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Autore: SeiDelBus    13/04/2011    0 recensioni
Per quanto piano possa battere un cuore, diventa assordante se lo ascolti con il tuo...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ ufficiale: odio Alessandro Grasselli. In questo momento odio assieme a lui anche la pioggia che ha vanificato la piastra mattutina rendendo la mia acconciatura una sorta di nido per uccelli migratori, e odio anche qualsiasi fabbricante di scarpe di tela, visto che le mie si sono intrise di pioggia ghiacciata e adesso ho i piedi che mi martellano dal freddo come se fossero in miniera.
Ah, odio anche la prof. Vallesini, ma quella si fa odiare a prescindere.
Amo ancora invece Federico Sforza. Il problema è che sarà lui a non amare mai me.
Colpa dell’azione combinata di quella faccia da deretano molliccio di Alle Grasselli, la pioggia e le scarpe di tela. La prof. Vallesini non c’entra, ma continuo ad odiarla per tutti quei sei più che mi ha rifilato come se gliene venisse a lei, quando mi sono sempre sbattuta per dodici ore di fila a studiare per le sue verifiche…
Ma torniamo all’oggetto del mio livore: Alle Grasselli.
Che fosse uno stronzo patentato si era visto dai primi giorni di scuola, quando con quella sua aria da principe sodomizzato di fresco camminava impettito manco l’avessero appena insignito del premio faccia da culo dell’anno. Quei primi giorni quando noi primine coi nostri zainetti nuovi, le mollette nei capelli e le facce stupefatte di Dorothy sul vialetto di mattoni gialli di Oz siamo entrate nella Mitica e Incommensurabile Scuola di Magia e Stregoneria di Reggio Emilia. Ovvero, il Bus Pascal.
No, niente magia potteriana: la nostra è magia spicciola, a portata di mano. Ma per chi come me ha fortemente scelto e voluto questa scuola, poter entrare in vasca e poter dire “sono del Bus” ha avuto qualcosa di profondamente magico. E lo ha tuttora.
Sorvolerò sulla lunga ed entusiastica descrizione dei primi mesi di scuola fra alterne fortune accademiche: mi dilungherò invece sulle scoppiettanti nuove conoscenze.
Dico scoppiettanti perché alcune mi sono letteralmente esplose in mano! Le ragazze sono ragazze, quando c’è feeling è come trovare un prolungamento di sé, ed è allora cosa molto bella, buona e giusta. Per quanto riguarda i ragazzi… beh, sono una persona ricca di interessi, abbastanza soddisfatta di sé, per essere un’adolescente, con un discreto bagaglio culturale e un’intelligenza ottimisticamente al di sopra della media, ma devo ammetterlo, di ragazzi non ne capisco una fava.
Cioè, sono sempre vissuta tra amici maschi perché il caso ha voluto che la mia annata fosse sorprendentemente povera di fiocchi rosa, quindi credevo di sapere come interagire con l’altro sesso, quando sono arrivata al Bus. Sapevo anche dal galateo dei sessi che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, che gli uomini hanno un solo tasto di accensione on/off e che siamo noi donne ad avere una marea di manopole ed equalizzatori complicati.
Sapevo che il cavaliere fa la prima mossa e la dama graziosamente concede la propria augusta presenza come approvazione. E che a domanda segue risposta, se non positiva quantomeno educata.
Dovevo solo mettermi alla prova coi ragazzi.
Al Bus grazie al Padre, al Figlio e all’intera Santa famiglia, di ragazzi ce n’è tanti, ma tanti tanti.
Alcuni sono così notevoli che andrebbero immortalati in uno di quei calendari d’arte che regalano ai professori a Natale, quelli con le foto patinate stampate su due o tre ettari di carta spessa un dito. Esempio, gennaio toccherebbe a Federico Schiani, con quella sua faccia da Ken, gli occhi azzurri e il sorriso ammiccante che fa svenire le colonne di marmo… febbraio a Tommaso della 5 GBC, non so il cognome ma non ce n’è bisogno, se dici Tommaso dici lui, come se dici Naomi è logico che sia la Campbell e se dici Ernesto è logico che sia Sparalesto (o Che Guevara…?).
A marzo ci sarebbe Alle Grasselli e la sua facciazza da sberle, perché uno così stronzo dovrebbe essere minimo brutto come un cesso pubblico, invece lui è pure decorativo. E questa la dice lunga sull’ingiustizia divina nell’assegnare i famosi talenti della parabola.
