CAPITOLO
17: Non più un sogno
La mattina dopo il nostro arrivo a casa di Perry, il 13
esattamente, sarebbe arrivato a NewCastle (ad un orario indefinito) Edge.
Quella mattina mi svegliai presto, come d’abitudine, perché la mattina
mi alzavo presto per prepararmi con calma e fare colazione come si deve prima
di andare a lavoro.
Nivose aveva dormito tranquilla per tutta la notte, così anche io
avevo potuto dormire tanto. Scesi in cucina pian piano e ci trovai Matt che se
ne stava seduto a prepararsi un panino.
“Giorno” gli dissi. “Ciao Bec!” mi rispose ancora un po’
assonnato. “Siediti pure, prendi quello che vuoi, è tutto sul tavolo, e le
tazze sono lì nella credenza blu”, mi disse.
“Grazie Matt!” dissi, e mi versai in una tazza bianca un po’ di
latte.
“Sei sveglia da tanto?” mi chiese. “No, no, anzi… mi sono
svegliata dieci minuti fa!”.
“Era comodo il letto?” chiese ancora. “Sisi, anzi, non ho nemmeno
mal di schiena. Nivose anche sembra dormire bene!”.
“Sono contento, se vi serve qualcosa non esitate a chiederci, mi
raccomando Bec”.
Ero strano sentire qualcuno, al di fuori della mia famiglia, che
mi chiamava ancora Bec. Non mi facevo chiamare più così da nessuno che non
fossero Joe, Anna e i miei, anche perché mi chiamavano così all’accademia.
Bevvi con calma il latte, che era ancora caldo, e rimasi a
guardare per un po’ il fondo della tazza.
Matt non disse nulla per un po’, perciò rimasi con la testa fra le
nuvole a pensare a che cosa preparare a Nivose appena si fosse svegliata.
Alla fine Matt ruppe il silenzio.
“Allora Bec, sei pronta a rivedere Edge?” chiese, senza porsi
troppi problemi.
Lo guardai per un attimo, e in quell’attimo rividi il ragazzo
diciassettenne che correva come un matto con Edge e Heath sulla spiaggia, che
corteggiava una Perry adolescente, che faceva acrobazie da surfer
professionista, che si scolava il latte di prima mattina prima di correre a
scuola mentre Simmo gli diceva di sbrigarsi.
Adesso Matt era un uomo in carriera, si era laureato, viveva con
la donna che amava, era felice, e non era più un adolescente. Quante cose erano
cambiate. E allora, se tutte queste cose erano cambiate, se il tempo era
passato per lui, perché solo io non ero andata avanti? E che diritto avevo a
tenermi attaccata ancora a ricordi adolescenziali a cui mi aggrappavo
disperatamente… che diritto avevo a rivolere Edge? Nessuno.
“Sai Matt, in questi anni ne ho viste e vissute tante, a fatte
tante. Credo che sia bello portare nel cuore i ricordi felici dell’adolescenza,
ma ad un certo punto bisogna avere la forza di staccarsene. E io, colpa mia,
sua, del destino, non so di chi… io ancora non trovo la forza. Ma che diritto
ne ho io? Che diritto ho di volerlo ancora per me, di rimanere attaccata ad un
idea di amore che è stata una storiella adolescenziale?”.
“Ma tu Bec non la consideri tale, o mi sbaglio?”.
“Se anche non la considerassi tale, se anche fosse stata per me la
storia può bella della mia vita, ormai sono passati cinque anni, e credo
vivamente che Edge sia andato avanti…” dissi, nostalgica.
“Bec, per Edge la vostra non è stata una storiella estiva, tutti
noi del gruppo sapevamo che quello che c’èra tra te e lui era speciale. Nessuno
di noi capiva come mai Edge, che è quello che è, si fosse potuto innamorare
tralasciando carriera e allenamenti, ma è accaduto, e quello è stato un periodo
felice per te e lui, o mi sbaglio? Secondo te per Edge non ha contato nulla?”
chiese.
