Serie TV > Castle
Ricorda la storia  |      
Autore: RedJoanna    28/04/2011    5 recensioni
dal diario di Richard Castle
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Personaggi: Richard Castle, Alexis Castle, Kate Beckett, James Patterson, Lanie Parish, Martha Rodgers.
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, One-Shot.
Note: Questo qui è un esercizio di grammatica che ci è stato assegnato: "scrivi una pagina di diario di un personaggio famoso, realmente esistente oppure tratto da un libro o da un film". Non potevo che scegliere il Riccardone Castello! Mò, quanto è lunga O.O Spero vi piaccia comunque.
Disclaimer: I personaggi presenti nella storia non sono miei, appartengono agli aventi diritto, io li uso senza scopo di lucro e per puro divertimento.


New York, 09-05-2007

 

Fino a qualche sera fa ero uno scrittore con il blocco.
Non scrivevo da mesi, nemmeno sotto le minacce della mia ex-moglie/editor sanguisuga. Avevo fatto morire Derrick Storm, il personaggio che mi aveva donato tanta popolarità, e di notte sognavo la pagina bianca di Word che mi perseguitava, con una pistola in una mano e un sacchetto di petali di rosa e girasoli nell’altra, come in Flowers for your Grave.

Aspetta, ma le pagine di Word hanno le mani?

Non l’avrei mai ammesso, ma ero vicino a sentirmi un fallito. La vita da celebrità è noiosa, perché è sempre uguale e prevedibile, esattamente come per me lo era diventato Storm. Ero stufo di avere a che fare solo con ochette che mi si avvicinavano strillandomi “Sono la tua fan più accanita! Ma dove le prendi le idee?” o “Puoi autografarmi il seno?”.

Anche se quello non mi dispiaceva affatto.

La verità è che avevo bisogno che qualcuno venisse da me per dirmi qualcosa di diverso. Ne stavo appunto parlando con Alexis, la mia adorata figlioletta adolescente, ma molto più matura di suo padre, al party per l’anteprima di Storm Fall, quando mi sono sentito chiamare da una voce femminile.

-Signor Castle?-.

Mi sono girato, con il pennarello già pronto in mano e un sorriso il più ammaliante possibile sulle labbra.

-Dove lo vuoi?-.

Ma dallo sguardo di quella donna seria, dai corti capelli scuri, mi sono reso conto che non elemosinava un autografo sul decolleté. E ne ho avuto la conferma quando mi ha mostrato il distintivo.

-Detective Kate Beckett, Polizia di New York. Dovremmo farle alcune domande su un omicidio che c’è stato stasera-.

Dovevo avere sul viso un’espressione da perfetto pesce lesso. Stavo per dare suono al pensiero che mi stava attraversando la mente, ma mia figlia mi ha preceduto, sfilandomi il pennarello di mano.

-Questo è diverso!-.

In una sala interrogatori del 12° distretto di New York, ho scoperto l’esistenza di uno psicopatico che uccideva le sue vittime seguendo i modi operandi degli assassini dei miei libri, e questo mi esaltava, sebbene, ora che ci penso, è una cosa terribile. Ho cominciato a flirtare con la detective, come faccio con tutte le donne che incontro. Ma lei, a differenza di tutte le altre, non sembrava cedere. È una dura. Mi intriga.

Ed è anche una mia fan.

Le scene del crimine dei due omicidi già commessi non erano ispirati ai miei lavori migliori e solo un mio ammiratore accanito poteva averli letti. E lei, dunque, è un’ammiratrice accanita. E i punti così acquistati si vanno a sommare a quelli ottenuti grazie ai suoi occhi magnifici. Le ho anche offerto di sculacciarmi, ma ha declinato. Mai successo. Davvero, questo sì che è diverso!

Quando sono tornato a casa, mi sono precipitato nel frigo a rimpinzarmi di panna spray. Nonostante fosse l’una meno un quarto di notte, mia madre stava ballando e cantando allegramente (forse un po’ troppo) con Burt, la sua conquista della serata, in salone, mentre Alexis mi aspettava in cucina. Parlare con lei mi aiuta ad avere una visione più nitida e oggettiva del mondo. E così è stato anche quella sera.

Grazie ad una telefonata ad un altro mio fan accanito (il sindaco), sono riuscito ad ottenere un permesso per collaborare con la detective Beckett alla risoluzione del caso. Non ne è stata entusiasta. Cioè, certo che lo è stata, ma non lo ha dato a vedere. Io, invece, ero incredibilmente entusiasta. E questo è l’importante, no?

