Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Phefe    24/04/2011    1 recensioni
PER FAVORE COMMENTATE.
Dedicato a una persona che mi è sempre vicina.
Una ragazza perde la madre ed entra in depressione. Si riprenderà solo grazie ad un ragazzo di cui si innamorerà. Rimane incinta. Tutto sembra andar per il meglio ma... il ragazzo la delude e lei entra in un brutto giro: la droga
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pioveva. Era una notte come le altre e mi trovavo accanto a lei. Erano ormai mesi che passavo tutte le notti all’ospedale pregando per un miglioramento che non arrivava mai, mi ero quasi abituata ad ascoltare i medici che mi dicevano che ormai era questione di giorni che l’avrei persa da un momento all’altro che il tumore le aveva danneggiato tutto il cuore era impossibile che si riprendesse. Era già tardi e stringevo la sua mano inerme. Non c’era nessun suono nell’aria solo quello dell’elettrocardiografo che ripeteva i battiti del suo cuore sempre uguali quasi a designare il ritmo di una melodia incessante; ma ormai non facevo neanche più caso a quel suono perché era diventato parte integrante di quell’ambiente quasi familiare per me. Ad un tratto quell’equilibrio si ruppe. Sentii il suono passare da ritmato a continuo. Una fila di medici si precipitò in quella stanza, iniziarono con il defibrillatore, dopo un po’ sentii pronunciare quelle maledette parole: «Ora del decesso 22.04» … In quell’istante mi crollò il mondo addosso, si, era morta… era morta lei, la persona più importante della mia vita… mia madre. Passarono mesi e mesi ma non riuscii a uscire da quella casa, era diventata una specie di prigione. Le giornate volavano ma non avevo amici, non avevo relazioni con altre persone non andavo a scuola mi ero ritirata dal liceo, proprio quel liceo a cui mia madre mi aveva iscritto con tanto entusiasmo ma che io lasciai, perché non riuscivo a sopportare più quei compagni di classe con le loro risatine stupide sulla mia vita che sembravano pugnali che senza compassione mi trafiggevano e facevano male. Si anche a me, Holly Menior quelle pugnalate facevano male. Nessuno conosceva la vera me, nessuno conosceva come Holly era veramente. Indossavo continuamente una maschera, ero un riccio… apparentemente impenetrabile dall’esterno e duro ma quando riesce ad aprirsi piccolo e gracile. Dopo quello che era successo nulla per me aveva più un senso. L’unica persona con cui parlavo era la mia unica amica d’infanzia che ormai “stufa” delle mie paranoie, dei miei problemi e preoccupata per la mia vita sociale del tutto inesistete mi consigliò di parlare con una psicologa. In principio ero un po’ scettica all’idea che una psicologa potesse aiutarmi. Ma dopotutto perché non provarci? Presi il coraggio a due mani e chiamai per fissare un appuntamento. Arrivò subito il giorno in cui dovevo recarmi da lei e suonai timidamente il campanello. Mi aprì la porta una signora di circa 40 anni ma che ne dimostrava circa la metà. Mi fece accomodare su una poltrona, prese un quaderno e iniziò a scrivere tutte le risposte che io davo alle sue domande. Iniziai stranamente ad aprirmi con lei; era così facile parlarle, mi sentivo a casa, mi sentivo a mio agio. Dopo un’accurata lettura di quello che aveva scritto mi consigliò di parlare con un altro suo paziente, Micheal, un ragazzo di circa diciotto anni che aveva il mio stesso problema avendo perso anche lui sua madre da poco. Ci pensai qualche istante poi accettai la proposta dopotutto aveva la mia stessa età quindi forse mi avrebbe capita più facilmente. Lo feci chiamare dalla psicologa e stabilirono per telefono che il giorno dopo, lui si sarebbe recato allo studio della psicologa e ci saremmo incontrati lì. Il giorno dopo mi trovai lì in orario, lo vidi arrivare con la sua auto una berlina nera. Parcheggiò e iniziammo le presentazioni. Entrammo dalla psicologa e ci lasciò soli in camera. Iniziammo a parlare, gli chiesi di sua madre e mi disse che era morta a causa di un incidente stradale un paio di anni prima. Iniziammo ad instaurare una certa amicizia, non avevamo più vergogna l’uno dell’altro. Mi chiese di raccontare la mia storia e iniziai… ma non riuscii a finirla perché scoppiai in un lungo pianto. Mi abbracciò, sentii un senso di protezione, le sue braccia erano calde, mi sentii al sicuro da tutto e da tutti. Continuammo a parlare per circa un’ora e ci demmo appuntamento il giorno successivo ma questa volta ci saremmo incontrati al parco, davanti casa mia. Il giorno dopo passai tutto il giorno a pensare a lui, a quell’abbraccio… due ore prima dell’appuntamento già iniziai a prepararmi, non sapevo che mettermi, volevo essere perfetta. Dopo un’ora e mezza mi decisi a mettere un jeans e una