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Autore: Parigi45    15/04/2011    2 recensioni
la storia di un giovane ragazzo alle prese con i suoi studi universitari e un mistero da risolvere in pochissime pagine.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sua camminata ricordava tanto quella dei vecchi film western, quei pochi passi prima del duello, con le gambe ben salde a terra; ma il suo non era più il selvaggio west, ormai la California non era altro che uno dei tanti stati americani dove al massimo qualche riserva, o il suo ricordo qualche set cinematografico, provava a resistere immersa com’era nella tecnologia e nella frenesia del sogno americano. La sua camminata, dicevo, era quindi fuori luogo nel nuovo west, un luogo dove la minaccia indiana era stata seppellita per attualizzarla con quella messicana o nera; un luogo nel quale Edoardo era facilmente inserito nel primo tipo di minaccia. La sua storia, simile a quella di molti altri, gli permise di prendersi sulle spalle l’odio degli anziani del suo quartiere, benché fosse  tanto statunitense quanto loro e non parlasse nemmeno il messicano ad eccezione delle parole imparate guardando Speedy Gonzales. I suoi genitori erano partiti dal Messico poco prima che lui nascesse affinché avesse una degna educazione e qualche prospettiva per il futuro; fortunatamente questa scelta venne pagata e ora che Edoardo si trovava al college, il padre si godeva la meritata pensione, dopo aver sollevato la famiglia senza l’aiuto di sua moglie morta per un “tragico evento”, come si diceva in famiglia, provocato dalla depressione.
 Il suo futuro, già scritto dall’età di cinque anni, quando gli venne regalato il suo primo allegro chirurgo, era quello di diventare medico legale. Anzi a detta sua il miglior medico legale.
Per questo motivo i suoi studi erano stati davvero lodevoli e senza sosta permettendogli di poter usufruire di molte borse di studio e di fare gli straordinari all’obitorio; fin quando un giorno ebbe la sfortuna di conoscere lei, in vita il suo nome era stato Katherine ma ora che giaceva supina sotto la sterile luce a neon il suo nome non era più formato da lettere ma da numeri, si chiamava 15591. Il corpo, come la cartella clinica, testimoniava una vita troppo breve conclusasi con un volo dal sesto piano che aveva portato dei bellissimi tratti somatici ad appassire a contatto col freddo e buio asfalto di LA. Non era il primo suicidio che Ed vedeva nella “tomba”, così veniva soprannominato dai suoi colleghi l’obitorio, ma quello lo turbò più di qualunque altro gli fosse già passato davanti.
Forse perché considerava il volo nel vuoto uno dei metodi più crudeli per uccidersi, questo forse era legato alle sue vertigini che lo paralizzavano già da pochi metri da terra; o forse perché sentire il nome della madre, gli irrigidiva sempre i muscoli dello stomaco.
Quando tornò a casa quella notte non riuscì a prendere sonno, l’immagine di quella ragazza sdraiata sul freddo acciaio del tavolo nell’obitorio lo faceva rabbrividire.
Gli occhi pieni di terrore di 15591 gli fecero ritornare alla mente la volta che col fratello si trovavano sul vecchio molo vicino a casa e i due metri tra la piattaforma e l’acqua avevano bloccato le migliori intenzioni di Ed che voleva emulare Riccardo, il fratello maggiore. solo che questo non sopportò a lungo gli indugi del fratello, lanciandolo giù dalla piattaforma, passò più di un’ora prima che Ed toccasse acqua, almeno così gli sembrò, e ricorda quasi come se avesse visto dall’esterno la sua faccia terrorizzata. Proprio come quella di 15591. Come quella di chi viene lanciato giù. Poco dopo Ed riuscì a prendere sonno promettendosi però che la notte successiva avrebbe indagato sul corpo della malcapitata.
