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Autore: Sparrowhawk    27/04/2011    2 recensioni
The Grudge 3 - Jake.
Non il migliore dei tre, poco ma sicuro, ma comunque abbastanza apprezzaibile...se non altro per come hanno migliorato i due fantasmi di punta. Madre e figlio non sono mai stati così veri.
Ad ogni modo, è una fic dedicata unicamente a Jake, il bambino del secondo episodio che ricompare -per breve tempo- all'inizio del terzo.
Spero vi piaccia.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Il sopravvissuto.
Fandom: the Grudge 3
Personaggi Primari: Jake
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo; Drammatico; Sovrannaturale
Altro: Movieverse; One-shot
Note: I pensieri di Jake qui riportati sono scaturiti tutti dalla mia immaginazione. Guardando il film ho dedotto ciò che provava, quindi ciò che è scritto qui di seguito è la mia personale visione del tutto. Voi siete liberissimi di vederla in altri modi =)


Nessuno gli credeva eppure, lui, non stava mentendo.
Certo, poteva anche sembrare assurda la sua storia, era il primo a rendersi conto che credere all'esistenza del fantasma di una donna malvagia era decisamente difficile, sopratutto se la si incolpava di avere tolto la vita a delle persone per cui era già stato trovato un macellaio.
Sì, probabilmente era più semplice scaricare tutta la colpa sulla donna che, da lì a qualche mese, era divenuta la nuova moglie di suo padre nonchè la sua nuova mamma: a quella maniera, anche se comunque era brutto anche solo da pensare, nessuno doveva riflettere più di tanto su cosa la aveva spinta a compiere tutti quegli orribili, insensati omicidi.
Bastava che arrivasse uno psichiatra e voila, l'intero stato la catalogava come pazza spiegando al contempo perchè aveva ucciso.
Se era pazza che motivo c'era di indagare oltre?
Ma, purtroppo, Jake sapeva che c'era dell'altro.
Lui lo aveva visto, sapeva cosa si celava dietro alle misteriose sparizioni, dietro alle uccisioni e dietro all'improvvisa pazzia della sua matrigna.
Jake era custode di un segreto scomodo, profeta di una maledizione a cui nessuno voleva prestare orecchio.
E se lui provava a farsi sentire, parlando a voce più alta, urlando all'intero mondo tutta la sua paura e la sua desolante disperazione, allora quelli che gli stavano attorno lo trattavano esattamente come la sua matrigna, come un povero pazzo: lo avevano rinchiuso in quel manicomio per questo no?
Perchè pensavano che anche lui fosse uscito di testa.
Anche quello in fondo era normale.
Vedere qualcuno che toglie la vita ai tuoi famigliari non è di certo il miglior modo per rimanere sani di mente... sopratutto se quel qualcuno non è umano.