“Bhè, dal modo molto tranquillo e molto gentile con cui lui mi ha
lasciata non mi pare proprio che gli sia importato più di molto di me, e che le
cose fra noi per lui contassero così tanto” dissi, infastidita da quella
domanda così schietta di Matt.
“Ma scusa se tu lo hai lasciato lui che colpa ne ha?” mi domandò.
A quella domanda rimasi fulminata. Che cosa mi stava chiedendo Matt? Che colpa
ne avevo lui se IO l’avevo lasciato? Ma era impazzito? O non sapeva affatto
com’erano andate le cose?
“Matt scusa, ma che cosa diavolo vai dicendo?? Guarda che non sono
stata io a lasciarlo, ma LUI!”.
“No Bec, guarda, a me lui non ha detto questo…” disse
interrogativo.
“Allora ti ha detto una cazzata dato il fatto che lui mi ha
mollato e anche in modo molto maleducato e menefreghista!”.
“Spiegati Bec, perché adesso mi stò cominciando a preoccupare…”
disse.
“Un pomeriggio di 5 anni fa più o meno, dato che lui mi aveva dato
il numero del suo cellulare privato, lo chiamai per sapere come stava, dove lo
aveva portato il Circuito, e quando pensava di aver tempo per vederci. Ebbene,
quel giorno mi rispose la sua coatch, e mi disse che lui non voleva essere più
disturbato da quelle telefonate che gli facevo, che si
era stufato di me e che non voleva saperne più nulla. Anzi la sua coach disse anche che lui aveva un futuro come
star del surf e perciò i flirt da ragazzini non gli interessavano più! E mi
pregò di non chiamare ne cercarlo più, spiegandomi che aveva risposto lei
perché glie lo aveva chiesto proprio Edge. Così sono
andate le cose Matt, perché dovrei dirti una stupidaggine?” dissi,
quasi in lacrime.
“Bec, a me Edge a detto tutta un'altra
cosa…” disse, serio.
“E spiegami allora cosa ti ha raccontato
della fine della nostra storia. Dimmi, perché sono davvero curiosa di saperlo!”
dissi.
“Più o meno nello stesso periodo che dicevi tu, una sera Edge mi chiamò,
lo sentivo distrutto e quasi sull’orlo delle lacrime. Mi disse che aveva
bisogno di vedermi e mi disse se poteva venire il giorno dopo a trovarmi. Il
giorno dopo lo andai a prendere all’aeroporto, e dato
che ci eravamo appena trasferiti a vivere insieme io e Perry lo portai a
prendere un caffè, perché casa era un macello. Mi raccontò che tu, qualche pomeriggio prima, mentre lui era fuori per delle
interviste, avevi chiamato il suo numero privato e che aveva risposto Sharon, la sua coach.
Pare che Sharon gli disse
che avevi chiamato per fargli sapere che non volevi più stare con lui, che
volevi rompere perché ti eri innamorata di un ragazzo dell’università, e che
per te la vostra relazione dei tempi dell’Accademia era stata solo una
storiella da ragazzini, e soprattutto volevi chiudere con lui perché la
lontananza ti faceva troppo male e avevi pregato di non essere più chiamata per
non soffrirne ulteriormente. Edge era così distrutto che si mise a piangere
dentro al bar in cui eravamo e mi disse che non sapeva
che fare. Gli dissi di chiamarti, ma lui mi disse che
aveva paura di ferirti ancora di più facendosi sentire e cercando di farti
cambiare idea, e mi spiegò che tu avevi esplicitamente detto di non voler
essere più chiamata. Alla fine mi disse che era meglio, per la tua felicità e
per l’amore che provava per te, che voi aveste preso ognuno la propria strada,
perché comunque la lontananza era dolorosa, e lui non
voleva che tu soffrissi per lui.
