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Autore: Scarecrow_    14/04/2011    3 recensioni
In quel preciso momento si convinse che quelle, senza alcun dubbio, si sarebbero rivelate le vacanze peggiori della sua vita.
Davvero non poteva immaginare che /quello/ era solo l'inizio.
Ah, povero inglese.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Primavera è la stagione più bella.
In Primavera sbocciano i primi fiori, gli alberi cominciano a riprendere colore e l'aria ha sempre un dolce profumo.
Il sole si risveglia dal torpore dell'inverno, cominciando a sgranchire i suoi raggi, facendoci godere del loro lieve e delicato tepore.
E l'amore! Chi non ha mai sognato d'incontrare la propria anima gemella in una frizzante giornata primaverile?
Tutto in Primavera sembra perfetto, già.

-Etciùùù!-

O quasi.

-Dannata allergia.-
Eccolo lì, l'unico esemplare di essere umano che non sognerebbe mai una cosa tanto melensa come l'amore.

-Dannata primavera... E DANNATI FRANCESI.-
Arthur Kirkland, ragazzo dai caratteri difficili e di nazionalità inglese, si trovava proprio in Francia, a Calais, in viaggio con i suoi genitori.
I parenti che abitano lontano, molto spesso, diventano un pretesto per viaggiare. E per mamma e papà Kirkland non c'era occasione migliore e divertente per spendere il loro denaro. E per far uscire il più giovane dei figli dalla sua camera sempre buia.
Contrariamente a quanto si possa pensare riguardo agli inglesi, almeno per la famiglia di cui stiamo parlando, erano persone alquanto vivaci. O almeno ci provavano, quei vecchietti, che sballottolavano il povero Arthur da una città francese ad un'altra.
Arthur Kirkland, invece, era proprio quello che si definiva un inglese DOC, al contrario dei suoi genitori.
Abbigliamento impeccabile. Parlata ben educata, con tonalità sicura ed elegante. Privo di qualunque senso dell'umorismo, però. Frequentatore di posti d'un certo livello. Comportamento calmo e discreto, ma soprattutto, anch'esso impeccabile. Un vero gentleman, insomma.

