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Autore: Grifen    12/04/2011    0 recensioni
Due guerrieri, appartenenti a due mondi diversi, arrivano su un lontano pianeta alla ricerca dello stesso tesoro. Lo scontro è inevitabile. La loro forza si eguaglia, ed il loro potere ancora più grande. Chi vincerà?
Un racconto che ho realizzato come omaggio per un mio amico, Greven, utilizzando con il suo permesso il suo personaggio e i riferimenti del suo universo narrativo. Potete visitare la sua galleria su Deviant'art: http://furgreven.deviantart.com/
Il racconto è suddiviso in vari "episodi", che in realtà sono spezzoni che pubblico col passare del tempo man mano che vengono realizzati. Potete trovarli anche sul mio account Deviant'art: http://grifen.deviantart.com/
I personaggi sono animali antropomorfi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Tutto era iniziato da un accenno, poco meno di una voce  infondata, ma poi per fortunate coincidenze trovo una traccia vera e propria, anche se essa conduceva ai confini dell'universo conosciuto. Si era avventurato in zone del cosmo scarsamente esplorate, e se si fosse trovato in difficoltà non avrebbe trovato nessun aiuto perché non c'era segno di civiltà per parecchi anni luce; tuttavia era disposto ad affrontare quel viaggio pericoloso perché ciò che stava cercando, stando a quanto ne sapeva, aveva un valore inestimabile, dato che conteneva al suo interno il frammento del cuore di una stella morta, materia esotica pressoché introvabile.
Però queste erano cose di tutti i giorni per Miza. Egli era un Procione maschio un poco più basso della media e con la pelliccia corta dalle tonalità scure, il nero era intenso e brillante mentre le parti chiare erano grigio fumo; indossava una camicia, dotata di un ampio cappuccio, e dei pantaloni entrambi larghi e di colore grigio scuro, e portava scarpe nere che si allacciavano con una chiusura a strappo;  tutto l'insieme aveva un aspetto uniforme, piatto, vagamente plastificato.
Il suo Cobra Mk III, un'astronave di piccola-media stazza multiruolo biposto dalla forma trapezoidale, lo condusse a destinazione, cioè un pianeta semidesertificato anche se la temperatura, atmosfera e gravità lo rendevano ugualmente abitabile senza il bisogno di attrezzature: dallo spazio si vedeva un globo con due grandi continenti, dominati dai colori giallo e marrone pallidi e con qualche macchiolina verde piazzate in buona parte in prossimità dei mari, che contrastava sullo sfondo nero e stellato del cosmo. Si diresse immediatamente verso il luogo che cercava, aveva le indicazioni precise per trovarlo subito. In brevissimo tempo attraversò l'atmosfera e raggiunse la superficie, che era fatta di colline di varia grandezza: lui ne cercava una sopra cui sorgesse una qualche costruzione. Quando la identificò ebbe una sorpresa: i sensori della sua astronave avevano scansionato anche un oggetto di grosse dimensioni, fatto in plastica e metallo e di forma triangolare, vicino all'edificio, tuttavia il computer non riconosceva la sua funzione e identità. Miza ne fu turbato: l'istinto gli diceva che quell'oggetto, qualsiasi cosa fosse, non avrebbe dovuto essere li, e che sarebbe stato prudente se si fosse recato sul posto con discrezione.
Decise di atterrare tra due colline li vicino in modo di nascondere la sua astronave nel miglior modo possibile in quell'ambiente, poi avrebbe proseguito a piedi muovendosi di soppiatto. Toccato terra, spense i sistemi del suo velivolo, si slacciò dal posto di pilotaggio e prese con sé un minimo di equipaggiamento, in particolare un binocolo computerizzato, un'arma a forma di zeta (comunemente chiamate anche "Pistole Z"), ed un poco dell'occorrente per i suoi trucchi di prestigio. Quando aprì la porta dell'astronave venne infastidito dall'aria bollente che entrò dall'esterno e gli tolse il fiato, perché conteneva meno ossigeno rispetto a quella che respirava abitualmente; stando al computer del Cobra, la miscela di gas di quell'atmosfera non sarebbe dovuta essere tossica per Miza; egli si augurò che la macchina non si sbagliasse. Salì in cima ad una collina che fiancheggiava la sua meta, ricoperta da strati di terra riarsa, si sdraiò prono e scrutò la zona col binocolo: vide l'edificio che voleva raggiungere, una bassa costruzione esagonale priva di finestre e con una cupola come tetto; quello che impressionò maggiormente il Procione fu che appariva costruito con grandi blocchi quadrati di pietra, come negli edifici dell'antichità, anziché essere fatto con materiali moderni; egli non avrebbe immaginato che ci fosse, o ci fosse stato, nella galassia un qualche popolo evoluto fino ai viaggi interstellari che costruisse ancora in quel modo. Vicino alla struttura stava l'oggetto segnalato dai sensori della sua astronave: sembrava a tutti gli effetti un velivolo spaziale di piccola taglia, era di forma romboidale, appiattita, dalla linea arrotondata e di colore grigio scuro, quasi nero; era la prima volta che il Procione vedeva quel modello. Miza si sentì contrariato, ma soprattutto preoccupato: credeva di non aver insospettito nessuno durante le sue ricerche, eppure qualcuno, anche se di poco, lo aveva preceduto.