Guarda Bec questa è la pura
verità, mi dispiace, ma questo è tutto quello che è successo, e guarda, non
credo che Edge sia il tipo da inventarsi certe cavolate per farsi compatire. Io
ti credo Bec, ma credo anche a quello che ho visto coi
miei occhi… scusami Bec, ora devo andare, si sta per fare tardi, ma vedremo di
capire insieme che diamine è successo” mi disse. Si alzò dalla sedia, prese la
giacca dall’attaccapanni, le chiavi dell’auto, mi fece un cenno e uscì dalla
porta, diretto al lavoro.
In quel momento mi chiesi che diamine stava
succedendo…
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“Beeec! La mamma quando arriva??” domandò Nivose che aveva appena finito di
vestirsi.
“Nivose, lo sai, mammina arriva domani
mattina. Lo sai che aveva da fare. Domani mattina te la spupazzerai
quanto vuoi, per ora ci sono io. Va bene?” dissi,
cercando di farla rabbonire.
“Sisi, per tu
sei la mia mamma numero due, quindi dato che la mamma uno non c’è posso
chiamare te mamma? Posso eh?” chiese, speranzosa.
“Si Nivose, tanto già lo fai senza
chiedere perciò…” dissi, esasperata.
“Mammina Bec! Mammina
Bec! Tu mi vuoi bene vero?”. “Siii, Nivose, si! Uh
guarda, i cartoni animati! C’è SpongeBob! Perché non
li guardi!!” chiesi speranzosa.
“Siii! Spongebob!”
disse, e si buttò sul divano a guardare la tv. Mentre Perry lavava i piatti
della colazione le raccontai della conversazione con
Matt, e lei mi disse che era tutto molto strano, ma che non sapeva proprio come
spiegarsi due versioni dello stesso fatto così differenti. Era tutto veramente
molto strano, e la cosa peggiore era il fatto che non
sapevamo come venirne a capo.
Guardai l’orologio della cucina, segnava le 12, 45.
Sentì la suoneria che avvertiva dell’arrivo di un messaggio dal telefono di Perry. La vidi leggere e poi mi disse “Comunque
presto scopriremo tutta la verità: Edge dice che il suo volo sta per partire!”
e poggiò il telefono.
Le due ore successive all’arrivo del messaggio per me furono
stressantissime. Sarebbe arrivato per le 14.30, o così aveva
detto per telefono la sera prima. Mancava sempre meno.
Fino alle 13,30 rimasi con Nivose a
guardare i cartoni, poi Perry preparò il pranzo, così mangiammo con molta
calma. Guardai l’orologio: segnava le 14.05 in punto. Respirai profondamente.
“Mamma Bec chiamiamo papà???” mi disse
Nivose tutta contenta. Le diedi il cellulare e lei chiamò Joe. Mi ci fece
parlare giusto due minuti per sapere come stavo, e poi gli iniziò a raccontare
com’era andato il volo, e a chiedere quando arrivavano. Alla fine riattaccò
tutta contenta, e mi disse che Anna e Joe le avevano
comprato un regalo.
“Ah Bec, senti, domani mattina arrivano anche Heath e Fly, ma sta
sera arrivano anche mia sorella e mio padre e quindi
servirebbe la camera degli ospiti. Matt ha prenotato per te, Nivose, Fly e gli
altri un hotel molto carino a 400 metri da qui. Per voi non è
un problema no?” domandò.
“Ma certo che no, tranquilla, poi me lo
avevi già detto per telefono che potevamo rimanere solo ieri sera. Logicamente
tua sorella e i tuoi vengono a stare qui” dissi. Perry
sorrise e si sedette affianco a Nivose.
“Va bene, allora questa sera vi faccio accompagnare all’hotel ok?”
chiese Perry. Annuì con la testa.
Appoggiai la testa allo schienale del divano, e mi rilassai un
attimo guardando Perry e Nivose che giocavano. Perry ci sapeva proprio fare con
i bambini, ed ero certa che sarebbe diventata un ottima madre.
