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Autore: Wendy_magic_forever    24/04/2011    5 recensioni
Al momento è una shot. Se volete che diventi una long, basta chiedere, ma se diventa una long sappiate che i miei aggiornamenti saranno molto a rilento, visto che ho già 2 storie a cui pensare. Visto che il probabile inizio sarà piuttosto vago e darà spazio alla fantasia, metterò il round robin. Le partecipazioni sono molto gratite. Ricordate che vi voglio comunque bene. Se non volete partecipare, basta lasciare una recensione, che mi fate molto felice.
Questa storia è una sottospecie di desiderio di come avrei voluto che le cose andassero, come tutti i fan, se MJ avesse trovato una vera amica.
Spero che vi piaccia!
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Posso essere tua amica?

 

Ricordo ancora la prima volta che vidi Neverland.

 

Avevo otto anni, ero stata affascinata dai grandi cancelli scuri sormontati dal nome del ranch a caratteri dorati. Però avevo paura di entrarci; ero troppo timida.

 

Così mi arrampicavo su un albero abbastanza alto da poter superare le mura di quel grande parco e osservavo l'interno da fuori.

 

Guarda caso, il ramo dove sedermi che avevo scelto dava sulla finestra della camera del proprietario; un uomo sui trentacinque anni, pallido, dai capelli e gli occhi scuri e un volto che esprimeva stanchezza, nonostante sorridesse.

 

Ogni giorno andavo là, mi arrampicavo su quell'albero, che avevo ribattezzato “Peter” per la sua vicinanza a Neverland, e stavo seduta su quello stesso ramo per tutto il pomeriggio, a guardare quel ranch da fuori.

 

All'età di dieci anni, cominciai a portarmi dietro un blocco di fogli e una matita, e disegnavo quel paradiso in terra dove i bambini giocavano, guardavano cartoni animati e mangiavano dolcetti.

 

Tuttavia, il proprietario diventava sempre più triste, pallido e stanco.

 

All'età di dodici anni lo vidi piangere, chiuso in camera sua. Incuriosita da questo comportamento, lo disegnai, cercando di immaginare cosa lo affliggesse. Erano quattro anni che facevo capolino alla sua finestra, eppure mai l'avevo visto piangere, come, tra l'altro, lui aveva mai visto me.

 

A quattordici anni, però, lo vidi giocare con due bambini. Erano biondi e entrambi avevano la pelle chiara, ma qualcosa dentro di me mi disse che erano i suoi figli. Lo disegnai anche quella volta, finendo, così, il 172esimo album da disegno. Ormai ero diventato non brava, di più.

Riuscii a disegnare il suo bel viso quasi etereo illuminato dal sole e dal suo sorriso, gli occhi che brillavano di felicità...

Come un illuminazione improvvisa, mi venne in mente un nome adatto a lui: Angel.

 

A sedici anni frequentavo il liceo artistico, ma non smettevo mai di andare in segreto da Peter, salutarlo, salire, sedermi su quel ramo e disegnare. Tuttavia quel luogo cominciò a sembrarmi triste, vuoto e monotono, e il suo proprietario era sempre più pallido, spento e stanco.

 

Ero stufa di vederlo così: volevo scoprire cosa gli stesse capitando. Volevo sapere cosa rendeva quell'uomo così triste, anche perché trovavo il suo sorriso come il sole che spuntava dopo giorni di pioggia. Solo... che ero ancora molto molto timida. Come fare per avvicinarlo?

 

All'improvviso un colpo di vento fece scuotere Peter, facendomi perdere l'equilibrio.

Mi ritrovai appesa a testa in giù, rischiando di cadere.

Ritornai al mio posto a fatica, ma quasi caddi di nuovo, quando sentii la sua voce.

 

«Che diavolo ci fai lì?!?» chiese con un tono misto tra il preoccupato e l'arrabbiato.

«Io mi siedo qui da otto anni...» dissi, intimidita.

Lui rimase sorpreso: «Otto anni?»

«Sì.»

Lui rimase fermo a pensare, poi mi disse di scendere dall'albero, «Sarò lì tra un minuto.»

 

Come promesso, quando i miei piedi toccarono terra, la sua testa riccioluta spuntò dal cancello del ranch. Si guardò intorno, come se stesse per entrare in un luogo nemico, poi mi fece segno di avvicinarmi e mi tirò dentro. Quando i cancelli si chiusero dietro di me, mi guardai attorno e non potei credere ai miei occhi: ero sempre rimasta fuori da quel luogo e ora che le mura erano dietro di me e non davanti, mi sembrava impossibile! Quasi un sogno!

 

L'uomo mi fece allontanare dai cancelli e si nascose con me sotto le poche fronde di Peter che spuntavano in quel ranch. Lui rimase in ascolto per un poco, poi sospirò di sollievo e si sedette.

 

«Quindi...» mi disse «...da otto anni tu sali su quell'albero e mi stai a guardare.»

«Non proprio te. Guardo il tuo mondo. Guardo ciò che ti sei costruito intorno. È un luogo molto bello. Però... ultimamente... sembra... che tu ti stia spegnendo, e più te diventi triste e spento, più il tuo parco si spegne. Che cosa succede?»

 

Lui rimase in silenzio e poi, riluttante, rispose: «Non so se sia il caso di farti conoscere i miei problemi.»

«Ti prego, parlamene.»

 

Mi guardò un secondo, poi disse, di getto: «La vita che conduco non è delle migliori! Ho questo ranch e ho i miei figli, ma non ho nient'altro! L'intero mondo mi sembra avverso e... mi pare che non ci sia nessuno che mi ami! Pure la mia famiglia sembra essere scomparsa, mi pare di scivolare verso un abisso profondo e non so come fermarmi!»

