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Autore: braver than nana    16/04/2011    3 recensioni
Volevano sul serio portarlo in qualche posto nascosto, lontano dagli occhi di tutti e fargli male, male veramente, e senza testimoni avrebbero potuto spalleggiarsi l’un l’altro senza bisogno di preoccuparsi delle conseguenze. Era un piano così semplice da apparire agli occhi di tutti assurdamente efficace, quasi fosse il delitto perfetto.[...]
« Non rassegnarti con me... » disse alzandosi e sovrastando il ragazzino di almeno tutta la testa « e, cerca di andare in giro con una grossa scorta e non rimanere mai da solo Hummel, mai. »
Girò i tacchi e uscì un po’ più rumorosamente di quando era arrivato, ma dentro di se qualcosa gli diceva che per il momento aveva fatto abbastanza, di sicuro gli aveva salvato la pelle, e che forse prima o poi sarebbe riuscito a migliorare tutta quella situazione. [Accenni Kurtofsky, praticamente senza senso U.U]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Just don’t give up on me ~ Delitto Perfetto.


Kurt Hummel era uno scherzo bastardo che la natura gli aveva fatto. Se per caso da qualche parte esistesse sul serio un Dio che governa e organizza ogni cosa, doveva essersi impegnato molto il giorno in cui aveva deciso di dargli forma.
Il profilo perfetto, gli occhi color del cielo prima di una tempesta e la bocca a forma di cuore, il fisico minuto troppo simile a quello di una ragazza e la voce di un angelo. Tutto quello, Kurt Hummel nella sua interezza, era un qualcosa che non riusciva assolutamente a concepire e che gli faceva girare terribilmente le palle.
Ancor prima di venire a conoscenza della sua omosessualità c’era stato qualcosa in quel ragazzo che gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene. Forse era stata quell’aria da smorfiosetta che gli faceva da seconda pelle o magari quel sedere che si portava appresso fatto per essere guardato, o toccato, o magari utilizzato per qualcosa di ancora più piacevole. Non ce l’aveva mai avuta così tanto con il mondo fino a quando non aveva incrociato lo sguardo strafottente di quel ragazzo che senza alcun dubbio si credeva migliore di lui. Da quel momento i suoi voti avevano iniziato a calare ed era perennemente incazzato nero, per fortuna esisteva il football e il Glee Club che sembrava stato fondato appositamente per fargli sfogare la sua rabbia cronica. Naturalmente Kurt era diventato la sua preda preferita.
Il suo viso contratto dalla paura o ricoperto di gelida granita diventava meno perfetto, chiudeva gli occhi troppo azzurri, perdeva la prepotenza e la maschera smorfiosa di porcellana si incrinava sempre in un punto diverso.
Quel giorno Azimio stava organizzando la prossima battuta di caccia e quando il nome di quello stronzetto venne fuori, sputato nel mezzo del discorso con disprezzo, Dave aguzzò l’udito.

« … potremmo attirare Hummel in qualche modo dietro gli spalti del campo. Gli roviniamo quel bel faccino, una volta per tutte. »

Stavano progettando qualcosa di grosso, altrimenti non si sarebbero incontrati fuori dagli spogliatoi per parlarne e l’euforia era palpabile nell’aria e nella voce di chi interveniva. Il ragazzo che camminava al suo fianco tirò fuori dallo zaino un oggetto metallico e con un gesto fece apparire la lama di un coltellino, quando gli altri sogghignarono con cattiveria sentì salire una nausea improvvisa alla bocca dello stomaco.
Non aveva seguito tutto il discorso e non sapeva quando il tutto aveva preso quella piega ma non riusciva capire il motivo per cui avessero deciso di attivare a tanto, erano grandi e grossi e per spaventare il piccolo Hummel bastava la loro stazza, qualche minaccia e spinte contro gli armadietti. La frase dell’amico e quel gesto avevano tutto un altro significato rispetto ai loro normali atti di bullismo gratuito.
Volevano sul serio portarlo in qualche posto nascosto, lontano dagli occhi di tutti e fargli male, male veramente, e senza testimoni avrebbero potuto spalleggiarsi l’un l’altro senza bisogno di preoccuparsi delle conseguenze. Era un piano così semplice da apparire agli occhi di tutti assurdamente efficace, quasi fosse il delitto perfetto.
Sentì nel corpo crescergli un’adrenalina malsana che entrando in contatto con qualcosa di indefinito reagì, esplodendo nello stomaco come un pugno. Era come se tutta la squadra di football della sua scuola lo stesse placcando cercando di sbatterlo a terra. Era l’unico lì in mezzo ad avere una coscienza che si contrastava all’idea? Quella coscienza era la palla ovale che stringeva sotto il braccio, ma loro erano numerosi e lui troppo lontano dall’area di meta per fare touchdown e vincere quella partita.
Se avesse provato ad aprire la bocca per ribattere sarebbe apparso come un tradimento e lo avrebbero solamente fatto uscire dal gruppo scelto per la retata, ma Kurt non avrebbe smesso di essere in pericolo.
Cosa doveva fare?