Chiamai a casa mia per dire che stavamo tutti bene e per chiedere
come si sentiva Ben, dato che l’avevo lasciato con un
brutto raffreddore. Sembrava che anche lì andasse tutto bene. Mamma si fece
passare anche Nivose che naturalmente cominciò a strillare al telefono come
sentì la voce della cornetta, e la tenette un quarto d’ora solo per
raccontargli del viaggio. Alla fine riattaccò il telefono e cominciò a dirmi
che aveva caldo, così la portai in camera e le la cambiai togliendole la
maglietta e mettendole un vestitino bianco pieno di ricami di cotone, per farla
stare più fresca e più libera. Riscese in salone Perry stava spegnendo la tv.
Guardai ancora una volta l’orologio: 14.26 circa.
L’ansia mi assalì, e presi a respirare velocemente. Sentivo le
gambe molli. Dovevo stare tranquilla. Dopo qualche minuto a Perry squillò il
telefono, e il suono mi fece sobbalzare.
“Pronto?” disse Perry. “Ehi ciao!! Ma sei arrivato? Ah… emh uh… quindici minuti? Ok, vengo
fuori ad aspettarti!” fece una pausa più lunga poi disse “Si
si, và benissimo. Ok, esco fuori. Ciao!” e riattaccò.
Mi guardò e poggiò il telefono sul tavolino. “Era Edge. Sta per
arrivare… esco fuori ad aspettarlo, ed è il caso che vieni anche tu Bec…” mi disse facendo leggere pause tra una frase e l’altra, come
per scandire e chiarificare meglio il discorso.
“Emhhh, Perry, ti prego…” dissi. “No! Bec, adesso esci e non fare
la codarda, non è che lui rimarrà fuori casa sapendoti
dentro! Anzi fa una cosa, sistemati bene prima di uscire, deve vedere subito
come sei
diventata bella. Muoviti!” e mi spinse il bagno sotto gli occhi curiosi di Niv
che non capiva cosa stesse accadendo.
Mi pettinò in men che non si dica, mi
disse di stare tranquilla e mi abbracciò. Ci infilammo
le scarpe e uscimmo dal bagno. Vidi Niv che ancora ci guardava, e quando capì
che uscivamo ci venne dietro dietro. Ci mettemmo
davanti al cancello di casa aspettando di vedere il taxi bianco arrivare.
Nivose chiese perché uscivamo e Perry le spiegò che aspettavamo un amico, così
lei si mise curiosa a guardare in giro per vedere se arrivava qualcuno.
“Perry….oddio Perry, che ansia…!” dissi.
“Tranquilla! Ma vuoi stare tranquilla?? Mica ti mangia oppure ti fa il quinto grado Bec!” disse lei,
giustamente parlando.
Alla fine la figura di un taxi bianco comparve all’orizzonte, e
non poteva essere nessun’altro
se non lui dato che erano passati 15 minuti abbondanti dalla telefonata.
Visi il taxi fermarsi, e parcheggiare davanti
al cancello, a pochi metri da noi. Mi resi
conto che non stavo respirando così presi aria e strinsi i denti.
“Il signore che aspettiamo è arrivato?” disse Niv, curiosissima.
“Si Niv è dentro quella macchina bianca!”
rispose Perry.
Vidi aprirsi lo sportello e scendere una persona del tutto
differente dal ragazzo diciassettenne che avevo conosciuto e amato
cinque anni prima: dall’auto venne fuori un uomo alto, più di me, biondo
con i capelli non molto lunghi, robusto, vestito elegantissimo e molto abbronzato,
con un bellissimo portamento e con molta eleganza.
Lo vidi scaricare le valigie con l’aiuto del taxista, pagarlo e
stingergli la mano. Poi lo vidi venire verso di noi, e guardando Nivose mi resi
conto che era rimasta impressionata e si nascondeva dietro le mie gambe.