E via di questo passo, compresi i rappresentanti d’istituto in blocco, Enrico e gli Zingarani, che a vederli sul palco durante i monteore ti aspetti che cantino in una boy band invece di fare comizi.
Sono partita a fare nuove conoscenze con questo bagaglio di convinzioni, le mie mollette e il mio zaino nuovo da primina, pronta e disposta a incontrare il mio Duca Azzurro (mamma insiste a dire che il Principe non esiste, così ho ridimensionato le aspettative…).
E invece, uno dopo l’altro, ho incontrato una serie sorprendente di strane forme di vita che dovrei chiamare ragazzi ma che invece chiamo o cubi di Rubik emotivi o parassiti di licheni nordici.
Tasto on/off? Fatemi il piacere: Matteo, il primo ragazzo che ho conosciuto, era peggio del computer della Nasa. Dovevo usare un decriptor per capire quello che diceva, perché il significato delle sue parole non era mai quello letterale. Magari scriveva su facebook “passami il sale” quando intendeva dire che secondo lui dovevo tuffarmi nell’acqua di mare salata a temperatura ambiente. E le idee che aveva in fatto di abbigliamento… un tomo di divieti che sembrava la stampa della regola benedettina. Esempio, avevo rivisto il guardaroba in base alla sua convinzione che le ragazze con le maglie scollate fossero tutte delle escort, poi un mese dopo che non ci sentivamo più “perché la nostra era una storia destinata a finire con l’estate e lo distoglieva dallo studio e lui se sapeva già che doveva finire non cominciava neanche” ho rivisto Matteo con arrampicata addosso una ragazza dalla maglia così scollata che sembrava tagliata sulle misure di Pavarotti.
Gelosia pussa via? Stranamente no. Buon per lei e buon per lui, ho pensato, ma mi sono sentita, come dire, vagamente presa per il culo. Dirmi semplicemente “non mi piacevi abbastanza”? Magari con la falsa ma elegante premessa “sei molto carina e simpatica, ma…”?
Invece, tutte ste pippe mentali, tutti sti giri di parole, questi voli pindarici per spiegarmi per filo e per segno cosa dovevo aggiustare di me per andare bene a lui (praticamente tutto), questo sfinimento del mio ego per finire con una esattamente al mio livello. Ma con la maglia scollata.
Ohibò.
Ero quindi un po’ perplessa ma ancora fiduciosa quando ho incontrato Francesco.
Io lo vedevo carino anche se le mie amiche dicevano che era un rutto… non ho mai trovato fondamentale la prestanza fisica, un ragazzo mi attrae per una serie di ineffabili alchimie che non mi va di esplorare perché mi piace l’idea di lasciar lavorare questo lato oscuro del mio inconscio.
Quindi, dicevamo, Francesco. Mi ha fatto una corte serrata, era simpatico, c’era feeling… aveva solo un brutto vizio, quando gli chiedevo qualcosa a cui non voleva rispondere chiudeva baracca e burattini senza profferire verbo e spariva. Così, in perfetto stile cafone, ti lasciava lì come una stronza ad aspettare una risposta che non veniva mai. Infatti, quando sono cominciate le domande difficili (poche perché non sono una cagacazzo, ma arrivata a un certo punto qualcuna la dovevo pur fare…) Francesco è puff, sparito. Anche un semplice sms per dire il solito “scusami, ma non mi piaci abbastanza”, forse non sarebbe stato il massimo del noblesse oblige, ma comunque sarebbe stato sempre meglio delle sue patetiche fughe nei corridoi quando per caso ci incrociavamo. Poverino. E poverina anche io, che ci capivo sempre meno.
Poi, c’è stato Byron. Lui sì che aveva un unico tasto on/off, il problema è che l’off era disattivato. Ho per sbaglio accettato di uscire dopo un breve corteggiamento serrato e ho dovuto sostenere una guerriglia urbana che nemmeno i vietcong si sono sognati: attacco di fanteria via terra, arpionamento via mare, bombardamento aereo… obbiettivo, le mie tette, ovviamente. Sono scappata da MacDonald’s col Big Mac ancora nell’esofago, sfinita e molto, molto confusa.
Lato oscuro del mio inconscio, che cazzo combini?