«Per favore...» mormorò, con gli occhi lucidi di lacrime «...la prego, non mi lasci qui dentro.»
Quante volte aveva implorato la sua psicologa di non abbandonarlo a sè stesso?
«Jake, ti prometto che tornerò presto.»
E quante volte lei aveva tentato di liquidarlo a quella maniera?
Lui si riscosse al suono di quelle parole, fissandola incredulo ancora una volta, l'ennesima da quando si ritrovava rinchiuso lì fra quelle quattro mura.
«Quella mi ucciderà prima che lei ritorni!»
I suoi occhi scuri non esprimevano altro che stanchezza. Non chiudeva occhi da giorni ormai, ovvero da quando quella ragazza era svanita di fronte a lui nel mezzo del corridoio del loro condominio, letteralmente risucchiata dalla sua stessa felpa.
Ancora se le ricordava quelle mani bianche che, dal cappuccio, spuntavano ad afferrarle il volto atterrito tirandola dentro un mondo di solo buio e terrore.
Un mondo di morte.
Lo stesso a cui anche lui era destinato.
«Qui sei al sicuro...» continuò la donna, squadrandolo dall'alto «...nessuno ti farà del male.»
Jake si guardò attorno, cercando di non pensare al fatto che, ormai, lui non si sentiva al sicuro da nessuna parte. Persino i suoi stessi pensieri erano diventati la dimora di soli incubi.
«Chiudiamo la porta a chiave solo perchè...temiamo che tu possa fuggire un'altra volta.»
«Ero fuggito perchè lei era qui dentro!» si giustificò lui «Perchè...perchè mi state facendo questo?»
Già, perchè?
Stava solo dicendo la verità, dannazione, come aveva sempre fatto del resto!
Non si era mai permesso di imbrogliare le persone, lui era un bravo ragazzo, uno di quelli che si comporta sempre bene, che è dolce con gli altri, che si preoccupa del prossimo. Perchè succedevano cose del genere proprio a lui?
«Ti prometto Jake, che non permetterò mai che ti succeda qualcosa di brutto.»
La dottoressa si mise seduta accanto a lui, riempiendo quello che a suo avviso era forse il divanetto più piccolo del mondo: Jake la guardò distrattamente, spostandosi un poco e strisciando verso l'angolo del divano. Ormai aveva paura di chiunque, ogni persona diventava un possibile nemico per quanto innocuo in principio potesse sembrare.
Chi gli diceva che, dentro a lei, non si nascondesse il fantasma di quella donna?
...forse stava diventando troppo paranoico. O forse...forse era davvero pazzo infondo.
Alzò di nuovo lo sguardo verso di lei, mettendosi a gambe incrociate, attendendo che parlasse nuovamente.
«Jake, tutto questo non è un modo per punirti.» disse, mentre lui lasciava vagare lo sguardo ovunque alla ricerca di un minimo particolare che non andasse «Ma devo fare in modo che tu sia al sicuro mentre io mi occupo degli altri pazienti.»
Al sicuro. Ripeteva talmente tante volte quella parola che adesso gli risuonava in testa senza trovare un senso compiuto.
Era da tempo ormai che non era più al sicuro.
«Vedi quella telecamera lassù?» chiese lei, indicando la telecamera spia posta in un angolo della sua cella imbottita. Jake fissò la lucetta rossa che risplendeva in mezzo a tutto quel bianco «Qualcuno ti sorveglierà giorno e notte.»
Scosse il capo.
«Questo non la fermerà.»
Ancora un debole scambio di sguardi e poi Jake sospirò di nuovo, lasciando che la dottoressa lo fissasse ancora una volta: era una brava persona quella donna, anche lei si dedicava anima e corpo agli altri, e se aveva scelto quel mestiere non era di sicuro solo per il fatto che fosse ben retribuito o perchè provava un insano piacere nello stare assieme a dei folli. Voleva aiutarli, aiutarli per davvero.
Peccato che non potesse essergli di nessun aiuto...almeno non fino a che non gli prestava un pò di credito, smettendola di catalogare le sue parole come parte della sua demenza.
«Hai tanto bisogno di riposarti.»
Jake cominciò a piangere, sommessamente, in preda a nuovo panico.
«Ha ucciso tutta la mia famiglia!» esclamò, afferrandole il braccio quando la vide alzarsi «Ucciderà anche me!»
Un infermiere grande e grosso comparve da oltre la porta e lo raggiunse, tenendolo fermo con le sue enormi manone. Jake poté notare il grande tatuaggio azzurro che campava sul suo avanbraccio: rappresentava delle fiamme, le stesse che sperava avrebbero un giorno bruciato l'anima di quella donna crudele che lo perseguitava.
«Ucciderà anche me!» urlò ancora, lottando contro la forza dell'uomo.
La psichiatra alzò una mano, per far si che lui lo mollasse, e poi si abbassò ancora verso il ragazzino scrutando in quegli occhioni lucidi e senza l'ombra di alcuna speranza.
Aveva mai visto qualcosa di simile? Aveva mai riconosciuto una simile mancanza di iniziativa in un bambino della sua età? Possibile che non stesse mentendo?
«La prego, la prego non se ne vada...»
«Mi dispiace tanto...»
«La prego.»
«Nessuno dovrebbe passare quello che hai passato tu.»
Una frase di circostanza.
Un'altra stupida, maledetta frase di circostanza.
Ne aveva sentite a milioni da quando era rimasto solo.
«Non ha importanza.» sussurrò lui, appoggiandosi allo schienale del divanetto «...sono già morto.»
Ci fu un attimo di pausa, in cui lei cercò qualcosa di intelligente da dire per risollevare il suo morale, ma non ci riuscì e l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu: «...tornerò il prima possibile.»
I due adulti se ne andarono e, quando l'infermiere si chiuse la porta alle spalle donandogli un ultimo, triste sguardo, Jake si alzò in piedi e si lanciò verso l'uscio come intenzionato a buttarlo giù con il suo peso. Se solo fosse stato più forte, un poco più grande magari, allora avrebbe sradicato quella porta.
Battè con le mani chiuse a pugno contro lo stipite, stremato ma ancora intenzionato a farsi sentire.
O almeno a provarci.
«No!» urlò «No, no no! No, vi prego non lasciatemi qui dentro!»
Sentì i loro passi farsi sempre più lontani, sempre più distanti, ed un altro pezzo di lui sembrò svanire con loro.
«Fatemi uscire!»
L'allarme del portone blindato nel corridoio suonò, lasciando uscire la donna e l'uomo che, solo fino a pochi attimi fa, erano stati con lui per tutto quel tempo all'interno della sua stanza. Jake appoggiò la fronte sulla porta e pianse ancora, sentendo di non avere più altro da fare. Piangere, piangere tutte le lacrime che aveva, ecco cosa gli era rimasto.
Abbandonò le mani lungo i fianchi e poi si girò, spaventato, scrutando la sua piccola prigione.
A parte al divano e alla telecamera lì non c'era niente: le pareti erano imbottite e il pavimento era morbido, ricoperto da uno strano tappeto pieno di soffici pelucchi. Le luci erano chiare e illuminavano tutto a giorno, contruibuendo ad aggravare il suo piccolo problema a dormire.
«Qui sei al sicuro...nessuno ti farà del male.»
Bugiarda. Quella era solo una bugia e lei, nel profondo, di certo lo sapeva.
«Qualcuno ti sorveglierà giorno e notte.»
Sì, qualcuno lo avrebbe fatto, ma Jake poteva scommettere che se qualcosa fosse successo nessuno sarebbe arrivato in tempo a salvarlo.
«Mi dispiace tanto...»
Il ragazzo si rannicchiò sul divano, le ginocchia stretta al petto.
Anche a lui dispiaceva per sè stesso. In quel momento avrebbe pagato oro per poter essere qualcun altro, per poter mollare tutte le sue preoccupazione e sopratutto il suo infelice destino ad un'altra persona.
Ma non poteva.