La mattina per Ed era il primo atto della sua personale tragedia greca, il personaggio si destava dal solito sonno tormentato e cominciava a dialogare col coro, la sua immagine riflessa nello specchio del bagno. Gli argomenti erano sempre gli stessi, mugugni e sbadigli di chi proprio non riesce a comprendere l’ingiustizia di andare a lezione alle 8, passando col bus davanti alla spiaggia, dove turisti e surfer godevano del tiepido sole primaverile, tra le grosse onde dell’oceano.
Aveva socializzato poco con gli altri colleghi del suo corso, forse solo per la loro invidia, forse perché i suoi interessi erano molto limitati oltre alla medicina legale; in effetti amava la solitudine, amava stare solo a pensare, a riflettere sui più disparati argomenti, ecco perché a differenza dei colleghi amava i turni in obitorio, erano per lui fonte di riflessione, un obbligo a restare sveglio a pensare, anche quando il sonno sopraggiungeva. Erano per lui un appuntamento immancabile, e quando ne finiva uno, stava già aspettando con ansia il successivo, ma oggi non era uguale. Oggi aveva una brutta sensazione riguardo quel tetro luogo, una sensazione che gli veniva dalle viscere, una sorta di mal di stomaco che lo prendeva quando qualcosa non andava o non quadrava completamente.
Dopo una pesante giornata di lezioni e una pastiglia contro il mal di stomaco, il suo dolore si era solo acuito, cosa che rendeva la vista di quella povera ragazza ancora più inquietante e lugubre, sensazioni che ricordava aver avuto solo durante il suo primo giorno lì dentro. Dalla cartella della ragazza Ed conobbe la sua storia, Katherine Johnson  era nata nell’ 82 a Los Angeles e frequentava la facoltà di medicina. Ed si fermò perplesso quando lesse che 15591 frequentava il suo stesso corso di medicina legale e il suo stomaco mostrò il solito disappunto, aumentando il dolore che finì per infastidire maggiormente Ed.
Mentre leggeva le poche informazioni personali della ragazza, cercava di collegare ogni singolo volto conosciuto a quello della ragazza, ma nessuna delle persone conosciute al college assomigliava quanto…
La cartella contenente le informazioni personali della ragazza perse il poco attrito dato dalle dita affusolate, e i fogli contenuti iniziarono a volare lentamente come piume verso il freddo pavimento della “tomba”. Non è possibile, questo gli risuonava nella testa, non è possibile.
Ed lasciò l’obitorio un’ora prima che il suo turno finisse e andò a cercare un posto tranquillo dove riflettere. A quell’ora le scelte erano veramente poche, decise di provare nell’unico posto dove ancora gli sarebbe stato possibile trovare un bicchiere pieno. Entrando nel bar il suo volto si trasformò in una smorfia che faceva intendere che non si era mai abituato all’odore di fumo e di stantio che permeava quella piccola sala; si sedette e ordinò qualcosa di forte per liberare la gola dal groppo creato da ciò che aveva visto.
Ci ripensò e il bicchiere iniziò a tremare tra le sue mani emettendo un rumore acuto a contatto con i cubetti di ghiaccio; Ed non amava bere, lo riteneva praticamente inutile, soprattutto non amava quel modo di dire, quel “bevo per dimenticare”. Non l’aveva mai usato e lo riteneva veramente una scusa inutile, se si beveva tanto da dimenticare qualcosa si stava solitamente male e una volta ripresi dalla sbornia ci si chiedeva il motivo di quei dolori e si finiva per ricordare il motivo; ritornando infelici e doloranti. Ed passò il tempo a fissare la sua immagine riflessa nella credenza dei liquori di fronte, distogliendo lo sguardo solo quando il barista faceva troppo rumore nel riordinare o quando il suo cervello sentiva la necessità di un aiuto ad alta gradazione per comprendere meglio la faccenda. Non riusciva a capire; era una cosa veramente inquietante. Quella donna era la perfetta copia della madre; ai tempi in cui era stata scattata l’unica foto che gli era stato possibile nascondere dal desiderio di una famiglia ultracattolica di eliminare l’onta data dal suicidio.
