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Autore: Ray08    13/04/2011    2 recensioni
[SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST L'OBIETTIVO]
Il suo obiettivo primario era una scopata.
Dell'ottimo sesso era sicuramente il modo migliore per chiudere quella giornata di duro lavoro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dreams

Dreams Paintings

(AN ARTISTIC LOVE)

~


Il suo obiettivo primario era una scopata.
Dell'ottimo sesso era sicuramente il modo migliore per chiudere quella giornata di duro lavoro. Era passata una settimana da quando aveva trovato lavoro, ma Diego non sapeva che tuttofare equivalesse a schiavetto: aveva fotocopiato pile e pile di scartoffie, portato caffè a tutti i dipendenti del ministero e, come se non bastasse, aveva fatto su e giù per le scale almeno un miliardo di volte dato che gli ascensori erano rotti. Era decisamente distrutto. Questa era stata sicuramente la settimana più pesante della sua vita, seconda forse solo a quella prima della maturità, quando aveva dovuto rimediare a tutte le lacune che si era portato avanti in cinque anni di liceo scientifico-debito fisso a latino e inglese.


Così, dopo aver finito il turno, aveva optato per una cena veloce e una birra al bar. Inizialmente si era pentito di essere uscito: il vento invernale gli aveva sferzato il viso e, chiudendo gli occhi, aveva sperato di ritrovarsi immerso nella vasca, tra tante bolle di sapone profumato; con scarsi risultati. Poi gli era balenata in mente l'idea geniale, quella che avrebbe risolto tutto. Un amplesso lo avrebbe di certo rimesso in forze. Seduto sul suo sgabello quindi, Diego guardò gli altri clienti del bar nello specchio a parete che aveva davanti. C'era una ragazza bellissima, con i capelli biondi e delle gambe magre e lunghe, ma rideva assieme a un altro ragazzo, e perciò dovette guardare altrove. Due signori parlottavano al bancone di capi e aumenti che non arrivavano, della segretaria dell'ufficio accanto e dell'ultima partita di pallone. Diego si chiese se anche lui sarebbe finito così, con un amico ad un bancone a fare discorsi vuoti. Scosse la testa e pensò che aveva solo venticinque anni, e preoccuparsi del futuro non era affar suo- non ora almeno. Ora era tempo di cercare una preda. Continuò a scandagliare la sala: si soffermò appena su un gruppetto di ragazzine che, con in mano bottiglie di Bacardi, lo guardavano e sorridevano - avranno sì e no quattordici anni, pensò, troppo piccole, peccato- e il suo sguardo si soffermò su una ragazza, pressappoco della sua età, che era seduta all'angolo opposto del locale. Era tutta impegnata davanti al computer, e sorseggiava di tanto in tanto qualcosa, forse thé. Portava un basco blu, da cui uscivano, leggeri, dei capelli color del rame. Appoggiati sul naso aveva un paio di occhiali da vista con una montatura spessa e nera, e una sciarpa grande di color rosso acceso le avvolgeva il collo. Indossava un maglioncino beige e sulla sedia vicino a lei era ripiegato con cura un cappotto rosso. Diego osservò incuriosito le sue scarpe da sotto il tavolo: portava quei stivaletti pelosi, UGG tipo, che a lui ricordavano tanto Goku, o gli aeronauti spaziali, ma che sembravano così caldi-e facili da togliere.
Diego si diede un ultimo sguardo allo specchio, finì la birra e si alzò, per dirigersi verso la ragazza. Quando arrivò al suo tavolo le rivolse un sorriso a trentadue denti, e la salutò con un
"Ciao piccola".
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, strinse gli occhi a fessura come per studiarlo meglio, e poi tornò a guardare lo schermo azzurrino del computer. Diego rimase basito. Lui era bello e di solito le ragazze si incantavano a guardarlo: insomma non che fosse George Clooney, ma ecco, si sentiva più Brad Pitt, per fare un paragone. Riacquistando la sua sicurezza Diego spostò la sedia e si sedette.

"Allora cosa ci fa una bella ragazza come te, qui, a quest'ora, da sola?"

Diego seguiva una specie di manuale per conquistare le ragazze. La prima regola era farla sentire bella. La seconda era capire se la ragazza in questione fosse fidanzata- per evitare di essere presi a pugni dopo, da un fidanzato geloso.

"Cosa vuoi?" chiese allora lei.

