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Autore: Pickwick    16/04/2011    2 recensioni
I don't want to follow death and all of his friends... [Coldplay]
Meglio del nostro migliore amico, la morte non ci abbandona mai. Per quanto le persone abbiano, negli anni, tentato di allontanarla dalle proprie vite, relegando i moribondi in squallide stanze di ospedale o cercando - invano - la formula dell' elisir di lunga vita, essa rimane una costante nella nostra esistenza. E ancora non ci accorgiamo di come essa sia imprevedibile, e stentiamo ad accettare la nostra impotenza al suo cospetto. Così, quando all' improvviso attraversa le nostre vite, a noi non resta che rassegnarci ed attendere, spettatori, sperando in una fine il più indolore possibile.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Death and All His Friends.
 
 
 

 

Aurora

 
 
 
 
 

I don't want to follow death and all of his friends..
[Death and All His Friends, Coldplay]
 

 
 
 
 
 
 

Aurora si era svegliata felice, quella mattina; la sera prima aveva fatto l’ amore con Enea, e lui, alla fine, le aveva chiesto di sposarlo. Dopo una notte passata, da sola, a pensare, Aurora aveva finalmente deciso di accettare e di coronare con lui il suo sogno d’ amore. La sola idea di costruire una famiglia con il ragazzo che amava la riempiva di felicità e le faceva venire voglia di cantare la sua gioia al mondo, cosa che, non riuscendo a trattenersi, fece: cantò sotto la doccia e davanti allo specchio, cantò mentre si spazzolava i capelli e si truccava. Continuò a cantare anche mentre sceglieva, davanti al suo armadio, una gonna a fiorellini e una camicetta bianca, e continuò a cantare vestendosi.

Fuori dalla finestra la primavera si mostrava in tutto il suo splendore; il sole scaldava gli animi e i cuori delle persone, e tutti sembravano più felici. E forse lo erano, secondo Aurora. Ma se lo erano, pensò salendo di un’ ottava nel bel mezzo di un assolo, non lo erano sicuramente come lei.
Infilò un paio di scarpe basse, comode. Si guardò allo specchio un ultima volta, prima di uscire: i lunghi capelli biondi le cadevano morbidi sulla schiena, il trucco leggero era perfetto e il rossetto rosa le evidenziava le labbra carnose. Aurora si sentì bellissima, anche se molto semplice, e il cuore le si scaldò ancora al pensiero di vedere Enea. Mi sposo con Enea – pensò, afferrando la borsa – ci sposiamo!
Afferro la borsa e infilò un cappottino leggero. La temperatura era mite, e una brezza leggera muoveva le foglie degli alberi.
Aurora si incamminò lungo la strada. Si sentiva leggera, leggera, leggera… era tutto più bello, ora, ai suoi occhi; le sembrava tutto più semplice, più allegro. Avrebbe baciato i passanti, dalla felicità. Eppure si trattenne: era troppo impegnata a sorridere e a pensare a come avrebbe dato la notizia ad Enea. Non vedeva l’ ora di dirglielo, l' impazienza di entrare nel suo letto e abbracciarlo e dirgli quanto lo amava e quanto era felice di dirgli di sì era enorme.
Era sicura di trovarlo a casa: per fortuna era domenica, e la domenica mattina Enea era sempre a casa. Aurora entrò in un bar carino dove era già stata altre volte, alcune anche con Enea, e si sedette al bancone. Bevve il suo caffè in fretta, la mente tutta rivolta a Enea e al loro futuro insieme. Era così distratta che rischiò di portarsi via la tazzina vuota e lasciare al barista la sua borsa.
Uscì dal bar sorridente, dopo essersi fermata nella toilette per sistemarsi il rossetto – doveva essere perfetta, quello era il suo giorno.