Abbiamo passato al setaccio tutte le missive che mi sono arrivate per posta, alla ricerca di un qualche indizio. O, meglio, lei cercava qualche indizio. Io la spiavo da dietro una lettera. Ma lei mi ha scoperto. È una donna pazzesca, non ho mai incontrato una come lei prima. Mi incuriosiva moltissimo e ho pensato bene di mettere in mostra le mie doti da analista per fare colpo su di lei. Così, le ho detto tutto quello che ero riuscito a capire di lei. È una donna bella, intelligente, non povera, dato che è di Manhattan. Ma ha deciso di fare il poliziotto, e non l’avvocato, perché la morte dolosa di una persona a lei cara l’ha scottata. Però, mi sono accorto che le mie parole stavano avendo l’unico potere di farla piangere. Così, ho chiuso il becco, profondamente dispiaciuto.

Avevo ragione.

Prima che potessi scusarmi, Kate mi ha mostrato un foglio recante uno schizzo della scena del crimine di Flowers for your Grave alias la scena di uno dei delitti commessi dall’assassino seriale. Ha mandato la lettera al laboratorio della scientifica, mentre noi correvamo in una piscina dove era avvento un altro omicidio, per opera della stessa mano. Nella vasca era distesa una ragazza avvolta in un abito giallo, con un coltello conficcato nella schiena. Death of the Prom Queen. Altro mio libro flop, proprio come Hell Hath no Fury e Flowers for your Grave, a cui il killer si era ispirato. Solo che nel mio libro il vestito della vittima era blu.

Beckett mi ha raccomandato di rimanere sulla soglia e non muovermi. Evidentemente, non mi conosce così bene come ritenevo. Così, appena ha voltato le spalle, le ho prontamente disobbedito, avvicinandomi al medico legale, una simpatica ammiratrice di colore con un caschetto di riccioli scuri e prodiga di lusinghe. La detective, com’era ovvio, mi ha strigliato per il mio comportamento infantile, ma è stata raggiunta da una chiamata che le annunciava un riscontro sulle impronte digitali trovate sul foglio che mi aveva mostrato al distretto.

Ho dato la mia parola di scout che non mi sarei mosso dall’auto finché lei non fosse tornata dall’ispezione dell’appartamento dello psicopatico. Ma ero troppo curioso di vedere il santuario che il killer mi aveva dedicato. E poi, come ho avuto modo di rivelare quando mi hanno scoperto a passeggiare per il salone della casa, non sono mai stato uno scout.

L’abitazione del sospettato era qualcosa di agghiacciante: dappertutto c’erano mie foto, miei libri, schizzi di scene del crimine che la mia mente aveva partorito e fotografie della seconda vittima. La donna che era stata uccisa da lui come quella che io avevo ucciso in Flowers for your Grave.

Libro maledetto. Dovrei bruciarlo. Ma forse sono troppo orgoglioso di me stesso per farlo.

Ma la visione del proprietario della casa mi ha davvero mozzato il respiro da un insieme di emozioni, tra cui la paura e l’orrore. Era seduto in un armadio chiuso e sbatteva ripetutamente la testa contro la parete. In compenso, un pensiero mi ha subito attraversato la mente: quel povero pazzo non poteva essere l’assassino. Anche se, come ho scoperto successivamente, la sua assistente sociale era lei, la ragazza morta con una coperta di petali di rose sul corpo nudo e due girasoli sugli occhi.

Non sono riuscito a convincere Beckett della mia idea, così mi sono consultato con i miei amici scrittori, con cui quella sera avevo in programma un incontro di Texas hold’em. Ed è stato Jamie Patterson a suggerirmi cosa fare: indagare da solo, fregandomene della Polizia.

Così, ho recuperato una copia del manoscritto di Storm Fall, l’ho dedicato a Kate, l’ho impacchettato e, il giorno successivo, mi sono fatto trovare al distretto, seduto alla sua scrivania. Le ho dato il pacchetto e, quando ha letto la dedica, mi ha ringraziato, con le guance arrossate. Ma il rossore delicato è diventato quasi bordeaux quando le ho posato un piccolo bacio sulla guancia, prima di salutarla e andare via.

Non so come possa essermi tradito. Fatto sta che, dopo neanche mezz’ora, Beckett ha irrotto nel mio studio urlando:

-Richard Castle, ti dichiaro in arresto per appropriazione indebita e intralcio alla giustizia-.

Si è ripresa i documenti che avevo sottratto dai fascicoli dei casi, mentre io cercavo in tutti i modi di convincerla della mia idea.

