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Autore: Oducchan    28/04/2011    6 recensioni
-SCOOOOOOOOOOOZIAAAAAAAAAAA!-
Il poderoso grido riverberò giù per i corridoi, lungo le scale, rimbalzando contro le pareti del salotto e della cucina tanto da far tremare vetri, lampadari e stoviglie fino a giungere al povero destinatario di siffatto richiamo, pacificamente intento ad affiggere sul tetto di casa e attorno alle finestre allegri festoni rossi, bianchi e blu –soprattutto bianchi e blu- in equilibrio precario su una scala a pioli che risaliva probabilmente a una qualche guerra ancestrale.

28 aprile 2011. Il Gran Giorno incombe, e l'intero Regno Unito ferve nei preparativi, cercando di non lasciare nulla al caso e di fare tutto come si deve. Tra Regni, Dipendenze e Territori; tra invitati, fiori, festoni, pulizie e vestiti; tra sorelle furiose, fratelli sull'orlo di una crisi di nervi, parenti più o meno prossimi che si sforzano di collaborare.
E che il Gran Giorno arrivi. Presto, però...
[piccola scemenza per il Royal wedding] [ Con la compartecipazione di tre quarti del Regno Unito (quindi una caterva di OC), un cuoco svizzero, una dozzina di nazioni e un po' di invitati random XD]
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie di una Famiglia Unita. Almeno in teoria'
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Tales of a United Family – questo matrimonio è un affare di Stato

Tales of a United Family – questo matrimonio è un affare di Stato!

 

Ovvero: come rincretinire un intero Regno Unito

 

 

 

 

-SCOOOOOOOOOOOZIAAAAAAAAAAA!-

Il poderoso grido riverberò giù per i corridoi, lungo le scale, rimbalzando contro le pareti del salotto e della cucina tanto da far tremare vetri, lampadari e stoviglie fino a giungere al povero destinatario di siffatto richiamo, pacificamente intento ad affiggere sul tetto di casa e attorno alle finestre allegri festoni rossi, bianchi e blu –soprattutto bianchi e blu- in equilibrio precario su una scala a pioli che risaliva probabilmente a una qualche guerra ancestrale. Inutile dirlo, dopo aver udito al pieno della loro potenza l’emissione delle corde vocali dell’adorata consorte, il suddetto destinatario per poco non cadde da tale altezza e riuscì a mantenersi ritto per puro miracolo. Con precauzione, decise di sbirciare verso terra, dove erano già comparse la gonna estremamente vaporosa e l’elaborata acconciatura della moglie.

-…Sì, Galles?- pigolò, rimpiangendo a calde lacrime il momento in cui si era piegato al volere del fratello apponendo la sua firma al malefico Atto di Unione rinunciando alla fuga su lidi francesi ben più propizi.

-Come sarebbe a dire che America è invitato? Chi ha messo il moccioso sulla lista?- abbaiò per tutta risposta la terribile – si fa per dire – nazione celtica, pugni serrati ben piantati sui fianchi stretti in un corsetto d’altri tempi e l’espressione del viso ben più che furibonda.

-Non… non saprei, tesoro…-Kenneth Kirkland, in barba alla sua fama di uomo temerario e coraggioso, deglutì a vuoto, cercando al contempo di non scivolare mentre si affrettava a rassettare il kilt reso dispettoso da una giocosa folata di vento –La... lista, l’ha compilata Inghilterra. Con la Regina. Quindi…-

-Quindi un corno! Io il cretino non ce lo voglio! Sta pur sicuro che rovina tutto quanto! Dov’è l’imbecille?-

Comprendendo che “il cretino” e “l’imbecille” non erano appellativi rivolti alla sua persona e che forse per una volta poteva ritenersi risparmiato dalla furia omicida della donna, Scozia tentò un lieve sorrisetto, indicando l’interno dell’abitazione.

-Credo che Erin gli stia sistemando l’abito…-

Senza aggiungere un’altra sola parola, Galles acchiappò le estremità vaporose della propria gonnella, le sollevò di quel tanto che le bastava per camminare senza impicci e marciò a passo di guerra verso la porta accompagnata dalla sua temuta furia distruttrice. Appena prima di varcare la soglia di casa, però, si fermò, si voltò, piantò addosso all’adorato marito uno sguardo capace di sbriciolarlo atomo per atomo e puntò un indice in alto, agitandolo minacciosa.

-Raddrizza quello schifo, e vedi di darti una mossa! Ci sono ancora i fiori da sistemare!-

E Scozia, pace all’anima sua, compì il beneamato volo in solitaria che tanto stavamo aspettando.

