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Autore: Kokato    21/04/2011    11 recensioni
Merlin aveva cominciato ad andare in giro avvolto in una tunica di color blu scuro, perché molti bambini avevano fatto presente che, insomma, i maghi è così che vanno vestiti.
È una regola implicita.
Merlin aveva sorriso e li aveva accontentati.
Arthur x Merlin
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Scritta per il KinkMerlin Italia ( http://kinkmerlin-ita.livejournal.com/ ). Buona lettura e commentate se potete, e la mia prima fic nel fandom e mi farebbe piacere ^^

Andava tutto così dannatamente bene da sfiorare il patetismo. Era primavera e gli uccellini cinguettavano, il popolo sembrava di giorno in giorno più contento di spaccarsi la schiena nei campi, i bambini correvano felici per le strade polverose. Effettivamente cominciava ad annoiarsi.

Era stato alleggerito di un tale peso da fargli pensare che, tutto sommato, sarebbe potuto levitare via da un momento all’altro contro la sua volontà.

Merlin aveva cominciato ad andare in giro avvolto in una tunica di color blu scuro, perché molti bambini avevano fatto presente che insomma, i maghi è così che vanno vestiti. È una regola implicita. Merlin aveva sorriso e li aveva accontentati.

Per il cappello a punta, la lunga barba bianca e la bacchetta magica avrebbero dovuto aspettare un po’ di tempo in più, ma in genere i maghi non contravvengono alle promesse. Lo aveva fatto per scherzo ma, alla fine, convenne con sé stesso che quell’abbigliamento dava un tocco d’ufficialità alla sua carica. Camminò sino alla sala delle udienze guardandosi attorno con gli occhi più limpidi del solito, capaci di vedere più lontano e con maggior nitidezza.

Sì, andava tutto bene, dritto ed ordinato.

“Merlin”. A parte ciò che era sempre andato storto e che, per forza di cose, continuava per la sua strada. Arthur lo aveva chiamato come suo solito, calcando il suo nome come fosse una colossale presa in giro. Non dovette aspettare molto prima di sentire l’orlo della sua veste sollevarsi. Schiaffeggiò la mano responsabile voltandosi e sfoggiando un viso improvvisamente rosso.

“Quando la finirai di fare così?!”. Arthur ghignò e gli bloccò la strada, ridacchiando poi per ciò che vedeva: “Quando la finirai di andare in giro vestito così?”.

“Mai”.

“Vedi? Ti sei risposto da solo”. Merlin sbuffò, cercando di nuovo di andare per la sua strada. “Abbiamo la riunione coi cavalieri tra poco”, informò il Re, con solerzia, ma questi non lo ascoltava, seguitando con la medesima impresa per tutto il tragitto fino alla sala delle udienze. I dodici cavalieri, che sarebbero dovuti essere tutti compostamente seduti ai loro posti attorno alla tavola rotonda, erano sparsi nella sala nelle occupazioni più svariate. C’era chi duellava, chi cercava di colpire un bersaglio con i pugnali, chi provava acrobazie, chi tentava imitazioni non ben identificate con vocine acute, femminee e poco cavalleresche. Gwaine teneva un corso di seduzione in un angolo, ascoltato attentamente da Lancelot -che avrebbe persino preso appunti, se avesse potuto-, ed un altro cavaliere. Arthur rise sguaiatamente -in effetti era lui che, a poco a poco, aveva incoraggiato quel modo di comportarsi tra loro-, unendosi alla confusione e salutando tutti fin troppo rumorosamente. Merlin si schiarì la voce, Uther si rigirò nella tomba. “Ahem. Dovremmo cominciare a revisionare i trattati di pace, lor cavalieri”. Nessuna risposta. Avvertì una tempia pulsargli ed una gran voglia di prenderli a calci, persino con le sue gambette ossute che non avrebbero fatto male ad una mosca. “Ahem”. Nulla. It’s that so? Good.

Un cavaliere divenne una pecora, un altro una gallina, un altro prese a grugnire e rivoltarsi sul pavimento con l’improvviso, divorante desiderio di essere in un letamaio.

“Maledizione Merlin! Non puoi trattare così i miei cavalieri!”.

