Lavinia scese dall’auto e si schernì gli occhi con una mano: il sole splendeva alto nel cielo azzurro e limpido, e la temperatura raggiungeva i 30°C. Osservò con attenzione la villetta che si trovava davanti: era posta su due piani, i muri bianchi riflettevano i raggi del sole, le persiane verdi erano chiuse. Il giardino era ben curato, anche se qualche erbaccia stava iniziando a crescere in mezzo ai tulipani di un’aiuola. Si avvicinò al cancello e vi appoggiò la mano: era aperto, così lo spinse leggermente ed entrò; il vialetto che conduceva alla porta di casa era lastricato, costeggiato da qualche vaso di fiori. Accanto alla porta, sulla sinistra, vide una bicicletta appoggiata al muro di casa:
-È di mio fratello
Daichi! Vedrai che ti troverai bene con lui… ha la tua stessa età!-
Tsubasa l’aveva raggiunta dopo aver parcheggiato la vettura davanti al proprio garage, e ora si apprestava ad aprire la porta di casa. Con passo incerto la ragazza lo seguì: l’interno era buio e odorava di chiuso, così Tsubasa si apprestò ad aprire le persiane del soggiorno, non prima di aver osservato con una certa nostalgia che niente era cambiato da quando se n’era andato.
-Questa sera andremo dai
miei nonni a Tokyo a prendere Daichi!-
-Non potevamo passarci
quando siamo venuti via dall’aeroporto?- osservò la ragazza, dicendo la prima
frase da quando si erano imbarcati all’aeroporto di Barcellona, mentre guardava
con attenzione il salotto dell’abitazione.
-Volevo prima portare le
valigie a casa: ceneremo là, poi ci fermeremo a dormire e domattina torneremo
qui!- le rispose dalla cucina, mentre metteva sul fuoco il bollitore dell’acqua
–Che c’è?- le chiese poi, tornando in salotto e notando con quanto stupore la
ragazza osservasse le foto e i trofei nella vetrinetta che la madre di Tsubasa
aveva conservato gelosamente in tutti quegli anni.
-Chi sono?- domandò
indicando una foto in una cornice d’argento. Il ragazzo si avvicinò e la
osservò, sorridendo:
-Sono i miei amici:
quello con il cappellino rosso è Wakabayashi…-
-Quello che gioca in
Germania?-
-Proprio lui! Poi c’è
Misaki, Ishizaki, Izawa, Morisaki… tutti amici d’infanzia! Giocavamo insieme
nella Nankatsu!-
-E quella chi è?-
Tsubasa aprì la
vetrinetta e prese in mano la foto, osservando tristemente il volto indicato da
Lavinia:
-Era la nostra manager:
si chiamava Nakazawa Sanae…-
-Perché “si chiamava”? È
morta?-
-No, non è morta…-
-Da quant’è che non li
vedi?-
-Alcuni di loro li ho
visti all’ultimo ritiro della Nazionale, con altri ho perso qualsiasi
contatto…-
-E con Sanae?-
Tsubasa alzò lo sguardo
e incontrò i curiosi occhi grigi di Lavinia, la quale lo fissava impaziente di
avere una risposta soddisfacente:
-Non c’era, era malata…
un’influenza, niente di grave…-
-Era la tua ragazza?-
-Lavinia! Non hai
parlato per tutto il viaggio ma ora ti stai rifacendo!- sbottò Tsubasa,
puntando il proprio sguardo su quello della ragazzina.
-Avanti, che c’è di male
ad essere innamorati? Di tutte le ragazze che mi hai presentato in questi 5
anni, con nessuna sei andato al di là di qualche uscita! Quand’è che ti sposi?-
-Quando troverò la donna
giusta!- rispose Tsubasa rimettendo la foto nella vetrina e andando in cucina.
Ma Lavinia non demordeva:
-Se sei ancora
innamorato di lei non vedo perché ti fai tanti problemi! La ami, la sposi!-
-Non è così facile come
sempre, cara la mia saccentona!-
La giovane alzò le
spalle e si sedette su una sedia: erano di quelle alte, modello bar, e dava su
un piccolo prolungamento del muro, alto circa 1 m e mezzo, su cui Tsubasa
appoggiò due tazze di the. Di nuovo il silenzio che aveva aleggiato nell’aria
per tutto il viaggio: Tsubasa osservò con attenzione Lavinia. Aveva i capelli
colore del grano, ricci e lunghi fino a metà della schiena, gli occhi grigio
chiaro, e nel complesso era proprio una bella ragazza: né troppo magra né
troppo grassa, alta circa 1m65. Per certi versi assomigliava proprio al padre,
se non altro per il carattere chiuso, ma determinato: se Lavinia si metteva in
testa qualcosa, non c’era verso di farle cambiare idea!