«E sua moglie? Anche lei è scomparsa?» se aveva dei figli, mi pareva ovvio che avesse anche una moglie.

Invece lui scosse la testa: «Ho divorziato tempo fa.»

 

Ebbi un illuminazione: di fretta andai a cercare tra i miei disegni. Mi fermai quando trovai uno dei tanti in cui piangeva, e finalmente riuscii a capire che cos'erano quelle lacrime: solitudine. Così tanta da farti male.

 

«Cosa c'è lì dentro?» mi chiese.

«Oh, ehm... disegni.» risposi

«Posso vederli?»

 

Io glielo porsi, un po' riluttante. Nessuno poteva toccare quei disegni se non me, chissà come mai glieli stavo lasciando...

 

Cominciò a sfogliare l'album, lentamente e più andava avanti con le pagine, più il suo volto si illuminava: prima gli si aprirono gli occhi, poi brillarono, poi un sorriso si fece strada lentamente sul suo volto, finché non vidi una fila di denti bianchissimi perfettamente allineati distruggere ogni segno di tristezza sul suo viso.

 

Ad un certo punto iniziò anche a ridere.

 

«Trovi i miei disegni divertenti?» chiesi, indispettita.

«Non è per questo!» rispose «È che... sono troppo belli! Tu... tu non ti limiti a riprodurre la realtà, tu sai aggiungere sentimento, risalti sfumature invisibili agli occhi di una persona qualsiasi, sei... sei un'artista con la “A” maiuscola!» ridacchiò ancora un pochino, poi chiuse l'album e me lo restituì «Era da tanto che non sentivo entusiasmo per qualcosa.»

«Bhe, Angel, dovresti provare a vedere il mondo con occhi nuov...»

«Aspetta, aspetta... com'è che mi hai chiamato?!»

«...Ehm...Angel...scusa...non so il tuo nome.»

Lui parve interdetto: «C...c...cosa?!? Non sai il mio nome?!?»

«No. Strano, vero? Ti osservo da otto anni, eppure non conosco il tuo nome.» a dir la verità avevo sempre cercato di evitare di ottenere questa informazione, sperando, un giorno, di trovare il coraggio di parlargli e fare in modo che me lo dicesse lui.

 

«Più che altro è strano che tu non lo sapessi già da prima che cominciassi a osservarmi.»

«Perché, sei famoso?»

 

...

 

Ci fu un secondo di pausa.

 

...

 

Poi lui scoppiò a ridere.

E a ridere.

E a ridere.

 

Poi provò a parlare: «Sc...scusa...AHAHAHAAH...è da troppo tempo che-AHAHAHAHAHAHAHAHAH...nessu-AHAHAH... mi chied-EHEHVHAHAHAH...“TU CHI SEI?”...» la cosa sembrò scatenare ancora di più la sua ilarità.

 

Tra una risata e l'altra, contagiò anche me e ben presto cominciai a ridere anch'io.

Non so quanto tempo passò, forse delle ore. So solo che ad un certo punto ci calmammo tutti e due.

 

«Quindi tu non sai chi sono.» disse

«No.» risposi

Lui ridacchiò.

«Non ti rimettere a ridere!» dissi

«Tranquilla, per oggi ho riso abbastanza.» sospirò e si sdraiò sull'erba, guardando il cielo tra le fronde di Peter.

«Sai, è da una vita che non mi sento così...»

«Così come?»

 

Ci pensò su: «.............................Allegro. Sereno, senza pensieri, rilassato. Ma anche...bene. Mi sto come... divertendo... è come se fossi...»

«Felice?»

«...................................................Sì! Sì, esatto!»

«Sono contenta. Qual è il tuo nome, Angel?»

Lui sembrò tentennare, poi disse: «Tu chiamami Angel.»

«E quando scoprirò il tuo nome?»

Alzò le spalle: «Non so. Quando ne avrò voglia!» rise e mi fece tenerezza.

 

Si rivolse a me: «Tu, invece?»

Gli restituii il “favore”: «Tu chiamami D.»

Lui rise e ripeté la domanda che gli avevo fatto: «E quando scoprirò il tuo nome?»

«Quando ne avrò voglia!»

 

Lui sorrise e si girò verso di me: «Sai, D. ...» mi disse «... vorrei passare questi momenti molto più spesso.»

«Angel, non è poi così difficile. Ti basterebbe un amico.»

Il suo volto tornò scuro: «Io non ho amici. E i pochi che ho non hanno mai il tempo per farmi una visita.»

«Io passo tutti i pomeriggi da queste parti, ho sempre molto tempo...» fui riluttante a chiedergli: «Angel... posso essere tua amica?»

 

Lui sbarrò gli occhi e rimase così per attimi che parvero eterni.

 

Poi sorrise, felice come non mai, mi strinse a se e quasi gridò: «SÌ, CERTO CHE PUOI!!!» e rise ancora.

 

A sentire la sua risata mi parve che tutto ciò che ci circondava risplendesse come gemme preziose al sole.

 

Senza smettere di stringermi, disse: «D., sono felice!»

«Lo so.» gli risposi «Lo sento.»

 

Mi diede un bacio sulla guancia «Ti voglio bene.»

«Anch'io.»

 

Quando gli risposi così, mi strinse ancora più forte, quasi a volermi inglobare nel suo corpo e le cose non furono più le stesse.

 

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Ditemi se la devo far diventare una long, PLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEASE!!!

Love,
SpeechlessGirl<3

   
 
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