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Autore: Heath Queen Bee    18/04/2011    1 recensioni
-Lasciale scorrere, sono lacrime di felicità.-
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*driin*

La sveglia è sempre il momento più traumatico in un carcere minorile. La notte è l’unico momento in cui riesci a stare un po’ da solo, chiuso in te stesso. Abbassare le mura difensive che mi danno quell’aria da bullo e pensare. Senza preoccuparsi troppo di chi ti fissa, perché a quell’ora, dormono tutti. Tutti tranne me. Hanno provato a lasciarmi in libertà vigilata, ma uscire dal giro è più difficile di quanto sembri. Me lo sono meritato, forse.
Apro gli occhi confuso, ripiombando improvvisamente nella realtà, come un sogno interrotto sul più bello. Barcollando mi siedo sul letto, appoggiando le mani sulle tempie, irritato dal suono violento della sirena. Mi guardo intorno, piegando la testa di lato, trattenendo a stento le lacrime, alla vista di quel luogo così distante, eppure così familiare... Mi infilo le scarpe logorate e aggiusto la maglietta sporca, con una smorfia di ribrezzo. Le porte erano aperte, il vento passava imperterrito  tra le brande, trascinando con sè un’ondata di desolazione e sconforto. Lo stesso sconforto che segnava il mio volto e quello dei miei compagni. Passo una mano tra i capelli aggiustandomi la cresta, arriccio il naso inspirando  l’odore acre della prigione di prima mattina, mischiato a quello pungente del caffè. Oggi mi rilasciano, non tornerò mai più in questo posto, anche perché tra qualche mese compirò 18 anni, sarò considerato maggiorenne. Il carcere. Non ci ero mai stato, mi domando spesso come sarà, poi chiudo gli occhi e ironicamente penso “Non mi ci vorrà molto per scoprirlo, ancora qualche mese”. Abbozzo un sorriso compiaciuto, mentre preparo il borsone e mi avvio verso la libertà, verso casa. Le facce dei mie compagni di stanza esprimono disapprovazione, mi guardano delusi, come se fossi un marine che tradisce la patria. Gli rivolgo un ultimo saluto, con un cenno della testa e solco la porta, accompagnato dalla guardia di sicurezza.

Mi fermo attonito a fissare il cancello di ferro che mi separa dalla libertà. Il filo spinato e il fango sovrastano l’area impedendo qualsiasi tipo di fuga. Un solo, ultimo passo e... sono fuori. Una volta per tutte.

Salgo sull’auto senza nemmeno voltarmi.
Dopo 2 ore l’auto si ferma.
-Capolinea.- La guardia mi scruta lanciandomi occhiate sinistre, segno che devo scendere. Sospiro socchiudendo gli occhi, come a ricambiare lo sguardo e rispondo con un “grazie” sussurrato.
Appena metto piede fuori dalla vettura, la guardia mette in moto e se ne va, lasciandomi solo ad affrontare gli sguardi delusi dei miei genitori. Mio padre, poliziotto, scuote la testa in segno di disapprovazione e torna in casa, chiudendo la porta lasciando, trapassare un’espressione di rabbia.
-Mamma... io...- Cerco di dire, guardandomi imbarazzato i piedi. Mi ha preso per mano e mi ha detto:
-Basta così, dunky, non mi devi alcuna spiegazione. Tuo padre non ti apprezza, questo non significa che non ti voglia bene. Sei sempre suo figlio.- Mamma sa sempre quando ho bisogno di lei. Alzo il viso, guardandola negli occhi, meravigliosi occhi azzurri, colmi di lacrime. Le porgo un fazzoletto per asciugarsi le lacrime ma lei mi blocca la mano dicendo:
-Lasciale scorrere, sono lacrime di felicità.-

  
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