Si voltò per mettere il
bollitore nel lavello e osservò la propria immagine distorta: nonostante avesse
già compiuto 30 anni, il viso era disteso e rilassato, se non per qualche
occhiaia dovuta al viaggio tra Spagna e Giappone… l’unica cosa erano gli occhi:
non erano più quelli allegri e spensierati che avevano sempre caratterizzato
quel ragazzino che inneggiava “boru wa tomodachi”; ora erano spenti e
inespressivi. L’unica sua ragione di vita erano il calcio e Lavinia. E ora
anche suo fratello Daichi.
La BMW di Tsubasa
sfrecciava veloce sull’autostrada in direzione Tokyo: sul sedile accanto a lui
Lavinia si era addormentata, stremata dal viaggio e dal fuso orario. Ancora
mezz’ora e saremo arrivati! pensò
il ragazzo, appoggiando il gomito destro sulla portiera e sostenendo il viso con
la mano*. In quel momento Lavinia si mosse, e
aprì gli occhi.
-Quanto manca?- domandò
con voce impastata dal sonno.
-Siamo quasi arrivati.
Hai fame?-
-Non molta…- rimase in
silenzio osservando le luci della città che si avvicinavano.
Dopo circa un quarto
d’ora che erano usciti dall’autostrada, raggiunsero la casa dei nonni materni
di Tsubasa: abitavano in una villetta a schiera in un quartiere periferico
della capitale nipponica, su due piani. La nonna di Tsubasa aprì la porta e
abbracciò il nipote:
-Tesoro…-
Lavinia la osservò:
aveva i capelli bianchi raccolti in un crocchio, gli occhi neri passavano da
lei a Tsubasa con guizzi sorridenti, e indossava un kimono rosso e giallo.
-Entrate, entrate! Vieni
pure!- e si spostò per far passare la ragazzina. In salotto, Daichi era seduto
accanto al nonno, e stavano guardando la tv.
-Tsuby!!-
Daichi era esattamente
uguale a suo fratello: era le versione quindicenne del campione nipponico, e
questo Lavinia lo notò con stupore.
-Daichi!- lo abbracciò
forte al petto, poi si voltò verso l’uomo –Ciao nonno!-
-Tsubasa, mi spiace che
tu abbia dovuto fare questo viaggio…-
Il giovane scosse la
testa:
-Non potevo abbandonare
la mia famiglia in un momento come questo… a proposito, questa è Lavinia! Vi ho
già parlato di lei…-
-Molto lieta di
conoscerti…- si inchinò leggermente, abbassando anche lo sguardo. Non avrebbe
mai voluto conoscere la famiglia di Tsubasa in una situazione così triste.
Daichi la squadrò con i suoi profondi occhi neri, poi si passò una mano tra i
corti capelli corvini e si avvicinò:
-Io sono Oozora Daichi,
ma penso che tu mi “conosca” già…-
-Tsubasa mi ha parlato
di te…-
Il ragazzino sorrise
divertito dall’accento spagnolo con cui parlava la ragazza.
-Venite a tavola, è ora
di cena!-
-Buonanotte!-
-Buonanotte!-
Tsubasa fece per uscire
dalla camera, poi ci ripensò e si avvicinò al letto nel quale Lavinia si era
già sdraiata:
-Stai bene?- le chiese,
sedendosi sulla sponda.
-Dovrei essere io a fare
questa domanda…-
Il ragazzo sorrise
tristemente e le accarezzò la testa:
-È successo tutto così
in fretta… ancora non me ne rendo conto…-
-Tsubasa…- Lavinia si
mise a sedere e gli prese la mano –Sai che… su di me puoi contare…-
Con gli occhi lucidi per
la commozione e per gli eventi che erano successi, abbracciò forte la ragazza:
-Ti ringrazio, Vinny…-
* In Giappone
si guida a sinistra, quindi il posto dell’autista è sulla destra delle auto.