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Autore: Hiromi    12/04/2011    11 recensioni
"Abitiamo in paesi diversi, entrambe vogliamo conoscere i nostri genitori, ma cosa possiamo fare normalmente? Ed ecco che io vado in Russia da te, e tu torni in Inghilterra presentandoti come me. Geniale, no?" Daphne Tachibana e Nadja Hiwatari si incontrano per caso a Parigi, e architettano un piano per riprendersi un loro diritto: conoscere i loro genitori. I guai sono alle porte!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Russie mon Amour

Russie mon Amour

 

 

Se c’era una cosa nella quale non era mai stata pratica, erano i computer: non li aveva mai capiti, e malgrado fosse nata nell’era della tecnologia, era come sempre stata ostile a tutto ciò che li riguardava.

Se si parlava di I-phone, I-pod, touch screen, tastiera qwerty, e tutto ciò che riguardava la tecnologia, allora andava bene: lei era la prima a voler imparare di più e sempre di più; ma se le si metteva sotto mano un pc di qualunque genere e tipo – che andasse dal fisso al portatile – allora cominciava ad andare nel pallone.

 

Con il suo lavoro di avvocato aveva dovuto imparare le cose più semplici, quelle basilari, ma quando il pc si rompeva o le spuntavano finestre che non capiva, iniziava ad imprecare in qualunque lingua conoscesse fino a quando qualcuno di buon cuore non si prestava a darle una mano.

 

Quella mattina era iniziata tutt’altro che bene, per lei: non aveva dormito tutta la notte, pensando e ripensando a quella sera in cui un bacio e una chiacchierata erano sfociati in un litigio definitivo, e aveva stranamente riempito il cuscino di lacrime.

 

Questa cosa in particolare non riusciva a spiegarsela: perché piangere se era quello che voleva? Lei non voleva Kai. Era attrazione, sesso, desiderio animale di qualcuno.

Eppure soffriva.

Non era felice, sollevata come lo era stata quando si era liberata di quegli insulsi uomini che le avevano chiesto di sposarli. Per loro aveva provato un po’ di noia e grande compassione, li aveva scaricati con molto tatto e tanti saluti.

 

Ho capito: sto male perché sono amareggiata che sia finita in questa maniera! Ci siamo detti cose bruttissime, in effetti…

 

Sorseggiando del caffè, Hilary realizzò che la situazione non poteva che finire così: lei e Kai si erano fatti del male anni prima e anche adesso. Erano come cani che si mordevano la coda, pronti a ricominciare, sempre, comunque, a cercarsi.

 

Dove può spingersi una persona per pura attrazione?

 

Sospirando, prese a cercare su internet il primo volo diretto per Londra. Non aveva mai prenotato lei queste cose, se ne era sempre occupato Max che di pc se ne intendeva, ma ora non poteva chiamarlo, visto che in Inghilterra era senza dubbio sera. E poi non voleva angosciarlo. No, ora era il momento di fare affidamento sulle sue forze.

 

Trovò un volo per l’indomani pomeriggio; il prezzo era altino, ma non le importava. Lo prenotò seguendo le procedure, e stampò due biglietti.

La camera di Nadja si trovava a pochi passi dalla sua, e quando spalancò la porta  intagliata in legno noce, notò che le gemelle stavano ancora dormendo.

Si diresse verso la porta finestra, aprendola completamente per far entrare la luce, e a quel punto i mugugni delle due sorelle si fecero sentire.

 

“Mamma…” biascicò Nadja sbattendo gli occhi. “Ma... Non sono nemmeno le sei.”

 

Daphne era la più intontita. Semi seduta, con i capelli arruffati, pareva non riuscisse a tenere gli occhi aperti. “Che c’è?” borbottò.

 

Hilary cercò di scacciar via l’amarezza e di mostrare un po’ di buonumore. “Ho pensato che solo per oggi Nadja poteva non andare a scuola e noi tre trascorrere una giornata insieme, vi va?”

 

La diretta interessata sbatté gli occhi. “Perché?”

 

La donna si morse le labbra. “Io e Daphne torniamo a Londra domani.” annunciò.