« Karofsky, cosa vuoi fare? »

Tutti si erano girati a guardarlo perché in quelle cose era sempre stato il primo a mettersi in mezzo, a incitare certe azioni e aveva l’impressione, a volte, di essere stato considerato come una specie di capobranco. Sogghignò rispondendo alle espressioni presuntuose e complici perdendo quella partita immaginaria lasciandosi travolgere dalla massa e sbattendo la nuca contro il prato bagnato. Adesso si sentiva sporgo e gli doleva ogni muscolo.
Il resto del gruppo continuò a camminare lasciandolo fermo nel corridoio con ancora il ghigno sul volto, gli occhi spenti e la coscienza ridotta in mille pezzi. Nessuno lo aspettò, come se sapessero che non aveva nulla da aggiungere una volta data quella tacita approvazione, ne avevano bisogno perché Kurt era la sua preda ma adesso non avevano più bisogno di lui.
Era consapevole che quella situazione era l’occasione perfetta per far crollare una volta per tutte la maschera di perfezione, era quella che aveva sempre desiderato, ma adesso che aveva la possibilità di vendicarsi -perché era colpa sua, del suo corpo e della sua voce se tutto era cambiato, se il suo volto era capovolto e non riusciva a perdonarglielo- non ne aveva il fottuto coraggio.
Camminando con la testa vuota era arrivato nei pressi dell’Auditorium della scuola e in silenzio si infilò nella grande sala ma non si sorprese quando trovò proprio lui al centro della palco -in quel posto c’era sempre qualche sfigato del Glee che andava a rifugiarsi nel suo piccolo mondo rosa fatto di note troppo alte e parole sdolcinate- con i riflettori spenti e solo il pianoforte su cui suonava una musica che non conosceva che occupava la scena. Le palpebre calate su sulle iridi azzurre, il volto rilassato lasciato scoperto da ogni egocentrismo, le labbra socchiuse che si muovevano canticchiando una canzone che non riusciva a sentire.
Una consapevolezza improvvisa gli invase la mente mentre si sedeva su una della poltrone nel fondo della sala, schiarendogli una parte della reazione che aveva avuto poco prima con i suoi amici. Non aveva mai cercato di ferire fisicamente quel ragazzo, non lo aveva mai toccato sul serio, non ne aveva mai avuta l’intenzione perché nella sua mente era inconcepibile l’idea di vedere quel corpo dannato deturpato. Era una figura talmente eterea nella concezione che aveva di lui, angelo e diavolo, nato per portarlo nella perdizione e per condurlo in paradiso, che il sangue e le cicatrici non avrebbero avuto senso su di lui. Per questo per fargli male lo colpiva dove sapeva avrebbe avuto la meglio, non con la forza bruta che solitamente era il suo punto forte ma col terrore lo distruggeva dall’interno, al di sotto della maschera.
E forse si era illuso di avere una coscienza, forse non voleva fermare quella violenza gratuita perché aveva un cuore ma solo perché non aveva senso ferirlo in quel modo. Sì sentì ancora più sporco quando Kurt iniziò a cantare a voce più alta, come se volesse arrivare a lui. Non poteva averlo visto ma cercava di raggiungerlo comunque, con la sua voce voleva sempre aggrapparsi all’anima di chi lo ascoltava.
No, non conosceva la canzone ma aveva imparato qualche tempo prima che qualsiasi cosa che usciva dalla gola di Hummel aveva un non so ché di familiare e quando si decise a chiudere gli occhi e ascoltare le parole finì in un limbo del suo cervello che non sapeva di possedere.

« You’ve I always needed time on my own. I never thought I'd need you there when I cry… »

Non sapeva per chi stava cantando ma aveva l’impressione di essersi ritrovato nel mezzo di una situazione troppo grande per essere compresa da una mente semplice come la sua, era solamente l’intruso in una conversazione troppo intima eppure neanche per un istante aveva pensato di andare via, intrappolato dalla musica che quelle piccole mani candide creavano, da quel viso concentrato che sfogava un sentimento troppo profondo da essere compreso.