La madre era sparita da tutti i discorsi e da tutti gli album fotografici, ma Ed ne manteneva vivo il ricordo con quella sua foto. Quella di sua madre Katherine Johnson morta suicida a ventotto anni.
Ecco cosa non riusciva ad uscire dalla sua testa, c’erano troppe assonanze, anche per uno scettico come lui; non riusciva a non vedere sua madre su quel freddo tavolo in acciaio.
Tornò a casa ubriaco fradicio vincendo solo dopo quasi mezz’ora la sua sfida con le serrature mobili e le chiavi storte; andò a letto ancora vestito con l’idea di svegliarsi presto per usare il fine settimana alle porte per indagare sulle 2 donne.
Quando Ed si girò verso il comodino il “13:17” della sveglia led gli provocò una fitta agli occhi, che sommato ai residui della sera prima ed un sonno non troppo sereno, lo indussero a pensare che quella non fosse proprio la giornata giusta per lui. Ci volle più di un’ora perché trovasse il coraggio di alzarsi e di arrivare fino all’armadietto del bagno, dove teneva gli antidolorifici perfetti per queste situazioni.
Quando Ed riuscì a guardare nuovamente la sveglia led senza sentire dolore, questa segnava le quattro; la biblioteca è già aperta, meglio che vada subito disse senza accorgersi di aver parlato, mentre metteva nella tasca dei pantaloni il foglio nel quale aveva appuntato i dati della ragazza.
Era difficile non vedere la biblioteca centrale, Ed la localizzava già due o tre fermate prima di quella situata di fronte all’imponente edificio, portatore di tutta la massima cultura di LA; una volta entrato, la sua reazione fu completamente opposta a quella avuta nel bar della notte prima; gli si illuminarono gli occhi e inspirò piacevolmente il profumo di carta che permeava l’aria. Cercò senza indugi tutti i libri dove era possibile trovare censimenti successivi all’82 e tutti gli annuari; si sedette al primo tavolo libero e iniziò la ricerca. Sfogliava le pagine avidamente guardando meticolosamente ogni voce che potesse servire alla sua “indagine”, ormai quello era diventata per lui, grazie anche alla sua passione per i gialli, che gli avevano fatto immaginare tante volte di entrare in quelle storie così avvincenti che non sembravano accessibili a lui. Dopo quasi due ore di ricerca finalmente distolse lo sguardo dai libri e notò che la biblioteca era ormai vuota, non sono molti a prediligere la biblioteca il sabato sera, ed effettivamente, anche lui era uno di quelli che aveva molti altri posti nella lista delle preferenze prima della biblioteca, pensò mentre guardava la luce soffusa che illuminava gli scafali deserti. Prese l’ultimo libro ormai demoralizzato per non aver trovato nulla e continuò la sua lettura. Un’ombra spiccò dietro di lui e il rumore di un fiato estraneo lo fece irrigidire mentre ormai la mano di quella presenza era calata sulla sua spalla e l’aveva afferrato. “devi sbrigarti, stiamo per chiudere” disse la bibliotecaria con tono dolce mentre il cuore di Ed batteva all’impazzata, rispose che aveva quasi concluso, e pensò di doversi dare una regolata, stava fantasticando troppo, non poteva spaventarsi per una signora di una certa età che lo chiamava.
Visto che la ricerca sui libri non diede esito positivo decise di provare su internet, ma nessun motore di ricerca diede informazioni su quella ragazza tanto misteriosa da non comparire in nessun archivio di stato. Questa ragazza non esiste, pensò mentre rabbrividiva a tutte le opzioni contemplabili da un simile caso.