QUANDO SI MUORE PER MANO DI UNA RABBIA INCONTENIBILE...
NASCE UNA MALEDIZIONE.

La luce cominciò a tremare e Jake, alzando di scatto il capo, fissò le lampade enormemente spaventato.
«Lei è qui...»
Aaaaaaaaaaaaah...
Jake si staccò all'istante dal muro cui si era poggiato, respirando a fatica.
Quel verso...lo ricordava bene.

LA MALEDIZIONE SI INSEDIA NEL LUOGO DI QUELLA MORTE.

Aaaaaaaaaaaaah...
«No...»
Si alzò e corse nuovamente alla porta, ricominciando a batterci forte sopra i pugni.
«Lei è qui!» strillò «Fatemi uscire, lei è qui!»
Quando capì che quell'azione era inutile, il giovane si portò al centro della stanza prendendo ad agitare le mani e a saltare come un matto, nella speranza che qualcuno, nella stanza da cui lo tenevano d'occhio, lo vedesse.
«Ehi! ...Ehi!»
Qualche altro colpo sulla porta, un altro urlo strozzato, eppure nessuno sembrava sentirlo.

COLORO CHE SI IMBATTONO IN ESSA,
VERRANNO DISTRUTTI DALLA SUA FURIA.


Due mani bianchissime gli si strinsero attorno ai polsi e, tirandolo indietro, lo costrinsero a cadere a terra con la pancia all'insù.
Cercò di combattere quella forza disumana, dimenandosi, ma quando il dolore lancinante del suo braccio raggiunse il suo cervello, dipanandosi per il suo intero corpo, a Jake non rimase che emettere un'ultimo urlo spezzato prima di lanciare un'ultima occhiata disperata alla telecamera.
"Aiuto..."

COLORO CHE SOPRAVVIVERANNO LA PORTERANNO CON SE'.
FINO A QUANDO...


L'infermiere, con le cuffie dell'iPod nelle orecchie, si avvicinò allo schermo con il viso fissando incredulo le immagini che si susseguivano di fronte ai suoi occhi.
Il piccolo Jake, quello che aveva sorvegliato giorno e notte da quando lo aveva portato lì, stava venendo scagliato di quà a di là sui muri della sua piccola cella.
Ad ogni colpo, un altro osso del suo fragile corpo veniva spezzato.
Afferrò la cornetta del telefono velocemente, quasi lasciandola cadere in terra.
«Dottoressa Sullivan...deve venire qui.»

NON RINASCERA'.
  
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