L’inconfutabile Legge del Carretto
{ sogno di un pomeriggio di mezza stagione
}
Doveva essere un teorema
universale. Quando hai bisogno di aiuto, sta’ pure sicuro che ti ritroverai
da solo. La Prima Legge di Hunk o giù di
lì. Magari doveva esporla a qualche luminare giù in città;
un brevetto doveva pur valere qualcosa.
Si passò la
manica della camicia sugli occhi, cacciando via polvere e sudore, e
guardò con aria sconfitta il bullone ancora svitato per metà
sopra di sé. Era ovvio che il
carretto dovesse rompersi proprio nel giorno libero di Hickory. Era ovvio che a Zeke
venisse un principio di polmonite proprio nel giorno in cui si rompeva il
carretto. Ed era ovvio che a quel
punto la signora Emma venisse da lui, con lo sguardo altero e le mani sporche
di terra avvolte nel grembiule, a dirgli senza mezzi termini che La Manutenzione
Del Carretto era della massima priorità in una fattoria come quella.
« A tutto il resto
penseremo Henry ed io, Hunk. Tu occupati del carretto. »
Il carretto, il
carretto, il carretto! Come se tutto ruotasse attorno al carretto. Oh, be’. In realtà tutto ruotava attorno al carretto. Senza carretto il signor Henry non
poteva andare a vendere nessun prodotto in nessuna fiera; senza carretto non si
poteva neppure andare a messa alla domenica; e – soprattutto –
senza carretto era impossibile portare Dorothy a fare una passeggiata. Dannata Prima
Legge di Hunk.
Fu con quell’ultimo
pensiero, e con un formidabile sbuffo iracondo che gli smosse la polvere fin
dai risvolti dei pantaloni, che si dedicò di nuovo al suo lavoro, impugnando
saldamente la chiave inglese e ficcandosi nelle recondite profondità
sotto il carretto per finire di avvitare quell’ostinato bullone,
arrugginito come la voglia di Hickory di lavorare.
Non era un mistero per
nessuno, quanto Hunk fosse legato alla piccola
Dorothy. Lui aveva solo quindici anni quando lei era arrivata alla fattoria,
orfana e triste; era stato estremamente naturale cercare di farla ridere, di
farla stare bene in quel posto che all’improvviso era diventato casa sua.
La signora Emma una volta gli aveva detto che non ce l’avrebbero mai
fatta, lei e il signor Henry, da soli: la natura era stata parca con loro,
negandogli la gioia di un figlio e concedendogli il dono di quella bella
nipotina troppo tardi negli anni – ma Hunk era
lì al momento giusto, e così Dorothy era cresciuta allegra e
curiosa, sempre aggrappata alla cintola delle sue tute sfilacciate.
Anche adesso che le sue
mani erano cresciute abbastanza per poter salire fino ad accarezzargli il viso
rude, le cose non erano cambiate. Non così
tanto, almeno.
Hunk si ritrovò a
sorridere, il sorriso stupido che gli si apriva in volto ogni volta che la
pensava, ormai quasi dimentico di quell’accidentaccio di bullone. Dava una
bella sensazione, di dolcezza, di tepore, il pensiero di Dorothy. Era un po’
come... Un po’ come affondare le mani nella paglia. Sì, ecco,
proprio così. Un sentore profumato, primaverile e vagamente appuntito. Va
bene, magari esistevano immagini più poetiche per descriverlo;
però Hunk non era un genio – si accontentava
delle cose semplici, lui. E avere Dorothy alla fattoria era tutto quanto
potesse desiderare.
Sennonché, a
volte...
« Hunk! »
Sobbalzò, perse
la stretta sul bullone, e batté dolorosamente la testa contro il fondo
del carretto.
Per l’appunto. A volte, la presenza di Dorothy si
rivelava molto pericolosa per la sua incolumità fisica e mentale.
« Dorothy! »
Annaspò, tastandosi il capo alla ricerca del bernoccolo che già
si sentiva pulsare. « Diamine, continui a spuntare all’improvviso.
Un giorno finirai col farmi uccidere. »
Scostò
rapidamente Totò, accorso da lui in cerca del malessere e pronto a
medicarlo con la sua infallibile salivazione. Fece per uscire di lì, ma
Dorothy fu più veloce, intrufolandosi dietro il compagno a quattro zampe
e rannicchiandosi praticamente addosso a Hunk.