Quando è arrivato Mattia, con sollevo mi è sembrato di non essere più così sbagliata. Allegro, simpatico, un po’ guascone e sfacciato quel tanto che bastava per rendersi attraente, nonostante una faccia non proprio da modello di Armani. Era un po’ grande per me, 18 anni contro i miei 15, ma non ho mai pensato che l’età anagrafica fosse un problema. La mia convinzione è che la maturità scaturisca da una combinazione di esperienze e di capacità di apprendere dalle stesse: quindi mi sono sempre sforzata di non giudicare una persona se non in base al modo di affrontare le situazioni e ai ragionamenti che lo portano ad agire. 
Fatto sta che la prima volta che ho incontrato gli amici di Mattia, armata del mio migliore sorriso e di buone intenzioni, è finita che mi sono sentita una cacca di piccione colata sul parabrezza. Quindici anni?!?! Ma Mattia, non penserai di iniziare a fartela con una bambina?!?! Ma che hai, il cestino della merenda dell’asilo? E giù a ridere come dementi. Vacca, che bel comportamento maturo per dei diciottenni. Mattia è morto di vergogna: si è volatilizzato così in fretta che è sembrato sublimare come la naftalina.
Dopo questa sconcertante serie di fallimenti ho cominciato a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in me: sia chiaro, non sono una di quelle assatanate in cerca di un ragazzo a tutti i costi, ma credo che faccia parte del patrimonio genetico umano essere predisposti ad amare e farsi amare.
E per amore intendo tutto quello di positivo ci possa essere tra persone, amicizia, attrazione fisica, complicità intellettuale… Mi risultava strano che per me fosse così facile instaurare duraturi e soddisfacenti rapporti di amicizia, nonché collaborazione con professori, parenti e persone in generale, ma mi fosse praticamente impossibile iniziare una storia diciamo romantica con un ragazzo. Forse mi ci voleva un periodo di riflessione sabbatica.
A quel punto non l’ho cercato, ma è arrivato Vincenzo. Mi imbarazza un po’ dirlo, ma subito mi hanno attratto i suoi capelli: morbidi cannoli dorati in cui sognavo di ficcare le dita… puerile, lo so, ma quel pensiero mi provocava un rimescolamento interno che ancora adesso fatico a reprimere. Etereo, dall’aria un po’ schiva e timida, l’esatto contrario del mio carattere esuberante: non ci azzeccava niente col mio tipo ideale, ma da quando lo vidi la prima volta il mio tipo ideale diventò lui. Voci di corridoio dissero che piacevo a quello coi ricci della sua classe. Ero emozionata all’idea che fosse lui: ma non era lui. Era il suo migliore amico. Il famoso triangolo che no, non l’avevo considerato. Mille dubbi e ripensamenti, sensi di colpa da parte mia, supposte remore da parte sua, ma ci piacciamo davvero, mah, forse potrebbe, chi lo sa… anche se sembrava ci fosse qualcosa tra me e i cannoli dorati, non mi fu mai dato di sapere la verità, poiché Vincenzo, come gli altri, all’arrivo delle domande difficili puff, sparì. Con la sua ex, con cui si sentiva da un pezzo. Che botta, ragazzi.
Ero depressa, lo ammetto. Per quanto la girassi, non capivo dove sbagliavo. Perché era evidente che sbagliavo qualcosa io. Troppe aspettative? Ma và: se devo considerare un’aspettativa troppo elevata il fatto che un ragazzo riesca a dirti con la dovuta educazione che non è interessato a te in senso romantico, allora voglio diventare lesbica subito!
Un minimo di umano rispetto è l’unica cosa che ho sempre preteso, e mi scoccia sentirmi fuori luogo e fuori tempo per così poco.
E stato a quel punto che all’orizzonte, è apparso lui: Federico Santangelo Sforza.
*          *          *
Con un nomazzo così ti aspetteresti di vedere uno di quei tipi secchi e impalati, tutti impettiti perché sennò i nasoni patrizi che si ritrovano li sbilanciano in avanti, regolarmente con l’erre moscia e il foularino di Hermes portato con la noncuranza di una bandana della fiera.
Ma Federico non è così. Beh, quasi.
Cioè, ha l’erre moscia, ok, ma non è blasé … ha piuttosto l’erre in accelerazione, un po’ grattata sul palato. Interessantissima.