Ma chi?

Si dice che, in tempi remoti, gli antichi Cavalieri Oscuri governassero un impero che si estendeva su tutto l'universo conosciuto; il loro dominio era severo e spietato, tuttavia anche saggio, e dalla saggezza proveniva il potere; la loro conoscenza e la loro abilità erano grandi, al cui confronto gli odierni Oscuri sono pallidi riflessi, ed erano capaci di cose che si raccontano nelle leggende.
Eppure tutta la loro potenza non li salvò dall'estinzione: non conosciamo le cause della loro caduta, così come gli stessi antichi Oscuri lasciarono molto poco di loro; o forse essi vollero far credere alla Galassia della loro distruzione per sfuggire da una minaccia che non potevano fronteggiare, nascondendo la loro conoscenza e le loro risorse per proteggerle fino al giorno del loro ritorno?
Gli Oscuri contemporanei reputano quei Clans completamente dispersi, tuttavia hanno la certezza che i loro Maestri hanno occultato le loro possessioni per tutta la Galassia, persino oltre i confini dello spazio conosciuto.
Tra questi averi ci sono manufatti con la capacità di immagazzinare, rilasciare e addirittura manipolare le forze Oscure: erano creati usando materia degenera, che veniva ottenuta estraendo e frantumando il nucleo di stelle morte o morenti, con pianeti inabitabili, tramite potentissimi incantesimi. Quando le energie Oscure provocano un profondo trauma nella materia e nello spazio, questi ne restano impregnati senza più liberarsene né tornare normali, con la conseguenza di conservare perennemente l'effetto che hanno subito. Perciò saturando di forze Oscure la materia degenerata e incorporandola in dispositivi capaci di sfruttare le loro proprietà fisiche, gli antichi Oscuri furono in grado di costruire oggetti dai poteri misteriosi, ma senza dubbio fenomenali. Questi tesori sono ambiti dagli odierni Clans, perché hanno perso le tecniche per realizzarli, pertanto gli è impossibile riprodurli.
E il destino volle che Darth Revan, un Cavaliere Oscuro, scoprì la locazione di uno di questi manufatti.
Revan era un giovane Scoiattolo con la pelliccia marrone, mentre il suo viso aveva una tonalità più chiara a parte la striscetta sul naso più scura come il resto del manto; la sua capigliatura era corta e bionda, e gli occhi rossi intenso gli davano un'apparenza inquietante.
Durante le sue imprese era solito indossare una leggera tenuta da combattimento, completa di mantello, di colore nero: era fatta di plastica flessibile come la stoffa, tuttavia sufficientemente resistente contro le armi da taglio e da fuoco poco potenti. Portava appesi alla cintura la spada laser e alcuni accessori essenziali, che completavano la sua dotazione.
I compiti di Ufficiale dell'esercito Imperiale lasciavano allo Scoiattolo poco tempo da dedicare ai suoi progetti, tempo che generalmente investiva nella tipica maniera dei Cavalieri Oscuri: trovare modi per accrescere il proprio potere, e facendolo all'insaputa dei suoi Capi; la ricerca dei manufatti antichi rientrava nel suo interesse se potevano renderlo più forte.
La sua ultima scoperta era la Piramide del Potere di Vessergen. Vessergen fu un Maestro che condusse una vita anonima, erano scarsi i documenti che parlavano di lui, e alcune informazioni erano contraddittorie, per esempio non si conosceva quale fosse stata la sua razza, forse fu un Ratto, un Furetto o una Genetta; di certo si sa che fu un uomo di buone doti ingegneristiche, e creò alcuni dispositivi molto interessanti. Anche sulla Piramide del Potere Revan aveva scoperto molto poco: non trovò quale fosse la sua funzione, però seppe che conteneva un poco di materia delle stelle degenerate, perciò doveva essere un oggetto potente. Riuscire a ottenere queste informazioni aveva richiesto un certo tempo e correre qualche rischio, inclusa una incursione negli archivi riservati del suo Clan, a lui proibiti; tuttavia gli azzardi avevano dato risultati, tra cui l'esatta locazione della Piramide.