Diego pensò che le avrebbe potuto dire la verità,
passare una piacevole notte con te, senza complicazioni e impegni di fidanzamento, ma poi si ricordò che una delle tante regole implicava il non dover dire sempre la verità, ma usare la diplomazia, e così sussurrò dolcemente:

"Conoscerti meglio..."

La ragazza si fermò, come colpita, poi lentamente si voltò verso di lui. Piegò il collo leggermente di lato, e poi, riprendendo a girare il cucchiaino nella tazza disse:

"Cosa vuoi sapere?"

"Come ti chiami?"

"Dafne..."

"Dafne, wow, che nome."

"Sì, non è molto usato. Ma sai, a me piace moltissimo, mi ricorda la
statua del Bernini."

Lui la guardò un po’ stralunato.

"La statua di chi?"

Lei sbuffò e poi aggiunse, con una voce da saputella.

"La statua del Bernini, Apollo e Dafne, quella ispirata al mito."

Lui continuò a fissarla con gli occhi spalancati, come se stesse parlando arabo.
Allora lei si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e disse:

"Non conosci la storia di Apollo e Dafne?" adesso il suo tono era dolce, come quello di una maestra che spiega qualcosa ad un bambino. Lui scosse la testa, sorridendo, e lei abbozzò un sorriso.


"Apollo, era il dio del sole. Un giorno aveva ucciso il serpente Pitone, e per questo aveva incominciato a vantarsi e a sbeffeggiare Eros, il dio dell'amore, dicendo che era lui il migliore arciere. Eros allora decise di fargli capire quanto fossero forti le sue frecce e ne scagliò due: una dorata che entrò nel cuore di Apollo, facendolo innamorare, e una di piombo, destinata a respingere l'amore, che lanciò a Dafne, una bellissima ninfa del bosco. Apollo iniziò quindi a cercarla nel bosco, ma quando la trovò, la fanciulla scappò, impaurita e sdegnata di lui. Poiché, nonostante corresse, Dafne non riusciva a distanziare il suo spasimante, pregò sua madre di aiutarla, e lei la trasformò in un albero di alloro. Dopo  la trasformazione, Apollo decise di far del lauro il suo albero. Dafne in greco vuol dire appunto lauro. E Bernini, uno dei più grandi scultori del barocco, ne ha fatto una statua bellissima. Ecco, guarda."


Così dicendo Dafne interruppe il suo monologo, e sfogliando tra la cartella delle immagini, aprì quella della statua. Diego si riscosse un attimo e fissò lo schermo.

"Carina."

Lei arricciò il naso, visibilmente contrariata- non era solo
carina- ma non disse nulla.

"Comunque Dafne, piacere, io sono Diego. E il mio nome non viene da nessun mito, ma da Maradona, sai il calciatore. Mio padre ci andava pazzo. Comunque, cosa è che fai, lavori?"

"Studio."

"Ancora?"

"Ho solo ventitré anni. Sto all'università."

"Oh, beh, che studi?"

"Giurisprudenza."

"Giurisprudenza? Ma come fai? E' qualcosa di difficile solo a dirlo!"

"Beh, in effetti è abbastanza difficile. Non da dire, da studiare, intendo. Ma i miei genitori hanno detto che questa sarebbe stata sicuramente la strada giusta per me. Mio padre è notaio, e mia madre avvocato."

"E a te piace questa strada?"

"E' quella giusta."

"Ma ti piace? Cioè è una cosa che..."

"Insomma..."

"E allora cosa vorresti fare?"

Lei arrossì di botto, assumendo una sfumatura simile a quella della sciarpa. "Disegnare."

"Disegnare? Sei un'artista allora!"

"Mi piace pensarlo."

"Perché non hai fatto l'università di, non so, che c'è, arti figurative? No aspetta si chiama di design e boh, insomma quella?"

"Te l'ho detto: non è la strada giusta."

"Io penso che la strada giusta sia quella che vogliamo noi. Comunque cosa è che disegni?"

"Un po’ tutto. Cioè è strano." Lei arrossì ancora e cercò di nascondersi dietro gli ultimi fumi della tazza di thé. "Io sogno. E poi mi sveglio. E allora inizio a disegnare quello che ho sognato, e la mano va da sola, la matita scivola sulla carta bianca. I colori invece li passo di giorno, quando ho un momento libero. Altri invece li lascio in bianco e nero, perché sono più d’effetto."

Diego la guardò e sorrise. "Cosa hai sognato ieri?"