Merlin lo fulminò, puntandolo come fosse una preda da cacciare: “Vedo che è molto ansioso di sapere cosa si prova a respirare dall’ombelico, sua altezza”.

Improvvisamente aveva tutta la loro attenzione. Merlin sorrise, appropinquandosi al suo posto, imitato da tutta la marmaglia. Non appena seduto aprì un rotolo, intinse la penna nel calamaio e attese che Arthur desse inizio al dialogo, quando fu Gwaine a prendere la parola.

“Sire, abbiamo un problema”. gli altri annuirono, e fu chiaro che Gwaine parlava anche in loro vece.

“Esponi”, concesse Arthur.

“Avete intenzione di restare… così, a lungo?”. Arthur non capì, e quando non capiva, inconsciamente, rivolgeva lo sguardo a Merlin, convinto che lui potesse comprendere ciò che lui non comprendeva. Merlin fece spallucce, ed esortò Gwaine a spiegarsi meglio.

Questo si schiarì la voce, non sentendosi adatto all’argomento che stava per mettere in mezzo al tavolo delle discussioni. “Il popolo vuole una regina, sire”.

Il Re reclinò indietro la testa di scatto, come se avesse evitato un’ascia che era stata lanciata a tutta velocità contro il suo collo. Stavolta, stranamente, non cercò ulteriore chiarificazione negli occhi dello stregone di corte. Stette a borbottare per qualche secondo, prima di rispondere, un po’ sudato: “C’è ancora tempo. È da parecchio tempo che manca una regina, confido nel fatto che il popolo sappia attendere il momento giusto”, affermò, prima di trasformarsi improvvisamente in un Re impegnato e responsabile, ed esortare l’inizio della riunione.

Merlin si sentì tutt’ad un tratto molto osservato.

 

“Io non voglio sposarmi, DANNAZIONE!”.

Arthur e Merlin camminavano nelle stradine della cittadella, in mezzo ai risolini delle ragazze e agli schiamazzi dei commercianti che cercavano di attirare clienti al loro banco -un po’ meno frequenti e assordanti del solito… e poco attinenti al prodotto in vendita-.

Il popolo, probabilmente, voleva che Arthur si decidesse a chiedere la mano di Gwen. Ma Gwen aveva voluto accompagnare la redenta Morgana nel suo esilio volontario, ed il momento del suo ritorno sarebbe stato il ‘momento giusto’ menzionato dal Re quando aveva risposto a Gwaine. Abbassò il volto e fu felice di potersi permettere di schiaffeggiare Arthur dietro la nuca, senza temere la forca.

“Non serve mica urlare, idiota”.

“Ahia”.

Merlin udì il ridacchiare attorno a loro intensificarsi. Decise di non farci caso: “Comunque avevate ragione. Siete giovane, c’è ancora tempo. Non molto, ma c’è tempo”.

“La tua saggezza è sempre tranquillizzante”, ironizzò.

“Sarà, ma ha salvato il vostro regale deretano molte volte”. Arthur non amava sentir parlare delle sue gesta di quando ancora non sapeva che era un mago. Per qualche strana ragione lo facevano sentire inferiore, emarginato ed escluso da un mondo tanto vasto di segreti, frustrazioni, rivelazioni celate dietro labbra sigillate e comportamenti inspiegabili. E quel che è peggio era che lo incuriosivano oltre ogni limite, nonostante tutte le altre sensazioni spiacevoli, ma gli mancava il coraggio di chiedere un racconto dettagliato a tal proposito.

“Ho benché meno voglia di avere degli eredi!”.

“Dovrete farlo prima o poi”, considerò Merlin, apatico. “A volte mi chiedo se non siete diventato Re troppo presto, ma dopo mi ricordo che siete un asino dalla nascita e che nemmeno il tempo può far mutare questa vostra natura”.

Arthur lo colpì sulla testa con la mano aperta, fintamente offeso ed ignorando l’esclamazione di dolore. “Sarà, ma tutti tuoi i poteri magici e tutte le tue storie di draghi e destini non ti hanno reso meno idiota”. Merlin emise un sibilo assordante.