Era così… felicemente distratta, assorta nei suoi pensieri, da essere concentrata solo sulla strada che stava percorrendo, che tuttavia i suoi piedi percorrevano automaticamente, ormai. Arrivò fino alla fermata dell’ autobus, dove attese, impaziente, una decina di minuti. Salì a bordo e per tutto il viaggio continuò a fissare fuori dal finestrino, sorridente, senza vedere davvero la strada. Fantasticava. Non si sentiva così felice da… da troppo tempo. Da quando Bianca le era stata portata via dal cancro. L’ anniversario della sua scomparsa cadeva il mese successivo, e il ricordo della ragazza oscurò, per un attimo, la felicità di Aurora. Aurora sapeva che Bianca sarebbe stata felice per lei, che si sarebbe congratulata e che magari avrebbe scelto insieme a lei il vestito per il matrimonio.
Bianca le mancava tantissimo, ma Enea, con il tempo, aveva saputo riempire il vuoto che aveva lasciato.
Attraversarono la città. Aurora batteva i piedi con impazienza ad ogni fermata, contando quelle che la separavano dalla casa di Enea. Mancavano due fermate, quando l’ autobus si fermò ad un semaforo rosso.
 
 
 
Kamilo Neva sbadigliò. Era stanchissimo, ma nonostante viaggiasse da quasi quattordici ore ininterrotte – quattordici lunge, noiose ore – ancora non poteva fermarsi. Kamilo maledisse le fissazioni del direttore della ditta di trasporti per cui lavorava, che pretendeva massima puntualità con le consegne, a costo di obbligare i suoi dipendenti a ritmi lavorativi estenuanti. Una volta Kamilo aveva addirittura pensato di denunciarlo – ricordava con tristezza la morte di Goran, uscito di strada per colpa di un imprevisto colpo di sonno. Però non poteva permetterselo. Aveva tre bambini e una bambina, Sandra, e una moglie, Anja. Anja non lavorava, ma stava a casa con i bambini, perciò toccava a Kamilo provvedere a loro, motivo per cui non poteva permettersi di essere licenziato. Quindi, aveva deciso tempo prima, meglio sopportare la fatica e tenersi il lavoro che togliere cibo ai suoi figli. Con buona pace di Goran.
Finalmente, Kamilo vide l’ uscita autostradale che aspettava. Prese lo svincolo e si trovò nella zona industriale della città, semideserta. Per fortuna sapeva bene dove dirigersi; non era la prima volta che consegnava merce a quel cliente. Arrivò in una zona periferica della città, in cui, nonostante fosse abitata, poteva avere accesso con il camion. Arrivato ad un incrocio, vide che il semaforo era arancione, e, visto che nella sua corsia non c’erano auto, accelerò. Non aveva nessuna intenzione di aspettare ancora, voleva solo tornare a casa dai suoi figli. Il semaforo divenne rosso, e, sebbene Kamilo fosse ancora a un paio di metri dall’ incrocio, non accennò a rallentare.
E fu così che la sorte decise.
All’ improvviso, un autobus arancione – tipicamente italiano, pensò Kamilo con terrore – sbucò fuori dal nulla e gli si parò davanti. Ci fu un gran stridore di freni, ma, data la troppa velocità del suo veicolo, Kamilo non poté evitare l’ impatto. Con un botto terribile, il camion colpì in pieno l’ autobus e lo sbalzò lontano, con la facilità con cui avrebbe spostato un trenino giocattolo. Le lamiere arancioni si piegarono verso l’ interno, i vetri si sparsero ovunque. L’ autobus giaceva di lato, come una bestia ferita, mentre una sottile linea di fumo iniziava a salire dal motore. Il camion di Kamilo, deviato dall’ impatto, si scontrò contro una vecchia quercia al lato di un marciapiede. Kamilo sbatté a testa sul volante e perse conoscenza.
Un terribile silenzio regnava sulla strada. Gli automobilisti di passaggio erano accorsi, i residenti osservavano dalle finestre delle loro case, i curiosi stavano sui marciapiedi a guardare, in silenzio. Qualcuno chiamò un’ ambulanza, e poco dopo le prime sirene risuonarono nell’ aria.

 
 
 

Quella mattina, Enea non vide Aurora arrivare.
 
 
 
 

**
 
 
 

 
 
  

In genere non ascolto i Coldplay.
Per questa volta, ho fatto un’ eccezione.
Mi piacerebbe continuare a scrivere shot come questa, con personaggi diversi, ma con la morte come tema.
Che tema allegro, eh?
 
 
Pick.  

 
   
 
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