Dreams Paintings
(AN ARTISTIC LOVE)
~
Il
suo obiettivo primario era una scopata.
Dell'ottimo sesso era
sicuramente il modo migliore per chiudere quella giornata di duro
lavoro. Era passata una settimana da quando aveva trovato
lavoro, ma Diego non sapeva che tuttofare equivalesse a schiavetto:
aveva fotocopiato pile e pile di scartoffie, portato caffè a tutti i
dipendenti del ministero e, come se non bastasse, aveva fatto su e
giù per le scale almeno un miliardo di volte dato che gli ascensori
erano rotti. Era decisamente distrutto. Questa era stata sicuramente
la settimana più pesante della sua vita, seconda forse solo a quella
prima della maturità, quando aveva dovuto rimediare a tutte le
lacune che si era portato avanti in cinque anni di liceo
scientifico-debito fisso a latino e inglese.
Così,
dopo aver finito il turno, aveva optato per una cena veloce e una
birra al bar. Inizialmente si era pentito di essere uscito: il vento
invernale gli aveva sferzato il viso e, chiudendo gli occhi, aveva
sperato di ritrovarsi immerso nella vasca, tra tante bolle di sapone
profumato; con scarsi risultati. Poi gli era balenata in mente l'idea
geniale, quella che avrebbe risolto tutto. Un amplesso lo avrebbe di
certo rimesso in forze. Seduto sul suo sgabello quindi, Diego guardò
gli altri clienti del bar nello specchio a parete che aveva davanti.
C'era una ragazza bellissima, con i capelli biondi e delle gambe
magre e lunghe, ma rideva assieme a un altro ragazzo, e perciò
dovette guardare altrove. Due signori parlottavano al bancone di capi
e aumenti che non arrivavano, della segretaria dell'ufficio accanto e
dell'ultima partita di pallone. Diego si chiese se anche lui sarebbe
finito così, con un amico ad un bancone a fare discorsi vuoti.
Scosse la testa e pensò che aveva solo venticinque anni, e
preoccuparsi del futuro non era affar suo- non ora almeno. Ora era
tempo di cercare una preda.
Continuò a scandagliare la sala: si soffermò appena su un gruppetto
di ragazzine che, con in mano bottiglie di Bacardi, lo guardavano e
sorridevano - avranno sì
e no quattordici anni, pensò,
troppo piccole, peccato-
e il suo sguardo si soffermò su una ragazza, pressappoco della sua
età, che era seduta all'angolo opposto del locale. Era tutta
impegnata davanti al computer, e sorseggiava di tanto in tanto
qualcosa, forse thé. Portava un basco blu, da cui uscivano, leggeri,
dei capelli color del rame. Appoggiati sul naso aveva un paio di
occhiali da vista con una montatura spessa e nera, e una sciarpa
grande di color rosso
acceso le avvolgeva il collo. Indossava un maglioncino beige e sulla
sedia vicino a lei era ripiegato con cura un cappotto rosso. Diego
osservò incuriosito le sue scarpe da sotto il tavolo: portava quei
stivaletti pelosi, UGG tipo, che a lui ricordavano tanto Goku, o gli
aeronauti spaziali, ma che sembravano così caldi-e
facili da togliere.
Diego si diede un ultimo sguardo allo specchio, finì la birra e
si alzò, per dirigersi verso la ragazza. Quando arrivò al suo
tavolo le rivolse un sorriso a trentadue denti, e la salutò con un
"Ciao piccola".
La
ragazza alzò lo sguardo su di lui, strinse gli occhi a fessura come
per studiarlo meglio, e poi tornò a guardare lo schermo azzurrino
del computer. Diego rimase basito. Lui era bello e di solito le
ragazze si incantavano a guardarlo: insomma non che fosse George
Clooney, ma ecco, si sentiva più Brad Pitt, per fare un paragone.
Riacquistando la sua sicurezza Diego spostò la sedia e si sedette.
"Allora cosa ci fa una bella ragazza come te, qui, a
quest'ora, da sola?"
Diego seguiva una specie di manuale
per conquistare le ragazze. La prima regola era farla sentire bella.
La seconda era capire se la ragazza in questione fosse fidanzata- per
evitare di essere presi a pugni dopo, da un fidanzato geloso.
"Cosa
vuoi?" chiese allora lei.
Diego pensò che le avrebbe
potuto dire la verità, passare
una piacevole notte con te,
senza complicazioni e impegni di fidanzamento, ma
poi si ricordò che una delle tante regole implicava il non dover
dire sempre la verità, ma usare la diplomazia, e così sussurrò
dolcemente:
"Conoscerti meglio..."
