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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    24/04/2011    2 recensioni
"Era sempre rimasto con lui, cullandolo nel sonno e nel sogno del passato: un passato popolato da biondissime capigliature ricamate con cristalli di ghiaccio, risate e scherzi, baci rubati e fischi di approvazione, e quei capelli rossi che ondeggiavano al vento."
Post-Hades.
Un gradito ritorno per la più famosa famiglia del mondo dei Saint, la Siberian Family!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Siberian Tales'
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IL KRAKEN E IL BAMBINO

 

Era passato tanto tempo da quando aveva lasciato l’oscurità dei profondi abissi marini, dove il suo spirito si era riunito a quello dei compagni; ed era passato tanto tempo da quando una mano familiare l’aveva strappato dal calore materno del mare per ributtarlo senza pietà alcuna nella dura realtà.

Se realtà si poteva definire, non era neppure certo se fosse ancora vivo o se tutto quello che stava accadendo era una punizione che gli Dei stavano infliggendo al suo spirito già provato.

Da quanto stesse nuotando non sapeva dirlo.

Sentiva freddo, e già era strano per un’anima provare sensazioni fisiche,  e desiderava ardentemente tornare presso la madre calda che lo aveva accolto dopo la morte, abbracciandolo; e si era sentito come un cucciolo appena nato, stretto ai fratellini, e l’odore del mare non se n’era mai andato.

Era sempre rimasto con lui, cullandolo nel sonno e nel sogno del passato: un passato popolato da biondissime capigliature ricamate con cristalli di ghiaccio, risate e scherzi, baci rubati e fischi di approvazione, e quei capelli rossi che ondeggiavano al vento.

Quei capelli che per lui erano un sinonimo di “padre”, di “famiglia”.

La sua unica e insostituibile, mai dimenticata, casa.

Isaac smise di nuotare, malgrado il freddo intenso non sentiva nulla, tutto era ovattato attorno a lui; poggiato con la schiena a uno scoglio provvidenziale, nascose il viso tra le mani, cercando di aggrapparsi a quegli stralci di ricordi con tutta la forza d’animo di cui era capace.

Perché, si chiedeva, era finita in quel modo?

Il Destino l’aveva brutalmente strappato a quella vita e, nel profondo del cuore, sapeva che non era mai stato scritto nelle stelle che sarebbe stato lui il Saint di Cygnus: ma allora cosa l’aveva spinto a quello scontro tra lui e Hyoga, il suo fratellino?

“Avreste potuto abbassare le armi,” gli sussurrò all’orecchio una vocina dispettosa e divertita: “Avreste potuto stringervi l’uno tra le braccia dell’altro con l’amore che due fratelli dovrebbero riservarsi. E invece, l’impeto della guerra vi ha portato via.”.

Quella voce era sempre più vicina.

“Chi sei?!” gridò il ragazzo, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono, non poteva parlare!

Innervosito, cercando di non farsi prendere dal panico, si guardò attorno, ma vide solamente la roccia su cui era poggiato e il buio che lo stringeva da ogni lato, e sentì quella strana presenza attorno a sé ridere allegra: “Dove sei?!” chiese Kraken, espandendo piano il proprio Cosmo, era piacevole sentire nuovamente quel calore scorrergli dentro, “Chi sei?” aggiunse, “Perché ti diverti a giocare con me?!” singhiozzò il ragazzo, scosso da tremiti.

Con il ritorno del suo Cosmo, si era sentito più umano e indifeso che mai.

Una mano gentile gli sfiorò il volto, tiepida al confronto con l’acqua gelida che lo ammantava: “Ma io non voglio giocare con te…” gli sussurrò all’orecchio quella vocina, sembrava quasi triste in quel momento, “Voglio solo starti vicino, ancora, come un tempo.”.

“io sono qui, e lo sarò sempre.”.

Una fiammella calda e luminosa splendette dinanzi a lui, dissipando il buio freddo delle profondità oceaniche e scacciando via tutto il dolore, la sofferenza e la paura che attanagliavano il giovanissimo guerriero degli abissi; e tra le sue braccia, comparve un bambino, pacificamente addormentato e sorridente, stretto a lui come alla sua mamma.

Kraken sentì all’improvviso il suo corpo farsi pesante come piombo, il freddo si fece più pungente che mai e se fino a quel momento non si era preoccupato di dover respirare, adesso ogni minimo soffio gli causava dolori indicibili al petto e al cuore, mentre attorno a loro si materializzavano i ghiacci perenni della Siberia.

In lontananza, si poteva distinguere una casa illuminata.

La sua casa.