Sfruttando la prima opportunità che gli permise di giustificare una lunga assenza, alla fine arrivò a quell'arido pianeta senza nome, lontano dalla civiltà, e trovò la costruzione ottagonale di pietra. L'edificio ospitava una serie di stanze vuote, una per ogni lato, disposte in successione e collegate solo a quella seguente con delle grandi porte metalliche; queste erano sigillate e potevano essere sbloccate solamente risolvendo degli enigmi, uno per ogni camera.  Il tipo di indovinelli erano domande e rompicapo pertinenti la filosofia e la magia degli Oscuri, e quello che sorprese Revan fu la loro facilità: servivano nozioni avanzate che, tuttavia, erano conosciute da ogni Clan, e solamente i novizi non avrebbero saputo dare le soluzioni; invece lo Scoiattolo si era aspettato protezioni molto più difficili. Egli fece una ipotesi su questa stranezza (o almeno così la vedeva lui): probabilmente Vesserger desiderava che la sua Piramide potesse venire recuperata anche da altri Cavalieri Oscuri, perché forse aveva intuito che non sarebbe più potuto tornare a riprenderla, e perciò sarebbe stato meglio che il suo manufatto fosse andato nelle mani di un altro Clan piuttosto che in quelle dei loro nemici. Forse egli immaginò anche che la sua Piramide sarebbe potuta essere ritrovata soltanto in un futuro lontano.
In ogni caso, qualsiasi fosse stata la verità, a Revan non interessava molto, ciò che desiderava davvero era arrivare al suo tesoro; in realtà, in questo suo atteggiamento non c'era disprezzo per gli Antichi, bensì sperava semplicemente di trovare un'occasione per dimostrare le sue abilità.
E adesso si trovava davanti all'ultima porta, e al suo enigma.
La camera era vuota, eccetto per il pilastro triangolare di sasso al suo centro: la colonna era alta fino alle spalle dello Scoiattolo, ed era ricoperta da scritte e decorazioni in stile geometrico. Studiandolo, Revan scoprì che all'interno c'era una specie di circuito sensibile alla magia, e che doveva manipolarlo per distruggere l'oggetto stesso;  però vi era anche un trabocchetto, doveva evitare esplosioni o reazioni violente simili perché avrebbero ucciso anche lui.
Fu un lavoro noioso, tuttavia non complicato. Tenendo appoggiato il palmo della mano sulla cima della colonna, lo Scoiattolo usò i suoi poteri per manovrare l'ultimo componente del congegno; all'inizio non successe niente, poi il pilastro cominciò a brillare di azzurro chiaro, ma dopo la luce si trasformò in un'ombra, come se fosse una densa macchia d'inchiostro scuro, e successivamente si rimpicciolì, insieme all'oggetto che avvolgeva, fino a scomparire del tutto e senza lasciare nessuna traccia. Dopo un attimo, un cigolio annunciò l'apertura dell'ultima porta, che lentamente si spalancò da sola.
Finalmente la via era libera.
Si trovò davanti alla camera più grande di tutto l'edificio: l'ambiente era ampio e buio, anche se le ombre non nascondevano del tutto le sue pareti e la sua forma ottagonale, e nel suo mezzo un cerchio di colonne, perfettamente levigate, reggeva il soffitto. Infine, al centro esatto della stanza stava il sostegno di pietra, a base quadrata, che reggeva la Piramide del Potere: questa veniva illuminata maestosamente dalla luce del giorno proveniente dalla finestra nel soffitto, sagomata come un cerchio diviso in quattro spicchi distanziati, e il manufatto, come indicava il suo stesso nome, era di forma piramidale a base quadrata, con la superficie scurissima, nera opaca e priva di ogni genere di segno, mentre i margini risplendevano di un pallido azzurro. Messi con discrezione ai bordi del cono di luce e posizionati tra le colonne, c'erano degli androidi, apparentemente disattivati: al posto delle braccia avevano quattro cannoni blaster snodabili, posizionati due per spalla, la loro sagoma era snella ma ricca di spigoli vivi, ed erano colorati di porpora e argento, che dovevano rappresentare il Clan di Vesserger. Sulla superficie di tutte le pareti e le colonne c'erano glifi e frasi scritte con l'alfabeto magico degli Oscuri: i simboli, caratterizzati da forme spigolose occasionalmente variati da curve, brillavano variatamene di rosso e bronzo, tuttavia erano troppo deboli per combattere l'oscurità, e nelle ombre apparivano come sospesi nel nulla.