Lei alzò lo sguardo verso un punto imprecisato della stanza.
"Ero su un ponte, il Tower Bridge. E avevo un vestito leggero, verde, del secolo scorso tipo dell'ottocento. Il cielo sembrava minacciare pioggia, e c'era un po’ di freddo nell'aria. E il fiume scorreva lento sotto di me, tranquillo e docile. Mi sembrava qualcosa di staccato dal mondo, un posto dove rifugiarsi e pensare: i colori mi danno l’idea del rumore e del caos. Lì non c’era niente di tutto questo, per questo l’ho lasciato in bianco e nero. I colori stonavano. L'altro giorno invece ero al centro dell'Africa, e ho visto un tramonto bellissimo. Quando poi sono andata a colorarlo, non so se puoi capire, ma io sentivo quasi il calore del sole che piano piano si abbassava. Mentre mescolavo l’arancione, il rosso e il giallo, e passavo il pennello sulla tela, io potevo sentire il viso che si accaldava, e la prima brezza della notte che iniziava a soffiare. Un po’ di tempo fa ero in una caffetteria di Parigi, a far colazione con i croissant fragranti, ne ho mangiati tre credo, e sentivo un odore di baguette appena sfornata…Poi mi sono immaginata a New York, a girare tra i grattaceli carica di buste da shopping…"

"Quindi tu viaggi con i sogni?"

"Non sempre, a volte mi sogno qui, nella mia città. Ma sì, spesso mi è capitato di trovarmi lontano."

"Posso chiederti un'altra cosa, Dafne?"

"Certo, Diego."

Avevano usati i nomi. Si erano chiamati. L'atmosfera sembrava ormai carica di quell'intimità che ci può essere solo tra persone che si conoscono. Sembravano dei vecchi amici.

"Potrei vedere qualche tuo disegno?"

Gli occhi di lei si illuminarono, e annuì vigorosamente.

"Davvero ti andrebbe?"

"Sì."

"Allora seguimi."

Andarono alla cassa, e Diego pagò per tutti e due. Poi sgusciarono fuori dal bar, e si diressero verso casa di lei. Continuarono a parlare ininterrottamente, lei  quasi le vomitava le parole. Dafne parlava così veloce, che Diego a volte faticava a starle dietro, e doveva prendere piano piano tutti i fili
dei vari discorsi -pensa che da piccola  una volta mi sono tagliata un dito con un coltello, mentre cercavo di prendere la marmellata,- alle medie avevo fatto una fatica per impararmi il canto di Dante a memoria, -no non sono mai andata allo stadio, non seguo il calcio- preferisco la montagna al mare- non credi che il touch sia sopravvalutato? Cioè è scomodissimo-e unirli insieme, per non perdersi. Parlare con Dafne era come fare un puzzle complicatissimo. Ti ci rompevi il capo, e ti ci dovevi impegnare, ma la figura che veniva alla fine era veramente bella.

"...e per questo non ho un cane, anche se mi piacerebbe un sacco. Oh, siamo arrivati. Aspetta cerco le chiavi."

Entrarono in casa dopo aver fatto una breve rampa di scale. Era un appartamento piccolo, di pochi metri quadrati, sicuramente in affitto.

"Scusa il disordine, eh!" urlò lei, mentre si stava dirigendo ad accendere tutte le luci.

In effetti, quel posto era molto disordinato. Ovunque giacevano sparsi fogli di carta scribacchiati, alcune tele vuote erano appoggiate intorno ai cavalletti, matite e chine varie erano buttate alla rinfusa su un tavolo, pennelli e tavolozze a terra. In mezzo a tutto quel caos le uniche cose che erano in ordine erano dei libri, che stavano impilati con cura ad un angolo della stanza.

"Beh, se ti guardi un po’ intorno troverai tutti i disegni che cerchi. Vuoi un caffè?

Diego annuì, lei sembrò così felice di questo, e sparì verso l'angolo cottura.
Il ragazzo si guardò intorno. C'erano davvero miliardi di disegni. Ritrovò immediatamente quello del ponte di Londra, e il tramonto africano. Ne vide uno su una città che gli sembrò Milano, e uno che rappresentava la corrida in Spagna. Gli occhi chiari di Diego guizzarono verso sinistra: appoggiato alla parete c'era un grande pannello di legno, sul quale era rappresentato un teatro. Aveva grandi tendoni color porpora scura, che sembravano veri. Il ragazzo mosse qualche passo, per toccare quella stoffa, e rimase quasi deluso quando si accorse che era solo liscio e bidimensionale. Ai lati si intravedevano alcune poltroncine, intervallate da colonnine bianche in stile ionico. Il sipario era per metà aperto e al centro capeggiava una scritta
"Considero il mondo per quello che è: un palcoscenico sul quale ciascuno recita la propria parte."  Dafne ritornò, con in mano due tazzine gialle e gliene porse una.

