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Autore: melania    25/04/2011    12 recensioni
[...]Se potesse vivere per sempre, il Re vorrebbe condividere quell’eterno istante con lui.
“Ti prometto che ci incontreremo di nuovo. E saremo di nuovo felici. Te lo prometto."
[Reincarnation!fic]
Genere: Drammatico, Fluff, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Il sangue è caldo sul viso. E l’odore penetrante del liquido rosso lo investe, avvolgendolo. Non ha tempo di soffermarsi, di riposare. Con un movimento veloce del braccio esausto, la spada si sfila dal cadavere ed è pronta di nuovo, ancora e ancora, a uccidere. Perché i nemici sono molti e sono cavalieri coraggiosi. Combattono con tutte le forze e la ferocia di animali braccati, perché la fama di Arthur è volata oltre i confini delle Sue terre, e serpeggia come un alito di morte sull’esercito nemico.

 

 

 

È sera ormai quando i combattimenti si fermano, le stelle e la luna non possono accompagnare i cavalieri negli scontri. È ora di riconoscere i visti sfigurati dalla morte, di raccogliere le spoglie dei caduti e bruciarle. Arthur è in piedi, gli stivali affondati in una melma scura e rossa, in passato un campo d’erba, ora solamente sangue e terra. Il fiato è affannoso e sembra voler lacerargli i polmoni affaticati. Infila con le sue ultime forze Excalibur nel terreno, osservando la distesa di morte davanti a sé. Si chiede, come ogni sera da quando quella guerra è iniziata, se tutto ciò che egli sta compiendo, sia giusto. Si domanda se il valore degli uomini debba essere sempre dimostrato con il dolore e il sangue. E la spada. Si chiede se in futuro le genti potranno vivere in pace, senza l’odio e la violenza a comandare gli eserciti.

E con passi pesanti si avvicina all’accampamento; decide di isolarsi dall’odore di carne viva, di non vedere la morte davanti agli occhi, di non ascoltare i lamenti strazianti dei feriti e i versi lugubri dei rapaci pronti a mangiare.

Sa che un giorno ci sarà anche lui disteso sul terreno, la mano ferma e stretta sull’elsa della spada e gli occhi vacui. Non ha paura di morire. È stato cresciuto per combattere, per uccidere, per difendere la sua gente. E pare che il suo Destino sia di unificare quelle Terre, unirle sotto un unico vessillo e portargli la pace e l’abbondanza. Forse non avrà il tempo di assaporarla quella calma. E il piacere di osservare i tramonti senza pensieri, forse, gli sarà negato da una morte prematura.

Ma Arthur non ha paura di morire.

E’ stato cresciuto senza sentimenti, con l’onore e le tradizioni da rispettare e consacrare. E’ stato abituato a non credere nelle parole delle persone, fugaci ed effimere nelle loro menzogne celate. Ha compreso che gli uomini abietti si nascondono dietro sorrisi di miele e inchini reverenziali. Ha conosciuto il tradimento di una sorella e di una moglie. Il suo cuore si è forgiato nel metallo ed è stato per lunghi inverni immerso nel più cupo odio e risentimento.

No, Arthur non ha paura di morire. Eppure…eppure quando la tenda, la sua amata tenda, gli si staglia dinanzi agli occhi cerulei, il pensiero non può che volare all’uomo che vede in lontananza, chino sui feriti. Il pensiero è rivolto a lui, all’amico fedele che non l’ha mai abbandonato, al consigliere reale che ha sempre elargito consigli sensati e saggi, all’amante premuroso che l’ha sempre accolto fra le esili braccia per consolarlo. E la certezza che un giorno non molto lontano le loro strade si divideranno, lo conduce allo sconforto e al tormento. Il pensiero di non poter invecchiare insieme a lui, non riconoscere le rughe del tempo sulla sua pelle di neve, non poter vedere il cambiamento nella sua voce e lo sbiadire dei suoi occhi di cielo…

Nelle notti insonne e nel freddo della pianura gelata, a volte immagina di poter scappare via, di prendere un cavallo e lui e andare lontano, attraversare i boschi di querce e faggi e allontanarsi da quelle Terre. Sogna di rincorrere il tempo e la loro giovinezza; sogna di poter tornare indietro nel tempo, assaporare quei momenti in sua compagnia che al tempo del loro compiersi, non aveva dato importanza. Vorrebbe poter rivivere i loro primi sguardi, il primo intrecciarsi di mani e pensieri.