Senza pensarci un attimo, il ragazzo e il bambino camminarono nella neve fresca e nel silenzio della notte, calma come quasi mai l’aveva vista nella sua vita in quelle lande desolate, appena ingentilite dalla presenza di quella casba nella distesa ghiacciata.

E vide dalla finestra il suo adorato maestro come in un sogno.

Riconobbe la stanza, il caminetto, le sedie e i mobili…

Si rivide bambino dormire con Hyoga-kun sul divano, sorvegliati amorevolmente da un Milo attentissimo a loro: “Erano proprio stanchi, vero?” ridacchiò il greco, la sua voce era così chiara che, anche se li separava una finestra e tanti anni, perché non poteva che essere un ricordo, gli sembrava stesse parlando accanto a lui.

Poco lontano, Camus era inginocchiato di fronte al camino, intento ad alimentare il fuoco, la sua vista strappò un gemito di dolore al ragazzo, quanto gli mancava… “Hanno giocato tutto il giorno con te, è ovvio che ora siano esausti.” replicò l’Acquario, asciugandosi i palmi sudati sui pantaloni di fustagno; sotto i suoi occhi commossi e lucidi, il greco cinse le spalle del rosso con un braccio: “Volevo rivedervi, volevo assicurarmi che foste ancora qui ad aspettarmi.” ribatté il biondo, facendo poggiare il viso del compagno sul proprio petto.

Il francese sospirò e Isaac poteva sentirlo quasi sussurrare a fior di labbra: “Ne dubitavi, forse?” con quel tono contrariato che lo contraddistingueva.

La risata di Milo riecheggiò in ogni dove e nella sua testa: “Forse si o forse no.” disse vago, senza però rompere il contatto tra loro, “Ma qui mi sento veramente a casa.”.

“Questa sarà sempre casa tua.” lo corresse Camus, aggrappandosi alle sue spalle: “E anche per loro vale lo stesso.” affermò con tono dolce, scoccando un’occhiata intenerita ai bambini addormentati.

Isaac aveva le lacrime agli occhi mentre osservava il suo maestro rimboccare a lui e Hyoga la coperta che li proteggeva dal freddo della notte prima di sparire in cucina: si sentiva morire di tenerezza, non ricordava quell’episodio…

Ma non se lo sarebbe mai scordato, da quel momento in avanti.

“Hai visto perché sei stato portato via dal buio?”

Il bambino tra le sue braccia si era svegliato e lo fissava coi suoi grandi occhioni verdi…

Verdi?

Non se n’era accorto prima ma quel piccino gli era estremamente familiare, coi suoi ciuffi color ocra, le manine piccine e la pelle pallida…

Era come guardarsi in uno specchio.

“Io sono te…”

Tre parole che spezzarono irrimediabilmente qualcosa dentro il guerriero, che misero a nudo qualcosa che aveva cercato in tutti i modi di nascondere, una mancanza che forse era stata la responsabile del suo cambiamento e della sua rivolta verso il legame più sacro che c’è: quello con la famiglia.

“Io sono te,” ripetè il piccolo, afferrandogli le mani, erano calde, “Quel “te” che il Kraken s’è portato via. Ti ho cercato tanto…” sussurrò il bimbo, guardandolo negli occhi mentre le lacrime scorrevano senza posa; si strinse a lui, quasi a voler tornare e riprendere il suo posto.

Isaac sentì un calore fortissimo all’altezza del petto, non riusciva a respirare e si sentiva nuovamente immerso nell’acqua gelida che gli inondava i polmoni; dibattendosi come un forsennato da quella presa che lo trascinava sempre più sott’acqua, verso le profondità oceaniche, cercava di liberarsi, facendo appello a tutte le sue forze, anche a quelle più nascoste.

Non poteva perderli di nuovo, non dopo averli ritrovati!

Non poteva permetterselo!

Se ne sarebbe pentito in eterno.

Voleva tornare a casa.

D’istinto, richiamò alla mente gli insegnamenti di Camus ed espanse al massimo il proprio Cosmo, affidandosi all’istinto e al suo desiderio di rivedere quella che per lui era la sua insostituibile famiglia, non poteva mollare senza combattere! O avrebbe avuto per sempre rimpianti.

L’acqua si fece calda, incredibilmente calda bruciandogli le membra come fiamme ma non si arrese.

Era la sfida più difficile, ma l’avrebbe vinta, a ogni costo.

E sarebbe tornato da loro.

“Aspettatemi…” sussurrò dolcemente il ragazzo, prima di sparire, inghiottito dalla luce.

 

§§§

“C-Casa…”

La prima parola che Isaac pronunciò al risveglio era la più bella che albergava nel suo cuore in quel momento, assieme alle immagini che per lui ne avevano il significato.