 

 

Nel frattempo, nei pressi del centro di Londra, da qualche parte tra Westminster Abbey e Buckingham Palace, un’algida ed eterea figura si aggirava per le strade della capitale, diretta al discount di fiducia dove la famiglia si riforniva da diversi secoli con avverse vicende. Dietro di lui zampettava allegramente una seconda persona, ben più minuta ed esuberante, i grandi occhioni azzurri che adocchiavano curiosi alla vita quotidiana della popolazione londinese mentre seguiva celere il suo accompagnatore. Dopo l’ennesimo saltello e dopo essersi nuovamente aggiustato il berretto sul capo, la sua vocina infantile trillò gioiosa con un livello di decibel talmente alto da renderlo udibile dall’altro capo della Manica.

-Fratellone Irlandaaaaaaaa! Mi spieghi perché stai dando una mano pure tu?-

-Semplice Sealand- rispose l’interpellato, senza scomporsi minimamente – Così nessuno viene a rompermi a casa, e una volta sbrigato il lavoro posso ritirarmi in santa pace -

-Ma fratellone Irlandaaaaaaa- continuò imperterrita la piccola nazione del Canale – Ma anche tu detesti Inghilterra, vero?-

-Ovviamente- allargando lateralmente il braccio, Niall fermò il piccino appena prima che un grosso autobus a due piani li falciasse nell’attraversare la strada – Ma mi tratterrò dall’avvelenargli le pietanze. Piuttosto, hai la lista della spesa?-

-Certo!- urlò entusiasta Peter, acchiappandogli il braccio e dondolandoglisi addosso –Però, fratellone… vero che mi dici come diventare una Nazione?-

-Certo, Sealand… ma magari un’altra volta, vai a prendere il carrello, da bravo-

 

 

Quando Galles spalancò la porta dello studio del capofamiglia facendola ruotare sui cardini a velocità fin troppo eccessiva e mandandola a schiantarsi contro la parete, Inghilterra si trovava appollaiato su uno sgabello a tre gambe, una camicia ancora da sistemare addosso e un paio di pantaloni dello smoking che avrebbe dovuto indossare il Gran Giorno in fase di accorciamento, e stava tentando di mandare a memoria il discorso che gli era stato richiesto di pronunciare. China attorno alle sue caviglie, la giovane Irlanda del Nord tentava di dar forma a un orlo passabile di perfezione armeggiando con una seria di spilli. Un momento relativamente tranquillo; alla comparsa della donna, dallo spavento la povera fanciulla finì per conficcare un ago nel tallone del consanguineo nel sobbalzare; il nostro ex pirata preferito tirò un profondo ululato per esprimere la sua sofferenza, saltellando sul piede sano.

Ma Rhiannon non era tipo da farsi impietosire per così poco: avanzò a grandi passi verso il centro della stanza, acchiappò il poveretto per un braccio e gli schiaffò la lista sotto il naso.

-Che diamine vuol dire questa cosa?!?-

Provando ad ignorare il dolore e inghiottendo calde lacrime nello sforzo, Arthur osò abbassare lo sguardo per tentare di comprendere di cosa l’altra stesse parlando.

-Cosa, di grazia?-

-Questo!- il latrato che ricevette in risposta per poco non lo fece volare via come un fuscello –Che è tutta stà gente? Il moccioso, il crucco, addirittura l’incapace! Vuoi per caso che ci dipinga tutta Londra di rosa?!? E poi questi qui! Dove la mettiamo tutta questa gente?-

-Ahem… Galles…- Erin, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a cercare di riparare al danno appena fatto, provò timidamente ad intervenire –La lista degli invitati non l’abbiamo decisa noi…-

-Infatti!- Inghilterra annuì veementemente, agitando la risma di fogli che teneva in mano – li hanno scelti la Regina e i due sposi. Io ho solo spedito gli inviti-

Per qualche istante, Galles rimase alquanto combattuta sul da farsi. Avrebbe voluto far valere le proprie ragioni – insomma, quello lì era pur sempre il suo principe e in quanto tale aveva il diritto di avere voce in capitolo, che iniziasse ad imparare la buon creanza, visto il totale fallimento che era stato il padre al riguardo, e no, lei tutta quella gentaglia a pranzo non l’avrebbe permessa, ma figuriamoci! Pure i calciatori, e soprattutto il moccioso! Il crucco! L’incapace! E tutta la marmaglia di bambocci, come se non bastassero tutte le feste intrafamigliari che già davano!- però sapeva anche che la parola della Sovrana era legge, e che a contestarla sarebbe finita nei guai- ancora si ricordava l’ultima diatriba sul colore delle tende da mettere in bagno. Di conseguenza, tentennò qualche istante, stringendo spasmodicamente la carta scritta tra le dita fino a ridurla in briciole finissime, il dilemma interiore che si faceva strada a momenti alterni sul suo viso, dopodiché raccolse ancora una volta le sue ampie gonne e marciò risolutamente fuori dalla stanza, tuonando furibonda all’indirizzo del tutto e del nulla.