Si avvicinò e sorrise. Andò verso Perry e la abbracciò. “Ciao
Perry! Come stai? Ti trovo in formissima! Come sempre…” disse. “Bene bene
grazie! Anche io ti trovo molto bene! Sei davvero
abbronzantissimo Edge! Mamma mia!” disse scherzando. Poi lo vidi girarsi verso
di me avvicinarsi. Respirai più che potevo.
“Ciao Bec. Come stai?” mi domandò
guardandomi dritto negli occhi.
“Bene, bene, grazie Edge. E tu come stai?
Il viaggio è andato bene?” chiesi simulando
tranquillità.
“Si, direi di si. Grazie” disse e poi
guardò Niv che lo squadrava con i suoi grandi occhioni verdissimi e il collo
piegato per vedere in altro. Sorrise.
“Signore come sei alto!” disse Nivose stupita sempre dietro di me.
“Ciao piccolina, come sei bella! Come ti
chiami?” Edge chiese a Nivose.
“Grazie signore, il mio nome è Nivose però
per gli amici di Perry sono Niv. Il mio nome è europeo lo
sai? Significa Neve!! E tu come ti chiami?” chiese allegra.
“Il mio nome è Dean piccolina. Hai un bellissimo
nome Nivose, la tua mamma ha degli ottimi gusti!” disse.
“Grazie, anche il tuo nome è bello! Sei vento pure tu qui con
l’aereo?” gli domandò.
“Si, anche io, e poi con il taxi!” rispose Edge sorridendole.
“Ehi entriamo su, che stiamo facendo qui fuori. Su su!” fece Perry
allegra, così Edge prese le valigie e ci dirigemmo in
casa, io con Niv per mano che ancora guardava incuriosita quell’uomo così bello
che non aveva mai visto.
Entrati in casa Perry gli fece poggiare le valigie in salone e gli
spiegò che Matt sarebbe stato a casa per le cinque. Poi scappò in cucina a
preparare il caffè lasciando me e Nivose sole con Edge che sembrava già
conoscere la casa.
“Allora Bec, ti trovo molto bene…quando
sei arrivata?” mi chiese, mentre Niv non smetteva un minuto di fissarlo.
“Ieri mattina, verso l’una. Abbiamo preso un volo presto perché
Perry aveva bisogno di aiuto per le ultime cose, così
sono arrivata prima. Com’è andato il volo a te? Tutto bene?” chiesi un po’
imbarazzata.
“Sisi, tutto bene. Partito in orario e
arrivato in orario. Solo per trovare la valigia ci è voluto un po’, ma per il resto tutto bene. E poi il taxista era molto disponibile e ha ritrovato subito
la strada perciò sono arrivato senza nessun intoppo” mi disse tranquillo.
“Dean, ma tu che lavoro fai? Perché mi sembra
di averti già visto in televisione, alla pubblicità delle tavole per fare surf
per i bambini!” disse Nivose allegra.
“Sisi, hai visto bene. Faccio il
surfista, e faccio anche le pubblicità per l’equipaggiamento da surf!” disse.
“Che bello! Anche
io da grande voglio fare la surfista come la mamma, e come zia e papà!” sorrise
Nivose tutta contenta e spumeggiante.
“Ma che carina che sei. Dimmi chi sono la
tua mamma e il tuo papà?” le domandò Edge.
“La mia mamma si chiama Anna e il mio papà Joe, domani quando
arrivano te li faccio conoscere. Sono un po’ bassi però
sono simpatici!” gli rispose Niv.
“Ah! Lei è la figlia di tuo fratello e Anna? Si sono
sposati?” mi chiese Edge sorpreso.
“Si, più o meno quattro anni fa. Non hanno invitato nessuno
dell’accademia perché sono andati a sposarsi in Germania. E
poi è nata lei, qualche mese dopo. Non sono venuti subito perché Anna aveva un
corso da seguire, ma domani arrivano, sul mattino tardi” spiegai.
