Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Keitorin Asthore    24/04/2011    4 recensioni
Dopo essere stato espulso, Dave Karofsky si ritrova improvvisamente pieno di tempo libero per pensare a quello che è, a quello che ha fatto e al perché non riesca nemmeno ora a scacciare Kurt Hummel dalla sua testa.
Missing moment da 2x08, Furt. Kurtofsky one-sided
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui

ORA CHE RIESCO A PENSARE

"Sono molto deluso, David".

Lui si rannicchiò ulteriormente nel sedile del passeggero della macchina di suo padre, premendo i piedi contro la portiera. Quando era un bambino, suo padre non doveva fare altro che dire "Sono deluso" per convincerlo a non fare mai più qualunque cosa avesse fatto. Adesso, a diciassette anni, mentre non faceva più nulla per motivarlo, continuava a fare male.

Suo padre mantenne gli occhi sulla strada, le mani sul volante sulle dieci e dieci, calmo e serio come sempre. "Non sei il tipo di ragazzo che si farebbe espellere" disse. "Eri un bravo studente, giochi nella squadra di football e in quella di hockey, hai un ragazza".

Lottò contro il desiderio di sussultare. Sì, aveva una ragazza. E c’era un motivo se andava in un’altra scuola, a due contee da lì e riuscivano a vedersi tre volte al mese, forse, se era fortunato.

Era conveniente.

"Penso che ci siano molte cose che non vuoi dirmi, David" proseguì suo padre con calma. "Chiaramente c’era abbastanza contro di te perché la preside ti espellesse così in fretta".

"Quella non è nemmeno un vero preside" mormorò lui tra sé.

"Sarà anche così, ma aveva l’autorità di espellerti, e l’ha fatto". Prese un respiro profondo, le mani serrate al voltante. "Ne parleremo quando tua madre torna a casa".

Sedette in silenzio mentre l’auto entrava nel loro quartiere e rimase in silenzio finché suo padre non ebbe parcheggiato nel garage. Sempre in silenzio, raccolse la sua borsa e salì le scale fino alla sua camera, chiudendosi la porta alle spalle.

Mollò sul pavimento la borsa, gonfia di libri, raccoglitori e quaderni che non gli servivano più, e si lasciò cadere sul letto senza preoccuparsi di togliersi le scarpe.

Voleva davvero, davvero incolpare Hummel di tutto questo.

Ma, per qualche ragione, non poteva.

Non poteva togliersi dalla mente l’immagine di Hummel seduto di fronte a lui in quell’ufficio, con indosso quello stupido maglione con quella stupida specie di spilla a forma di aereo, che sembrava e suonava completamente tranquillo.

Non era giusto. Come poteva Hummel essere così dannatamente tranquillo?

Probabilmente perché suo padre era presente. Doveva essere per questo. Suo padre era fuori di testa. Era strano, però. Non avrebbe mai immaginato che il padre di Hummel potesse essere così… così normale. Non era diverso da qualunque altro uomo lavoratore della classe media dell’Ohio. Come aveva fatto a ritrovarsi quella dannata checca per figlio?

Gli voleva bene, però. Faceva quasi male vedere quando il padre di Hummel gli volesse bene. Specialmente visto che doveva sapere che era gay. Suo figlio era gay alla milionesima potenza, eppure gli voleva ancora abbastanza bene per inseguire un atleta che lo prendeva in giro, cercare di abbatterlo con la forza e poi tirate tutti i necessari, complicati fili per quello stupido incontro nell’ufficio del preside.

Non era giusto. Come poteva il padre di Hummel amarlo ancora nonostante fosse più gay di un unicorno che correva su un arcobaleno?

Provò a immaginarsi la stessa situazione ma alla rovescia- se fosse stato lui il ragazzo gay vittima dei bulli. Suo padre sarebbe corso a difenderlo, a reclamare l’espulsione da scuola del tormentatore di suo figlio? Non riusciva a immaginarselo.

Si strofinò gli occhi. Almeno il suo segreto era al sicuro. I suoi genitori non sapevano nulla. Per il momento.

Per come riusciva a vederla, aveva tre alternative.

Poteva andare di sotto e dirlo lui stesso ai suoi genitori.

Poteva tenersi quel segreto per il resto della sua vita, sposare qualche ragazza, avere un paio di figli e recitare la parte dell’etero fino alla fine dei suoi giorni.

O poteva aspettare finché Hummel non ce l’avesse fatta più e l’avesse spifferato a tutti.