«Arthur…

Il Re alza lo sguardo e davanti a sé e c’è lui, le mani sporche di sangue e negli occhi ancora tracce d’oro, memoria degli incantesimi di guarigione. A fatica riconosce il ragazzo che anni addietro giunse a Camelot, una borsa in spalla e un sorriso ingenuo sulle labbra. Davanti a sé vi è un uomo, uno sguardo deciso e una mascella contratta. È stanco, forse come lui o più di lui. “Io devo attenderti ogni giorno Arthur…e questa l’attesa mi distrugge, mi consuma. Ho paura che tornino con il tuo cadavere sugli scudi e mi sento privo di forze al solo pensiero.”, così gli disse un giorno. Ma ora gli si avvicina velocemente, un sorriso felice sulla bocca.

«Sei tornato.»

Ed è ciò che gli dice ogni giorno, ogni sera. E pare balsamo sulle sue ferite e sul suo cuore. E se potesse fermare il tempo, se potesse racchiudere un istante della sua vita dentro un monile e portarlo sempre con sé…sceglierebbe quello. Il momento esatto in cui loro due sono vicini e la battaglia, almeno per quel giorno, è finita.

 

Vive per Merlin, Arthur. Ogni giorno cammina verso il campo di battaglia perché sa che al suo ritorno quella voce roca e quelle labbra di seta gli diranno “sei tornato”. E non importerà quanto dolore avrà provato, quanta morte avrà provocato. Lui ci sarà ad aspettarlo, a fremere per poterlo rivedere.

 

 

Se potesse vivere per sempre, il Re vorrebbe condividere quell’eterno istante con lui.

 

 

«Ti ho preparato dell’acqua calda, vieni.»

Quella mano stringe la sua e non è più piccola né più debole. Eppure Arthur la stringe come se fosse quella di un bambino, come se potesse perderla. Ha sempre voluto credere di poterlo proteggere come un tesoro nascosto o un fiore di cristallo, negando l’evidenza che fosse lui, invece, l’oggetto delle cure e delle attenzioni. E la stringe quella mano e forse, in realtà, è lui il bambino che ha paura di perdersi.

 

 

Quando si spoglia dell’armatura e delle vesti, Merlin lo accarezza e pronuncia a bassa voce, come una litania incantatrice, le parole magiche che leniranno il dolore e le ferite. Parlano poco, le gole sono riarse per le urla nei combattimenti e in tempo di guerra non ci sono molte parole da spartire. Ci sono solo il silenzio della notte e la pezza calda che passa sulla sua pelle, a lavare il sangue e i ricordi di morte. Ci sono solo i baci a fior di pelle di Merlin dietro la sua nuca e il suo sussurro roco “E’ passato un altro giorno”. E forse ne mancano pochi ormai alla fine quel conflitto infinito e Arthur sospira, si abbandona alle mani dell’uomo che ama.

 

 

 

***

 

 

 

L’aula è gremita. Arthur si guarda intorno ma non riconosce nessuno fra i volti sparsi. Non sa perché ha scelto quel corso di chimica organica fra quelli a scelta libera. Sbuffa spazientito, scribacchiando con la matita mangiucchiata la copertina del quaderno. Il professor Enderson è in ritardo e deve ammettere che la sua fama di ritardatario lo accompagna come un fedele cagnolino.