La parola che più di tutte lo faceva sentire bene.

Un risveglio, il suo, ovattato di rumori: spadellio, passi concitati, borbottii vari e lo scoppiettio del fuoco nel caminetto… Sollevò leggermente le palpebre, riconoscendo il soffitto di legno, con suo enorme stupore: non era un sogno, vero? Non poteva esserlo, la sensazione di calore era troppo vera e palpabile!

Con cautela, si portò una mano al viso, impaurito per quello che poteva trovare; e non appena le sue dita sfiorarono la pelle raggrinzita attorno all’occhio, in un attimo tutte le paure si erano dissolte come neve al sole: c’era la cicatrice!

Era proprio lui, era vivo!

Ma quanto aveva dormito?

Ricordava chiaramente lo scontro, allora aveva vinto!

Ma cosa era successo dopo?

Non lo ricordava.

“Sen-Sensei…” balbettò il ragazzo con voce strozzata, come poteva parlare in quel modo, e come poteva sperare che qualcuno lo sentisse? Ma il suo richiamo doveva essere stato udito, perché il suono dei passi si fece più frenetico, qualcosa cadde a terra, rompendo con gran fragore e nel cono di luce della porta comparve Milo.

Il greco lo fissò per qualche istante, era commozione quella che leggeva nei suoi occhi chiari? Prima di gettarsi su di lui, abbracciandolo con amore: gli accarezzò il viso graffiato e stanco, senza lasciare un momento la presa sulla sua mano: “guarda come ti sei conciato…” lo rimproverò bonariamente il greco, passandogli una pezza umida su collo e fronte, “Aspetta che ti vedano sveglio, saranno felici.” dichiarò il biondo con autentica gioia nella voce, “Erano davvero preoccupati per te, dovevi vederli, sembravano due anime in pena, ho dovuto spedirli fuori letteralmente a calci. Camus-mama non la smetteva di camminare in tondo e Hyoga sembrava un baccalà.”.

Quel soprannome che il greco aveva affibbiato al suo Maestro fece sentire una volta di più Kraken a casa.

“Sai che, se ti sente, non sopravvivrai a lungo, vero?” notò neutro il più giovane, senza però alzare lo sguardo per incrociare quello del Saint di Scorpio, non voleva farsi vedere piangere e sentiva il cuore scoppiare nel petto per la gioia.

Chiunque gli aveva fatto quell’immenso regalo, aveva tutta la sua gratitudine.

Scostò il viso, facendo per nasconderlo nel cuscino su cui la sua testa poggiava ma un abbraccio improvviso di Milo lo bloccò: “Piangi, non nasconderti. Anche noi abbiamo pianto, tanto, quando ti abbiamo trovato, e avremmo pianto ancora se ne avessimo avuto la forza; ci sei mancato, tantissimo.” gli mormorò dolcemente, accarezzandogli la schiena e i capelli incrostati di salsedine.

Isaac alla fine esplose, non ce la fece più a trattenersi.

Lì, sulla spalla di quello che era stato forse un secondo padre dopo il suo Maestro, si sfogò, confessò tutti i suoi più profondi dolori e rimpianti, chiese scusa tra le lacrime, implorò il perdono, un perdono che non era necessario che supplicasse, tra loro non poteva non esserci, il tempo scandito dai singhiozzi irregolari del ragazzino.

Quando udirono la porta di casa sbattere.

Alzarono la testa insieme, giusto in tempo per vedere, stagliati sulla porta, le sagome familiari di Camus e di Hyoga.

I tre si guardarono negli occhi per qualche istante, e fu come se il tempo stesso si fosse congelato in quell’eterno momento.

Poi, come lo stridere delle unghie sulla lavagna, il movimento tremante di Cygnus ruppe fastidiosamente l’armonia ghiacciata che si era creata; come al rallentatore, il biondo si gettò su quello che era stato più di un compagno di allenamenti, un fratello in tutto e per tutto, abbracciandolo così forte da spezzare qualche osso a una persona normale.

Ma al cuor non si comanda, e Hyoga lo aveva imparato a sue spese: non si sarebbe più tirato indietro dinanzi alla potenza dei sentimenti. E con Isaac tra le braccia, sembrava come se tutte le barriere che li avevano divisi si stessero sgretolando come un castello di sabbia in riva al mare.

E con un ultima ondata in forma di unica lacrima pianta dal giapponese, ogni muro crollò definitivamente.

Poco più indietro, Camus non si era mosso e anzi, restò scostato nella semi-oscurità della notte che rapidamente avanzava: coi ciuffi color del fuoco a coprirgli parte del viso, Aquarius si concesse a sua volta di piangere un’unica, singola stilla salata, che asciugò rapidamente con la manica della camicia.

