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Autore: Neal C_    17/04/2011    3 recensioni
Un conto alla rovescia.
Poi scatta un meccanismo che era stato messo a punto da chissà quanto tempo, uno di quelli ben oliati perché funzionino alla perfezione.
Arriva la notizia ed è troppo tardi per pensare. Bisogna agire e correre ai ripari, portare a termine quello che lui ha iniziato.
Ho solo cercato di tradurre in parole quelle poche magnifiche pagine che, nel bel mezzo del settimo volume di DN, ci svelano che la storia non finisce con la sua morte.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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He's dead

Ultimo piano di un grattacielo di Tokio.

è una fresca giornata di Novembre ma niente, neppure un filo di vento potrebbe mai penetrare le pareti  di quella stanza senza finestre.
La stanza è grigia come l’asfalto, le pareti sono rivestite da lamine di metallo, la porta è in ferro ed è chiusa ermeticamente.
Non c’è nient’altro da dire su questa stanza se non che, sul parquet di legno chiaro c’è uno schermo piatto, bianco con tanti cavi grigiastri che lo collegano ad un PC e una tastiera.
Ma davanti a tutto c’è un piccolo visore rotondo con delle cifre che scalano, come quelle di un orologio.
Sembra una sveglia, una di quelle dal design innovativo, che si illuminano alla mattina presto diffondendo quei bagliori rossastri ogni volta che suonano.

20d 18h 31m 31s

20d 18h 31m 30s

Il conto alla rovescia è iniziato.


Siamo alla seconda settimana di novembre e la stagione autunnale non sembra ancora chiusa poiché il sole ogni tanto continua a fare capolino, testardo fra le nuvole, illuminando e riscaldando con i suoi tiepidi raggi le campagne verdeggianti e semideserte dell’Hampshire.
Nei dintorni di Winchester, nel contado circostante sorge una grande villa, una struttura massiccia, un piccolo castello immerso nel verde cinto da mura con grosse cancellate  di ferro battuto spesso chiuse.
Ricorda uno di quei college del Kent per famiglie benestanti e nel cielo svetta una torre dell’orologio un po’ gotica.
Nel parco  un mucchio di ragazzini giocano a rincorrersi, dai dieci ai quindici anni, mentre rimane abbandonato sul prato all’italiana un pallone da calcio, poco lontano.
Fra gli schiamazzi di questi giovani orfani emerge la voce sicura e perentoria di un tredicenne in salopette che protesta vivacemente:  “Ti ho preso Mello!”
Il ragazzo chiamato Mello non si ferma, continua a fuggire, girandosi appena verso il compagno per poi ridergli in faccia, con sincero divertimento e spensieratezza, un pizzico di furbizia negli occhi e un muto messaggio di sfida.
Arretra fino alla cinta di muraria, a pochi metri dl campanello e da una targa di ottone con su inciso a caratteri  in grassetto: The Wammy’s House.
Le grida spensierate e gli inseguimenti arrivano sin nell’ingresso dove un gruppetto di ragazzi e ragazze sembrano star decidendo se uscire o meno.
Una di quelle si gira verso  un terzo, rimasto in disparte, nella stanza affianco,  in ginocchio e a piedi scalzi sul pavimento piastrellato, e tutto chino su puzzle. Sembra raggomitolato su se stesso,  in meditazione e in contemplazione della miriade di pezzi che ancora sono sparsi sul pavimento e non hanno trovato posto nel suo disegno. Si sorregge la testa con la sinistra sotto al mento e con l’altra lentamente ma con gesti sicuri sistema i pezzi al centro della cornice.
“Near, perché ogni tanto non giochi all’aperto?”
“Lascialo perdere Linda”
Linda per un attimo si zittisce e continua ad osservare Near intento nella sua paziente opera, come se il compagno l’avesse definitivamente zittita.
Ma Near non solleva neppure la testa e le comunica con voce inespressiva: “Sto bene così grazie”
Mentre Linda viene trascinata dai suoi entusiasti compagni fuori Near senza esitazione aggiunge un altro pezzo al suo puzzle.

È  questione di momenti.
Bastano pochi secondi.
Un secondo è la sessantesima parte di un minuto, la tremilaseicentesima parte di un’ora e la ottantasei mila quattrocentesima parte di un giorno.
E invece sul visore nero le cifre lampeggiano  per un tempo eterno.

00d 00h 00m 02s

00d 00h 00m 01s

00d 00h 00m 00s

Appena scatta lo zero lo schermo del PC si illumina di una luce chiara e artificiale e compare un messaggio a grossi caratteri. Le  piccole casse rotonde gemono emettendo BIP BIP BIP metallici.

Transmission.

Anche quel giorno  Roger Ruvie,  rettore della Wammy’s House,  annotava sul registro le nuove prove da sottoporre ad i suoi allievi e registrava i frutti delle precedenti.  
Più tardi sarebbe uscito dallo studio e sarebbe passato per il laboratorio di informatica.
Lo aspettava il suo PC, come al solito, per riempire i fascicoli dei suoi alunni, i progressi, le capacità logico deduttive, le valutazioni dei loro test d’esame,  ma anche aspetti del loro carattere, con decine di voci da riempire, tanti spazi bianchi, semi scritti, da aggiornare, o tanti interrogativi poco chiari, con incoerenze e grandi difficoltà di interpretazione.
 “creatività” “azione” “vita sociale” “forza d’animo” “fascino” “preferenze” “pensiero”  “morale” “versatilità” “distacco” “autorità  ”  “spirito di gruppo” …

-Com’è difficile catalogare una persona- pensò per un attimo Roger, distogliendo lo sguardo dal registro.
I suoi occhi chiari, un po’ malinconici, molto assorti si posarono sul visore rettangolare del cellulare.