 

“Ehi, che cosa?!” stavolta gli occhi li spalancò definitivamente. “Perché?”

 

“Non mi rendere le cose più difficili, tesoro.” Hilary non la guardò negli occhi. “Torniamo a casa.”

 

“Se io non volessi?” ringhiò la ragazza.

 

La donna serrò la mascella, guardandola duramente. “Sei mia figlia, su di te ho la patria potestà fino a quando non avrai diciotto anni, quindi verrai con me, ti piaccia o meno.” fece, gelida, e un secondo dopo stava già sbattendo la porta.

 

Daphne era incredula: non aveva mai litigato con sua madre, tranne delle scaramucce subito chiarite, e per lei quello era stato uno shock.

Che diavolo poteva essere successo?

 

“Brava, bella idea darle addosso.” sbuffò Nadja. “Mi chiedo soltanto da un giorno all’altro che diamine sia cambiato.”

 

L’inglesina si abbracciò le ginocchia, affondandovi la testa: per qualche minuto non voleva pensare. In quei giorni era stata tanto addosso ai suoi genitori senza che loro se ne accorgessero da avere uno stress assurdo. Era quasi tentata di mandarli al diavolo e di urlare loro che se la sbrigassero da soli.

 

Ma certo: paura!” esclamò, rizzando la schiena.

 

“Eh?” Nadja sbatté le palpebre, non capendo.

 

Daphne si ravviò i capelli, tentando di dar loro una forma. “In questi anni mamma è stata molto corteggiata, te l’ho anche detto, no?” quella annuì. “Molti le hanno persino chiesto di sposarli, ma lei quando fiutava aria di gabbia, volava via.”

 

Alla Holly Golightly?” rifletté la moscovita.

 

“Non ci credo, hai visto Colazione da Tiffany?” chiese, incredula.

 

“Guarda che io ho letto il libro di Capote.”

 

“Ah, ti pareva.” sospirò. “Comunque si, direi che il paragone può bene o male essere quello, ma è un’ipotesi, perché non sappiamo se papà le abbia detto o fatto qualcosa che può averla spaventata… Anche se secondo me, è la più plausibile. Perché questa partenza improvvisa non me la spiego. Mamma se la fa sotto.”

 

“A noi non lo dirà mai.”

 

“Beh, a noi no… Ma alle sue amiche si.”

 

 

 

 

Rei Kon sapeva esattamente cosa fosse un deja vu: era la sensazione di aver già vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si stava verificando.

Ed era esattamente ciò che gli stava accadendo in quel frangente.

 

Prima, aveva visto gli alunni di Kai esercitarsi con Yuri, e già questo di per sé non era affatto normale; poi aveva visto il diretto interessato da solo, in una stanza, intento a sfogarsi a beyblade polverizzando qualsiasi cosa gli fosse d’intralcio. Un’autentica furia omicida.

 

L’aveva già visto in questo stato: quattordici anni prima. E sapeva anche cosa fare.

Semplicemente, entrò nella stanza, e si mise in un angolo. Sapeva che l’aveva visto, e sapeva anche che, quando si fosse sfogato abbastanza fisicamente, l’avrebbe fatto anche a parole.

Lui c’era per quello.

 

 

 

 

“Spiegami solo perché.” Karen era furibonda e fronteggiava Hilary con occhi lampeggianti per la rabbia.

 

“Te l’ho già spiegato, sei tu che non vuoi capire.” brontolò la bruna, scuotendo la testa.

 

La francese fece del suo meglio per mantenere la calma. Inutilmente.

Quando era rientrata dalla sua abituale passeggiata mattutina trovando Daphne e Hilary che litigavano – cosa assolutamente anormale e preoccupante – si era immediatamente frapposta tra le due, chiedendo quale fosse il problema, e la ragazzina aveva denunciato la madre, urlando con rabbia che non voleva tornare a casa per un suo capriccio improvviso. La donna a quel punto era esplosa, gridandole di andare in camera sua e di non tornare, e Karen aveva chiesto spiegazioni.