« When you walk away I count the steps that you take. Do you see how much I need you right now »

Aveva sempre saputo infondo, gli diceva una vocina dal profondo della trance in cui si sentiva scivolare, che quel ragazzino aveva qualcosa di speciale che lui non riusciva a comprendere. Era più forte di lui, non arriva in fretta a certe conclusioni, e nascondeva l’evidenza fino alla morte solo per mettere in mostra quello che gli conveniva. Aveva ricoperto tutto di granita fin dal primo istante per allontanare la consapevolezza che la faccia su cui sputava ogni insulto, che dichiarava ai quattro venti di odiare, di voler distruggere, era la cosa più bella che avesse mai visto.
Nascose la testa tra le mani premendo forte i palmi contro gli occhi per cercare di scomparire, per non mostrare al mondo quella parte così debole di se stesso che faticava ad accettare, che nessuno avrebbe compreso. Lui era il bestione che tutti rispettavano più per timore che per altro, aveva faticato per ottenere quella posizione, ma ormai sentiva stretta quella facciata quasi quanto la felpa del football dell’anno scorso.
Perché doveva farsi tutte quelle seghe mentali con sottofondo la voce angelica di Kurt Hummel?
Perché non poteva continuare a vivere come aveva sempre fatto, insultando i più deboli e ruttando con i suoi amici per apparire figo? Era in momenti come quelli che si rendeva conto che certi ragionamenti lo facevano assomigliare in maniera impressionante agli sfigati che picchiava ogni giorno e la cosa più che spaventarlo lo infossava ancora di più.

« The words I need to hear to always get me through the day and make it ok. I miss you. »

La canzone era finita improvvisamente e lui se ne rese conto solo quando il suo pianista personale colpì con tutte le sue misere forze i tasti che aveva avanti producendo un rumore infernale, totalmente diverso dalla melodia dolce che aveva suonato fino a quel momento.
Lo risvegliò come una doccia fredda e alzando lo sguardo riuscì a scorgere solo una parte del corpo di Kurt scosso dai tremiti di un pianto violento. Non aveva idea di come comportarsi, non si sarebbe mai e poi mai avvicinato a consolare il ragazzo, ma rimanere a guardare sembrava la cosa più insensibile che potesse fare. Si guardò imbarazzato le mani, erano screpolate dal freddo e dal football, e quando alzò il volto deciso a dare un’ultima occhiata per poi andare via facendo il meno rumore possibile si ritrovò con gli occhi del ragazzo puntati addosso. Sembrava furioso e intimorito allo stesso tempo, come se non riuscisse a capire quale emozione far prevalere.
Lo vide camminare verso le scale che portavano tra la piccola platea e scendere gli scalini lentamente, senza abbassare mai lo sguardo, e Dave si ritrovò a pensare che probabilmente aveva fatto tante di quelle volte quella strada che ormai doveva saperla a memoria, che tutta quella sicurezza forse derivava dal fatto che era immerso nel suo ambiente naturale. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, totalmente diverso da quello di superiorità che si ostinava ad indossare tutti i giorni.
Solo quando Kurt fu a pochi passi da lui, mentre si sedeva a qualche sedia più avanti mettendosi a fissare il palcoscenico, si accorse di quanto tempo fosse passato.

« Cosa ci fai qua Karofsky? »

La sua voce era la solita, la conosceva, eppure nel modo in cui aveva pronunciato quella semplice frase c’era qualcosa di stranamente diverso. Come se per la prima volta si stesse rivolgendo a lui da pari, come se non si fossero mai incontrati e quella fosse una semplice chiacchierata. Effettivamente, puntualizzò Dave nella sua testa, quella era il loro primo accenno di conversazione civile che avessero mai avuto visto che solitamente Kurt si limitava a gridare come una femminuccia, e di sicuro lui e suoi amici non si mettevano a parlottare con chi decidevano di maltrattare.
Si chiese debolmente come mai allora la voce di quel ragazzo gli fosse tanto familiare ma non ebbe tempo di cercare una risposta quando l’altro ripeté la domanda a voce più alta, come se si preoccupasse che la prima volta non l’avesse sentito.

