Parte I
Prologo
Le vie sono
sempre vuote a quell’ora e Jg è ben contento di
percorrerle col suo passo sicuro. In fondo lui non ama la gente: spesso
lo
squadrano con aria di superiorità o addirittura di paura,
come se dovesse
aggredire chiunque gli passi a fianco.
Per questo ama
le ore del primo pomeriggio, quando il sole
batte prepotentemente sul suo cappellino e gli uccellini cantano nel
silenzio
delle strade di città.
Proprio in quel
momento un uomo sulla quarantina spunta
dall’angolo e cammina veloce dall’altro lato della
via. E’ vestito elegante,
con la giacca marrone slacciata che svolazza mentre cammina, la camicia
a righe
sottili e le scarpe nere e lucide. Guarda davanti a sé e,
preso dalla sua vita
frenetica, non nota quel ragazzo dallo sguardo freddo vestito con abiti
larghi.
Jg sorride fra
sé mentre gira l’angolo, immettendosi in una
via stretta e sporca. Sulla parete destra vi è un immenso
disegno: due occhi
che guardano lontano. Le ciglia sono ben definite e le iridi piene di
sfumature
verdi: è un lavoro davvero ben fatto.
Si ricorda bene
poche settimane prima quando coi suoi amici
l’aveva disegnato. Erano poco più delle quattro
del pomeriggio e il suo
migliore amico aveva portato le nuove bombolette spray, appena prese
dal
colorificio. Gli era bastato guardarlo negli occhi mentre gliele
porgeva per sapere
cosa disegnare; quegli occhi verdi e così sinceri, pieni di
entusiasmo,
l’avevano subito ispirato e così aveva cominciato
a colorare il muro,
ricoprendo le macchie di sporco e dando a quel vicolo spento
un’atmosfera
decisamente più viva.
Alcuni chiamano
“vandali” chi fa ciò, chi
“imbratta i muri”,
ma in realtà come sarebbe la città senza quei
disegni? Sarebbe spenta, come un
triste film in bianco e nero. Dovrebbero
solo ringraziarci, pensa Jg continuando a camminare con le
mani nelle
tasche dei jeans.
Guarda davanti a
sé e scorge la fine di quel vicolo stretto:
sbuca in una via più larga dove qualche auto è
parcheggiata lungo i bordi del
marciapiede. Al di là di esso vi è invece una
villetta ricoperta d’edera che Jg
ricorda molto bene.
Dopo aver
attraversato la strada e scavalcato la staccionata
malmessa si ritrova nel giardino della villetta abbandonata. Il tetto
è
crollato, i vetri delle finestre sono rotti, probabilmente sfondati dai
veri vandali e l’erba del
giardino ormai
arriva fino al ginocchio.
Jg non si fa
spaventare dal quel luogo impervio: cautamente
raggiunge il retro, dove dietro a una carriola arrugginita, si innalza
un muro
di mattoni completamente ricoperto d’edera.
Il giovane
rimane impalato qualche secondo, perplesso: non
c’è più ciò che si aspettava
di trovarvi. Eppure subito capisce che non bisogna
soffermarsi alle apparenze: ciò che cerca deve essere
lì, da qualche parte,
sommerso dal tempo.
Senza attendere
oltre avanza fra la sterpaglia fino ad avere
davanti quell’immenso muro. Strappa con forza i rametti
d’edera avvinghiati ai
mattoni e finalmente lo scorge: il suo primo graffito. E’
piccolo, tracciato
con mano insicura e ora ormai sbiadito, ma è lì,
a ricordargli il suo passato.
Qualche immagine
si fa strada nella sua mente, scalzando
qualsiasi altro pensiero. Vede sé stesso più
piccolo, più insicuro e una luce
diversa brillava nei suoi occhi…
Come per magia
gli pare di tornare a due anni prima, quando
tutto aveva avuto inizio…