"Accomodati" sussurrò, indicando il divano. 

"Grazie. Sai, sono davvero bellissimi."

"Grazie."

Ci fu un momento di silenzio, e entrambi portarono la loro tazzina alla bocca.

"Ho una curiosità Dafne. Perché nei tuoi sogni sei sempre sola?"

Dafne si irrigidì immediatamente e la tazzina, tra le sue mani sottili, traballò. Abbassò lo sguardo e iniziò a torturarsi una ciocca di capelli, rigirandola fra le dita.

"Non sono capace."

"Come scusa?"

"Non sono capace a disegnare le persone."

"Ma cosa dici! Tu qui sei venuta benissimo. E poi..."

"No, non hai capito. Non so disegnare le altre persone."

"Io...non capisco."

"E' una cosa complicata da spiegare. Cioè non ci ho mai provato a spiegarla. Io riesco a disegnare bene quel tramonto perché lo sento..." Si fermò, prese fiato e sbuffò "..ecco sì, è davvero difficile da spiegare. Allora: quando disegno con la matita sono felice. E mentre disegno io sento qualcosa dentro, è come se sapessi già come verrà il disegno, perché ce l'ho stampato in testa e soprattutto nel cuore. Mentre dipingevo quel quadro lì, quello che rappresenta una spiaggia, io immaginavo l'odore del mare, il pizzicorio della sabbia sulle caviglie, il rumore dello sciabordio delle onde. Ecco, sapevo esattamente dove iniziare e dove finire, sapevo cosa volevo rappresentare. Con le persone non mi riesce. Non ne sono capace."

"Ma perché?"

"Il motivo, ecco, non ne sono proprio sicura, è solo che non ho mai conosciuto qualcuno veramente bene. I miei genitori sono sempre stati molto a lavoro, non ho fratelli o sorelle, e i cugini che ho sono tutti più grandi di me. Le amiche che avevo erano solo compagne di scuola. E di ragazzo ne ho avuto uno solo. Forse la colpa maggiore è stata la sua."
Con Dafne era quasi superfluo dire quelle frasi di circostanza che di solito sono d'obbligo, del tipo
 se ne vuoi parlare- io ti ascolto,ma solo se ti va. Lei era un fiume in piena. Lei parlava. E basta.

"Sai, quando ero al liceo un ragazzo mi iniziò a fare il filo..."

Diego rise interiormente di quel modo di dire, così antico e infantile, ma riuscì a trattenere una risata.

"...e beh, lui era più grande. E tutte le mie compagne mi dicevano
quanto sei fortunata, è bellissimo. Beh, si lo era. Comunque alla fine mi ci sono messa insieme, e sembrava davvero carino con me. Un giorno mi ha invitato a casa sua, per studiare, aveva detto. E io ci avevo creduto. Cioè, andavo bene a scuola, ma mi era sembrato un gesto così dolce volermi aiutare che non potevo dirgli di no! E  abbiamo fatto merenda insieme, perché io gli avevo portato dei dolcetti, ero così ingenua allora, e poi non ricordo neanche come, ma ci siamo ritrovati in camera da letto. E lui beh...Insomma, quel giorno ho perso la mia verginità. E non ero pronta. Però è successo. Così puff, mi ritrovavo donna. Senza volerlo davvero, però. Dopo quel giorno mi ha lasciato lo stronzo. E io insieme alla mia virtù ho perso un pezzo di me, ho perso la fiducia e la voglia di conoscere le persone."

Si fermò, fece per bere il caffè, ma si rese conto che era finito. Poggiò la tazzina sul tavolino.

"Ed è per questo che non so disegnare le persone: non so cosa devo rappresentare. Non so come farlo."

Dafne lasciò sfumare la voce, e abbassò lo sguardo.

"Potrei insegnarti io." Diego aveva finalmente detto qualcosa, dopo aver ascoltato in silenzio. Dafne alzò il viso verso di lui.

"Prego?"

"A rappresentare le persone, ti insegno io."

"Sei capace?"

"E' così facile. Basta conoscersi."

"Io, non ti conosco..."

"Invece sì."

"Ma cosa dici? Ci siamo visti oggi per..."