-God damn, che vacanze di merda...-
O per lo meno... Lui amava definirsi così.
Come già accennato prima, la famiglia Kirkland si trovava in Francia, per far visita ad alcuni parenti. Persone che, ovviamente, il giovane inglese non voleva neanche sentire per telefono: i suoi cari fratelli più grandi e il resto di zii e nonni, cugini.
Sin da piccolo Arthur non aveva mai avuto un'enorme simpatia nei riguardi dei fratelli, che sinceramente e con molta probabilità ricambiavano quest'ostilità nei suoi confronti.
Il più grande e anche il più antipatico (A parer dell'inglese), che adesso aveva 28 anni, viveva in un paesino sperduto della Scozia. E ringraziando il Signore, si disse Arthur, in quei giorni lui non ci sarebbe stato. In compenso, al posto suo, sarebbe venuto uno dei pochi cugini che aveva.
I tre Kirkland, comunque, si trovavano a Calais da qualche giorno, in cui non stettero quasi mai in albergo: la Francia, secondo mamma e papà, aveva un non so che di romantico, e per una coppietta giovane e ancora innamorata come loro poteva essere un'occasione per rinvigorire il loro amore!
Non si sa se davvero Arthur fosse loro figlio, e lui ne dubitava parecchio, fatto sta che non volle mai sapere in che modo i suoi genitori incoronarono quelle gite. Ovviamente lui non partecipò a nessuna. Perciò quando si parla di famiglia, con molta probabilità lui non è incluso, il più delle volte. La sua solita meta, comunque, quando si decideva ad uscire, era un piccolo bar, sempre desolato e in una via poco frequentata, che faceva un caffé tremendo, che pareva più acqua sporca che altro. Ma lui ci andava per rimanere solo, per leggere, per non infrangere la sua tranquillità.
Ma il momento di andare a far visita ai parenti doveva pur arrivare, così, in quel giorno soleggiato e col cielo sereno, l'inglese dovette armarsi d'immensa forza d'animo e alzare le chiappe dal suo letto. Le aveva provate tutte: aveva simulato un mancamento, un infarto, mal di testa, febbre, persino un dolore alluccinante agli alluci! Ma mamma e papà erano irremovibili, ci dovevano andare. E quindi il povero Arthur, già con il buon umore sotto i piedi, aggredì una tracolla, riempendola di libri e di cd con del buono e sano Rock 'n roll, e ovviamente anche il lettore per i dischi. Scese prima dei suo genitori dall'albergo, dopo essersi infilato di fretta e furia un paio di jeans ed un maglione, e si rifugiò in macchina al riparo degli sguardi di quei francesi petulanti che giornalmente lo circondavano.
Ah, povera anima.
Per tutta la durata del viaggio, sino alla villetta, Arthur non proferì parola. Avrebbe preferito di tutto, anche andare a trovare gli amici di famiglia in America, pur sapendo che avrebbe dovuto passare giornate intere con quel ciccione d'un Alfred che si ostinava a volergli insegnare come si preparasse un hamburger coi fiocchi. Ma lui avrebbe potuto avvelenarlo, con i suoi parenti era diverso.
Si tormentò l'orlo del maglione sin quando non arrivarono alla meta, rincuorandosi del fatto che tra tre giorni, almeno, sarebbe potuto tornare nella sua adorata e fredda Londra, con tutta quella gente seria e composta. E non come quei francesi -ancora-, che pensavano solo a cinguettare, ridere e scherzare.
In molti converrebbero con il fatto che quello si chiama vivere, Arthur.
Aprì le portiere della macchina per ultimo, sognando che tra qualche momento la casa sarebbe potuta scoppiare in aria... Ma non successe, e quindi dovette scendere dal veicolo, dirigendosi con i suoi per essere accolti.
Zie grasse e acide, nonne dalle dita ossute che ti tirano le guance, i soliti fratelli che vengono vantati a destra e sinistra, poppanti che piangono e corrono di qua e di là.
Arthur credette davvero di non farcela. E la sua sicurezza e il suo coraggio vacillarono per più di qualche momento.
Cena, pranzo. Pranzo, cena. Sarebbero dovuti rimanere lì a lungo, ed era ancora mattina. Troppo presto, il che significava che avrebbe dovuto parlarci, con tutte quelle persone.
Accennò qualche passo dentro il salotto, dopo essere stato sommerso da una valanga di saluti e sbaciucchiamenti umidi e salivosi da parte delle zie e nonne, ed evitò di soffermarsi troppo con lo sguardo sui suoi due fratelli, che si limitò a salutare con un cenno del capo.
Ok, su, poteva farcela. Doveva solo trovare una stanza calma, per sfuggire a quel caos famigliare, per cercare di non impazzire più del dovuto. Doveva farsi forza, per la miseria!
E neanche a farlo apposta, non appena varcò la soglia della cucina, si ritrovò davanti, a sbarrargli l'entrata, l'unica persona che veramente era felice di poter rivedere e con cui scambiava quattro chiacchiere con immensa felicità, durante quei numerosi incontri di famiglia. Zio James, una montagna imponente e baffuta, dall'abbigliamento sempre sobrio ma giusto in ogni situazione, un'invidiabile eleganza in ogni movimento, compostezza ed educazione. Insomma, al contrario del padre del ragazzo, che in quel momento era occupato ad intrattenere con stupide battutine le sorelle della moglie, Zio James era un esempio da seguire. Un eroe, quasi, ai suoi occhi da diciassettenne. Aveva successo in tutto, sia nel lavoro che nella vita, ed era una persona rispettata ed ammirata da tutti. Soprattutto da Arthur, sì.
-Ma guarda un po' chi abbiamo qui... Arthur, nipote mio, cerchi ancora di squagliartela? Non ti è bastata la lezione e la lavata di capo che ti ha dato Nonno Luis tempo fa'?- gli rivolse parola, abbozzando uno dei suoi soliti sorrisi calmi e pacati.
- C-ciao zio! Io non... No, non stavo cercando di svignarmela! Non sono mica un codardo.- rispose il ragazzo, in tono risoluto, superando l'iniziale imbarazzo.
Provava anche un certo timore nei suoi confronti, per questo gli obbediva sempre, come un bimbo che pende dalle labbra del proprio papà.
-No, certo che no. Un Kirkland deve sempre avere sangue freddo, in situazioni come questa, ne abbiamo già discusso tante volte.- annuì lui.
Ad Arthur veniva da sorridere quando anche lo Zio paragonava quel fracasso che c'era in quella casa, alle loro riunioni di famiglia, ad una qualche specie di guerra.
Annuì anche lui, facendosi forza e riuscendo a guardarlo negli occhi. Si sentiva un adulto, quando riusciva a superare quei primi attimi di soggezzione che la presenza dello zio gli provocava. Non voleva mai deluderlo, era per questo, voleva dimostrargli che in quell'anno era cresciuto, che era un uomo!
-Ma cosa ci possiamo fare...- sospirò James, scompigliandogli i capelli. - Sappiamo come sono fatti. Ma non possiamo mica abbandonarli come dei radaggi. Senza di te, i tuoi genitori, sarebbero persi. Mi chiedo sempre chi sia l'uomo di casa tra te e mio fratello, caro nipote...- aggiunse sbirciando la figura del papà di Arthur, intento a fare il simpticone raccontando di assurde storie che lo vedevano come protagonista con sua moglie. -Dimmi, Arthur, che ne dici di portare al parco giochi più vicino Peter? Sai, è da quando siamo arrivati che non fa altro che parlare di te. E si sta giusto annoiando fuori in cortile, seduto sull'altalena. Qui siamo tutti troppo stagionati /per non dire vecchi/ per voi, andate a divertirvi, su!-
L'inglese avrebbe voluto reclinare rispettosamente l'offerta. Lui voleva stare con gli adulti, fare discorsi diplomatici con loro, bere qualche goccetto in loro compagnia... Come poteva divertirsi con un moccioso di nove anni? Ma non riuscì comunque a dire di no allo zio. Come già detto, non ci riusciva proprio a deluderlo... Anche se, sinceramente, aveva il sentore che Zio James volesse liberarsi un po' della presenza petulante del vispo figlioletto.
Così Arthur si caricò in spalla nuovamente la sua tracolla, ed andò a salutare il cuginetto che gli saltò letteralmente al collo per la gioia. Lo prese per mano e si fece guidare- visto che anche s'era in quella città da 3 giorni non era mai andato a zonzo ad esplorare- in questo parchetto che tanto il piccolo aspettava di visitare. Il ragazzo si portò una mano al viso stanco e assonnato, e sospirò, come chi, ormai, si è arreso ad un destino ed un futuro crudele e doloroso.
E in questo parchetto ci arrivarono, anche se non del tutto incolumi visto il fiatone che avevano per la corsa, e per fortuna non era quell'infermo colmo di poppanti urlanti che s'era immaginato.
E c'erano anche delle panchine davvero molto invitanti, all'ombra di un enorme albero.
-Peter, davvero, non c'era bisogno di correre. Questo posto non si sarebbe mosso da qui, dannazzione!- si lamentò Arthur, alzando le machine del maglione sopra i gomiti. Ma ormai era troppo tardi per sgridarlo, il bambino si era già tramutato in una scimmia arrampicatrice e aveva preso d'assalto una giostra dai colori sgargianti.
-Sì, grazie per avermi ascoltato, lo so che mi porti rispetto perché sono più grande di te. Adesso vado a sedermi e ascolterò un po' di musica, non pensare mica di venire a parlare col cugino che non vedi da un anno, eh, mi disturbi.- borbottò tra se e se, ovviamente irritato per il comportamento del ragazzino.
Ma si sedette davvero all'ombra di quel bell'albero, almeno per cercare di riprendere fiato e alleviare l'asfissiante caldo che cominciava a fargli girare la testa. Si sedette di peso, poggiandosi contro lo schienale e gettando la testa all'indietro, a gambe aperte. Restò seduto in quella posizione scomposta per un po', sin quando si ricordò di avere nella tracolla il suo fidato lettore CD. In un momentò si rinvigorì di forza nuova e lo estrasse dalla borsa, pronto a godersi una bella mattinata all'insegna del relax.
La prima, secondo lui.
Fece per infilare la prima cuffia e sul suo viso si dipinse finalmente un'espressione calma, rilassata... Ma subito la sua visione della luce del sole si oscurò, sentendo sul viso qualcosa di morbido, peloso, umido.