camicia. Mi feci trovare al parco, lo vidi arrivare in macchina ma non scese. Mi fece segno di salire, esitai ma poi salii. Facemmo due giri in centro poi ci appartammo in un parcheggio e discutemmo sulla nostra vita e come la morte delle nostre mamme ci avesse segnato così profondamente. Era per me un tasto dolente quello e ogni volta una lacrima mi rigava il viso, ad un tratto sentii il suo braccio attorno a me, mi stringeva, e questo mi piaceva un sacco, stavo bene finalmente. Chiusi gli occhi e mi godetti quel momento. All’improvviso sentii le sue labbra sulle mie, ci misi un po’ per capire cosa stesse succedendo, mi stava baciando. Il mio cuore era a mille, lo guardai, finalmente sulle mie labbra si scorgeva un sorriso. I miei occhi brillavano di gioia. Il pomeriggio passò in fretta dopotutto quando ci si diverte il tempo vola… Ci demmo appuntamento il sabato successivo sempre in quel parco davanti casa mia. Quei tre giorni che mi separavano da lui mi sembrarono eterni, le notti non dormivo, pensavo a cosa stesse facendo, pensavo al suo profumo, ai suoi modi di fare, tutto era collegato a lui. Finalmente arrivò quell’atteso sabato e quella volta ci misi una vita per prepararmi tutto mi sembrava troppo banale per una serata con lui. Scelsi un vestitino rosso nuovo mai indossato, tacchi abbinati, borsa, capelli sciolti, profumo dolce, tutto era stato scelto con cura tutto doveva essere perfetto. Mi feci trovare al parco, lui era bellissimo, indossava un jeans, camicia nera, cravatta bianca, giacca e il suo inconfondibile profumo. La serata fu stupenda ma cominciava a far freddo quindi lo feci salire a casa mia. Stemmo sul divano tutto il tempo quando ad un certo punto lo baciai io. Eravamo l’uno accanto all’altro e ci guardavamo negli occhi. Mi perdevo in quel blu profondo. Mi accarezzava il volto, ero al settimo cielo ormai. Passammo una notte di coccole, baci e non solo. Se ne andò con molta tristezza il giorno seguente all’alba. Ero felicissima. Già dopo un’ora mi mancava da morire. Ricominciavo a vivere. Il sorriso non si tolse dal mio viso per giorni. Ci vedevamo quasi tutti i pomeriggi e finalmente ero uscita dalla depressione in cui ero entrata. Un giorno mi regalò un mazzo di rose con un bigliettino: «Ti amo». Il mio cuore si riempì di gioia. La terapia era riuscita. Mi recai dalla psicologa per ringraziarla di tutto, non smisi di andarci perché era bellissimo confrontare i miei pensieri con una donna più grande che prendeva il posto di mia madre in qualche modo. Dopo di un po’ iniziai a sentirmi male. Avevo la nausea, giramenti continui di testa, sentivo che qualcosa in me era cambiato, qualcosa non andava. Lo dissi a Jane la mia amica, lei sapeva tutto di me e Michael e mi consigliò di fare il test di gravidanza. Mi rifiutai. Non poteva essere quello che diceva lei, era impossibile. Arrivata ad un certo punto decisi di farlo anche per togliere quei dubbi che erano nati in me. Lo feci. Rimassi scandalizzata dal risultato, era proprio vero, ero incinta. Dovevo dirlo a Michael, ma come? Mentre facevamo un giro in macchina qualche giorno prima mi aveva mostrato da lontano dove abitasse ma non con precisione. Decisi di andare a casa sua, anche se non sapevo quale portone fosse di preciso, il cognome era Smith, non l’avrei forse trovato? Andai alla ricerca del campanello con quel cognome e lo suonai. Mi aprì. Ma non lui. Mi aprì la psicologa e lui disse: «Chi è mamma? Apri tu »... Capii tutto in un attimo, la psicologa era sua madre! E mi aveva mentito, mentito su tutto! Restai per pochi attimi sull’uscio della porta ci fissammo per interminabili secondi poi mi misi a correre, corsi fino ad arrivare a casa. Lui mi seguì. Ma non gli aprii la porta, non volevo parlare con nessuno. Ancora una volta mi avevano tradita le persone a cui mi ero aperta completamente, ancora una volta ero stata delusa dagli altri ora basta! Presi tutte le foto fatte con lui e le strappai. Spensi il cellullare non volevo essere raggiunta da nessuno soprattutto non da lui. Non mi recai più dalla psicologa, infondo anche lei aveva tradito la mia fiducia. Chiamai Jane e le raccontai tutto. Non smettevo di piangere, come ha potuto farmi questo? Passai tutta la serata a disperarmi con lei. Decidemmo di mettere un punto a tutto, volevo solo sfogarmi, divertirmi, non pensare a nulla e a nessuno perché dopotutto a nessuno importava che io soffrissi o meno. Quella sera stessa andammo in discoteca. Bevvi, bevvi molto, i cocktail scendevano uno dietro l’altro. Non capivo niente più ma ancora non mi sentivo soddisfatta. Volevo di più. Si avvicinò un ragazzo e mi offrì mezza pasticca. Cosa poteva farmi mezza pasticca? Nulla di grave pensai, ero convinta che mi avrebbe fatto solo divertire di