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Autore: Akrois    12/04/2011    4 recensioni
Mordi il pane imburrato e apprendi che non solo alla vista sembra carbonella, ma ne ha anche il sapore. Mastichi lentamente mentre tuo padre legge il giornale, tua madre accarezza la gatta e la TV accesa v’informa gentilmente che l’AIDS si diffonde a macchia d’olio fra i giovani. Ringrazi mentalmente la signorina in abiti sgargianti e gioielli scintillanti che ogni mattina avverte te e la tua famiglia di tutte le atrocità che ammorbano il mondo e che vi toglie l’angosciante pensiero di dover fare conversazione fra voi: perché mai fare conversazione quando c’è una graziosa signorina in tailleur verde mela e gioielli finti come banconote da sette dollari che vi dice che Wall Street perde colpi? Non si può, non si può, sarebbe un’offesa troppo grande per la poverina.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mattina.

 

 

 

 

 

Al mattino ti siedi al tavolino sulla sedia su cui ti siedi da quando hai abbandonato il seggiolone e che ormai ha il segno del tuo sedere sull’imbottitura. Questa mattina ti accorgi che l’imbottitura è verde. Non ci avevi mai fatto caso.

Si siedi e prendi un toast, lasciandolo cadere sul piatto quando ti accorgi che è praticamente carbonella e che ogni singolo toast sul tavolino è nella stessa condizione. Ne deduci che tua madre brucia i toast.

Non avevi mai fatto caso neanche a questo.

Imburri il toast lentamente mentre dietro di te tua madre da il cibo alla gatta. Carezza la schiena di quella gatta dannata sussurrando frasi odiose come “micina mia” “gattina mia bella” o roba simile e senti il tuo stomaco accartocciarsi in maniera decisamente poco simpatica. Sono settimane che non riesci a tenere neanche una briciola di pane nello stomaco per più di quindici secondi e sentire tua madre che tratta una stupida gatta brutta e rachitica come fosse la figlia che non ha mai avuto non ti aiuta a restare abbastanza calmo da iniziare la digestione.

Mordi il pane imburrato e apprendi che non solo alla vista sembra carbonella, ma ne ha anche il sapore. Mastichi lentamente mentre tuo padre legge il giornale, tua madre accarezza la gatta e la TV accesa v’informa gentilmente che l’AIDS si diffonde a macchia d’olio fra i giovani. Ringrazi mentalmente la signorina in abiti sgargianti e gioielli scintillanti che ogni mattina avverte te e la tua famiglia di tutte le atrocità che ammorbano il mondo e che vi toglie l’angosciante pensiero di dover fare conversazione fra voi: perché mai fare conversazione quando c’è una graziosa signorina in tailleur verde mela e gioielli finti come banconote da sette dollari che vi dice che Wall Street perde colpi? Non si può, non si può, sarebbe un’offesa troppo grande per la poverina.

Ma tu vuoi fare conversazione. Vuoi davvero rendere tua madre e tuo padre partecipi della tua vita di tutti i giorni, vuoi condividere con loro angosce e speranze –soprattutto le angosce- ma le parole si stringono nella tua gola, scivolano sulla lingua, naufragano nella saliva e sbattono sui denti fino a essere buttate giù assieme ad un pezzo di carbonella pane tostato, destinate a scomparire distrutte dai tuoi succhi gastrici.

All’idea di quelle parole che si sciolgono nel tuo stomaco gridando di dolore poggi il toast sul piatto e lo guardi come fosse un cobra pronto ad attaccarti.

Oggi è un giorno come tutti gli altri –la sveglia, la doccia, i vestiti, la TV accesa, tua madre che non ti guarda e tuo padre che la imita, il gatto, il toast che non va giù e le parole che non escono mai- eppure oggi ti sembra tutto orribilmente diverso. È come se qualcosa ti opprimesse il petto, il cervello, il cuore, qualunque parte del corpo che ti possa essere utile per vivere.

Ti alzi, prendi lo zaino e saluti.

Non aspetti neanche di sentirli salutare a loro volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina dopo sei ancora seduto lì. La sedia ha ancora l’imbottitura verde con la forma del tuo sedere scavata sopra, i toast sono ancora bruciacchiati, tua madre accarezza ancora il gatto, tuo padre legge ancora il giornale e la signorina in tailleur verde mela e gioielli finti sorride ancora in TV, avvertendovi dell’altissimo tasso di disoccupazione giovanile.

Anche oggi la ringrazi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa mattina la gatta mangia da sola. Tua madre e tuo padre sono da qualche parte della casa da fare qualcosa e tu non hai neanche voglia di chiederti cosa.