La ragazza
si fermò, come colpita, poi lentamente si voltò verso di lui. Piegò
il collo leggermente di lato, e poi, riprendendo a girare il
cucchiaino nella tazza disse:
"Cosa vuoi sapere?"
"Come
ti chiami?"
"Dafne..."
"Dafne,
wow, che nome."
"Sì, non è molto usato. Ma sai, a
me piace moltissimo, mi ricorda la statua
del Bernini."
Lui la guardò un po’ stralunato.
"La
statua di chi?"
Lei
sbuffò e poi aggiunse, con una voce da saputella.
"La
statua del Bernini, Apollo e Dafne, quella ispirata al mito."
Lui
continuò a fissarla con gli occhi spalancati, come se stesse
parlando arabo.
Allora lei si spostò una ciocca di capelli dietro
l'orecchio e disse:
"Non conosci la storia di Apollo e
Dafne?" adesso il suo tono era dolce, come quello di una maestra
che spiega qualcosa ad un bambino. Lui scosse la testa, sorridendo, e
lei abbozzò un sorriso.
"Apollo,
era il dio del sole. Un giorno aveva ucciso il serpente Pitone, e per
questo aveva incominciato a vantarsi e a sbeffeggiare Eros, il dio
dell'amore, dicendo che era lui il migliore arciere. Eros allora
decise di fargli capire quanto fossero forti le sue frecce e ne
scagliò due: una dorata che entrò nel cuore di Apollo, facendolo
innamorare, e una di piombo, destinata a respingere l'amore, che
lanciò a Dafne, una bellissima ninfa del bosco. Apollo iniziò
quindi a cercarla nel bosco, ma quando la trovò, la fanciulla
scappò, impaurita e sdegnata di lui. Poiché, nonostante corresse,
Dafne non riusciva a distanziare il suo spasimante, pregò sua madre
di aiutarla, e lei la trasformò in un albero di alloro. Dopo la
trasformazione, Apollo decise di far del lauro il suo albero. Dafne
in greco vuol dire appunto lauro. E Bernini, uno dei più grandi
scultori del barocco, ne ha fatto una statua bellissima. Ecco,
guarda."
Così
dicendo Dafne interruppe il suo monologo, e sfogliando tra la
cartella delle immagini, aprì quella della statua. Diego si riscosse
un attimo e fissò lo schermo.
"Carina."
Lei
arricciò il naso, visibilmente contrariata- non era solo carina-
ma non disse nulla.
"Comunque Dafne, piacere, io sono
Diego. E il mio nome non viene da nessun mito, ma da Maradona, sai il
calciatore. Mio padre ci andava pazzo. Comunque, cosa è che fai,
lavori?"
"Studio."
"Ancora?"
"Ho
solo ventitré anni. Sto all'università."
"Oh, beh,
che studi?"
"Giurisprudenza."
"Giurisprudenza?
Ma come fai? E' qualcosa di difficile solo a dirlo!"
"Beh,
in effetti è abbastanza difficile. Non da dire, da studiare,
intendo. Ma i miei genitori hanno detto che questa sarebbe stata
sicuramente la strada giusta per me. Mio padre è notaio, e mia madre
avvocato."
"E a te piace questa strada?"
"E'
quella giusta."
"Ma ti piace? Cioè è una cosa
che..."
"Insomma..."
"E allora cosa
vorresti fare?"
Lei arrossì di botto, assumendo una
sfumatura simile a quella della sciarpa. "Disegnare."
"Disegnare?
Sei un'artista allora!"
"Mi piace
pensarlo."
"Perché non hai fatto l'università di,
non so, che c'è, arti figurative? No aspetta si chiama di design e
boh, insomma quella?"
"Te l'ho detto: non è la
strada giusta."
"Io penso che la strada giusta sia
quella che vogliamo noi. Comunque cosa è che disegni?"
"Un
po’ tutto. Cioè è strano." Lei arrossì ancora e cercò di
nascondersi dietro gli ultimi fumi della tazza di thé. "Io
sogno. E poi mi sveglio. E allora inizio a disegnare quello che ho
sognato, e la mano va da sola, la matita scivola sulla carta bianca.
I colori invece li passo di giorno, quando ho un momento libero.
Altri invece li lascio in bianco e nero, perché sono più
d’effetto."
Diego la guardò e sorrise. "Cosa hai
sognato ieri?"
Lei alzò lo sguardo verso un punto
imprecisato della stanza.