“Pensa che credevo fosse tua figlia! Siete identiche!” mi disse ancora sorpreso.
“Bhè, è figlia del mio gemello, ma se
noti ha anche qualche tratto di Anna. E guarda, il
carattere secondo me è quello!” dissi, prendendola in
braccio e facendola sedere sulle mie gambe.
“È davvero una bella bimba!” disse sorridendo.
Perry arrivò con il caffè, e ce lo servì.
Nivose bevve un po’ di succo e poi si mise ad ascoltare i discorsi di Perry ed Edge.
Alle 5 arrivò Matt che salutò calorosamente Edge, e dopo che anche
lui prese il suo caffè vidi i due uscire in giardino
per parlare. Perry mi spiegò che Matt voleva chiedergli chiarimenti circa il
discorso che avevamo fatto la mattina. Guardavo ogni
tanto le loro espressioni dalla finestra, e man man che Matt parlava Edge si rabbugliava,
aveva la faccia interrogativa oppure sorpresa.
Io portai Nivose in spiaggia a passeggiare un po’ e ci prendemmo
entrambe un gelato, dato che non ci andava di cenare. Tornate a casa Matt ed Edge erano già rientrati. Quando anche io rientrai vidi
Perry Matt ed Edge che mi guardarono. Niv corse in bagno mentre io andai da Perry a dirle di non cucinare per
noi. Perry disse che dato che nemmeno Edge voleva mangiare lei e Matt avrebbero
cenato più tardi.
Matti ci chiese a che ora volevamo andare
all’hotel e io gli dissi che per me andava bene anche subito. Allora, tutti
d’accordo, scesi le valigie mie e di Niv, portai Niv al bagno e quando le
valigie erano state caricate salimmo in macchina, io e Niv dietro, Edge e Matt
davanti.
Dopo 5 minuti eravamo all’hotel, una struttura molto piccola e
carina. Scendemmo le valigie e Matt salutando l’amico che conosceva della Reception si fece dare le chiavi delle stanze e ci
accompagnò in camera. Io avevo la camera 144 con Nivose, ed
Edge la 147, nel mio stesso corridoio.
Salutato Matt ognuno si infilò nella sua
stanza e, appena Nivose si scelse il letto, sistemai i panni e tutto quello che
ci serviva e la misi a dormire.
Si addormentò subito, così spensi la televisione e dopo essermi
presa un cardigan nero chiusi al porta a chiave ed
uscì. Avevo voglia di un po’ d’aria fresca così scesi
giù al bar con l’idea di bere qualcosa. Il bar era molto carino e ben
illuminato, così entrando notai subito che anche Edge era seduto ad un tavolo.
Evidentemente avevamo avuto entrambi la stessa idea. Alla
fine decisi di andare a sedermi da lui.
“Ciao. Posso?” dissi, probabilmente
distraendolo dai suoi pensieri.
“Ehi ciao. Si si
siediti!” disse. Mi accomodai e in un lampo arrivò il cameriere.
“Desidera?” chiese. “Un caffè freddo grazie?” dissi. “Subito signorina!” disse e sparì.
Notai il bicchiere vuoto di Edge e capì
che lui aveva già fatto.
“Sei qui da molto?” domandai. “No, diciamo venti minuti” disse. “Ah..” dissi.
“Nivose dorme?” mi domandò. “Si, dorme grazie al cielo. Avevo
bisogno di aria!” dissi, un po’ stanca.
“Ti capisco, si vede che è una bambina energica!” mi disse
sorridendo.
“Già, fin troppo” dissi io. Il cameriere portò il caffè freddo, e
di nuovo sparì.
Mentre lo bevevo
vidi Edge guardarmi il collo, ma non riuscivo a capire che cosa guardasse. Alla
fine lui mi domandò “Ancora lo porti?” indicando il nostro ciondolo. Mi venne
un colpo. Mi ero proprio dimenticata di toglierlo. Imbarazzata più che mai
risposi “Si, si, sai l’abitudine. E poi dopotutto al
di fuori del significato sentimentale è un bel ciondolo!” cercando di mascherare
l’imbarazzo.