 

“Dal tuo racconto noto soltanto una donna innamorata che ha paura dei propri sentimenti e della felicità che potrebbe sopraggiungere.” le sbatté in faccia, una volta che la bruna smise di parlare.

 

“Io non sono innamorata!” inviperita, divenne quasi pallida. “Mi dispiace che si stia parlando di tuo fratello, ma provo attrazione e null’altro per lui, ficcatelo nella zucca.” sibilò.

 

Ma se lo dici come se ne avessi paura.” Karen contò fino a dieci prima di riprendere.

“Hilary, sarò onesta con te, non è facile. Non è facile per niente. Tenere in piedi una relazione, soprattutto se è un matrimonio, è un po’ come costruire una casa a mani nude. Devi mettere tu mattoncino dopo mattoncino, e devi anche essere aiutata dal partner. Litigherete per quale cemento usare, per come impostare i mattoni, ma funzionerà. E, no, lasciami finire: ti dico che funzionerà perché tu e Kai siete anime gemelle.

 

Lei rise senza allegria. “Non esistono le anime gemelle.”

 

Karen scrollò le spalle. “Sai che sono cinica e disincantata di mio, mi conosci, ma ho incontrato Takao. Come stiamo insieme?”

 

Quella si morse le labbra. “Non è la stessa cosa.”

 

“E che ne dici di Rei e Mao? Loro hanno una storia parecchio più complicata… Rei la fece aspettare per anni, Mao lo attese pazientemente, e ora sono sposati. Non per questo vivono felici e contenti, ma di certo l’armonia alberga tra di loro. Lo stesso è per me e per quella testa di cazzo del tuo amico.” fece, ridacchiando.

“Oh, non gli dire che l’ho definito così, eh? E’ una testa di cazzo, ma lo amo.”

 

La bruna sorrise, ma scosse la testa. “Noi siamo diversi. Voi vi appartenete, ma non vuol dire che debba per forza essere così per me e Kai. Non la dovete fare rosa per forza.”

 

Karen le prese le mani. “Ehi, io ti voglio bene, non ti mentirei mai. Se tu per ora mi stessi dicendo di amare mio fratello e non ti vedessi nulla di particolare, ti direi: guarda, Hila, a me sembra soltanto che tu gli voglia molto bene, ma… Niente amore.” fece, scrollando le spalle. “Invece quando ti guardo e pronuncio soltanto il suo nome… I tuoi occhi si illuminano, il tuo viso si rischiara… E poi come vi guardate, è tutto, anzi, quasi tutto, come sedici anni fa, e io sono quasi contenta. Tesoro, non rovinare tutto.”

 

Lei scosse la testa. “Io non… Non lo so.”

 

La bionda la guardò per un po’ in silenzio, che scese inevitabilmente tra di loro, dopodiché la prese per una spalla. “Ehi, stai tremando.”

 

“Eh.”

 

“Perché piangi, adesso?”

 

Sfiorandosi gli occhi realizzò le lacrime che le erano rotolate giù: non se ne era nemmeno accorta. “Non lo so… Io…”

 

“Tesoro, ti ripeto: non è facile, non lo è mai. A volte ho voglia di ucciderlo nel sonno, l’amico tuo, figurati.” la battuta fece ridere Hilary, che si asciugò nuovamente gli occhi. “Immagino che non lo sia nemmeno per Mao, tanto che, prima che tornassi tu, quando passavo di qui, o lei veniva in Francia, andavamo sempre a prendere un drink da qualche parte per sparlare dei mariti e lei dei figli.” rise. “Ma non lasciare che la paura ti condizioni. Potresti pentirtene tutta la vita.”

 

La bruna l’abbracciò di slancio. “Non ti prometto niente, ma grazie per questa chiacchierata.”

 

 

 

 

Kai richiamò Dranzer, il fedele compagno di una vita, e lo ripose nel caricatore. Erano ore che andava avanti con lui, e a quei ritmi presto il suo fisico avrebbe ceduto. Se da un lato, infatti, sentiva i suoi muscoli stanchi e tesi come poche volte lo erano stati in vita sua, dall’altro un’energia, un furore, della rabbia e dell’ira li animava e li contagiava talmente che sarebbe stato in grado di sfogarsi a beyblade anche per tre giorni consecutivi.

