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Autore: Kicchina    23/04/2011    2 recensioni
[Ad Edward, perché lei è speciale♥]
[Lavi; altri][AU; OneShot; NonSense]
"Psicologicamente parlando, un numero troppo elevato di porte in un luogo sconosciuto rende la mente stressata ad una velocità incredibile, quindi per lui era così, quattro porte in sei metri quadri erano troppe."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio , Rabi/Lavi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nome: Wayside
Personaggi: Lavi; altri
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot; AU; NonSense
Word Count: 1190
Note: Come al solito, il titolo non significa nulla. Ma non è questa la cosa importante, ora.
Allora, mi sento un po' idiota a farlo davvero, però ci sta troppo perché lei è tipo la mia divinità in questo fandom – ma anche in generale, in effetti... - ed io la adoro così tanto che per me sarebbe inconcepibile non farlo anche se la possibilità che sia vero fosse una su dieci miliardi.
Due giorni fa mi è arrivata su lj questa mail, che diceva che oggi sarebbe stato il compleanno di Edward. Mo' non lo so se sia vero, potrebbe anche aver messo una data a random, ma, ripeto, anche se la possibilità è una su millemila mi sembrava giusto farlo.

Quindi, questa è per Edward.

Non è una fic così bella, anzi non lo è per nulla, e l'idea iniziale era di scriverla nel fandom di Durarara!!. In più non so nemmeno se la leggerà, ma vabbè. Prima o poi, forse. Anche perché qualcosa prima o poi gliel'avrei dedicato comunque, perché se lo merita.
Auguri~♥