E ha il nasone, è vero, ma non da sbilanciamento, e comunque gli sta bene perché conferisce personalità a una faccia che altrimenti sarebbe troppo bella.
Infatti, ha due occhi azzurri da far paura. Con delle ciglia lunghe così, tutte arcuate, scure. Certe volte quando parla inondando l’aria di grattatine di erre, mi incanto a guardarle e le conto, come una psicolabile: una ciglia, due ciglia… sono arrivata a quindici prima che lui, con un educato colpetto di tosse, mi ricordasse che lo stavo fissando con evidente encefalogramma piatto.
Ah, giusto: Federico è anche educatissimo. La prima volta che ha aperto la porta a vetri e si è scostato per farmi passare sono rimasta lì impalata come se avesse schiuso i cancelli degli Inferi.
Frequenta la terza SM ed è un asso in matematica, ma non è un secchione forforoso e occhialuto. E’ figo, ma non plateale. E’ ironico, ma non burino. Ed è interessato a me, in maniera esplicita ma non invadente. Insomma, comunque lo metti, comunque lo giri, Federico sembra l’incarnazione del mio famoso Duca Azzurro.
Dov’è allora la fregatura? Ho iniziato a chiedermelo subito, visto i precedenti.
E infatti.
Mi sarebbe andato bene tutto, che avesse una gamba di legno, il padre in galera, una mutazione genetica aggrappata alla schiena… e invece, aveva il peggio: un amico come Alessandro Grasselli.
*          *          *
Che io mi chiedo e mi domando, come fa uno che si definisce tuo amico a smerdare pubblicamente la ragazza con cui ti stai sentendo con tanta sadica gioia?
Cioè, Alle non mi ha mai degnata di uno sguardo, se non un giorno in cui avevo un look abbastanza eccentrico da fargli mugugnare al mondo: “Te guarda, quelle del GBC sembrano tutte dei quadri di Picasso”. Avrei voluto dirgli che non sono del GBC e che semmai potevo sembrare un quadro di Kandinsky visto lo smodato uso di colori, ma lasciai perdere.
Lo stesso, da quando mi sento con Federico, ho addosso l’occhio di Alle che mi segue dovunque, come quello del dio Ra egizio.
Se bevo il caffè: “Ora capisco perché le primine sono sempre così isteriche e nervose”.
Se rido forte: “Senti queste primine che casino che fanno, sembrano le scimmie dello zoo”.
Se sto zitta: “Queste primine hanno la personalità delle colonne di cemento in vasca”.
E via di questo passo. Con quella voce strafottente e quella faccia da sberle che ti fa venir voglia di mollargli un calcio di rigore nel sedere. Tendenzialmente, dopo la terza provocazione, l’avrei già gentilmente ma con sollecitudine mandato a cagare. Ma c’è Federico di mezzo: non voglio fare la figura della lavandaia plebea davanti a lui. Ho sopportato più o meno stoicamente le provocazioni di Alle fino a oggi…
Oggi, quando ho sbagliato tutto già dall’inizio.
Oggi che mi sono voluta fare la piastra anche se il tempo minacciava pioggia.
Oggi che ho dimenticato l’ombrello e sono arrivata in vasca con la chioma  gonfia di goccioline d’acqua e i piedi intirizziti.
Oggi che mentre andavo verso Federico sorridendo un po’ imbarazzata (per via dei capelli) ho visto e sentito Alle di spalle che declamava a gran voce: “Ma lasciala perdere quella primina sfigata!”
Oh, non ci ho più visto: ho fatto come gli squali quando azzannano, mi è venuta giù la membrana che copre gli occhi e sono partita di mascella.
Nemmeno mi ricordo tutto quello che gli ho detto: so che son partita con qualcosa di tradizionale emiliano tipo che era indietro come le balle dei cani da caccia per finire con un classico stronzo sparamerda dalla valenza vagamente western.