 

Ma era meglio frenarsi e non sforzarsi troppo. Ne aveva fatto di cazzate da giovane, per la sua turbolenza, e ora, dopo ore di allenamento e di momenti passati chiuso in quella stanza, era meglio mettersi a riposo, anche se, con la rabbia che ancora aveva in corpo, sarebbe stato capace di incendiare una metropoli.

 

Sapeva che Rei era lì, sapeva che era entrato probabilmente ore prima, e non ne era sorpreso.

Era colui che, in tutti quegli anni non l’aveva deluso nemmeno una volta e gli era stato accanto sempre, supportandolo e anche sopportandolo, come una sorta di fratello maggiore.

Sapeva rispettare i suoi spazi senza opprimerlo e ciò gli faceva onore, ma quel giorno non era proprio in vena di parlare.

 

Non voleva sfogarsi a parole, avrebbe voluto urlare, prendere a pugni qualcuno, sfogarsi per bene. Parlare no. Magari un’altra volta.

 

“Non ora.” disse soltanto, lanciandogli un’occhiata e uscendo dalla stanza.

 

Rei sospirò, annuendo lentamente.

Sperava soltanto che Kai e Hilary non si facessero troppo male, e che la situazione si risolvesse il prima possibile. Per tipi come loro, due opposti, era molto più difficile venire a patti con i loro sentimenti.

Aveva sempre pensato che fossero come lo yin e lo yang: completamente diversi, le due facce della stessa medaglia, il giorno e la notte, ma, esattamente come questi, l’uno non poteva esistere senza l’altro.

Prima o poi l’avrebbero capito anche loro.

 

 

 

 

Tamburellando nervosamente le dita sulla scrivania del padre, Daphne aspettò che, all’altro capo del telefono le si rispondesse: non le importava che in Inghilterra fosse notte né di fare una telefonata intercontinentale. Quella era un’autentica emergenza.

 

Dai, rispondete!

 

“Chiunque tu sia, lo sai che ore sono?” brontolò la voce alterata di Max.

 

“Zio, tappati la bocca e ascoltami.” si morse le labbra, a disagio. “E’ successa una catastrofe.”

 

Daph?” l’uomo emise uno sbadiglio. “Che è successo? Hilary sta bene?”

 

“No, è fuori di testa!” ringhiò la ragazza, per poi abbassare la voce, tentando di non farsi scoprire. “Dicevo, è fuori di testa.”

 

“Okay, raccontami tutto.” si sentì il rumore di una sedia e un altro sbadiglio.

 

Zio, sei un mito.

Io e Nadja volevamo fare tornare insieme mamma e papà, infatti li abbiamo lasciati soli un sacco di volte, abbiamo creato delle situazioni, beh, sai… Un po’ ambigue… E mi pare aver funzionato, perché una mattina cosa vedo? Mamma e papà che, proprio dietro la porta della sala da pranzo, si baciano! Però, davanti a tutti, fanno finta di niente.

 

Max fischiò. “Hai capito le gemelle malefiche… Continua.”

 

“L’idillio è continuato per due giorni… La mamma era sempre con un sorrisone sulle labbra e papà… Beh, sembrava  tutto in brodo di giuggiole.”

 

“Che è successo dopo?”

 

“Non lo so! Stamattina – alle sei tra l’altro – mamma mi sveglia che sembra impazzita e dice che ha prenotato un volo per domani pomeriggio. Lei e papà non si parlano, con zia Karen la sentivo discutere… Io non voglio partire!

 

Max emise un lungo sospiro. “Ascolta, non si sa cosa sia successo tra Kai e Hilary, di certo avranno litigato per qualche motivo… Ma prima o poi dovrete tornare, no? Ora, tu lascia stare il corso degli eventi, se c’è da tornare qui, tu vieni a Londra con tua madre, poi ci penseremo io e Maryam a farla ragionare, okay? Te lo prometto.”

 

Daphne si morse le labbra, quasi tremando. “Abbiamo passato una giornata fantastica, l’altro giorno, tutti e quattro insieme, e sembravamo una vera famiglia. Io e Nadja vogliamo solo che questo possa accadere. E’ una rottura di palle se non succede perché mamma se la fa sotto.