Guardi la gatta in silenzio, pensando irritato a un sacco di cose poco carine che iniziano tutte con “perché” e finiscono sempre con “questa gatta del cazzo!”.

Ma perché tua madre non sottopone anche la gatta all’embargo affettivo a cui sei sottoposto tu? Perché non riserva anche a lei la stessa noncuranza, lo stesso ermetico silenzio, lo stesso sguardo vacuo che sembra che guardi te e al contempo guardi il muro dietro di te (anche se più probabilmente guarda il muro), le stesse labbra tirate fino allo spasmo in una sorta di sorriso che ricorda più l’espressione di uno che ha appena addentato un limone.

Tieni fra le mani la statuetta che hai preso a quella checca di Hummel e digrigni i denti guardando la gatta. Lei ti guarda a sua volta, sembra non capire, ti si avvicina e si struscia alle tue gambe facendo le fusa.

Le tiri un calcio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’alba del giorno dopo seppellisci un sacco di plastica in giardino, sotto le sterpaglie che aggrovigliano il vecchio scivolo di legno colorato che tuo padre ha costruito per te quand’eri bambino. Scavi nel terreno con una paletta toppo piccola e troppo colorata (stupidi arnesi da giardinaggio, sempre così fottutamente femminili) e pensi che tuo padre ha sempre avuto le mani d’oro, prima che la birra e il diabete lo rendessero un sedentario lettore di giornali economici, mentre tu sei in grado di sbriciolare come un wafer qualunque oggetto –o persona- che abbia la disgrazia di venire a contatto con te. Per giunta non hai nessun talento nell’aggiustare le cose o nel sistemare le situazioni e ogni volta che cerchi di fare qualcosa di buono finisci sempre per fare più danni.

Butti il sacco nella buca e inizi a ricoprirla di terra. Nessuno è sveglio a quest’ora, non c’è odore di toast bruciato né il ciarlare della presentatrice del telegiornale alla TV.

Seppellisci la gatta, la gatta tanto amata di tua madre e assieme a lei hai la netta sensazione di seppellire i cadaveri delle parole che hai sempre voluto dire, lo sguardo disperato con cui osservi il giornale che nasconde il viso di tuo padre, i crampi allo stomaco che ti prendono ogni volta che vedi quel finocchio di Hummel nei corridoi.

Ricopri il terreno di sterpaglie e sospiri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa mattina in particolare sei felice. Tua madre ti chiede dov’è la gatta. Ha l’aria preoccupata, ma tu non l’ascolti un gran che.

Sfoderi il più paraculo dei tuoi sorrisi ed esclami – Sono gay!- con tutta la voce che hai in corpo – Ed ho ammazzato la gatta!

Per lo meno se tua madre deciderà di sottoporti nuovamente a un regime d’embargo emotivo saprai benissimo perché lo farà e non starai ad arrovellarti troppo sui motivi profondi del suo comportamento.

Il che è decisamente fantastico.

 

 

 

 

 

 

 

 

A.Corner___

Salve, oh popolo del fandom di Glee!

In attesa che la mia amata Musa mi venga a trovare (non temete, sento l’odore del suo profumo alla rosa fin da qui, quindi non è troppo lontana) e sperando di riuscire ad aggiornare Residence Del - Ray Garden prima di domenica (giorno in cui, per la cronaca, partirò per la Turchia con uno dei quegli splendidi scolapasta con le ali aerei di Ryanair della quale non mi fido affatto ciecamente)  ecco a voi questa nuova cosa.

Inizialmente doveva essere tutto in prima persona e tutto in flusso di coscienza, ma l’assenza di virgole mi uccide fisicamente, quindi è venuta fuori così. Devo smetterla di iniziare a scrivere con la filosofia del “vediamo come viene fuori”. C’è il rischio che scriva schifezze, se no.

Comunque, sono felice che siate riusciti ad arrivare in fondo a questa roba senza sentirvi male.

(Notizia inutile del giorno: ho riscritto le tre righe iniziali della mia tesina per la maturità sei volte e non sono ancora soddisfatta. Mi sento tanto depressa *lacrime amare*)

Ah, c’è una cronica carenza di virgole qua dentro. Se ve lo state chiedendo: sì, è voluta. Nonostante tutto io ci ho provato a fare un flusso di coscienza come si deve, ecco (ç_ç)

Ah, sì, Dave ha stroncato la gatta con un calcio. Cercate di capire, la gatta era vecchia e magra e Dave non è certo un tipo da calcetti delicati, specie se si stà rodendo il fegato dalla rabbia. Ho immaginato che il povero animale sia volato verso il muro e si sia rotto l’osso del collo nell’impatto.

   
 
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