« Oh, cielo, mi
dispiace, mi dispiace tanto! Ti sei fatto male? Non ti sei ferito, vero? »
« Sto bene, sto
bene! » quasi urlò Hunk, turbato
più dalla sua vicinanza che dalla sua premura. Faceva dannatamente caldo, sotto il carretto. « Non ho
niente di rotto, vedi? La mia testa è abbastanza dura. Non preoccuparti.
»
Si batté forte le
nocche sul capo, tentando in ogni modo di rassicurarla. Mancò poco che
svenisse dal dolore, ma si trattenne eroicamente: non poteva lasciare che
Dorothy si preoccupasse per lui.
« Sei sicuro? »
Gli occhi scuri della
ragazzina, così vicini ai suoi, avevano lo stesso colore della
cioccolata calda, della corteccia, di tante cose in qualche modo accoglienti. Hunk si sforzò di ridacchiare, ritraendosi a
malincuore e molto impercettibilmente. Annuì, anche.
« Sicurissimo. Tirati
su, tua zia va fuori di testa se ti vede qua sotto. Cos’è che
volevi dirmi? »
Dorothy sembrò
convincersi. Sorrise; il suo non era
affatto un sorriso stupido; era bellissimo, una delle poche cose al mondo in
grado di illuminargli la giornata e qualche volta anche i sogni.
« Hunk, mi aiuti a impagliare un nuovo spaventapasseri? »
Hunk la guardò
attonito. Uno spaventapasseri? Che diavolo le veniva in mente?
« Dorothy, cosa te
ne fai di un nuovo spaventapasseri? Quello che abbiamo va benissimo. »
« È solo
che... Non lo so, non mi piace. » La ragazzina fece una smorfia. Una smorfia
davvero molto graziosa. « Non spaventa abbastanza i corvi, e poi è
vecchio. Mi dà l’impressione di non saper più fare il suo
lavoro. »
Hunk non poté
evitarsi di ridere. « Be’, non è che debba fare poi
chissà cosa, standosene appeso lì tutto il tempo a dondolare al
vento! »
Dorothy s’imbronciò.
« Significa che non mi aiuterai? »
« Oh » e il
contadino smise immediatamente di ridere, mortificato, « no, no, Dorothy,
non volevo dire questo. Non è affatto vero. Però vedi... Il
carretto si è rotto, e se non lo aggiusto prima di sera tuo zio e tua
zia non saranno per niente contenti... Sai bene che ne hanno bisogno, ne
abbiamo bisogno tutti quanti. »
« Oh... » Dorothy
chinò il viso, grattò Totò dietro le orecchie e
sospirò tristemente. Giocherellò con una delle due trecce, come
faceva sempre quando era giù di morale. « Peccato. »
« Non fare
così... » Hunk rovistò
freneticamente dentro il proprio cervello, alla disperata ricerca di qualcosa
che potesse consolarla. Perché tenesse così tanto a un pupazzo di
paglia, poi, non riusciva proprio a capirlo. Ah, be’.
Non che capisse poi tante cose, alla
fin fine. Tirò fuori il fazzoletto da una tasca sul davanti della tuta,
e con qualche colpetto goffo le tolse un po’ di polvere dal viso. «
Dai, non è una disgrazia! Il tuo spaventapasseri possiamo farlo domani,
no? Dopo che avrò riparato il carretto, e appioppato a Zeke e Hickory tutto il lavoro che hanno evitato oggi,
vedrai che noi due potremo... »
Dorothy sorrise appena,
tra i lembi del suo fazzoletto gualcito. « Non capisci che volevo farlo oggi, Hunk? Non
sai che giorno è oggi? »
La mano ancora sollevata
a mezz’aria, Hunk fece di nuovo mente locale. Scartò
subito il giorno in cui si erano conosciuti, quello in cui le avevano regalato
Totò e quello in cui le era caduto il suo primo dentino – sì,
perché lui ricordava perfettamente ciascuna di queste date. Sapeva tutto di Dorothy, Hunk.
E oggi non era né il suo onomastico, né l’anniversario del
giorno in cui le aveva insegnato ad andare in bicicletta, né...
Ci arrivò dopo
svariati secondi, ma ci arrivò. Allora la guardò più
attonito di prima.
Dorothy arrossì,
e si strinse nelle spalle. « Lo so che non è carino chiederti
aiuto per fabbricare il tuo regalo di compleanno, ma non credo di poterci
riuscire da sola. »
Hunk rimase lì
incerto per un bel pezzo. Si chiese se davvero
facesse così caldo – il che, be’,
certo avrebbe significato che non esistevano più le mezze stagioni –
o se non fossero più semplicemente Dorothy, i suoi begli occhi scuri, il
suo odore di buono nell’ombra stretta del carretto.