E ci sono riuscito. Ha riaperto i casi appena sono andato via dalla cella di detenzione temporanea con mia madre e Alexis. Ho riflettuto tutta la notte sulla vicenda e, al mattino, sono arrivato alla stessa conclusione della detective: la chiave era Allison, la seconda vittima, l’unica che il presunto killer conosceva. Abbiamo interrogato il padre della ragazza, un importante magnate, e ho subito intuito dal confronto tra lui e le sue fotografie appese nel suo ufficio che aveva un tumore. Allo stadio terminale. Tutto il suo ingente patrimonio sarebbe finito nelle mani di suo figlio Harrison, fratello della vittima, che avrebbe eliminato anche due persone a caso per coprire l’omicidio di sua sorella. Ci siamo dunque precipitati a interrogarlo. Aveva un alibi per tutte e tre le sere degli omicidi: era in viaggio e il suo passaporto gli dava ragione.

Ero deluso: era la prima volta che non avevo ragione in tutta la mia vita. Ma la delusione si trasformò in turbamento e poi in soddisfazione quando Beckett ha iniziato a prendermi in giro perché mi ero bevuto quella che, secondo lei, era una fandonia. Effettivamente, Harrison non sapeva le date e gli orari del primo e del terzo omicidio, eppure aveva già degli alibi pronti.

La mia fantasia di scrittore e le mie amicizie nel campo giuridico hanno fatto il resto: ho avanzato l’ipotesi che Harrison fosse in possesso di un secondo passaporto e che l’avesse usato per rientrare negli Stati Uniti per il tempo occorrente all’esecuzione degli omicidi. Poi, mi sono fatto avere da un giudice mio compagno di golf un mandato per l’appartamento di Harrison.

Mi sentivo così entusiasta all’idea di arrestare un assassino che, per giunta, avevo anche trovato da solo! O quasi...

Ma Beckett mi ha fregato, ammanettandomi all’auto. Mi sono ricordato di avere una chiave universale nella tasca dei jeans. Nel contorcermi per recuperarla, però, è caduta sul selciato. Mi sono esibito in acrobazie mai viste per raccoglierla. Sul serio, perché ho intrapreso la carriera di scrittore? Avrei avuto molto più successo come artista circense!

Alla fine, togliendomi una scarpa e allungandomi in una spaccata, sono riuscito ad afferrare la chiavetta con un piede e a liberarmi, proprio mentre il sospettato si scaraventava giù per le scale antincendio del suo condominio. Devo dire che, da quel momento in poi, non son stato troppo cosciente di quello che stavo facendo. Ho chiamato Beckett per avvertirla della fuga di Harrison e ho cominciato a seguirlo, con le manette appese ad un polso. Gli ho corso dietro per un bel po’ con la scarpa in mano, prima di decidere che fosse d’intralcio e gettarla alle mie spalle.

Ho sentito una presa violenta che mi afferrava da dietro e qualcosa di freddo su una guancia. Harrison mi aveva preso in ostaggio e mi puntava una pistola contro. Beckett, appena ha visto la scena, è sembrata preoccupata all’inverosimile. In un altro momento, me ne sarei sentito lusingato, ma ero troppo preso a escogitare un piano per mettere la mia pelle morbida e rosea in salvo. Ero molto spaventato, ma la stupidità di Harrison mi rassicurava.

Così, ho cominciato a formulare, con la massima calma possibile, le mie accuse dialogando con il mio rapitore. Sono riuscito a distrarlo e... boom! Con una gomitata secca sul naso, mi sono liberato scaraventandolo a terra. Ero così estasiato dalla mia prontezza di riflessi che Beckett ha dovuto ordinarmi bruscamente di passarle le manette che avevo in mano. Poi, mi ha spinto contro un muro, rimproverandomi del mio gesto sconsiderato. E, ridendo, le ho detto che la pistola che Harrison mi aveva puntato contro aveva la sicura.

Più tardi, ho provato a invitare Kate a cena per interrogarci a vicenda e, magari, diventare una delle sue conquiste. Ma ha rifiutato, asserendo che è stato un piacere per lei conoscermi. Come per me è stato un piacere conoscere lei.
-È un vero peccato. Sarebbe stato fantastico- ho mormorato con sincerità. E non mi riferivo solo alla cena.

-Non immagini quanto- mi ha sussurrato lei all’orecchio, prima di sparire.

Quella sera ha scritto come mai mi era successo nella mia vita. Le parole scorrevano a fiumi lungo i nervi che conducevano dal mio cervello alle mie dita e prendevano forma in caratteri neri sulla pagina bianca di Word che prima mi spaventava così tanto.

Avevo trovato la mia musa e non intendevo perderla. Così ho chiamato il sindaco e, il giorno dopo, ero al distretto, pronto a cominciare una collaborazione con tutti i casi gestiti dalla squadra della detective Kate Beckett.

Per la mia felicità e, ovviamente, anche quella di Kate. Anche se non l’ha dato a vedere.
Adesso sono uno scrittore pronto a cominciare una nuova vita.


 

Richard Edgar Castle

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: RedJoanna