Quello che purtroppo ricordo bene è la faccia di Federico mentre io vomitavo tutta la mia bile sul suo amico: un misto di sorpresa, vaga vergogna e rimpianto. Ancora parlavo e già mi sentivo una caccola, ma ormai la frittata era fatta… mi aspettavo che Alle partisse al contrattacco, vomitando a sua volta il proprio malcelato livore; lui invece è rimasto lì, basito, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa. Io allora ho girato i tacchi e sono volata via, a rintanarmi all’Ospedale. Sotto la pioggia ho pure cominciato a piangere, poi mi sono ricordata che la prima ora l’avevo al Bunker e ho fatto dietrofront, sgattaiolando per corridoi secondari, sentendomi sfigata, umida e fredda come un topo di fogna. Arrivata in classe la prof. di economia Delneri, visto colore e consistenza latticina della mia faccia, ha pensato bene di mandarmi in bagno a rinfrescarmi un po’. Rinfrescarmi? Sono un blocco di ghiaccio. E ho gli occhi gonfi e in fuori come le rane morte soffocate. Vorrei morire. Anzi, vorrei prima uccidere Alessandro Grasselli e poi vorrei morire. Anzi, vorrei mandare indietro il tempo, uccidere Alessandro Grasselli ancora in fasce nella culla e ritornare al presente per vivere una splendida e appagante vita senza quel rospo velenoso.
“Ehi.”
Merda!
E’ proprio lui, appoggiato allo stipite del bagno: mi sta porgendo un fazzolettino di carta con un gesto un po’ lungo, come se si aspettasse che potrei partire ad azzannargli la mano.
“Il calumet della pace l’ha sequestrato Santa Klaus.” mormora sorridendo di sghembo.
Per i non Bussini, Santa Klaus è il preside, barbuto e canuto come il babbo natalizio, anche se un filino meno accomodante.
“Peccato.” sibilo tra i denti. Sto pensando che avrei potuto usarlo per sodomizzare Alessandro e qualcosa deve trasparirmi dalla faccia perché lui stesso si allontana di un passo con cautela.
“Senti” esordisce poi in fretta, imbronciandosi “Non so che medicine tu abbia preso questa mattina, ma ti assicuro che non sei stata affatto piacevole.”
“Mi dispiace” dico automaticamente. Retaggio della buona educazione infantile, presumo: poi ritorno in me “Anzi, no, non mi dispiace per niente. Se tornassi indietro prendere anche una sedia e te la darei in testa. L’unica cosa che non rifarei è ucciderti in vasca, davanti a tutto il mondo… davanti a Federico.”
Le lacrime tornano a pungermi gli occhi e mi giro verso le turche sperando che Alle non se ne accorga.
“C’è solo un piccolo problema” continua lui con quella voce antipatica “Non so cosa tu abbia sentito della conversazione tra me e Federico, ma non stavamo parlando di te.”
Che bugiardo mentitore! Quasi quasi faccio calare di nuovo la membrana. Ma no, sono troppo depressa.
“Scusa se dissento, ma era abbastanza chiaro che stessi parlando di una Primina che ritieni sfigata… ovvero, di me.”
Alessandro mi guarda dritto negli occhi e chissà perché arrossisco: forse perché il suo sguardo è limpido e diretto, una vera rarità in ambito maschile.
“Parlavo della tua amica dai capelli rossi” risponde poi con tranquilla sicurezza “Quella che ti sta sempre appiccicata come una cozza allo scoglio e ride solo se ridi tu.”
“Vanessa?”
Che c’entra Vanessa, adesso?
“Lei.”
Fa una pausa riflessiva, come se fosse tentato di andare avanti, quindi lo incoraggio.
“E che avrebbe fatto Vanessa per meritarsi l’appellativo di sfigata?”
“Esce con Federico a tua insaputa.” risponde Alessandro a voce bassa.
Sbatto le ciglia un paio di volte, come se mi fosse arrivata della polvere addosso.
“Come?”
“Esce con Federico. Come la Camilla della seconda GBC e la Vittoria della terza SM.”
Non dico niente: mi sento annientata. Non riesco nemmeno a trattenere una lacrima che casca giù sulla guancia, puerile e tiepida come la manina di un bambino. Alle la vede e fa una faccia spaventata, come se avessi tirato fuori un fucile mitragliatore.
“Ehi, no, non piangere adesso, dai…”
“Non è per Federico” mi affretto a spiegare: ma la voce è così compromessa che in coda parte un singhiozzo dolente che con mio sommo orrore apre le cateratte. Inizio a piangere come una bambina. Mi copro la faccia con le mani ghiacciate, sperando di fermare l’emorragia, ma le lacrime sono sempre più copiose.