A un tratto qualcosa lo colpisce alla testa, si gira infastidito e vede un ragazzo sedersi accanto alla sua destra: passando deve averlo urtato con la cartella di cuoio.

«Stai attento la prossima volta, vuoi?»

Non addolcisce il tono, è seccato per il ritardo del professore e per l’odore penetrante di sudore che si respira lì dentro.  

«Scusami, non pensavo di averti urtato.»

E Arthur vorrebbe ribattere con qualcosa di acido ma quando si gira a guardarlo, si blocca, le parole incastonate sulle labbra. Forse sono quella pelle candida o i suoi occhi azzurri (“esiste un colore simile in natura?”, si chiede spaesato) o quei capelli di pece che incorniciano degli zigomi alti e scolpiti. O forse quelle labbra socchiuse, carnose e sorridenti.

Per la prima volta nella sua vita, Arthur rimane senza parole e teme, vergognosamente, di essere arrossito impercettibilmente. Con piacere, almeno, nota l’espressione sorpresa e intimidita del ragazzo accanto a sé, perso anche lui nei propri pensieri che non devono essere così dissimili dai suoi. Osserva quella pelle colorarsi di un fulgido rosso e deliziarsi di un timido sorriso a tirargli le labbra.

«Arthur Pendragon.»

E gli porge come in trance la mano, assaporando per quei pochi secondi il contatto della loro pelle.

«Merlin Emrys

 

 

 

***

 

 

 

«Hey, sono qui…non ti muovere…non ti muovere Arthur…»

Non riesce a vedere bene, gli sembra che un velo di nuvola abbia coperto gli occhi. Percepisce la terra sotto di sé e il suo profumo accanto, chino su di lui.

E poi delle lacrime scivolargli sul volto, fresche e salate, sulla sua pelle insanguinata.

«Non piangere. Sei una donnicciola. Lo sei sempre stato.»

E fra il respiro accelerato, avverte anche una risata debole.

«Probabilmente.»

Cerca di muovere il braccio per raggiungerlo e Merlin gli afferra subito la mano, portandosela al volto.

«Sono messo così male?» e vorrebbe accarezzargli il viso, ma non avverte più la consistenza degli arti.

«Temo di sì.»

Chiude gli occhi e gli pare di essere disteso in un mondo ovattato, silenzioso. Sente in lontananza i sussurri di Merlin e la magia scorrere nel suo corpo.

«Non mi salverai questa volta Merlin.»

«E chi ti vuole salvare?»

Con un gemito sente l’amante passargli le mani tremolanti sul petto, cercando di bloccare in qualche modo il sangue, ma è tardi. Lo sanno entrambi.

«Non avremmo potuto essere più felici di così.»

E alle sue parole sussurrate avverte Merlin chinarsi su di lui, abbracciarlo, incurante dei soldati attorno a loro e delle urla della battaglia che continua, indifferente a ciò che sta accadendo nell’accampamento.

Forse lontano qualcuno urla: “Il re muore!”, ma non ne è più sicuro, sta perdendo conoscenza.

Avverte il fiato caldo di Merlin accanto all’orecchio e il suo sussurro: “Ti prometto che ci incontreremo di nuovo. E saremo di nuovo felici. Te lo prometto.” Vorrebbe dirgli di non promettere ciò che non può essere strappato alla realtà, ma rimane zitto, le labbra troppo pesanti per essere dischiuse. Poi chiude infine gli occhi e l’ultimo colore che vede è l’azzurro dello sguardo del moro.

Si chiede, per l’ultima volta, come possa esistere un coloro simile in natura.

 

 

 

***

 

 

 

Se qualcuno gli chiedesse che cosa abbia capito della differenza fra l’anione idrogenocarbonato e l’anione carbonato, Arthur risponderebbe con un silenzioso imbarazzo.