"Sbagli. Io ti conosco da sempre."

"Quando, come, perché?" Dafne era confusa, e mulinava le mani all'aria, come per afferrare concetti e parole, che in realtà le sfuggivano.

"Ti ho incontrata mille e mille volte. Nei miei sogni."

Diego pensò che una delle tante regole per rimorchiare una ragazza diceva di esagerare, di essere romantico e di inventarsi qualche stupidaggine, ma quelle parole le sentiva dentro, davvero, nel profondo del cuore.

Lei si avvicinò a lui, strofinando il naso sulla sua guancia.

"Ok, allora insegnami. Insegnami a conoscere, ad
amare..."

Le loro labbra si incontrarono, accarezzandosi appena. Lui approfondì il bacio, e con una mano la portò più vicina a lui, fino a che i due corpi non aderirono perfettamente. Le mani di lei arrivarono ai lembi della maglietta, e si staccarono, a malincuore, per spogliarsi. Senza neanche parlare lei lo condusse in camera da letto e fu qualcosa di incredibilmente dolce e eccitante, fu un lento scoprirsi ed assaporarsi per la prima volta, fu un dare e un ricevere senza preoccuparsi di nient'altro. Perché c'erano loro, e quello era importante. Forse era tutto un sogno, o forse la realtà per una volta non era poi così brutta.

Apollo l'ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa...


Nonostante il piumone del letto, il freddo intirizzì i suoi muscoli, e Diego si svegliò. Stropicciò gli occhi e si guardò intorno. Non era stato un sogno. L'orologio-sveglia sul comodino segnava le 03.57. Il buio della notte era così luminoso che Diego si chiese se per caso il sole, geloso e curioso di loro due, si fosse affacciato prima nel cielo, per scoprirli ancora a letto, abbracciati, insieme. Lentamente scostò la coperta e zampettò fuori dalla stanza. Arrivato nel salottino vide, seduta di fronte ad un cavalletto, una ragazza, intenta a tracciare linee nere su una tela bianca.


"Ehi." disse, avvicinandosi a lei, e soffiandole sul collo.

"Buongiorno dormiglione."

Diego, ricordando che ora fosse, pensò che Dafne aveva una strana idea del buongiorno. Ma lasciò perdere.

"Cosa stai disegnando?" chiese, prendendogli a mordicchiare un orecchio.

"Quello che ho sognato stanotte" rispose lei, mentre un sorriso le si allargava da parte a parte. "Che dici, sei venuto somigliante?"

La tela rappresentava due giovani corpi, abbracciati sotto le stelle, intenti a scambiarsi baci, carezze e promesse d'amore.

"Dico che non sono mai stato così bello."


 
~


Di obiettivi ne aveva cambiati un sacco in quei quattro anni che erano passati da quella sera, quando, stanco morto, era entrato in un bar qualsiasi. Il suo obiettivo primario, ora, era consegnare una piccola scatoletta di velluto alla sua bellissima ninfa. Nella scatoletta, umilmente ma con decisione, brillava un semplice solitario, sul quale era incastonato un larimar blu cielo: la pietra della creatività.

Spazio autrice:

Questa storia si è classificata seconda al Contest L'obiettivo, indetto da xdxdxd, ma giudicato da My Pride. Sono estremamente soddisfatta del risultato, considerando che non me lo aspettavo minimamente: qui sotto riporto il giudizio per esteso, e ringrazio ancora una volta la giudiciah e le partecipanti. 


Ammetto che la trama non mi ha colpita poi più di tanto, un po’ perché non ho visto risvolti esattamente originali, un po’ perché non rientrava esattamente in ciò che mi appassiona.
Insomma, aye, mi aspettavo un po’ più di azione, però di per sé la storia offre un’ottima lettura per chi ama il genere, specialmente per l’uso consapevole della punteggiatura e del lessico.
Le emozioni dei protagonisti sono palpabili e ben delineate, dunque permettono al lettore di calarsi nei loro panni e di sentirli quasi vicini, e anche la descrizione del paesaggio circostante è stata ben calibrata.
Come già detto, però, non mi ha colpita profondamente come avevo sperato nel leggere l’incipit, ma ciò non vuol dire che la storia non possa venire apprezzata maggiormente da qualcun altro.
E’ una buona storia che merita davvero di essere letta.

Originalità: 8/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Stile e lessico: 9/10
Attinenza al tema: 8/10
Apprezzamento personale: 4/5
Punti bonus: 14/20


  
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