Mattina.
Al mattino ti siedi al tavolino sulla sedia su cui
ti siedi da quando hai abbandonato il seggiolone e che ormai ha il segno del
tuo sedere sull’imbottitura. Questa mattina ti accorgi che
l’imbottitura è verde. Non ci avevi mai fatto caso.
Si siedi e prendi un toast, lasciandolo cadere sul
piatto quando ti accorgi che è praticamente carbonella e che ogni
singolo toast sul tavolino è nella stessa condizione. Ne deduci che tua
madre brucia i toast.
Non avevi mai fatto caso neanche a questo.
Imburri il toast lentamente mentre dietro di te tua
madre da il cibo alla gatta. Carezza la schiena di quella gatta dannata
sussurrando frasi odiose come “micina mia” “gattina mia
bella” o roba simile e senti il tuo stomaco accartocciarsi in maniera
decisamente poco simpatica. Sono settimane che non riesci a tenere neanche una
briciola di pane nello stomaco per più di quindici secondi e sentire tua
madre che tratta una stupida gatta brutta e rachitica come fosse la figlia che
non ha mai avuto non ti aiuta a restare abbastanza calmo da iniziare la
digestione.
Mordi il pane imburrato e apprendi che non solo alla
vista sembra carbonella, ma ne ha anche il sapore. Mastichi lentamente mentre
tuo padre legge il giornale, tua madre accarezza la gatta e la TV accesa v’informa
gentilmente che l’AIDS si diffonde a macchia d’olio fra i giovani.
Ringrazi mentalmente la signorina in abiti sgargianti e gioielli scintillanti
che ogni mattina avverte te e la tua famiglia di tutte le atrocità che
ammorbano il mondo e che vi toglie l’angosciante pensiero di dover fare
conversazione fra voi: perché mai fare conversazione quando
c’è una graziosa signorina in tailleur verde mela e gioielli finti
come banconote da sette dollari che vi dice che Wall Street perde colpi? Non si
può, non si può, sarebbe un’offesa troppo grande per la
poverina.
Ma tu vuoi fare conversazione. Vuoi davvero rendere
tua madre e tuo padre partecipi della tua vita di tutti i giorni, vuoi
condividere con loro angosce e speranze –soprattutto le angosce- ma le
parole si stringono nella tua gola, scivolano sulla lingua, naufragano nella
saliva e sbattono sui denti fino a essere buttate giù assieme ad un
pezzo di carbonella pane tostato, destinate a scomparire distrutte dai
tuoi succhi gastrici.
All’idea di quelle parole che si sciolgono nel
tuo stomaco gridando di dolore poggi il toast sul piatto e lo guardi come fosse
un cobra pronto ad attaccarti.
Oggi è un giorno come tutti gli altri
–la sveglia, la doccia, i vestiti, la TV accesa, tua madre che non ti
guarda e tuo padre che la imita, il gatto, il toast che non va giù e le
parole che non escono mai- eppure oggi ti sembra tutto orribilmente diverso.
È come se qualcosa ti opprimesse il petto, il cervello, il cuore,
qualunque parte del corpo che ti possa essere utile per vivere.
Ti alzi, prendi lo zaino e saluti.
Non aspetti neanche di sentirli salutare a loro
volta.
La mattina dopo sei ancora seduto lì. La
sedia ha ancora l’imbottitura verde con la forma del tuo sedere scavata
sopra, i toast sono ancora bruciacchiati, tua madre accarezza ancora il gatto,
tuo padre legge ancora il giornale e la signorina in tailleur verde mela e
gioielli finti sorride ancora in TV, avvertendovi dell’altissimo tasso di
disoccupazione giovanile.
Anche oggi la ringrazi.
Questa mattina la gatta mangia da sola. Tua madre e
tuo padre sono da qualche parte della casa da fare qualcosa e tu non hai
neanche voglia di chiederti cosa.
Guardi la gatta in silenzio, pensando irritato a un sacco
di cose poco carine che iniziano tutte con “perché” e
finiscono sempre con “questa gatta del cazzo!”.
Ma perché tua madre non sottopone anche la
gatta all’embargo affettivo a cui sei sottoposto tu? Perché non
riserva anche a lei la stessa noncuranza, lo stesso ermetico silenzio, lo
stesso sguardo vacuo che sembra che guardi te e al contempo guardi il muro
dietro di te (anche se più probabilmente guarda il muro), le stesse
labbra tirate fino allo spasmo in una sorta di sorriso che ricorda più
l’espressione di uno che ha appena addentato un limone.