"Ero su un ponte, il Tower Bridge.
E avevo un vestito leggero, verde, del secolo scorso tipo
dell'ottocento. Il cielo sembrava minacciare pioggia, e c'era un po’
di freddo nell'aria. E il fiume scorreva lento sotto di me,
tranquillo e docile. Mi sembrava qualcosa di staccato dal mondo, un
posto dove rifugiarsi e pensare: i colori mi danno l’idea del
rumore e del caos. Lì non c’era niente di tutto questo, per questo
l’ho lasciato in bianco e nero. I colori stonavano. L'altro giorno
invece ero al centro dell'Africa, e ho visto un tramonto bellissimo.
Quando poi sono andata a colorarlo, non so se puoi capire, ma io
sentivo quasi il calore del sole che piano piano si abbassava. Mentre
mescolavo l’arancione, il rosso e il giallo, e passavo il pennello
sulla tela, io potevo sentire il viso che si accaldava, e la prima
brezza della notte che iniziava a soffiare. Un po’ di tempo fa ero
in una caffetteria di Parigi, a far colazione con i croissant
fragranti, ne ho mangiati tre credo, e sentivo un odore di baguette
appena sfornata…Poi mi sono immaginata a New York, a girare tra i
grattaceli carica di buste da shopping…"
"Quindi
tu viaggi con i sogni?"
"Non sempre, a volte mi
sogno qui, nella mia città. Ma sì, spesso mi è capitato di
trovarmi lontano."
"Posso chiederti un'altra cosa,
Dafne?"
"Certo, Diego."
Avevano usati i
nomi. Si erano chiamati. L'atmosfera sembrava ormai carica di
quell'intimità che ci può essere solo tra persone che si conoscono.
Sembravano dei vecchi amici.
"Potrei vedere qualche tuo
disegno?"
Gli occhi di lei si illuminarono, e annuì
vigorosamente.
"Davvero ti andrebbe?"
"Sì."
"Allora
seguimi."
Andarono alla cassa, e Diego pagò per tutti e
due. Poi sgusciarono fuori dal bar, e si diressero verso casa di lei.
Continuarono a parlare ininterrottamente, lei quasi le vomitava
le parole. Dafne parlava così veloce, che Diego a volte faticava a
starle dietro, e doveva prendere piano piano tutti i fili
dei vari discorsi
-pensa che da piccola una volta mi sono tagliata un dito con un
coltello, mentre cercavo di prendere la marmellata,- alle medie avevo
fatto una fatica per impararmi il canto di Dante a memoria, -no non
sono mai andata allo stadio, non seguo il calcio- preferisco la
montagna al mare- non credi che il touch sia sopravvalutato? Cioè è
scomodissimo-e unirli
insieme, per non perdersi. Parlare con Dafne era come fare un puzzle
complicatissimo. Ti ci rompevi il capo, e ti ci dovevi impegnare, ma
la figura che veniva alla fine era veramente bella.
"...e
per questo non ho un cane, anche se mi piacerebbe un sacco. Oh, siamo
arrivati. Aspetta cerco le chiavi."
Entrarono in casa
dopo aver fatto una breve rampa di scale. Era un appartamento
piccolo, di pochi metri quadrati, sicuramente in affitto.
"Scusa
il disordine, eh!" urlò lei, mentre si stava dirigendo ad
accendere tutte le luci.
In effetti, quel posto era molto
disordinato. Ovunque giacevano sparsi fogli di carta scribacchiati,
alcune tele vuote erano appoggiate intorno ai cavalletti, matite e
chine varie erano buttate alla rinfusa su un tavolo, pennelli e
tavolozze a terra. In mezzo a tutto quel caos le uniche cose che
erano in ordine erano dei libri, che stavano impilati con cura ad un
angolo della stanza.
"Beh, se ti guardi un po’ intorno
troverai tutti i disegni che cerchi. Vuoi un caffè?
Diego
annuì, lei sembrò così felice di questo, e sparì verso l'angolo
cottura.
Il ragazzo si guardò intorno. C'erano davvero miliardi
di disegni. Ritrovò immediatamente quello del ponte di Londra, e il
tramonto africano. Ne vide uno su una città che gli sembrò Milano,
e uno che rappresentava la corrida in Spagna. Gli occhi chiari di
Diego guizzarono verso sinistra: appoggiato alla parete c'era un
grande pannello di legno, sul quale era rappresentato un teatro.
Aveva grandi tendoni color porpora scura, che sembravano veri.