Quando le persone incominciano ad alzarsi, comprende che la lezione deve essere finita. Il suo quaderno è intonso e la matita ha disegnato degli intricati disegni sul banco.

Non ha ascoltato una sola parola.

Socchiude gli occhi cercando di ignorare la persona accanto a sé. Con la coda dell’occhio gli è concessa solo una piccola porzione di pelle candida e una pagina di quaderno anch’essa bianca. L’unica consolazione è che anche lui non è stato attento alla lezione. Cosa fare ora? Non ha mai provato una sensazione simile in corpo.

Distrattamente nota che sono rimasti da soli nell’aula, entrambi immobili e tesi. Può assorbire come ipnotizzato la tensione dell’altro, scivolargli addosso e insinuarsi dentro la carne. Sarà anche lui confuso? Proverà anche lui quella sensazione alla bocca dello stomaco?

«Beh…», Arthur si gira lentamente verso il moro. Lo vede con il capo chino, le mani strette al bordo del banco e un rossore diffuso sul viso. Poi si guardano intensamente e lui continua a parlare, a bassa voce, «io vado. È stato un piacere Arthur.»

Si alza velocemente e fa per andarsene quando Arthur lo blocca per un braccio, stringendolo. Non ragiona, si lascia guidare dall’istinto.

«Mi chiedevo...al bar di fronte all’università offrono un brunch economico…se ti va…»

«Ah...in realtà avrei un’altra lezione ora…»

Il biondo prova il desiderio irrazionale di baciarlo. Cerca di non mostrare la delusione sul viso, mentre lo libera dalla presa. Si sta rendendo ridicolo, lo sa.

«Ah…capito. Va bene, sarà per la prossima.»

 

 

 

 

Quando escono dall’aula, si salutano con un cenno imbarazzato e poi si dividono. Arthur cammina in trance fino al bar, la mente annebbiata e stordita. Che cosa esattamente è successo? Non ha mai provato un’attrazione tale per un’altra persona, così improvvisa.

Dopo aver ordinato, si siede a un tavolino in fondo, lontano dalla vetrina e dal bancone affollato. Si porta le mani ai capelli, vi affonda la testa e cerca di racimolare i pochi pensieri superstiti.

 

 

«E’ libero il posto?»

Alza di scatto la testa, gli occhi sgranati sul ragazzo di fronte.

«Mer…lin

«Ho pensato che oggi è comunque tempo perso a lezione. Non riesco a concentrarmi su nulla.»

Gli sorride timidamente e Arthur comprende, davvero, che è perso.

«Ho avuto lo stesso problema poco fa…»

Ridacchiano leggermente e poi, finalmente, Merlin si siede accanto a lui.

Incominciano a mangiare lentamente, un silenzio complice fra loro. Arthur sente il suo sguardo su di sé e trema d’aspettativa. Alla fine non riesce più a contenere quell’energia che prova dentro, come se fosse un’onda che cresce con il passare del tempo. Posa la mano su quella del moro e gli sorride.

«Senti…» tossisce imbarazzato, «non so bene come dirlo ma…se una di queste sere t’invitassi a uscire…»

Merlin lo interrompe, stringendogli la mano. «Accetterei senza pensarci.»

E il sorriso che gli regala gli sembra ciò di più bello che abbia mai visto.

Arthur sa che quel giorno è speciale. Dentro di sé prende forma un unico pensiero, una certezza luminosa: “Ora saremo felici insieme”.

 

FINE

 

 

Sì lo so è schifosamente fluffosa, ma avevo bisogno di scriverla. E’ da mesi che sto lavorando a un altro lavoro, un’AU intitolata “Voglio averti sulla mia pelle”, che spero di poter pubblicare a breve; eppure, quest’one-shot (senza pretese, per carità), si è fatta spazio in mente. E dovevo metterla nero su bianco, no? ^_-

Un bacione e, se siete arrivate/i fino a qui, grazie moltissimo per averla letta. ^_^

   
 
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