Ma Hummel era tenace, più tenace di quanto si aspettasse. Aveva detto di non averne parlato con nessuno e gli aveva creduto. In linea di massima. Ma doveva averlo detto a quel tipo della scuola privata, il ragazzo coi capelli scuri con cui si era scontrato sulle scale del cortile

Si chiese vagamente se fosse quello il tipo di Kurt- smilzo, muscoloso, occhi e capelli scuri.

Forse quel ragazzo avrebbe parlato. Era sembrato parecchio protettivo nei confronti di Hummel, come suo padre. Forse si sarebbe preoccupato della sicurezza di Hummel e avrebbe detto a qualcuno del… dell’incidente nello spogliatoio.

Ma a chi poteva dirlo? Non conosceva nessuno al McKinley.

Ma c’era ancora Finn Hudson. Aveva sentito le voci di corridoio al McKinley riguardo al matrimonio tra la madre di Hudson e il padre di Hummel. Sarebbero diventati fratelli e Hudson era quasi obbligato a capire qualcosa una volta che avesse vissuto sotto lo stesso tetto di Hummel. Probabilmente ci avrebbe messo un po’, ma ci sarebbe arrivato.

Chiunque poteva dire che qualcosa turbava Hummel. Diavolo, lui stesso poteva dire di star torturando Kurt. Era sempre pallido, sempre. Sobbalzava ai rumori forti, girava la testa quando percorreva i corridoi e continuava a fare quella cosa con le labbra, pressandole insieme per impedir loro di tremare. Ed era dimagrito, e molto.

A volte si odiava per quello che gli stava facendo. Ma tutte le volte che lo incrociava nei corridoi, cominciava a vedere rosso e la sua mente continuava a urlare Lui sa! Lui sa! e poi sapeva solo di aver afferrato Hummel per le spalle e di averlo spinto contro gli armadietti.

Doveva spaventare Hummel per farlo tacere. O, perlomeno, doveva farlo prima. Adesso non doveva più preoccuparsene.

Si sentì il petto curiosamente leggero. Non doveva più preoccuparsene. Anche se il suo segreto fosse venuto a galla, lui se ne sarebbe andato già da un pezzo. Sarebbe stato in un’altra scuola, dove avrebbe potuto ricominciare da capo. Una scuola senza Hummel. E forse, senza di lui, avrebbe potuto fermare questa… questa schifezza gay.

Aveva tredici anni quando aveva cominciato a realizzarlo, l’estate prima della terza media. Ad una festa del quattro luglio organizzata dai suoi genitori, era nella sua vecchia casa sull’albero con la graziosa figlia dei vicini della porta accanto. Lei si era allungata e l’aveva baciato, le sue labbra lucide premute contro le sue, e sorpreso, lui aveva ricambiato.

Senza sentire nulla.

Lei era arrossita, aveva sospirato e ridacchiato, tornando alle sue labbra ancora e ancora, e lui come un debole l’aveva lasciata fare. Per il resto dell’estate si era definita la sua ragazza e lui non glielo aveva impedito.

Non quando andare a casa sua voleva dire che poteva vedere suo fratello, un giocatore di calcio di quindici anni.

All’inizio aveva pensato fosse più o meno normale, che tutti i ragazzini della sua età provassero quelle cose. Ma in autunno era tornato a scuola, aveva ripreso a giocare a football e un giorno i suoi compagni di squadra avevano deciso di lanciarsi nell’eccitante gioco chiamato "becca-la-checca", rincorrendo il piccolo kicker per tutto il campo finché lui non aveva rinunciato e loro l’avevano picchiato, quanto bastava perché se lo ricordasse ma non a sufficienza per mettersi nei guai.

Tornato a casa, aveva chiesto a sua madre cosa fosse una checca e lei aveva laconicamente risposto "È un ragazzo a cui piacciono altri ragazzi ed è una cosa oscena, perciò smetti di pensare a queste cose, David, e dimmi com’è andato l’allentamento oggi".

Perciò, ecco, lui non poteva essere gay.

Aveva passato gli anni successivi curando attentamente la sua immagine, dicendo e facendo le cose giuste. Aveva perfino avuto un paio di ragazze, frequentandole abbastanza a lungo perché la gente se ne ricordasse e toccando abbastanza basi per farle confidare con le loro amiche in proposito.

E poi era arrivato Hummel.

