un sospiro.
«Italia…»
...
Qualcuno tira su col naso.
«Gilbert?»
«Germania è scomparso. Credo non sia nulla di grave, ma non lo troviamo neanche noi. Quand’è stata l’ultima volta che l’hai visto?»
Voce insicura: «Be’ una settimana fa, ma avremmo dovuto vederci l’altro ieri! L’ho tempestato di chiamate, poi ad un tratto ho pensato fosse troppo impegnato... mi raccontava sempre cose strane ultimamente, così—»
«Aspetta, frena, cosa ti raccontava? Riguardo la guerra?»
«Sì, ma la seconda, non la terza! Ha nominato più volte Peenemunde, le tecnologie del Terzo Reich, poi ha anche detto qualcosa che sinceramente mi ha inquietato…»
Palpebre che sbattono ripetutamente, perplessità: «Cosa?»
«Diceva,» voce triste «diceva che Von Braun non sarebbe mai dovuto andare in America. Che le cose che ha insegnato agli americani non erano nemmeno nostre, che… insomma… non ho capito benissimo di cosa parlasse, ma si evinceva chiaramente una certa apprensione per la tecnologia impiegata durante la Seconda Guerra Mondiale!»
Prussia, dall’altro capo del telefono, rimane immobile. Immobile la mano, immobili le palpebre.
«Prussia?»
«Italia. Ti risulta avesse con sé dei documenti? Qualcosa che custodiva piuttosto gelosamente, magari?»
«Caspita se li aveva! Non mi ha chiaramente detto fossero Top Secret, ma quando ho tentato di capire cosa fossero aprendo i fascicoli è saltato in aria!»
Il tedesco chiude le palpebre.
«Potrebbe essergli accaduto qualcosa?»
Una testa si scuote, i ciuffi corti e argentei ondeggiano lievi «No, ne dubito. In Germania tutto è tranquillo. A parte Berlino… ma quello non ha a che vedere con lui al momento.»
«Berlino come sta?»
Altro sospiro. Pesante, desiderato.
«Potremmo perderlo. Della città è rimasto quasi niente… quel poco che c’è, è la carcassa che teniamo al centro operativo.»
Una voce tremula balbetta un “oh dio”, poi Feliciano deglutisce: «Prussia, devo fare qualcosa. Non voglio capiti qualcosa a Germania! Devo, devo aiutarvi!»
«Equivarrebbe a volare fino a qui, Italia, te ne rendi conto? I caccia russi e inglesi sorvolano spesso le rotte, attaccano chiunque! Specialmente se sono singoli aerei o piccole scorte.»
«Non importa Gilbert. Devo tentare. Cosa me ne sto a fare qui per sempre? Non posso aspettare di attaccarli con voi, questo stallo si sta rivelando lunghissimo…»
Piccolo silenzio.
«Dammi qualche giorno. Se entro la fine di questa settimana non l’avremo trovato, ti giuro che proverò a farti venire qui. In qualche modo.»
Un improvviso rumore di statico. Il suono pungente di plastica che si accortoccia spinge Feliciano ad allontanare la cornetta per un istante, poi chiama ancora Prussia.
Non arriva nessuna risposta.
Solo qualcosa in sottofondo, sordo, come un’onda d’urto.
Poi, Prussia grida qualcosa in tedesco.
Alla fine Feliciano sente: quello non può essere né inglese, né russo, né americano.
 
A Germania sembra finalmente di aver scoperto il suo complesso di inferiorità. Quella spiacevole roccia, che da sempre gli sosta fra cuore e polmoni, come un elemento di troppo.
Ammette che di fronte a quella creatura ha bisogno di sentirsi dire che è stato perdonato. Che, nonostante ormai sia chiaro, la caduta del Reich Millenario fu un accaduto necessario. Un cerchio che si chiudeva, un ciclo che si compiva.
Un balzo evolutivo.
«Come potevo portarvi rancore… credevo di essere io l’unico colpevole. Se qualcuno aveva sbagliato, l’aveva fatto la Germania.»
Il suo collo ora è libero. Le appendici tentacolari sottili, quelle che si muovono quasi vive con movimenti eleganti e fluidi, sostano a mezz’aria, il loro padrone calmo come un mare troppo vasto per avere increspature, e tanto solido. I polpastrelli di Germania ne sfiorano uno, il gesto viene permesso.
«Dobbiamo quindi dichiarargli guerra? E’ possibile non ne usciremo vivi. Le due potenze mondiali più i loro alleati: spero Europa ed Africa basteranno.»
L’appendice vola agile sopra il suo polso, si attorciglia leggiadra attorno all’avambraccio del soldato. E’ una risposta vaga, e forte come un giudizio.
Onde invisibili e potenti scherniscono l’aria, si propagano e raggiungono il centro vitale e pulsante della mente dell’interlocutore: Germania sente un suono, la creatura gli parla telepaticamente.
Altri due devono ancora entrare in gioco.
A Ludwig vacilla lo sguardo. Mentre tiene gli occhi un poco dilatati sul viso dell’alieno almeno un metro più alto di lui, lasciandoli perdere fra le creste, gli zigomi pronunciati e le sfaccettature di colore, il dubbio gli suggerisce che quella presto non potrà più esser semplicemente chiamata Terza Guerra Mondiale.
  
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