più, dopotutto tutti lo fanno. La presi. Iniziò di colpo tutto a girarmi intorno. Ero sballata, i problemi sembrarono ormai inesistenti, forse stavo meglio. Caddi a terra perdendo le forze. Non ricordai nulla il giorno dopo, forse proprio Jane mi riaccompagnò a casa ma non ricordavo quando. Il giorno successivo ero ancora stordita, mi sentivo stanca, volevo solo dormire. Lo feci. Mi risvegliai il pomeriggio, avevo quella voglia di rifarlo che cresceva dentro di me. Lo volevo, era diventato il mio pensiero fisso. Chiamai dei ragazzi per strada e gli chiesi delle pasticche; non ne avevano. E ora? Come sarei riuscita a soddisfare quel mio bisogno impellente? Mi offrirono della cocaina, mi dissero che aveva più o meno gli stessi effetti. Esitai, ma la voglia ormai mi aveva sopraffatta, la presi e me la misi in tasca. Salii le scale di casa. Andai in salotto, misi quella roba sul tavolo, la preparai. Presi un foglio di carta lo arrotolai per formare un tubicino. Mi avvicinai alla coca e la assunsi. Iniziò tutto a girare di nuovo, le immagini degli oggetti arrivavano al mio cervello deformate e confuse. Non ragionai più, mi lasciai andare sul divano e passai un’oretta in stato di assuefazione. Quando l’effetto svaniva mi sentivo male, peggio di prima; ma questo stranamente non mi induceva a smettere, anzi, ogni volta sentivo il bisogno impellente che cresceva dentro di me. Cosa stavo facendo? Giorno dopo giorno mi resi conto che ormai ero diventata prigioniera di quella schifezza. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo cambiata: la pelle non aveva più la sua tonicità e bellezza, era diversa. Più secca e i capelli avevano perso quella lucentezza di sempre. Quella che si specchiava non era la vera Holly, che fine aveva fatto? Neanche io riuscivo a trovare me stessa, ero sopraffatta dalla delusione, dalla rabbia e ora anche da quella sostanza che mi aveva reso sua schiava. Non dissi nulla a nessuno di quello che mi stava accadendo. Ma Jane sapeva che qualcosa in me non andava. Diventai sempre più aggressiva nei suoi confronti, il mio sguardo era vuoto. Dopo un po’ decisi di parlarle, rimase scioccata del fatto che io fossi stata in grado di fare una cosa del genere… non era da me. Michael non sapeva niente di tutto ciò e continuava tutti i giorni a venire davanti casa mia e a suonare il citofono e ogni volta non riceveva risposta. Ormai non facevo altro che pensare a come fare per guadagnare i soldi per procurarmela, iniziai a preferire una partita di droga ad un piatto di pasta e allora spendevo tutto per la coca eliminando le spese per i generi alimentari. Persi molti chili. Le mie forze andavano man mano diminuendo sempre di più. Erano passati circa due mesi e mezzo, non m’importava nulla del bimbo che portavo in grembo, ero sicura dell’idea di abortire, non avrei mai potuto crescere una creatura nelle mie condizioni. Un sabato sera andai ad una festa, senza Jane, da sola. Girava molta droga e ne assunsi un bel po’. Oltre alla droga bevvi molti cocktail; eravamo tutti in uno stato pietoso. Uno di loro mi volle accompagnare a casa con l’auto. Ci mettemmo in macchina e partimmo. Lui non era nelle condizioni migliori per guidare. Andavamo molto veloce e svoltando una curva ci trovammo davanti un camion. L’impatto fu violentissimo, sentii il rumore dei vetri frantumarsi quando sbattetti con la testa contro il parabrezza; l’airbag non si era aperto. Persi i sensi. Non capii più nulla. Entrai in coma, l’urto era stato troppo forte. Mi portarono all’ospedale. Mi riempirono di medicinali, mi fecero mille test, non mi risvegliavo più. Rimasi in coma per due settimane, i giorni passavano e non me ne rendevo conto. Non sentivo quello che succedeva all’esterno, ragionavo con me stessa avevo mille pensieri per la testa. Finalmente una sera aprii gli occhi e lo trovai lì. Si era lui, passò tutti i giorni e tutte le notti con me. Gli sorrisi, mi baciò e mi disse : « Amore, ti amo » ormai avevo perso il bambino e lui già era stato informato dai medici, scoppiai a piangere gli risposi singhiozzando: «Ma il bimbo..» lui mi guardò e disse: « Amore ehi, stai tranquilla io sono qui e non ti lascerò mai, faremo un figlio insieme appena potremo, ti amo. Non avrei mai voluto mentirti, ma sono stato costretto. Ho una malattia, una bruttissima malattia, il cancro. Ormai sto guarendo e sono fuori pericolo, ma non riuscivo a relazionarmi con nessuno, tu sei così simile a me e mi sono innamorato veramente, te lo avrei voluto dire ma avevo paura di perdere l’unica ragazza che mi ha rubato il cuore, tu». Mi venne spontaneo baciarlo, gli sorrisi le uniche parole che riuscii a pronunciare furono: « Non ti lascerò mai » .
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Phefe