Il ragazzo mosse qualche passo, per toccare quella stoffa, e rimase
quasi deluso quando si accorse che era solo liscio e bidimensionale.
Ai lati si intravedevano alcune poltroncine, intervallate da
colonnine bianche in stile ionico. Il sipario era per metà aperto e
al centro capeggiava una scritta "Considero
il mondo per quello che è: un palcoscenico sul quale ciascuno recita
la propria parte."
Dafne ritornò, con in mano due tazzine gialle e gliene porse
una.
"Accomodati" sussurrò, indicando il
divano.
"Grazie. Sai, sono davvero
bellissimi."
"Grazie."
Ci fu un momento
di silenzio, e entrambi portarono la loro tazzina alla bocca.
"Ho
una curiosità Dafne. Perché nei tuoi sogni sei sempre sola?"
Dafne
si irrigidì immediatamente e la tazzina, tra le sue mani sottili,
traballò. Abbassò lo sguardo e iniziò a torturarsi una ciocca di
capelli, rigirandola fra le dita.
"Non sono
capace."
"Come scusa?"
"Non sono
capace a disegnare le persone."
"Ma cosa dici! Tu
qui sei venuta benissimo. E poi..."
"No, non hai
capito. Non so disegnare le altre persone."
"Io...non
capisco."
"E' una cosa complicata da spiegare. Cioè
non ci ho mai provato a spiegarla. Io riesco a disegnare bene quel
tramonto perché lo sento..." Si fermò, prese fiato e sbuffò
"..ecco sì, è davvero difficile da spiegare. Allora: quando
disegno con la matita sono felice. E mentre disegno io sento qualcosa
dentro, è come se sapessi già come verrà il disegno, perché ce
l'ho stampato in testa e soprattutto nel cuore. Mentre dipingevo quel
quadro lì, quello che rappresenta una spiaggia, io immaginavo
l'odore del mare, il pizzicorio della sabbia sulle caviglie, il
rumore dello sciabordio delle onde. Ecco, sapevo esattamente dove
iniziare e dove finire, sapevo cosa volevo rappresentare. Con le
persone non mi riesce. Non ne sono capace."
"Ma
perché?"
"Il motivo, ecco, non ne sono proprio
sicura, è solo che non ho mai conosciuto qualcuno veramente bene. I
miei genitori sono sempre stati molto a lavoro, non ho fratelli o
sorelle, e i cugini che ho sono tutti più grandi di me. Le amiche
che avevo erano solo compagne di scuola. E di ragazzo ne ho avuto uno
solo. Forse la colpa maggiore è stata la sua."
Con Dafne era
quasi superfluo dire quelle frasi di circostanza che di solito sono
d'obbligo, del tipo se
ne vuoi parlare- io ti ascolto,ma solo se ti va. Lei
era un fiume in piena. Lei parlava. E basta.
"Sai, quando
ero al liceo un ragazzo mi iniziò a fare il filo..."
Diego
rise interiormente di quel modo di dire, così antico e infantile, ma
riuscì a trattenere una risata.
"...e beh, lui era più
grande. E tutte le mie compagne mi dicevano quanto
sei fortunata, è bellissimo.
Beh, si lo era. Comunque alla fine mi ci sono messa insieme, e
sembrava davvero carino con me. Un giorno mi ha invitato a casa sua,
per studiare, aveva detto. E io ci avevo creduto. Cioè, andavo bene
a scuola, ma mi era sembrato un gesto così dolce volermi aiutare che
non potevo dirgli di no! E abbiamo fatto merenda insieme,
perché io gli avevo portato dei dolcetti, ero
così ingenua allora, e
poi non ricordo neanche come, ma ci siamo ritrovati in camera da
letto. E lui beh...Insomma, quel giorno ho perso la mia verginità. E
non ero pronta. Però è successo. Così puff,
mi ritrovavo donna.
Senza volerlo davvero, però. Dopo quel giorno mi ha lasciato lo
stronzo. E io insieme alla mia virtù ho perso un pezzo di me, ho
perso la fiducia e la voglia di conoscere le persone."
Si
fermò, fece per bere il caffè, ma si rese conto che era finito.
Poggiò la tazzina sul tavolino.
"Ed è per questo che
non so disegnare le persone: non so cosa devo rappresentare. Non so
come farlo."
Dafne lasciò sfumare la voce, e abbassò lo
sguardo.
"Potrei insegnarti io." Diego aveva
finalmente detto qualcosa, dopo aver ascoltato in silenzio. Dafne
alzò il viso verso di lui.
"Prego?"
"A
rappresentare le persone, ti insegno io."