Lo conosceva, ovviamente. O almeno sapeva chi era. Lima era una piccola città, con un numero limitato di scuole. Hummel non era altro che questo piccolo ragazzino dai grandi occhi blu-verdi e la tendenza ad arrossire se intimidito o imbarazzato, cosa che, come sarebbe venuto fuori, succedeva piuttosto spesso. In più, era anche intelligente e faceva quel genere di cose pseudoartistiche, come il canto, la musica e l’arte e via dicendo, perciò in altre parole era la vittima perfetta.

Per un lungo periodo, durante le medie e il primo anno, aveva fatto del suo meglio per ignorare Hummel. E per un po’ aveva funzionato: Hummel era solo un altro perdente che gettava nei cassonetti e prendeva a granite in faccia.

Ma poi Hummel si era dovuto unire alla squadra di football e rovinare tutto.

Si era allenato con cura a non fare caso quando i suoi compagni si cambiavano e di solito la cosa non lo turbava: in fondo, conosceva la maggior parte di loro da quando giocavano nella lega dei pulcini, perciò non era un problema.

Ma Hummel si era unito alla squadra e la prima volta che si era girato e di sfuggita l’aveva visto cambiarsi aveva quasi perso il controllo. Hummel non assomigliava per niente ai suoi compagni di squadra: era piccolo, snello e pallido, e i suoi fianchi erano incredibilmente stretti nei suoi calzoni da football. Hudson lo aveva chiamato e Hummel si era raddrizzato, sistemandosi i capelli scompigliati sulla fronte, e aveva sorriso, una fossetta che spuntava sulla guancia. Una dannata fossetta.

Aveva dovuto uscire di corsa dallo spogliatoio prima che chiunque potesse notare che stava diventando un po’ troppo… eccitato.

Dopo quello, era diventata una pura tortura. Improvvisamente sembrava che ovunque si girasse, ci fosse Hummel, piccolino, con la faccia da bambino e innocente come neve fresca. Stava diventando ridicolo.

Era riuscito a superare il secondo anno senza farsi scoprire, o destare sospetti, e poi aveva avuto tre lunghi mesi estivi per schiarirsi le idee. Si era trovato una nuova ragazza, una cosina dolce dai grandi occhi blu che non aveva mai avuto un ragazzo e lo adorava. Era carino, anche se non era lei quello che voleva. Stava lentamente cominciando a realizzare che lui voleva… Kurt Hummel.

Non poteva sopportarlo. Doveva far uscire il gay dal suo corpo, obbligarsi a credere di essere etero, di preferire le ragazze, di essere normale e di non aver bisogno di un uomo per essere felice.

Così aveva dormito con la sua ragazza.

A volte gli dispiaceva per la sua verginità, soprattutto quando pensava a quanto lei si fidasse, a come gli avesse sussurrato all’orecchio il suo ti amo e lui non avesse potuto risponderle. Avevano fatto sesso un paio di volte da allora, di solito nel retro della sua macchina o nella sua stanza quando i suoi genitori non c’erano, ma non… non aveva significato niente.

Poi era tornato a scuola, dove c’era Hummel.

Era andato incontro a una specie di scatto di crescita: era più alto dell’anno precedente e le sue spalle erano leggermente più larghe e il suo volto un po’ meno infantile. Ma era ancora… molto più attraente di quando avrebbe dovuto essere.

Poi quel dannato glee club aveva dovuto prendere e cantare una dannata canzone di Britney Spears e lui aveva dovuto restare là a seduto a guardare Hummel agitare i fianchi con quella luce provocante negli occhi e l’unico modo in cui aveva potuto pararsi le spalle era stato fingere di essere eccitato dalla cheerleader bionda che girava attorno a Santana.

Dopodichè, non aveva avuto scelta. Doveva andare dietro ad Hummel più spesso. Era un orribile paradosso. Spingere Kurt contro gli armadietto e sbatterlo in terra significava che poteva scacciare con la forza la sua schifosa lussuria… e che poteva toccarlo allo stesso tempo.

Non aveva mai voluto spingersi fino a quel punto. Mai. Aveva fatto dei sogni, ad occhi aperti e di notte e… sogni a cui non voleva pensare, ma, oh, erano hot.

Ma Hummel l’aveva seguito nello spogliatoio, la voce alta, le guance rosse di collera, gli occhi che scintillavano. Era arrabbiato ed era favoloso.

Non aveva potuto fare altro che farlo arrabbiare. Era già abbastanza brutto che Hummel avesse cominciato a colpire un po’ troppo vicino, toccando tutte quelle segrete parti della sua mente a cui non voleva pensare. Era stato peggio quando era andato sul personale.