“Volete sapere cosa si prova ad avere un orecchio sulla fronte o un braccio sulla testa, sire?”,

“Hm, magari un’altra volta!”.

In quel momento le risate si fecero troppo forti perché potessero essere ulteriormente ignorate. Arthur non aveva più preteso che ci si inchinasse ogni volta che i suoi piedi toccavano terra o che ci si stupisse se continuava ad andarsene in giro per il regno come se fosse stato ancora un Principe, ma esigeva un minimo indispensabile di rispetto. Usando tutta la sua autorità chiese chi è che rideva e cosa ci fosse da ridere. Si fecero avanti un gruppo di ragazze di varie età che Merlin ricordava essere sorelle, la più grande doveva avere all’incirca diciassette anni. La più piccola di cinque anni sorpassò le altre e si stagliò davanti al Re, senza alcun timore reverenziale o idea di cosa significasse davvero la parola ‘Re‘. Lo fissò per qualche secondo poi prese fiato con aria solenne e chiese: “Voi siete sposati?”.

Merlin arrossì fino alla punta delle orecchie -e ce ne voleva per arrossare completamente quegli enormi padiglioni di cartilagine-, Arthur boccheggiò, pensando che avrebbe esaurito tutto il suo repertorio di risposte diplomatiche per negare il suo coinvolgimento con Merlin.

“Perché hai pensato una cosa del genere, bambina?”. “Perché la mia mamma e il mio papà si comportano come voi, e loro sono sposati”. Dannati bambini, il loro intuito e i loro lineari sillogismi. Arthur non rispose, limitandosi a chinarsi e a scompigliare la capigliatura riccioluta della bambina con meno nervosismo possibile, nonostante sentisse chiaramente le proprie guancie farsi rosse e Merlin scalpitare lì accanto nel desiderio di andare a buttarsi giù da una fortificazione. La gente lì intorno rise ancora più forte.

 

 

Arthur attaccò il collo di Merlin con la bocca mettendoci più foga del solito. Il mago mosse le gambe lamentandosi del modo con cui era stato sbattuto contro il muro facendogli vedere le stelle, e fu ricompensato venendo trascinato verso l’alto come una specie di trofeo.

“È colpa tua se ci hanno scoperto! Si vede lontano un miglio che mi guardi come se non vedessi l’ora di attentare alla mia castità!”, Merlin accolse quell’affermazione con un sospiro scettico mentre la mano del Re frugava sotto la sua tunica e tra le sue parti basse. “Ma quale castità! E poi non sia mai che tu la smettessi di tentare di sollevarmi la tunica ogni santo momento! I maghi che non hanno bisogno di nascondersi si vestono così ed è ora che tu te ne faccia una ragione!”. Arthur sbuffò e lo zittì mordendogli le labbra come se volesse mangiarle e accarezzandogli le gambe che, da quando non faceva più il servo, erano più floride. Era un peccato che le nascondesse sotto la tunica, ma d’altro canto doveva ammettere con sé stesso che gli piaceva che Merlin tentasse ancora di nascondergli qualcosa, per quanto insignificante. Quando questi gettò la testa all’indietro Arthur lo attirò per i fianchi verso di lui, in anticipazione, e prese ad abbassare le mutande di tela. “Da come parli non sembri propenso a voler diventare la mia regina”.

“Mmmmh… co- Re, al massimo”.

“Non esistono i Co- Re”.

“Allora te lo scordi, stupido asino”. Guardò gli occhi azzurri scintillare, i capelli più lunghi e scompigliati, le labbra gonfie atteggiate in un espressione scocciata palesemente falsa, e sentì il suo basso ventre lievitare. Pensare a lui in quel senso era stata una sorpresa, ma gli sembrava più normale ogni volta che gli veniva di farlo, ovvero piuttosto spesso. Diciamo anche sempre.

“Tanto ho tempo, no?”.

“Tempo e tante cose da fare”, rispose Merlin, improvvisamente incapace di trattenere i gemiti. Arthur afferrò una natica nel palmo della mano destra, e rise della sua indignazione. “Tipo i trattati di pace?”

“Tipo i trattati di pace”.

   
 
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