"Sei
capace?"
"E' così facile. Basta conoscersi."
"Io,
non ti conosco..."
"Invece sì."
"Ma
cosa dici? Ci siamo visti oggi per..."
"Sbagli. Io
ti conosco da sempre."
"Quando, come, perché?"
Dafne era confusa, e mulinava le mani all'aria, come per afferrare
concetti e parole, che in realtà le sfuggivano.
"Ti ho
incontrata mille e mille volte. Nei miei sogni."
Diego
pensò che una delle tante regole per rimorchiare una ragazza diceva
di esagerare, di essere romantico e di inventarsi qualche
stupidaggine, ma quelle parole le sentiva dentro, davvero, nel
profondo del cuore.
Lei si avvicinò a lui, strofinando il
naso sulla sua guancia.
"Ok, allora insegnami. Insegnami
a conoscere, ad amare..."
Le loro labbra si incontrarono, accarezzandosi appena. Lui
approfondì il bacio, e con una mano la portò più vicina a lui,
fino a che i due corpi non aderirono perfettamente. Le mani di lei
arrivarono ai lembi della maglietta, e si staccarono, a malincuore,
per spogliarsi. Senza neanche parlare lei lo condusse in camera da
letto e fu qualcosa di incredibilmente dolce e eccitante, fu un lento
scoprirsi ed assaporarsi per la prima volta, fu un dare e un ricevere
senza preoccuparsi di nient'altro. Perché c'erano loro, e quello era
importante. Forse era tutto un sogno, o forse la realtà per una
volta non era poi così brutta.
Apollo l'ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa...
Nonostante il piumone del letto, il freddo intirizzì i suoi muscoli, e Diego si svegliò. Stropicciò gli occhi e si guardò intorno. Non era stato un sogno. L'orologio-sveglia sul comodino segnava le 03.57. Il buio della notte era così luminoso che Diego si chiese se per caso il sole, geloso e curioso di loro due, si fosse affacciato prima nel cielo, per scoprirli ancora a letto, abbracciati, insieme. Lentamente scostò la coperta e zampettò fuori dalla stanza. Arrivato nel salottino vide, seduta di fronte ad un cavalletto, una ragazza, intenta a tracciare linee nere su una tela bianca.
"Ehi."
disse, avvicinandosi a lei, e soffiandole sul collo.
"Buongiorno
dormiglione."
Diego,
ricordando che ora fosse, pensò che Dafne aveva una strana idea del
buongiorno. Ma lasciò perdere.
"Cosa stai disegnando?"
chiese, prendendogli a mordicchiare un orecchio.
"Quello
che ho sognato stanotte" rispose lei, mentre un sorriso le si
allargava da parte a parte. "Che dici, sei venuto
somigliante?"
La tela rappresentava due giovani corpi,
abbracciati sotto le stelle, intenti a scambiarsi baci, carezze e
promesse d'amore.
"Dico che non sono mai stato così bello."
~
Di
obiettivi ne aveva cambiati un sacco in quei quattro anni che erano
passati da quella sera, quando, stanco morto, era entrato in un
bar qualsiasi. Il suo obiettivo primario, ora, era consegnare una
piccola scatoletta di velluto alla sua bellissima ninfa. Nella
scatoletta, umilmente ma con decisione, brillava un semplice
solitario, sul quale era incastonato un larimar blu cielo: la pietra
della creatività.
Spazio autrice:
Questa storia si è classificata seconda al Contest L'obiettivo, indetto da xdxdxd, ma giudicato da My Pride. Sono estremamente soddisfatta del risultato, considerando che non me lo aspettavo minimamente: qui sotto riporto il giudizio per esteso, e ringrazio ancora una volta la giudiciah e le partecipanti.
Insomma, aye, mi aspettavo un po’ più di azione, però di per sé la storia offre un’ottima lettura per chi ama il genere, specialmente per l’uso consapevole della punteggiatura e del lessico.
Le emozioni dei protagonisti sono palpabili e ben delineate, dunque permettono al lettore di calarsi nei loro panni e di sentirli quasi vicini, e anche la descrizione del paesaggio circostante è stata ben calibrata.
Come già detto, però, non mi ha colpita profondamente come avevo sperato nel leggere l’incipit, ma ciò non vuol dire che la storia non possa venire apprezzata maggiormente da qualcun altro.
E’ una buona storia che merita davvero di essere letta.
Originalità: 8/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Stile e lessico: 9/10
Attinenza al tema: 8/10
Apprezzamento personale: 4/5
Punti bonus: 14/20