-Non ci sono più i sovrani di una volta!-

Inghilterra assentì mestamente col capo, tornando a proclamare frasi senza tempo sulla felicità matrimoniale e sulla gioia di essere inglesi mentre Erin decideva se mettergli dei calzini blu o rossi.

 

 

-Forza, ragazzi, non ci siamo minimamente! Più forza con quelle voci! Riprendiamo da capo… al mio tre!-

Nelle profondità poco illuminate delle navate di Westminster Abbey, in mezzo a una moltitudine di addetti ai lavori che andavano disponendo fiori, luci, candele e quant’altro per il grande evento, un folto manipolo di ragazzini delle età più disparate stava radunato in file parallele davanti a un giovane che almeno all’apparenza pareva un loro coetaneo. Mann, nervoso come mai era stato, agitò la bacchetta nell’aria come se volesse sferzarla a scudisciate, e il coretto improvvisò qualche nota di canto… steccando in pieno l’intero accordo. Prima però che il suddetto direttore potesse redarguirli ferocemente sull’ennesimo errore, un tizio inguainato in una tonaca sacerdotale affiancò la piccola Isola celtica e si mise a discutere fitto fitto con lui, cosicché dopo un rapido cenno stizzito ai piccoli fu concessa una breve pausa tra i sospiri generali

-Ragazzi, non vedo l’ora che questo casino finisca – sbuffò Gibilterra esasperato, lasciandosi pesantemente scivolare su una delle panche. Al suo fianco, Sant’Elena gli rifilò uno scappellotto, alquanto stizzita dal suo comportamento.

-La vuoi piantare? E tirati su da lì!-

-Smettila di fare la maestrina, non ti sopporto! – gemette di rimando il “fratello”, cercando di nascondere il più possibile l’accento spagnolo che di quando in quando gli scivolava tra i denti –Non sono fatto per cantare, io. Voglio un sano combattimento!-

-Dite che ce la caveremo entro sera? Zio Cipro ci aspetta per cena- domandò incerto uno dei due gemelli dalla pelle abbronzata che stazionavano nella fila più alta, giocherellando dubbioso con la tunica scura che indossava. Suo fratello, al suo fianco, assentì, evitando per un pelo che il suo vicino gli piombasse addosso nel tentativo di sfuggire alla vendetta di un altro marmocchio che protestava vivacemente per uno scherzo subito.

-Cayman! Ridammi gli occhiali, subito! Lo sai che non ci vedo, senza!-

-Vieni a riprenderteli, Falkland! Vediamo come te la cavi senza mammina a proteggerti!-

-La piantate voi due?- con piglio autoritario ereditato, forse, da qualche prossimo parente, Sant’Elena intervenne anche questa volta, acchiappando entrambi per la collottola e separandoli con decisione –State facendo un casino infernale!-

-Ma Josi…-

Qualunque protesta venne messa a tacere dal fracasso delle bacchettate con cui Mann, terminata la conversazione, richiamava tutti quanti all’ordine per proseguire le prove generali. Dopo qualche secondo di caos in cui tutti tentavano di tornare il più velocemente possibile al loro posto tra una lamentela e l’altra, la Dipendenza iniziò ad impartire direttive a raffica.

-Vedete di metterci i polmoni, santo cielo, sembrate delle caprette al pascolo, e non distraetevi! Fate silenzio, là dietro! E Gibilterra, piantala di lagnarti, o giuro che chiedo a Inghilterra di spedirti da Spagna! Ora, di nuovo, riproviamo…-

 

 

-Famiglia! Siamo a casa!-

-Inghilterra! Preparati! Zio Irlanda mi spiegherà come diventare una nazione vera!-

Quando Eire fece il suo trionfale ingresso a casa, carico di borse piene dei più svariati generi alimentari e con un Sealand estremamente entusiasta al seguito, nessuno gli diede molta attenzione, essendo i suoi famigliari impegnati a tirare a lucido ogni singolo angolo della casa. Solo Scozia, che essendo deputato alla lucidatura dell’argenteria si trovava nella stanza, sollevò il capo dal suo lavoro quel tanto che bastava per rivolger loro un saluto degno di tale nome; gli altri, impegnati chi a spolverare, chi a lavare i pavimenti, chi a far sparire ragnatele o diavolerie inglesi, si limitarono a un mugugno sincopato senza restar molta attenzione ai nuovi arrivati.