 

L’uomo ridacchiò. “Si, sarebbe proprio una rottura di palle.” lo sentì trattenere un altro sbadiglio. “Daph, torno a dormire, se ci vediamo domani, ci vediamo domani, honey. Un abbraccio.”

 

“Grazie di tutto, zio. Sei il migliore.”

 

 

 

 

Kai uscì dalla doccia della sua camera molto velocemente. Si strinse l’accappatoio in vita e si vestì alla svelta, eccezion fatta per il maglione, che non trovò da nessuna parte: evidentemente, dovevano essere tutti a lavare. Capitava che, di tanto in tanto, la domestica decidesse che era tempo di grandi lavatrici, cosa che lui riteneva abbastanza seccante.

Andando alla ricerca, per tutta la villa, di qualcosa che somigliasse ad un maglione, visto che faceva abbastanza freddo che non era tempo di mettersi una t- shirt o una camicia elegante, trovò invece, qualcosa di molto più irritante. Anzi, qualcuno.

 

“Che ci fai mezzo nudo?” lo attaccò, arrossendo.

 

Lui si sforzò di rimanere neutro, quando avrebbe solo voluto darle addosso. “La cosa non ti disturbava fino a ieri.”

 

Il rossore di Hilary si intensificò, e nei suoi occhi apparve un lampo d’ira. “E’ passata Marina, ha portato a lavare le tue cose, e qualcuna a stirare.”

 

Lui non rispose, facendo per andare verso le stanze delle domestiche, laddove avrebbe potuto trovare qualcosa da mettersi addosso.

La sola presenza di lei lo infastidiva, gli ricordava le parole crudeli che aveva usato nemmeno ventiquattr’ore prima, e gli faceva venire voglia di urlarle cose che non pensava, che non pensava proprio per niente.

 

“Ah, volevo solo dirti che io e Daphne toglieremo il disturbo domani pomeriggio.” lo richiamò, facendogli arrestare la camminata. “Io direi che non c’è bisogno di rivolgersi a qualcuno per far vedere le gemelle…” proseguì con una smorfia – e con questo qualcuno intendeva un’autorità tipo un avvocato o un tribunale –

“A prescindere dalle vacanze ci organizzeremo: una volta qui e una a Londra. Credo sia la soluzione migliore per tutti.” concluse, sospirando impercettibilmente e voltandosi.

 

Quello che avvenne successivamente accadde in una manciata di fotogrammi così brevi da non poter nemmeno essere fotografati.

Si sentì presa per le spalle e intrappolata in una morsa d’acciaio, il cuore in gola, e gli occhi sprofondare in due pozze d’ametista. Furibondi, quegli occhi; arrabbiati, alteri, pieni di rabbia, di dolore. E anche di-

 

“Lasciami.” tremando, provò a divincolarsi, senza successo.

 

“Hai deciso tutto tu.” sibilò lui, furibondo. “Come sempre.”

 

“E’ la soluzione migliore.” ribatté, piena di rabbia.

 

“Che ne sai?” pareva una partita a ping pong, solo di quelle letali, perché in gioco c’era molto di più che una semplice vittoria. “Che ne sai se questa paura che hai non si trasformi in rimpianto?”

 

Hilary strinse gli occhi. “Io non ho paura. Dovete smetterla con questa-”

 

Negli occhi di Kai passò un lampo di trionfo. “Se non l’ho notato solo io c’è qualcosa di vero. Sai che cosa ti dico? Che sei una codarda. Coraggiosa solo quando si tratta di affermare la tua indipendenza, quando si parla di cultura e di libri, ma per i sentimenti? Me lo hai insegnato tu che sono importanti anche quelli, e proprio tu ti ritrovi ad essere incoerente, Tachibana.”

 

Hilary serrò le mascelle. “Che ti importa? Che ti importa se sono ipocrita o meno?”

 

Kai inarcò le sopracciglia. “Mi importa, perché ti amo.” un pesante silenzio scese tra di loro, e la donna si sentì come svuotata da ogni sensazione.