Sulla strada di casa Ed si fermò ad un tabacchino, non fumava da due anni ma tutte quelle coincidenze ed una ragazza “fantasma” gli avevano fatto tornare il desiderio di nicotina; così prese le sigarette e l’accendino promettendosi di buttare entrambi quando questo mistero sarebbe stato sciolto. Ma si trattava veramente di un mistero? Ed si interrogava non capendo se fosse solo paranoico o se davvero dietro tutto ciò ci fosse qualcosa di tremendo e assurdo. Decise di finire le sue indagini nel fine settimana approfittando del suo turno all’obitorio per fare chiarezza sul caso; si portò dietro il registratore per poter ascoltare con calma le deduzioni che avrebbe fatto dal cadavere e altri strumenti del mestiere, per fare una prima analisi senza che nessuno se ne accorgesse. Arrivato alla “tomba” si sdraiò nella brandina per calmarsi dalla tremarella che la paura e l’adrenalina avevano infuso in lui. Quando si alzò la luce sopra il tavolo dell’obitorio era accesa e puntava sul freddo acciaio spoglio, di scatto Ed cercò con lo sguardo lo scompartimento refrigerato dove era stato deposto il corpo 15591. Era aperto. E vuoto. La fronte di Ed comincio a inumidirsi di sudore freddo e lentamente senti le sue labbra salarsi del sapore del suo sudore. rimase paralizzato per circa un minuto finché una voce non lo sveglio dalla sua apparente catalessi. “vieni qui figlio mio, vieni”, diceva una voce straziata che sembrava provenire da ovunque e da nessuna parte, una voce giovane ma piena di dolore; era come un canto di sirene, che lo attirava verso lo scompartimento vuoto e fumante per la differenza di temperatura. Passo dopo passo Ed si avvicinava al buio gelido, senza poter fare nulla, quasi ipnotizzato da quella voce, provava ad urlare, ma non serviva a nulla, provava a fare resistenza ma tutto era vano. Quando arrivo a sentire il gelido fiato che proveniva dal congelatore posto dietro gli scompartimenti, capì di aver osato troppo nell’indagare, mentre pensava questo una mano bianca e tanto magra da poterne vedere i vasi sanguigni vuoti lo afferro per il busto spaccandogli tre costole e portandolo dentro lo scompartimento che si richiuse di scatto rimbombando nella “tomba”.
Sara si tappò le orecchie e nascose il volto dietro le ginocchia, non amava le storie horror, soprattutto la notte, le mettevano troppa ansia; ma per puro masochismo mischiato a molta curiosità chiese comunque a Paolo come fosse finita quella storia. Paolo rispose di cercare tranquillamente il terrificante finale su internet, per sapere e vedere in che stato l’avevano trovato abbracciato a quella ragazza sul tavolo dell’obitorio. Lei si immaginò la scena e chiuse gli occhi per poter pensare a qualcosa di più sereno. Dopo più di un’ora che si erano messi a letto nella loro tenda Sara svegliò Paolo alla ricerca di un po’ di compagnia, visto che lei non riusciva a dormire spaventata com’era da ogni singolo rumore che provenisse dall’esterno della tenda. Paolo si svegliò a fatica e ancora assonnato decise di raccontare la vera versione dei fatti così da poter dormire in pace. Guardò Sara negli occhi e iniziò il suo racconto con la bocca ancora legata dal sonno.
Edoardo aveva sbagliato a trascrivere il nome della ragazza, era “Catherine” e non “Katherine”, ecco perché non la trovava in nessun libro o sito; inoltre non è morto ma stava solo sognando, non si alzò dalla brandina fino al mattino seguente e quando fece i suoi controlli notò solo che quella ragazza era morta per suicidio; e riascoltando la registrazione fatta durante la notte non sentì altro che il suo fiato e il ronzio del neon. Così lasciò perdere le sue indagini pensando di essere stato uno stupido ad aver pensato di poter essere di fronte ad un simile fenomeno paranormale.
Sara si tranquillizzò e si mise a dormire tranquilla mentre Paolo si godeva finalmente il riposo che aveva tanto desiderato dopo essere stato svegliato per la paura causata da una delle sue tante storie raccontate davanti al fuoco.
  
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