“Mi fa piacere che ancora lo indossi… è stato davvero un regalo
fatto con il cuore” mi disse serio.
“Già, quanto tempo è passato” dissi io, ancora più in imbarazzo.
Vidi Edge puntarmi i suoi occhi addosso e dirmi molto seriamente
“Bec, mi dispiace moltissimo per come è finita tra di
noi, e secondo me non era così che doveva andare” sentenziò.
“Hai parlato con Matt?” domandai subito.
“Si, e mi ha spiegato. Davvero ti ha detto Sharon
che non volevo più saperne nulla di te?” chiese.
“Sei libero di non crederci, ma è così!
Le sue testuali parole sono state “Edge non vuole più sentirla, ne avere nulla a che fare con lei! Mi ha detto di riferirle
di non chiamare più questo numero” e quindi io ho fatto come mi
è stato chiesto. Logicamente che altro avrei dovuto
fare. Io volevo veramente che tu ti realizzassi nel surf, ti volevo vedere sul
podio sempre e saperti felice. Se serviva andarmene
dalla tua vita per far si che tu ti potessi realizzare io l’avrei fatto
volentieri perché sapevo che sarebbe servito per essere un campione. Però sentirmi dire così è stato dolorosissimo Edge. Comunque l’ho accettato alla fine, e ho cercato di andare
avanti per quanto ho potuto” dissi, cercando di rimanere molto tranquilla,
anche se quei ricordi ancora mi laceravano l’anima.
“Mi dispiace Bec, ma come ti ho detto a me Sharon
raccontò che avevi chiamato tu perché volevi lasciarmi, e perché eri stanca e
non sopportavi la lontananza che ti faceva soffrire; mi disse che non volevi
essere più cercata e così io a malincuore non ti cercai più” disse dispiaciuto.
“Scusatemi signori il bar sta chiudendo” disse il barista. “Ah,
si. Guardi metta il conto alla camera 144, pagherò alla fine del soggiorno” dissi. Ci alzammo e uscimmo nel giardino dell’hotel che
illuminato com’èra in piena notte era bellissimo, un vero spettacolo.
“Alla fine Bec, io volevo cercarti, ma non volevo farti del male,
e il tempo passava e passava… Sharon mi disse così,
ed era così convinta” disse sempre molto molto
seriamente.
“Probabilmente si era innamorata di te, e raccontò a entrambi delle bugie be
architettate!” dissi, seriamente rilassata. “Mi dispiace molto Bec. Non ne sapevo nulla…” disse.
“Tranquillo, io sono andata avanti. Anna e Joe si sono sposati e
hanno avuto Nivose, che mi ha riempito la vita. Mi
sono laureata, ora sono una biologa, ma non ho smesso di surfare!”.
“Mi ricordo che era il tuo sogno alternativo alla carriera da
sportiva!” disse contento.
“Già, è stata una vittoria. Mi sono sentita davvero realizzata.
Adesso lavoro infatti e mi piace il mio lavoro, anzi
lo adoro!” dissi, sorridendo.
“E stai con qualcuno?” domandò a
bruciapelo. Rimasi un attimo interdetta poi risposi.
“Attualmente no, ma neanche
precedentemente comunque c’è stato nulla di serio. Gli uomini che frequentavo
si accorgevano tutti che avevo avuto qualcuno accanto che era un termine di
paragone con loro troppo grosso. E alla fine, visto poi quanto sono noiosa e
poco collaborativi, puntualmente mi hanno mollata!”
dissi, ironica.
“Con “termine di paragone troppo grosso” intendi me?” chiese.
“Già… la nostra storia mi ha segnato più di quanto pensassi. Lui rimase a fissarmi. Alla fine ci sedemmo su una
panchina davanti ad una bellissima fontana.