A proposito del
carretto.
« Tua zia mi
ucciderà, poco ma sicuro. »
Eppure – si disse
mentre Dorothy quasi strillava di gioia e lo tirava fuori, le dita morbide avvolte
sulle sue – eppure era così piacevole essere di nuovo riuscito a farla sorridere.
Totò
abbaiò al tonfo della chiave inglese che cadeva nell’erba; poi
iniziò a seguirli, tentando di mordicchiare le lunghe scarpe del
fattore. Lui non ci dava peso. Qualche volta, probabilmente più di
qualcuna, il mondo si riduceva tutto nelle mani di Dorothy.
Doveva essere qualcosa
come la Seconda Legge di Hunk. Il fatto che, se solo Dorothy lo guardava, ogni
altra legge naturale veniva sistematicamente distrutta, e che neppure lo
sguardo altero della signora Emma aveva più alcun significato. Figuriamoci
un indispensabile, irreparabile, insopportabile carretto.
Ed
io, senza nemmeno pensarci su, le corsi dietro al volo.♥
Spazio
dell’autrice
Non guardatemi
così. Come se temeste per la mia salute mentale. Lo so già di mio
che sono irrecuperabile. ;D
Non so perché,
ma dovevo scriverla. Dovevo scrivere
una Hunk/Dorothy antecedente al film. Forse è
solo che volevo staccare un po’ la figura di Hunk
da quella dello Spaventapasseri, dimostrare che vuole bene a Dorothy di suo, non perché semplicemente
anche la sua controparte ad Oz lo fa. Poi è
naturale che i riferimenti allo Spaventapasseri ci sono sempre; ma questa invece
è una mia personalissima Legge inconfutabile. <3
Sappiate che questa shot annovera dei collegamenti, più o meno velati,
che vado ad esporre a chi è venuto a sbirciare per pura noia ma non
ricorda un’acca del film:
- arrugginito
come la voglia di Hickory di lavorare: Hickory nutre aspirazioni artistiche,
come dice alla zia Emma nella parte iniziale del film. Mi è sembrata
dunque una buona idea utilizzare questo duplice riferimento, poiché arrugginito richiama il Boscaiolo di
Latta, controparte di Hickory, e la poca
voglia di lavorare il suo animo di attore. (Con il massimo rispetto per gli
attori, che fanno uno dei mestieri più belli del mondo. Esprimevo solo il punto di vista di Hunk.)
- lui
aveva solo quindici anni quando lei era arrivata alla fattoria: nel film (appurato
dal copione, sono informatissima u_ù) Dorothy
ha tra i sedici e i diciassette anni; l’età di Hunk
non viene specificata, ma è abbastanza naturale pensare che abbia almeno
il doppio di quella di lei. Sarà per questo che il finale romantico
è stato tagliato. ;_;
- Tutti gli accenni
alla presunta semplicità/stupidità di Hunk,
nonché alla paglia, sono palesi riferimenti allo Spaventapasseri.
- Tutti gli accenni
all’infanzia e all’adolescenza di Dorothy e Hunk
alla fattoria sono puramente inventati.
- Il modo di
esprimersi di Hunk vuole ricalcare lo stesso del
film, dove nella versione originale – che vi consiglio, perché il
doppiaggio per quanto ben fatto toglie molto – Ray Bolger adotta un
accento e un linguaggio perfettamente consoni al ruolo di contadino del Kansas;
la narrazione vuole essere un po’ più ironica e ricercata per
manifestare, per contro, l’alta purezza dei sentimenti del mio adorato
protagonista, e la sua innata allegria.
- Il fazzoletto
è un volutissimo omaggio a The way
forward, the way back di EmmyScarlet.
- Il sottotitolo
è un vago (ma neanche poi tanto) riferimento a Sogno di
una notte di mezza estate di William Shakespeare.
- Il verso finale
è tratto da La ragazza col filo d’argento
di Roberto Vecchioni.
Concludo annunciando,
per gli eventuali curiosi, che l’idea per questa storia mi è
venuta dalla scena in cui Hunk, Hickory e Zeke riparano il carretto all’inizio del film, e Hunk si pesta un dito. Da brava fangirl
mi piace pensare che avesse appena visto Dorothy avvicinarsi, e che si fosse
conseguentemente distratto. Non posso farci niente. Per me Ray Bolger è amore <3
Se siete arrivati
fino a qui, perché non lasciare anche un commentino? <3
Aya ~