Anche anni prima, quando stavano insieme, non si erano mai detti quelle due parole, era la prima volta che le sentiva in assoluto.

 

“Smettila.” con le lacrime agli occhi, inghiottì a vuoto. “Non è vero.”

 

Lui la fissò con sguardo neutro. “Parti, se vuoi. Ma non è da me che devi fuggire. Né da quello che provi. Perché è dentro di te, e ti seguirà ovunque andrai.

 

 

 

 

A Takao si strinse il cuore quando, entrando nella stanza della sua migliore amica, la trovò buttata sul letto, in lacrime, che stringeva un cuscino.

Karen gli aveva raccontato tutto, da quello che si erano dette alle sue impressioni, ma ora voleva sentire la sua campana e consolarla; un po’ come faceva anni prima, prima che tutto cambiasse. Voleva uno spiraglio di adolescenza insomma, quando tutto era diverso e al contempo uguale.

 

“Ehi…” sussurrò, sedendosi sul letto, e la donna si voltò, tirando su col naso.

 

“Ciao.” singhiozzò. “Sto piangendo come una ragazzina, vedi?”

 

Ma lo sei.” fece, solennemente. “Bisogno di un abbraccio dal tuo vecchio migliore amico?” si offrì, a braccia spalancate.

 

Hilary ci si tuffò dentro: gli era mancato quell’abbraccio, e gli era mancato anche lui. “Ma tu sei il mio migliore amico. Vecchio, si. Dentro, però.” ghignò.

 

Takao si unì alla sua risata per poi posarle un bacio sulla fronte. “Allora, dolcezza: ti va di raccontarmi ogni cosa?”

 

Lei tirò su con il naso. “Non dirmi che non sai niente.”

 

“Okay, ti risparmio il fatto che hai scopato Kai alla grande e che l’hai scaricato non appena ti ha fatto la proposta indecente di una casetta in Canadà.” la donna rise, tirandogli una gomitata. “Okay, più o meno è così?”

 

“Immagino che Kary ti abbia raccontato questa versione stereotipata, e più o meno è andata così; il fatto è che quando ha accennato a famiglia e tutti insieme appassionatamente per sempre, io mi sono vista con un grembiulino a preparare vatruske allegramente e a servirgli vodka e vino per il resto della mia vita.”

 

Takao scoppiò a ridere. “Magari ingrassata di trenta chili con un fazzoletto in testa.”

 

“Ti prego, sono seria.” il suo tono era quasi isterico. “Ho un lavoro fantastico, a Londra, dei contatti altolocati, guadagno benissimo, ho una casa, degli amici, …Daphne va a scuola, ha una vita… E lui ha parlato di trasferirmi io. Perché dovrei rivoluzionare la mia vita, che va bene così com’è?”

 

Lui annuì. “Ho capito.”

 

“Mi fa rabbia che tutti pensino che stia scappando, che sono una codarda, che lo amo…

 

“Non è così?”

 

Lei ammutolì. “Non lo so!” urlò. “Anche se fosse sono affari miei. E comunque qui che vita avrei? Dovrei cominciare da capo, crearmi una rete di contatti nuova, per non parlare della vita sociale… Un casino. Un autentico casino.”

 

Takao le afferrò il braccio con decisione, bloccando il suo flusso di parole. “Dolcezza, ti informo che l’amore è un casino.” fece, deciso. “Scordati il fottuto e vissero felici e contenti, perché è una balla. L’amore, quello vero, è un litigio dopo l’altro, spezzettato da voi che dovete vedere se questi arrivano a minare il vostro rapporto di coppia. Se si, allora come duo fate cagare. Se no, allora insieme siete una squadra, e andate forte.” emise un sospiro e le concesse un sorriso.

“Tra te e Kai ci sono tante cose in ballo, è vero, ma ci sono anche due gemelle, e, cosa importante, i vostri sentimenti. Sta a voi decidere se il gioco vale la candela.” alzandosi, le baciò la fronte, prima di uscire dalla stanza. “Auguri, Hila. Ti voglio bene.”