Wayside




Lì in quella stanza c'erano troppe porte.
Psicologicamente parlando, un numero troppo elevato di porte in un luogo sconosciuto rende la mente stressata ad una velocità incredibile, quindi per lui era così, quattro porte in sei metri quadri erano troppe.
Attorno a quelle porte, per dieci, quindici centimetri, le pareti erano candide e completamente vuote, immacolate quasi. Anche l'aria in quegli spazi sembrava rarefarsi.
Voleva alzarsi ed aprirle.
Il resto della stanza era occupato da due librerie stracolme di libri, una scrivania, un divano – su cui era seduto proprio in quel momento – una poltrona. Una pianta grassa troppo grande con un minuscolo fiore giallo che spuntava tra le spine acute. Una sola finestra dai vetri lucenti e le cornici impolverate.
Odiava quel posto.
Il ragazzo, che, seduto, stava esattamente al suo fianco, teneva la testa reclinata sulla spalliera del divano e le braccia dietro la nuca, le gambe accavallate.
“Perché siamo qui?” chiedeva ad intervalli regolari di sette minuti. Quell'azione contribuiva a stressarlo ulteriormente.
Tendeva a non rispondere, perché parlare con lui lo faceva sentire più pazzo di quanto realmente non fosse, e comunque non ne avrebbe ricavato nulla di buono.
“Perché siamo qui?”
Sulla poltrona, di fronte a lui, stava un uomo tra i venti e i trenta, gli occhi semichiusi e tra le mani una penna a sfera dall'inchiostro nero – la rigirava tra gli indici ed i pollici, in senso orario e poi antiorario, e, preciso, lo osservava. Teneva la schiena ricurva in avanti, gli occhi dorati attenti ed il sorriso sottile.
- Sei di nuovo qui.
- Non mi piace questo posto.
- Non piace a nessuno.
Silenzio.
Da qualche parte, tra i libri e la polvere, doveva star nascosto un orologio. Ticchettava preciso scandendo il tempo in brevi secondi, forse correva, forse no. Anche quello era fastidioso.
Si morse il labbro inferiore, piano, poi alzò lo sguardo fino ad incrociare il suo.
Il sorriso dell'uomo luccicò appena.
- Non mi piace questo posto. - ribadì, e l'iride verde nel suo occhio tremò appena, al pronunciare quelle parole.
- A me invece non piace lui, perché siamo qui?
Lo ignorò, di nuovo.
L'uomo sulla poltrone stirò la schiena allungando le braccia, portò una mano davanti alla bocca, sbadigliò. Gli ricordava incredibilmente un gatto.
- Fammi sentire un po', guercio – disse, alzandosi ed avvicinandosi alla finestra – Perché sei qui, ancora, se il posto non ti piace?
Lavi tentennò. Il ragazzo al suo fianco sbuffò sonoramente.
- Esattamente! Perché siamo qui?!
- Non è come se mi piacesse chiudermi in questo buco. - asserì rivolto al più grande, ignorando nuovamente le lamentele dell'altro - Non mi piace. Per niente. Neanche tu mi piaci.
L'uomo sorrise, ancora, e mosse qualche passo lungo la parete sinistra. Prese un libro dal una libreria, lo aprì, lo chiuse, lo ripose. Le sue azioni non sembravano avere alcun senso apparente, la penna era ancora tra le sue mani.
Lo stress nella sua mente continuava a crescere, spostava lo sguardo da una porta all'altra e non riusciva a smetterla di chiedersi cosa vi fosse dietro. C'erano troppe porte.
- E allora perché sei qui?
- Già, perché siamo qui?
- Una ragione l'avrai, immagino...
- Perché siamo qui?
- Ti sei anche portato ospiti, a quanto pare.
- Perché siamo qui?
- Piantala! - gridò, voltandosi verso il ragazzo seduto al suo fianco e puntandolo con l'unico suo occhio. L'altro parve sorpreso per un istante, poi riportò il sorriso sul proprio viso e lo sguardo al soffitto giallastro.
- Finalmente hai smesso di ignorarmi.
- Lo sai perché siamo qui! È colpa tua se siamo qui! Di nuovo qui! Sempre qui! Ed è solo colpa tua!
- Vuoi una sigaretta? - chiese l'uomo, che era nel frattempo tornato a sedersi. Lavi si voltò verso di lui, scosse la testa lentamente e congiunse le mani, poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia.
- Non fumo, non mi piace. Preferirei evitassi anche tu, l'odore mi fa schifo.
Accese comunque la sigaretta, Tyki. L'orologio continuava a battere i secondi con precisione asfissiante.
Fuori dalla finestra dai vetri lucidi stava un acero dai rami spogli. Si perse qualche istante a contemplarlo, lui ed il cielo grigio alle sue spalle. Fuori faceva freddo.
- E' con te anche oggi, vedo. È per lui che sei qui?
Annuì piano, tentando di ignorare il ragazzo al proprio fianco. Lui teneva lo sguardo fisso sul soffitto, muoveva un piede a ritmo con una leggera musica cantata a labbra chiuse. Sembrava rilassato.
Lavi sciolse le dita sino a quel momento tenute intrecciate, portò i palmi dinanzi al volto. Mosse le dita lentamente, aprendo e chiudendo i pugni.
- Aveva i capelli lunghi. Erano belli, sai? Davvero belli. Mi piaceva parlare con lui, anche se era un po' freddo. Però, da quando la frangia gli era cresciuta fitta a nascondere le sopracciglia, si vedeva meno la fronte aggrottata. Era bello, mi piaceva guardarlo. Stavamo bene, noi tre assieme...
- Voi due ed il tuo ospite?
Si voltò a fissare un angolo della stanza, Lavi. Annuì ancora.
- A me piaceva stare così, noi tre, andava bene... ma lui...
- Voleva cambiarci. - intervenne il ragazzo al suo fianco, portando entrambi i piedi a terra e puntando lo sguardo su Tyki.
- Non era lui!
- Entrambi volevano cambiarci. Lo stavano facendo.
- Ero io a voler cambiare! Stavamo bene, noi tre!
- Noi non siamo così.
Tyki portò la sigaretta alle labbra, aspirò, il suo respiro si sciolse in nuvole grige e tossiche. Fece roteare la penna.
- Guercio. - disse. Lavi riportò l'attenzione a lui.
- Mi piaceva stare con lui. Con loro, entrambi.
- Ora dov'è?
Le spalle del rosso sussultarono.
- Deak lo ha nascosto.
- Lo troveranno?
- Ti ha detto che l'ho nascosto. L'ho fatto io, quindi non c'è da preoccuparsi.
La punta della sigaretta bruciava di un rosso incandescente. La osservava, Lavi, cercando di ignorare l'odore terribile che stava invadendo quei sei metri cubici di aria viziata; la testa gli stava iniziando a fare male. Deak, al suo fianco, teneva lo sguardo fisso nello stesso angolo osservato precedentemente dall'altro.
- E lui? - chiese Tyki, seguendo con gli occhi lo stesso percorso di quelli del ragazzo.
- Me ne occuperò io. Non gli accadrà nulla.
Silenzio. Il più grande spostò lo sguardo dall'angolo al rosso, poi viceversa, ancora ed ancora.
- Anche lui voleva cambiarci. - mormorò Deak piano. Lavi sussultò.
- Non pensarci nemmeno.
- È pericoloso.
- Scordatelo.
- Guercio.
Lavi sospirò. Reclinò la testa, inspirò forte. Il mal di testa stava aumentando ancora ed ancora.
- Spegni la sigaretta.
- L'ho già fatto.
L'odore gli perforava le narici e gli annebbiava il cervello. Deak, le gambe ancora accavallate, teneva fisso lo sguardo su quell'angolo della stanza.
Le porte erano ancora tutte chiuse, per un secondo si chiese se non potesse semplicemente alzarsi ed aprirle senza troppi problemi.
Poi Allen aprì gli occhi, chiamò il suo nome – Lavi – ed il nome di lui – Kanda.
Deak sorrise, la sua mente si spense.
Tyki, con ogni probabilità, accese un'altra sigaretta.
















  
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