L'intero ambiente appariva immobile, come se il tempo si fosse bloccato, e solo la polvere spinta dall'aria entrata con l'apertura della porta spezzava questa illusione.
Revan rimase fermo all'ingresso, per studiare la stanza. Quel posto lo rendeva inquieto: vi era un enorme potere in quel luogo, un potere impetuoso come un mare in tempesta che lo avvolgeva e lo minacciava di trascinarlo nell'oblio al primo capriccio; rare volte aveva percepito così tanta magia, eppure sentiva di non poter fare niente per servirsene, qualcosa glielo impediva. Lo Scoiattolo intuì che la fonte dell'energia era la Piramide, e che Vessergen la aveva protetta in modo che nessuno potesse usare la sua magia eccetto colui che la possedeva, interdizione che includeva la struttura dell'edificio ed i simboli che riempivano quella stanza. Era una protezione efficacie anche a nascondere la presenza del manufatto: avrebbe dovuto sentirlo a grandi distanze, ed invece poteva percepirlo solo se gli era vicino.
Però altro lo impensieriva.
Nonostante gli androidi da battaglia fossero chiaramente disattivati, Revan aveva l'impressione che essi stessero controllando severamente tutti i suoi movimenti. Ovviamente doveva essere solo la sua suggestione, eppure lo Scoiattolo non riusciva ad ignorare la sensazione che ad una mossa sbagliata gli androidi avrebbero lasciato la loro apparente immobilità per assalirlo; forse c'era qualcosa ancora di funzionante, di vivo, in quelle macchine sotto la loro copertura plastica.
E forse i robot non erano i soli che lo stavano osservando: avvertiva anche una presenza, impalpabile, inafferrabile, che sfuggiva alle sue percezioni da Cavaliere Oscuro, forse annebbiati dalla magia nel salone. L'istinto gli diceva che vi era qualche cosa di innaturale, e che essa  lo stava sorvegliando. E se fosse stata la presenza dello stesso Vessergen? Si diceva che gli Antichi Maestri Oscuri conoscessero il segreto per far permanere il proprio spirito nel mondo dei vivi dopo la morte, però lo Scoiattolo non sapeva se Vessergen avesse fatto uso di quella pratica.
Oppure poteva essere solamente tutta immaginazione...
Ma sia che quelle impressioni fossero reali o meno, Revan era un Cavaliere Oscuro, e come tale non era arrivato all'altro capo dell'universo conosciuto per tornare indietro ora; eppure rimase fermo parecchio tempo all'entrata del salone, indeciso se avanzare oppure no: doveva ammettere che qualcosa, in quel luogo, lo faceva sentire in disagio, ed erano poche le volte in cui aveva ammesso una cosa del genere.
Alla fine si mosse verso la Piramide, e si immerse nel mare di simboli.
Nel silenzio imperante unicamente il rumore secco, pungente e triste dei suoi passi rimbombava nel salone; lo Scoiattolo era teso, e pronto a scattare non appena si sarebbe manifestato un pericolo.
Non accadde niente.
Giunse senza subire impedimenti fino al piedistallo del manufatto.
Tutto rimaneva tranquillo.
Revan si prese tempo per decidere sul da farsi, quasi sicuramente doveva esserci una trappola che avrebbe dovuto scattare se avesse toccato la Piramide, così come se la avesse mossa con la telecinesi. Come procedere? Allungò la mano per studiare l'oggetto con i suoi poteri...
All'improvviso qualcosa arrivò sibilando dalle spalle e passò proprio poco sotto la sua mano, poi il rumore di un colpo secco di una lama che picchia su un sasso. Revan abbassò lo sguardo: poco sotto il bordo superiore della colonna trovò incastrata una piccola piastra rettangolare, che prima non c'era, sopra cui stava uno strano disegno, del quale non ne capiva il significato ma se doveva tirare ad indovinare... aveva l'aspetto di una carta da gioco! Lo Scoiattolo rimase stupefatto e a fatica formulò un pensiero “Ma che... cosa diamine...”.
Dietro di lui una voce maschile, più arrogante che aggressiva, lo avvertì << Sarebbe meglio per te che tu lasciassi quell'oggetto lì dove si trova. >>


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Il duello ai confini dell'universo - capitolo 1 by Costa Claudio is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at www.efpfanfic.net.

   
 
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