“E tu? A donne?” chiesi. “Per un periodo
sono stato con Sharon, ma non la amavo affatto, ance
io avevo un termine di paragone da fare con le altre di livello troppo alto per cui nessuna poteva competere con te” disse.
“Tu pensa…” dissi ridendo. “Guarda che sono serio!” mi disse.
“Sisi, purtroppo nella vita accade anche
questo!” risposi io sarcastica.
“Bec, seriamente… io sono stato malissimo senza di te. Cercavo di
non pensarci, e più provavo più mi tornavi in mente. Per un periodo smisi anche
di allenarmi. Volevo rivederti ma non potevo. Ero a
pezzi, e non riuscivo a rinunciare a te. Non sei l’unica che ne ha sofferto!” disse, serio.
“Ormai è acqua passata, no Edge?” domandai io stupita e sorpresa.
“No Bec, io oggi quando ti ho rivisto ho capito che quello che
provavo per te non è davvero mai finito. I miei sentimenti si sono affievoliti
perché non potevo vederti, e anche solo pensarti mi faceva
male. Ma non ho mai smesso di pensarti, mai, ogni
giorno che passava, ogni notte. E lo sai quante volte avrei
voluto mollare tutto e venire a Sidney a parlarti! Quante volte, Bec…”
disse.
“Perché non l’hai fatto?” chiesi io. Il
cuore prese a battermi velocissimo.
“Perché avevo paura che tu mi avresti
preso in giro e rifiutato, e sapevo che se fosse accaduto sarei stato distrutto
dal dolore…” disse lui. Fece una pausa. Mi guardò e alla fine mi prese le mani
fa le sue, e senza dire nulla le strinse. Sentì in un attimo gli occhi
inondarsi di lacrime. Alla fine espirai fuori tutta l’aria che avevo nei
polmoni, e lo guardai dritto negli occhi azzurri mare che tanto avevo amato.
“Bec, ascoltami… io ti amo ancora Bec. Ti
ho sempre amata, anche se in questi 5 anni non ti ho
visto, sei sempre stata nel mio cuore. Io ho bisogno di te Bec. Sei come l’aria
per me, e fin’ora io ho
vissuto solo con la speranza di rivederti per poterti parlare. Non ti sto prendendo
in giro, io ti amo ancora… lo so che non è giusto da parte mia ricomparire così
nella tua vita e stravolgerla, ma se tu potessi darmi ancora una possibilità,
io questa volta non ti lascerò per nulla al mondo…” disse,
tutto d’un fiato, serissimo.
Scoppiai a piangere e mi sentì una vera deficiente. Lo guardai e
non riuscì a fare a meno di pensare che tutto quello che vivevo era un sogno.
“Anche io ti amo ancora Edge… tantissimo.
E non sai quanto desideravo anche io rivederti per
parlarti… Oddio Edge, questo deve essere un sogno” dissi, abbracciandolo e
stringendolo forte.
“No Bec, non è un sogno. È tutto vero Bec, tutto vero. Sei la cosa più bella che potessi
mai chiedere, e questa volta ti seguirò in capo al mondo!” mi strinse forte a
se, e io mi sentì così felice e protetta fra le sue braccia. Poggiai la testa
sul suo petto e ascoltai il battito del suo cuore. Era la stessa musica
meravigliosa di cinque anni prima. Era come il nostro amore,
era meravigliosa.
“Amore mio…” disse. Mi strinse la vita con le braccia e mi baciò.
Dopo cinque anni, dopo giorni di disperazione, tristezza, depressione e apatia,
per la prima volta sentì la vita rifiorire in me.
In quel parco davanti a quella fontana,
illuminati dalla luce bianca della luna, le nostre labbra si sfiorarono come
non facevano da anni. In quell’attimo così meraviglioso il mio sogno di sempre
si fuse con la realtà. Finalmente non era più un sogno.