"Non sono interessato ai grassoni sudaticci che saranno calvi a trent’anni".

Questo faceva male. Più male di quanto avrebbe mai osato ammettere. Non piaceva ad Hummel. Al contrario di lui, Hummel non era attratto da lui.

Ed era arrabbiato e bellissimo e… e…

Aveva afferrato Kurt piegando le mani contro le sue guance morbide e il suo collo snello e l’aveva tirato più vicino mentre premeva le labbra contro le sue.

Aveva le labbra morbide, lisce e tiepide che sapevano più che altro di gomma alla mente. Aprì la bocca, approfondendo il bacio. Le braccia del ragazzo più piccolo erano intrappolate tra i loro corpi, i pugni mollemente chiusi e la sua pelle calda profumava di sapone.

Si era allontanato da Kurt, il cuore che batteva forte. L’ho baciato, pensò. Il mio primo bacio con un ragazzo ed è stato favoloso.

Senza pensare si era allungato per un altro bacio ed era rimasto scioccato quando all’improvviso Kurt aveva piantato le mani contro le sue spalle e l’aveva spinto via. L’aveva fissato sbattendo gli occhi.

Kurt l’aveva fissato, pallido come un morto tranne per l’acceno di rosso sui suoi zigomi. I suoi occhi erano limpidi, come se fosse sul punto di piangere e teneva la mano tremante contro le labbra gonfie e rosee.

Con un colpo al cuore aveva realizzato che Kurt non era felice. Kurt era devastato. Kurt non si sarebbe innamorato di lui, l’avrebbe odiato ancora di più. Così aveva preso a pugni gli armadietti ed era andato via, lasciando Hummel da solo a piangere o chissà cosa.

Era passato un mese da allora e lui aveva continuato a spostarsi avanti e indietro essenzialmente tra due pensieri- uno, non poteva permettere ad Hummel di parlarne. Per nessuna ragione. Preferiva morire piuttosto che permettere ad Hummel di dirlo a qualcuno.

E due… non poteva smettere di desiderare di baciarlo di nuovo.

Era folle. Lo tormentava, il ricordo delle labbra morbide di Kurt contro le sue. Desiderava ardentemente poterlo fare di nuovo, magari prendendolo tra le braccia e andandoci più piano questa volta. Si chiedeva come sarebbe stato abbracciarlo.

E forse questa volta a Kurt sarebbe piaciuto. Forse Kurt avrebbe ricambiato il bacio e avrebbe passato le dita tra i suoi capelli e forse avrebbe perfino fatto qualche gemito quando l’avesse toccato.

L’intero corso dei suoi pensieri fu deragliato quando la porta della sua camera si aprì sbattendo. "Sei stato davvero espulso?" domandò il suo fratellino.

Si sedette, lanciando il cuscino attraverso la stanza. "Fuori di qui, Jonathan!" ringhiò.

"Papà l’ha detto alla mamma e lei è incavolata" lo informò l’undicenne scansandosi. "Vogliono che vai di sotto a parlarne. Che cosa hai combinato?".

Dave si alzò e spinse di lato il fratello. "Niente. Vai nella tua camera, marmocchio".

Caracollò giù per le scale, temendo quello che stava per affrontare. Suo padre sedeva al tavolo della cucina, il contenuto della sua ventiquattrore sparso davanti a lui mentre digitava qualcosa al portatile. Paul alzò lo sguardo. "Vorremo parlarti, figliolo".

Dave guardò impotente sua madre. Laura Karofsky stava sbattendo sportelli mentre metteva via la spesa; Sophia, la sua sorella di tredici anni, lo guardò e si strinse nelle spalle mentre le passava le scatole. "Tuo padre mi ha detto cosa è successo" esordì sua madre. "Mi dispiace di non essere stata presente, ma sai come stanno le cose". Sbatté lo sportello del frigorifero. "Vai nella tua camera, Sophia, vogliamo parlare con tuo fratello.

Dave si appoggiò contro il bancone. "Di che cosa dobbiamo parlare?" chiese debolmente.

"David, questa storia è ridicola" dichiarò sua madre. "Non hanno nessun diritto di espellerti: nessuno ha qualche prova che hai fatto qualcosa di sbagliato, soltanto la parola di questo ragazzo".

"Laura, ho parlato con Kurt Hummel e suo padre" intervenne Paul. "Non penso che stia mentendo: mi è perso un ragazzo intelligente e a modo". Lanciò un’occhiata di traverso a suo figlio e Dave distolse lo sguardo. "Io credo che sia il nostro David quello che deve spiegarsi con noi".