00d 00h 00m 00s

La vista dello zero che scattava lo pietrificò. La stilografica gli scappò dalle mani e lasciò una grossa macchia d’inchiostro nero, come una pozzanghera. Arrivò prontamente il BIP e il cellulare avvisò di aver ricevuto un messaggio, ma stavolta non c’era bisogno di aprirlo, di cercarlo nella voce “messaggi ricevuti”.
Bastava guardare il visore. Ma Roger non ne aveva bisogno e chiuse gli occhi;  per un momento il suo volto addolorato sembrò in preda allo sconforto.  

L is dead.

Dietro la porta si facevano sentire gli schiamazzi dei ragazzi che si rincorrevano nei corridoi, che si chiamano l’un l’altro, che facevano a gara a chi arrivava prima e che ignoravano ancora tutto.  
Rientravano in casa perché erano stanchi di stare fuori ma mai stanchi di giocare.
Roger  si alzò di scatto dalla sedia, con un sospiro e un’aria rassegnata, a passi lenti uscì dallo studio fermandosi davanti alla porta.
Presto si vide inondato da quel branco di monellacci che lo sorpassavano, gli correvano incontro e nemmeno la governante Kelly, sembrava riuscire a fermare l’avanzata di  quei piccoli bisonti.
“Oh signor Roger…”  si pronunciò la donna quasi rassegnata ma non c’era bisogno che dicesse altro.
Il rettore era un uomo paziente e accondiscendente e il suo sorriso sereno e tranquillo, seppur finto, sembrava rassicurarla.
In coda alla fila c’era Mello che camminava con passo più lento del solito.
In generale era sempre il primo, il più combattivo e il più sveglio tra quelli della sua età, tra i più grandi e probabilmente anche tra i più piccoli.
-Una forza della natura-   pensava il rettore che allungò la mano e trattenne il ragazzino per la spalla.
“Mello…”
“Eh?”
Roger evitò il suo sguardo incuriosito e sorpreso, e  ciò sembrò scatenare una strana  inquietudine nel ragazzo che sfoggiava un’espressione colpevole sul suo viso.  -Che ho fatto? – sembrava essere il suo pensiero.
Ma il rettore aveva già alzato lo sguardo, sapendo di trovare, nella camera di fronte Near che armeggiava con il puzzle. Ed era quasi alla fine; non gli mancavano più di  tre pezzi.
“Anche tu Near … venite nel mio ufficio”
Stavolta Near si girò e rispose pacatamente: “Arrivo”

Mello non si lasciò trascinare a lungo.
Adesso era lui che bramava dal desiderio di saperne di più e la malinconia del rettore non faceva che aumentare in lui l’ansia e la consapevolezza che c’era qualcosa che non andava. Ogni tanto lanciava occhiate perplesse a Near, ma il compagno non si girò neppure una volta a ricambiare lo sguardo.
-Ma che mi aspettavo? Lui è fatto così-  replicò a sé stesso con un’ombra di disprezzo.
Near si limitò a sedersi in ginocchio sui talloni e ad osservare il suo puzzle completamente bianco con il marchio di L.  
Teneva nel pugno gli ultimi tre pezzi dell’angolo, la parte più facile di un puzzle.
Basta seguire la cornice e cominciare a costruire gli angoli, poi infine si culmina con il centro.
-Io farei così-  pensava Mello fra se e se  -è più intelligente … anzi non lo farei affatto-
In effetti Mello non ci trovava niente di divertente nei giocattoli che tanto piacevano a Near; erano tutte cose noiose, lunghe, che necessitavano di grande pazienza, di meditazione e non davano nessuna soddisfazione, solo inutile frustrazione se si rivelavano troppo difficili.
-E poi non sono nemmeno difficili da completare … io non ci metterei niente!-
Decretò infine e liquidò la cosa, tornando al presente.
Il rettore intanto si era seduto alla scrivania, con la testa bassa e le mani incrociate.
Aveva le palpebre semi abbassate, cosa che irritava profondamente Mello.
Lui voleva che la gente lo guardasse negli occhi mentre gli parlava e cercava sempre lo sguardo dell’interlocutore. Anche Near non alzava mai lo sguardo.
-A momenti ti ignora quando gli parli-
Fu l’ultimo pensiero sul compagno prima di rompere il silenzio:
“Che c’è, Roger?”
La risposta arrivò in fretta, con una voce monocorde e le palpebre si abbassarono sempre di più.
“Elle è morto”
L’espressione di Near non cambiò di una virgola; Mello spalancò la bocca in un muto grido di rabbia, di sorpresa, con gli occhi spalancati e terrorizzati di chi non vuole credere a ciò che sente.
  
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