Tieni fra le mani la statuetta che hai preso a
quella checca di Hummel e digrigni i denti guardando la gatta. Lei ti guarda a
sua volta, sembra non capire, ti si avvicina e si struscia alle tue gambe
facendo le fusa.
Le tiri un calcio.
All’alba del giorno dopo seppellisci un sacco
di plastica in giardino, sotto le sterpaglie che aggrovigliano il vecchio
scivolo di legno colorato che tuo padre ha costruito per te quand’eri
bambino. Scavi nel terreno con una paletta toppo piccola e troppo colorata
(stupidi arnesi da giardinaggio, sempre così fottutamente femminili) e
pensi che tuo padre ha sempre avuto le mani d’oro, prima che la birra e
il diabete lo rendessero un sedentario lettore di giornali economici, mentre tu
sei in grado di sbriciolare come un wafer qualunque oggetto –o persona-
che abbia la disgrazia di venire a contatto con te. Per giunta non hai nessun
talento nell’aggiustare le cose o nel sistemare le situazioni e ogni
volta che cerchi di fare qualcosa di buono finisci sempre per fare più
danni.
Butti il sacco nella buca e inizi a ricoprirla di
terra. Nessuno è sveglio a quest’ora, non c’è odore
di toast bruciato né il ciarlare della presentatrice del telegiornale
alla TV.
Seppellisci la gatta, la gatta tanto amata di tua
madre e assieme a lei hai la netta sensazione di seppellire i cadaveri delle
parole che hai sempre voluto dire, lo sguardo disperato con cui osservi il
giornale che nasconde il viso di tuo padre, i crampi allo stomaco che ti prendono
ogni volta che vedi quel finocchio di Hummel nei corridoi.
Ricopri il terreno di sterpaglie e sospiri.
Questa mattina in particolare sei felice. Tua madre
ti chiede dov’è la gatta. Ha l’aria preoccupata, ma tu non
l’ascolti un gran che.
Sfoderi il più paraculo dei tuoi sorrisi ed
esclami – Sono gay!- con tutta la voce che hai in corpo – Ed ho
ammazzato la gatta!
Per lo meno se tua madre deciderà di
sottoporti nuovamente a un regime d’embargo emotivo saprai benissimo
perché lo farà e non starai ad arrovellarti troppo sui motivi
profondi del suo comportamento.
Il che è decisamente fantastico.
A.Corner___
Salve, oh popolo del fandom di Glee!
In attesa che la mia amata Musa mi venga a trovare
(non temete, sento l’odore del suo profumo alla rosa fin da qui, quindi
non è troppo lontana) e sperando di riuscire ad aggiornare Residence Del
- Ray Garden prima di domenica (giorno in cui, per la cronaca, partirò
per la Turchia con uno dei quegli splendidi scolapasta con le ali aerei
di Ryanair della quale non mi fido affatto ciecamente) ecco a voi questa nuova cosa.
Inizialmente doveva essere tutto in prima persona e
tutto in flusso di coscienza, ma l’assenza di virgole mi uccide
fisicamente, quindi è venuta fuori così. Devo smetterla di iniziare
a scrivere con la filosofia del “vediamo come viene fuori”.
C’è il rischio che scriva schifezze, se no.
Comunque, sono felice che siate riusciti ad arrivare
in fondo a questa roba senza sentirvi male.
(Notizia inutile del giorno: ho riscritto le tre
righe iniziali della mia tesina per la maturità sei volte e non sono
ancora soddisfatta. Mi sento tanto depressa *lacrime amare*)
Ah, c’è una cronica carenza di virgole
qua dentro. Se ve lo state chiedendo: sì, è voluta. Nonostante
tutto io ci ho provato a fare un flusso di coscienza come si deve, ecco (ç_ç)
Ah, sì, Dave ha stroncato la gatta con un
calcio. Cercate di capire, la gatta era vecchia e magra e Dave non è
certo un tipo da calcetti delicati, specie se si stà
rodendo il fegato dalla rabbia. Ho immaginato che il povero animale sia volato
verso il muro e si sia rotto l’osso del collo nell’impatto.