“Camus-mama, perché piangi?”

Il tono divertito di Milo gli solleticò l’udito ma non causò alcuna reazione, a prima vista, eppure Scorpio conosceva troppo bene il francese per farsi fregare dalla sua apparente indifferenza: non gli era sfuggita la scia lucida che aveva percorso tutta la guancia del compagno.

“Potrei farti la stessa domanda, Milo-papa.” replicò l’Undicesimo, fissandolo dritto negli occhi azzurri, a differenza sua, il greco non si curava di nascondere i suoi sentimenti, e le sue lacrime: “Sono felice di riavere i bambini a casa, tutto qui.” disse tranquillo il biondo, guardando commosso i due giovanissimi che ancora non avevano sciolto il loro abbraccio.

“Anche io, Milo. Credimi.”.

“E allora vallo ad abbracciare! Che aspetti a fare? Che si sciolgano i ghiacciai?” ridacchiò Scorpio, spingendolo in avanti con urgenza; Hyoga alzò in quel momento lo sguardo, senza per questo lasciare il contatto con Isaac, che continuava a cingergli le spalle col braccio. Ed entrambi, fissavano Camus, in attesa di una qualsiasi mossa da parte del loro Maestro.

Che non tardò ad agire.

Il francese annullò la distanza tra loro, abbracciandoli entrambi e sprofondando il viso per non farsi vedere; i due ragazzi si guardarono, avevano capito anche senza parlarsi, e ricambiarono con più vigore la stretta, e fu come abbracciare qualcosa di caldo e incredibilmente morbido: la sensazione di gioia che eruttò dai loro cuori era stupenda.

 

§§§

Malgrado la sua insistenza, Isaac fu costretto a restare seduto e, mentre Camus e Milo si erano eclissati in cucina, Hyoga gli stava accanto ed entrambi erano immersi in un silenzio pieno di attese.

Non sapevano cosa dirsi.

Troppa amarezza nel ricordo del loro ultimo incontro nel Reame Sottomarino.

Restarono muti per parecchi minuti, quando, all’improvviso, fu Hyoga, a sorpresa, a fare la prima mossa: con lo sguardo perso a osservare le fiamme, il biondo poggiò la propria mano su quella di Kraken, stringendola piano.

“Mi dispiace.”

Due sole parole ma che ebbero sull’altro l’effetto di una bomba.

“Mi dispiace, è stata tutta colpa mia…”

L’ex Marinas sgranò l’unico occhio: stava singhiozzando davvero? Si sentiva la bocca secca e il respiro mozzò, non aveva mai visto Hyoga piangere, e lo metteva a disagio, profondamente a disagio.

“Tu non hai fatto nulla…” provò a replicare l’ex Generale ma Cygnus scosse la testa, aumentando la forza della stretta: “Si, invece. Da allora, non ho fatto altro che pensarci. Se io non mi fossi immerso, quel giorno, tu ti saresti risparmiato tante sofferenze…” singhiozzò, sfiorandogli con la mano libera la cicatrice all’occhio.

Ma Isaac non era d’accordo; gentilmente, prese tra le proprie le dita che gli accarezzavano la guancia: “Il Destino è l’unico vero colpevole. Non era scritto nelle stelle che io diventassi Saint di Cygnus ma all’epoca ero troppo immaturo per capirlo. Io e te siamo sempre stati fratelli, ci siamo sempre voluti bene e rimpiangerò sempre di averti fatto questo.” e così dicendo, in un movimento speculare al suo, allungò la mano a delineare malinconicamente il contorno della cicatrice che sfigurava il viso del ragazzo coetaneo.

Poi, poggiò la propria testa sulla spalla del biondo e chiuse gli occhi: “Sai, mi sono sentito tanto solo laggiù, in fondo al mare, mi mancavate ma non potevo tornare indietro. E quando mi sei comparso davanti, l’unica cosa che volevo era abbracciarti. Ma la rabbia ha preso il sopravvento…” e con un ultimo sospiro, si lasciò andare al sonno.

Quando Milo e Camus riemersero dalla cucina con la cena pronta, li trovarono così, con Isaac che dormiva, rannicchiato in grembo a Hyoga: “Biondino, hai intenzione per caso di tradire Shun?” domandò divertito il greco.

Cygnus scosse la testa, giocherellando con i ciuffi che ricadevano sul viso del ragazzo che aveva dinanzi: “Io amo Shun con tutto me stesso, ma lui è mio fratello. E gli vorrò sempre bene, proprio come agli altri.”.

   
 
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