 

“Anch’io te ne voglio…” rispose, con un filo di voce, ad una porta già chiusa.

 

 

 

 

Daphne era furibonda. Non credeva che, nella vita, lo sarebbe mai stata a quei livelli, con la madre, eppure probabilmente avevano litigato di più in quel giorno e mezzo, che in tutti i suoi quindici anni di vita.

Che non approvasse era palese, okay, ma c’era di più, molto di più.

Lei era proprio furibonda, se avesse potuto se la sarebbe mangiata. Perché quella donna spaventata da se stessa e dai suoi sentimenti era sotto gli occhi di tutti, e, invece, era proprio lei la prima a non volere ammettere di aver paura.

Difendere la propria indipendenza? Una scusa, una scusa del cavolo, un dito dietro al quale si stava nascondendo, a parer della ragazza.

 

In quel frangente, dopo aver salutato tutti – Nadja, Karen, Takao e soltanto la ragazza aveva salutato suo padre – si stavano recando a casa Kon. L’aereo sarebbe partito due ore dopo, e Hilary voleva tanto rivedere Rei e Mao prima di partire.

 

Fu Lee ad aprire la porta, e in casa trovarono Rei, che stava facendo i compiti con Rika, e Mao che stava cucinando una torta. Hilary sorrise nel vedere questo sprazzo di familiarità in casa dei suoi amici, Daphne non riusciva a dire alcunché, troppo nervosa.

 

“Allora te ne vai davvero.” Mao si asciugò le mani nello strofinaccio da cucina, sospirando.

 

“Non mi guardare così, sapevi che non sarei potuta restare per sempre.” ad uno sguardo scettico dell’amica, le guancie le si tinsero di rosso. “Mao.”

 

“Va bene, Karen mi ha raccontato tutto.” disse soltanto. “Se mi conosci sai anche come la penso, e siccome so che hai ricevuto abbastanza lavate di capo, non ti voglio dare pure la mia… Ti dico soltanto che stai facendo una cazzata.”

 

Hilary rise. “Grazie.”

 

Mao la abbracciò. “Vaffanculo, stronza. Fa’ buon viaggio, e non ti libererai di me, i voli di qui a Londra talvolta costano pochissimo.

 

Lei ricambiò l’abbraccio. “Esattamente quello che volevo sentire. E lo stesso farò io.” fece, stampandole un bacio sulla guancia. Poco dopo, si voltò verso Rei. “Ehi, arrivederci anche a te.”

 

L’uomo sorrise. “Sono d’accordo con tutto ciò che ti ha detto mia moglie, viaggio incluso.”

 

“Ah, perfetto.” lei sorrise.

 

“Tieni: io e Mao ti abbiamo fatto un regalo.” fece, dandole un pacchetto rettangolare.

 

Lei si dimostrò sorpresa. “Ah… Ma non dovevate, davvero.” scartandolo, vi trovò dentro una collana con dentro il simbolo cinese dello yin e dello yang.

Hilary li guardò interrogativamente.

 

“Per ricordarti di noi.” assicurò Rei.

 

Per indirizzarla verso ciò che è giusto. Geniale! Daphne era ammirata.

 

La bruna sorrise e li abbracciò nuovamente, dopodiché fu tempo di andare. C’era un aereo da prendere.

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

Alloraaaaaaaaaa: l’avete visto Genitori in Trappola sul tre? Io proprio qualche stralcio e, ad essere sincera, mi ha lasciata un po’ perplessa… Un po’ troppo sempliciotta come commedia… o.o Sarà che sono io che ho il vizio di complicare ogni cosa…

 

Coooooomunque: simpatico intermezzo tra quello di prima e il prossimo che sarà… L’ULTIMOOOOOO! =(

 

Io sono triste, mi mancheranno questi personaggi, ma… Okay, ho la bocca cucita. ;D

 

Un bacione, ladies and gentlemen,

 

Hiromi

 

 

P.S.= Ci vediamo giorno diciannove per l’ultimo aggiornamento: come finirà? Ve lo dico io: moriranno tutti.  u.u

 

 

 

 

 

Occhei, non sono credibile. XD

   
 
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