Laura si girò verso di lui. "Allora, David? Che sta succedendo?".

Lui spostò il peso da un piede all’altro, a disagio. "A volte me la prendo con lui. Sai… spingerlo contro gli armadietti e simili. Lo fanno tutti nella squadra di football".

"Questo ragazzo dice che hai minacciato di ucciderlo se avesse parlato a qualcuno di come te la prendevi con lui" lo interruppe Paul. "Vedo diversi problemi a questo proposito, David. Prima di tutto, quanto male lo stavi trattando perché lui fosse troppo spaventato per dirlo a qualcuno, e secondo, perché mai avresti minacciato di ucciderlo?".

"Non l’ho fatto" mentì lui. "Non ho mai detto di volerlo uccidere. È solo… è solo il ragazzo gay e tutti lo prendono in giro".

Laura sospirò. "Avevo sentito che c’era un ragazzo omosessuale alla tua scuola. È lui che ti ha accusato?"

"Sì" rispose Dave, il cuore che batteva come un tamburo nel petto.

"Vedi, Paul, questo Kurt, la sua opinione è chiaramente alterata dalla sua sessualità" dichiarò lei, girandosi verso il marito. "Probabilmente è soltanto impressionabile e ha preso troppo seriamente un po’ di canzonature innocenti".

"Non credo proprio che fossero canzonature innocenti" ribatté Paul in tono aspro. "Hai visto anche tu quanto David è cambiato da quando è ricominciata la scuola. E nell’ultimo mese, David, sei stato quasi un estraneo per noi".

Laura scosse il capo. "Suo fratello ha passato una fase identica alla sua età" protestò. "E Seth ne è uscito benissimo, aveva solo litigato con la sua ragazza. È questo il problema, David? Una lite con la tua ragazza?".

"Sì" mentì lui. "Sì, abbiano litigato di recente".

Suo padre gli scoccò una tagliente, penetrante occhiata, ma sua madre si limitò a scuotere la testa. "Mi appellerò al consiglio scolastico" annunciò. "Sistemeremo questa cosa e tu tornerai al McKinley in tempo per giocare contro la Scott High".

Suo padre non sembrava convinto, ma sgattaiolò via prima che potessero ricominciare a litigare. Forse sarebbe tornato al McKinley. Forse tutto si sarebbe sistemato.

Ma così avrebbe dovuto guardare in faccia Kurt Hummel, e dopo questo, non sapeva come avrebbe fatto ad affrontarlo.

Note dell’autrice

Blaurghity blaurghity blaurgh. Non sono felice di come questa cosa è venuta fuori, ma, ehi, che potete farci?

Era cominciato come qualcosa con, sapete, una trama e invece si è trasformato in una sorta di flusso di coscienza. Il che è interessante. È stato strano entrare nella testa di Karofsky. Davvero strano.

Adoro che abbiano introdotto il padre di Dave come una sorta di ben vestito signore a modo di ceto medio-alto. E che abbia effettivamente ascoltato cosa Kurt e Burt avessero da dire e l’abbia preso seriamente. Per questo non credo che sia stato Paul Karofsky ad appellarsi al consiglio scolastico, ma sua moglie. Aspetto con ansia la seconda metà di questa stagione… Personalmente, ho il sospetto che ci sarà un’ENORME PIOGGIA DI MERDA (scusate il linguaggio), Finn indosserà il suo costume da fratello maggiore e in qualche modo Kurt tornerà al McKinley.

Ma forse sono solo io.

Comunque, nuovo episodio stasera. Woohoo! Sono pronta e armata a scrivere ancora!

Note della traduttrice

Buona pasqua a tutti! Lo so, non è proprio una storia adatta al clima festivo, ma questa traduzione avevo pronta, perciò vi dovrete accontentare.

Questa è la dimostrazione che Caitlin è una sottospecie di dio: è riuscita a farmi piacere Karofsky, signore e signori. O quanto meno, a farmi comprendere il suo punto di vista quanto bastava per non desiderare di prenderlo a male parole (non me ne vogliano le fan di Karofsky). Comunque spero che abbiate trovato questo flusso di coscienza interessante come l’ho trovato io.

Incredibile a dirsi, due frasi sono bastate a farmi odiare da qui all’eternità Laura Karofsky: quella donna…

Vabbè, giorno di festa, perdona e dimentica, giusto?

Alla prossima settimana!

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Keitorin Asthore