« Non sono fatti tuoi. »
« Il solito cafone. »
« E tu sei un finocchio. Piangevi anche, come un finocchio. »

Vide le mani del ragazzo più piccolo stringersi in minuscoli pugni talmente forte da far diventare bianche le nocche e il suo collo si irrigidì sembrando ancora più lungo. Sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto rispondere in quel modo ma non era proprio riuscito a trattenersi dopo che aveva cercato di insultarlo con il solito tono antipatico, nonostante il suo fosse uno strano tentativo di fare conversazione.
Quando iniziò a parlare però la sua schiena per molto più rilassata e con un gesto fluido sembrò quasi volesse cadere dalla poltrona e tanto scivolò che riuscì ad appoggiare la testa sullo schienale e rivolgere lo sguardo verso il soffitto scuro.

« Sai Karofsky, tu non mi piaci, per nulla. Mi hai sempre dato il tormento e credo anche di sapere il perché ma a volte mi sembra proprio di non capire certi tuoi atteggiamenti. Tipo adesso. Avevi quell’assurda espressione pensierosa e ho pensato fosse il momento adatto per cercare di ragionare con te, sempre che tu in quel testone abbia qualcosa che assomigli ad un cervello, ed invece mi insulti come al solito. Credo che mi rassegnerò. »

Ricadde il silenzio e Dave fu quasi contento che il ragazzo gli stesse lasciando un po’ di tempo prima di alzarsi e andarsene, avrebbe voluto rispondergli, magari con una frase sensata, ma all’improvviso Kurt ricominciò a canticchiare a labbra chiuse la musica che stava suonando fino a poco prima. Era una bella canzone dopotutto, ma proprio quando si stava abituando a quel sottofondo lui fece per alzarsi e quando gli passò di fianco non poté fare altro che prenderlo per un braccio.
Lo sguardo spaventato e improvviso negli occhi maledettamente azzurri dell’altro gli fecero capire cosa aveva intenzione di dirgli.

« Non rassegnarti con me... » disse alzandosi e sovrastando il ragazzino di almeno tutta la testa « e, cerca di andare in giro con una grossa scorta e non rimanere mai da solo Hummel, mai. »
Girò i tacchi e uscì un po’ più rumorosamente di quando era arrivato, ma dentro di se qualcosa gli diceva che per il momento aveva fatto abbastanza, di sicuro gli aveva salvato la pelle, e che forse prima o poi sarebbe riuscito a migliorare tutta quella situazione. Il cuore gli batteva all’impazzata, ruggiva di soddisfazione perché un attimo prima di andarsene dall’Auditorium lo sguardo di quel ragazzo lo aveva trafitto in maniera completamente diversa.
Avrebbe avuto il tempo di rendersi conto che Kurt doveva essere solamente una checca per uno come lui in un altro momento, ma in quell’istante aveva soltanto bisogno di sorridere un po’. Si sarebbe accorto più in avanti che gli aveva chiesto di aspettarlo, perché non era ancora pronto ad avere un vero confronto con lui, ma che il momento sarebbe arrivato e lui, una volta messi da parte pregiudizi e paure, avrebbe potuto affrontarlo con più maturità e più consapevolezza di se stesso.
Mentre si allontanava con un coraggioso sorriso sulle labbra si comprese solo una minima parte di tutto quello che poche semplici frasi e una canzone erano riusciti a combinare, l profilo perfetto, gli occhi color del cielo prima di una tempesta e la bocca a forma di cuore, il fisico minuto troppo simile a quello di una ragazza e la voce di un angelo, tutto quello, Kurt Hummel nella sua interezza, era un qualcosa che non avrebbe mai dimenticato.

Fine.

Allora allora allora, credo sia completamente fuori carattere, non so chi di più ma a volte non riesco proprio a comprendere come mi esceno fuori questi due, ma il fatto che mi sia impegnata tanto per cercare di definire il loro -soprattutto Dave- mi rincuora. La canzone, per chi non l'avesse capito, è When you're gone di Avril Lavigne, che secondo me sarebbe carina cantata da Kurt. Ultimo appunto, la canzone è dedicata alla madre ma non volevo che ne parlasse con Dave perché se no credo che sul serio mi avrebbero bandito da questo sito per eccessivo OOC. Forse scriverò un sequel nel quale vedremo come il piccolo Karofsky capisce che gli piace Kurt senza avere un crollo nervoso, speriamo lo capisca lui perché io non ho davvero idea di come fare...
Quasi dimenticavo, questa fic partecipa al One Hundred Prompt Project con il prompt Vendetta.

Spero vi sia piaciuta comunque, un saluto,
Nacchan :)

The One Hundred Prompt Project
   
 
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