“Vattene via.” riesco ad articolare fra i singhiozzi: dopo questa umiliazione plenaria proprio di fronte a lui, l’unica cosa che mi sento di fare sarebbe buttarmi di testa nella turca e sparire nelle fogne.
Sento due braccia che mi circondano le spalle, un po’ goffe ma solide: cioè, Alle mi sta abbracciando?
“Non sopporto quando voi ragazze piangete” bofonchia evidentemente scocciato “Non è leale.”
“Non piango per F-F-Federico. E non piango per t-t-te, anche se ti odio e p-p-piangere davanti a t-t-te è la c-c-cosa più u-u-umiliane che mi sia ma s-s-successa… Piango perché non c-c-capisco, p-p-porco c-c-cazzo, cos’ho che non v-v-va!”
“Non hai niente che non va” risponde Alessandro con accademica convinzione “Sei carina, sei simpatica, socievole…”
“Allora perché… Matteo, Francesco, Vincenzo, Mattia…perché tutti si p-p-permettono di p-p-prendermi per il c-c-culo come se io non c-c-contassi niente?”
“Nessuno parte con l’intenzione di far del male alle altre persone” risponde dopo un po’: si vede che ci ha pensato su mentre io continuo a disidratarmi sulla sua spalla “E’ che… succede. A volte ferisci, a volte rimani ferito. Cerchi di fare del tuo meglio.”
“Balle!” gli urlo quasi dentro il padiglione auricolare “Non può essere questo il meglio delle persone! Non può essere questa vigliaccheria, questa confusione, questa paura di dire o fare le cose… Non può esserci solo questa merda in giro!”
E giù lacrime. Sono mesi che non faccio un plissé e adesso sembro l’eruzione del Mauna Loa. La spalla di Alessandro e quasi completamente zuppa, noto con remoto e sadico piacere.
“In giro c’è un po’ di tutto” risponde dopo un’altra lunga pensatina “Forse hai incontrato solo le persone sbagliate.”
“Se adesso dici che le mie aspettative sono troppo alte, ti inzuppo anche l’altra spalla.” lo minaccio mentre i singhiozzi si diradano lentamente. Quando mi ritiene fuori pericolo, Alessandro mi discosta da sé e mi porge un altro fazzoletto di carta, in cui strombazzo miseramente.
“Non è una colpa volere il meglio per se” dice con voce seria “Se cominci a pensare tu per prima che non ne vali la pena, non lo penserà mai nessuno. Non mollare, insisti ad aspettare quello giusto. Prima o poi lo troverai.”
“Già.” dico io : non ci credo, naturalmente.
“Ora ti dico una cosa che negherò fino alla morte, se fai tanto di divulgarla: io ero uno stronzo tale e quale a quelli che hai frequentato tu. Poi ho incontrato la ragazza giusta, una seria ma matta come un cavallo, intelligente ma che ride sempre.. una che mi ha fatto innamorare. Forse alla fine il segreto è tutto qui, quando ti innamori e sei ricambiato apprezzi anche tutto il resto che ti è successo, perché diventa quello che ti è servito per arrivare lì.”
“Come si chiama?”
“La mia ragazza? Serena. Ma non è del Bus.”
“Che difettaccio.”
Sorridiamo entrambi. Quando usciremo da questo bagno forse ci rimarrà addosso solo la puzza delle turche, ma per il momento sta succedendo una di quelle cose che solo al Bus succedono: stiamo parlando da amici.
“Vado in classe” dico alla fine “Tranquillo, ho chiuso i rubinetti.”
“Meno male. Ho la maglia fradicia.”
Gira le spalle e fa per uscire.
“Alle… scusa e grazie.” dico tutto d’un fiato.
Non si gira neanche. Saluta con la mano e sparisce.
E io?
*          *          *
Io torno in classe. Federico non lo sentirò più, ovvio. E probabilmente la scenata in vasca avrà qualche ripercussione sulla mia valenza sociale… ma che posso farci?
Se è l’amore che voglio, non posso fare altro che aspettare che l’amore succeda. La vita un po’ la puoi dirigere, un po’ ti capita, un po’ ti strapazza, ma non la puoi mollare e farla vivere a qualcun altro.
In fondo, sono al Bus.
E se un miracolo può succedere in tutta la rossa provincia di Reggio, sono sicura che avverrà qui…
 
 
 
  
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