Qualcosa doveva succedere, ovvio.

-Non, Madeleine! Descendre immédiatement!! Oh, mon Dieu...-

Il lettore gli volò via di mano, e quella palla di pelo cominciò a leccargli la faccia, finendo quasi per soffocarlo.

Addio pace, addio musica, addio tutto.
Beh...
In quel preciso momento si convinse che quelle, senza alcun dubbio, si sarebbero rivelate le vacanze peggiori della sua vita.
Davvero non poteva immaginare che /quello/ era solo l'inizio, disastroso che fosse.
Inizio, forse, di un qualcosa di positivo?





Spazio dell'autrice (?):
Oh, bene, bene. Beh, vorrei iniziare col dire semplicemente che questa non è sfortunatamente (?) la seconda fic che scrivo. Ne ho scritte delle altre, mai completate, e che certamente non metterò mai qui su EFP. Non di certo perché sono delle opere d'arte da preservare, eh, tutto il contrario. Ma ho cominciato a scrivere questa perché mi andava di cimentarmi in una long-fic. So bene che può risultare banale o poco interessante... E non ho giustificazioni per questo. Ma dovevo pur far qualcosa, oggi che non sono andata a scuola! (?)
Spero che qualcuno lasci anche un solo piccolo commento, giusto per sapere s'è un'idea carina, così da poter trovare la grinta per continuare con gli altri capitoli.
  
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