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Autore: Will P    18/04/2011    3 recensioni
"Show aveva quindici anni quando il mondo è finito."
[Killjoys!AU, Show Pony centric]
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: È tutto finto, non sono miei, non ci guadagno niente. Titolo da Sing.
Note: Fine del mondo @ COW-T di maridichallenge, ottava ed ultima settimana. Scritta solo e soltanto per far completare la missione alla squadra, ergo la totale randomicità. #teamangeli ftw!


For the ones who want to get away

Show aveva quindici anni quando il mondo è finito. Da quello che aveva letto sui libri di scuola - quando c’erano ancora scuole - e nei fumetti che teneva in ordine in scatole e scatole sotto il letto - quando aveva ancora una camera, ed era tutto così vivido e colorato - aveva sempre pensato, per quanto può pensare a certe cose un ragazzino che ancora deve capire come funziona il liceo, che la fine del mondo sarebbe stata una cosa improvvisa, rapida e definitiva, quando (e soprattutto se) sarebbe avvenuta.

Si era sbagliato, e si era sbagliato per bene. Non era stata improvvisa, non era piombato nell’oceano un meteorite da una galassia dal nome impronunciabile, il centro della Terra non era esploso, era successo tutto lentamente e quando si erano accorti del problema - delle piogge acide e delle radiazioni che arrivavano dal deserto e dell’inquinamento che faceva diventare i tramonti verdi - …non avevano fatto niente. Probabilmente era troppo tardi, o forse erano ancora in tempo per fare qualcosa, ma nessuno aveva mosso un dito e pensandoci adesso, dopo aver visto quello che ha visto, era chiaro sin da allora che erano tutti già morti, già schiavi ancora prima che la BLI posasse la prima pietra.

Per questo non era stata rapida. I più fortunati, nelle zone di confine, nelle città minuscole in cui la polizia si rifiutava di ammettere il problema e i dottori non avevano la più pallida idea di cosa si fossero trovati tra le mani, erano morti sul colpo. Radiazioni, o intossicati, o soffocati, ma ben presto non era più importante. Quello che importava era trovare una cura per le decine di persone che ogni giorno iniziavano a tossire sangue o ricoprirsi di piaghe. I malati aumentavano, gli ospedali straripavano, nessuno sapeva cosa stesse succedendo e tutti parlavano, parlavano di virus dai nomi che non potevano capire e di vaccini dal nome che non dovevano capire e di come smaltire i cadaveri. Le scuole chiudevano, le fabbriche fallivano, le città si svuotavano come nei film western che le tv, piene di bollettini e allerte e telegiornali, non trasmettevano più da tanto tempo; le capitali intanto si riempivano e nel panico raggelante la BLI sbocciava al centro di ogni comunità, cresceva, s’insinuava nella vita di ognuno come un cancro finché era tutto quello che potevi vedere. Va tutto bene, possiamo aggiustarvi, ora ci pensiamo noi, sorridi.

Sembrava facile, sembrava sicuro, le città erano salve nella loro bolla di filtri, scudi e purificatori, le medicine costavano tanto ma funzionavano e il cibo aveva tutto lo stesso sapore ma non era tossico. Si poteva ricominciare da capo. Ma la BLI non controllava solo il mercato. Ma la BLI non voleva che la gente ricominciasse, e alla gente andava bene.

Quando degli uomini in tuta bianca e sorrisi stilizzati erano entrati nel suo monolocale grigio, buttando giù la porta e trascinando via sua madre con una pistola alla tempia e una mano premuta sulla bocca mentre lei lo guardava in lacrime, come se sperasse che avesse capito qualcosa, Show aveva quindici anni. Suo padre era morto anni prima, sua madre stava venendo arrestata per idee sovversive, lui era piccolo e solo e spaventato e nessuno - non uno dei vicini che spiavano da dietro porte socchiuse o dei passanti in strada o degli uomini cui era andato a chiedere aiuto - aveva detto qualcosa. Nulla.

Show era fuggito la notte stessa, perché era quella la vera fine del mondo.

Ma dopo aver incontrato il Dr Death, dopo aver visto i Killjoys prendere un proiettile in testa e cadere e poi rialzarsi e andare avanti a calci e pugni e pura fottuta determinazione, dopo aver toccato i colori e sentito la musica e respirato la speranza, aveva capito di essersi sbagliato ancora una volta.

La fine del mondo non è mai definitiva.

   
 
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