-Vado a scaricare i sacchetti!-

Con passo atletico Niall s’incamminò verso la cucina, lasciando che il piccolo Peter potesse scorazzare per casa a combinare qualche disastro – dopo il primo vaso schiantato a terra, tuttavia, Galles partì immediatamente all’inseguimento vanificando ore e ore di lavoro -; sennonché, quando provò ad aprire la porta del locale, per poco la sua testa non venne tranciata di netto da un coltello volante che s’incastrò proprio a qualche centimetro dal suo naso.

-HO DETTO FUORI!-

-Ahem… Mister Svizzera, vengo in pace!- per far intendere meglio le sue intenzioni, il poverino sollevò i sacchetti di plastica tendendoli in avanti – Le ho portato quello che mi ha chiesto…-

Facendo capolino da dietro il frigorifero, la divisa da chef tirata a lucido e una seconda lama già pronta in mano per dissuadere l’intruso dall’avanzare ulteriormente, Vash storse il naso in una smorfia diffidente, squadrando da capo a piedi prima Irlanda e la sua espressione “rassicurante”, poi le borse piene di cibo e bevande, dopodiché si strinse nelle spalle e tornò alle pentole.

-Appoggia tutto sul tavolo e sparisci-

Lieto di essere sopravvissuto, Niall eseguì subito l’ordine, allineando la spesa sulla tavola della cucina, e si concesse qualche secondo per curiosare su cosa stesse mai combinando il cuoco, incaricato dalla famiglia reale in persona di provvedere al pranzo del Gran Giorno. Un particolare profumo, a lui che ci era quasi avvezzo, attirò particolarmente l’attenzione: annusò cautamente l’aria, ponderò attentamente le informazioni giunte dalle papille olfattive e poi azzardò…

-Vash, per caso stai preparando la fonduta?-

Quelle rischiarono di essere le sue ultime parole, visto l’impegno che lo svizzero ci mise per farlo passare a miglior vita entro il quarto d’ora successivo.

 

 

Nel piccolo laboratorio in fondo al corridoio, ex sgabuzzino ora adibito a cucinino, un altro paio di marmocchi si affaccendava tra ciotole, confezioni di farina, frutta candita e uova, dando prova delle loro abilità culinarie nella preparazione delle torte richieste dalla tradizione. Dopotutto, se buon sangue non mentiva, la loro dose di globuli francesi li rendeva tra i più adatti ad assolvere il compito.

Traballando sotto il peso della bacinella colma di crema che teneva tra le braccia, il piccolo Jersey scese dalla sedia su sui era appollaiato, trotterellò dall’altra parte del tavolo per prendere la ciotola con il caco da aggiungere; si protese per afferrare anche questa, poi, incerto, alzò lo sguardo sul fratello maggiore, impegnato a sbattere le uova.

-Guernsey… la cioccolata va prima o dopo l’aggiunta dello zucchero?-

L’altro si fermò, la frusta sporca di albume tra le dita, e sollevò il viso dal lavoro scostando una dispettosa ciocca di setosi capelli biondi dal viso, ponderando sulla domanda e provando a far mente locare sulla ricetta. Non riuscendo a giungere a nessuna conclusione, si strinse nelle spalle

-Mettili assieme. Tanto male non fa-

Il bimbo annuì, compunto. Proprio in quel momento, si udì il poderoso trillo del telefono, e notando che dalle altre stanze nessuno provvedeva a rispondere, il piccolo Baliato depositò la scodella sul piano della sedia più vicino, si pulì blandamente le manine nel grembiule che portava in vita e si affrettò verso la cornetta della diramazione telefonica presente nella stanza, sollevandola di peso per rispondere.

-Pronto, qui casa Regno Unito! ... Chi? Ah, ciao zio Canada! No, Inghilterra non è qui. Sì, glielo dico io… va bene… a presto! Ciao, e salutami Kumajiro!-

Dopo aver diligentemente riappeso, si diresse alacremente alla porta, aprendola quel tanto che bastava per lasciar passare la testa e cacciandola fuori strillò a pieni polmoni, rivolto ai cari parenti che si trovavano dislocati per casa.

-Zio Canada ha detto che al matrimonio non può venire!!!!-

Dopodiché, richiuse l’uscio, fece dietrofront e tornò al tavolo, riprendendo in mano l’impasto che aveva lasciato. Non ricordandosi minimamente di quel che stava facendo, lo fissò per qualche secondo pensieroso, poi sbuffò e rovesciò uno dei barattoli insieme agli altri ingredienti, correndo infine a preparare il forno.

Peccato che nella fretta, non si era accorto di aver preso il sale al posto dello zucchero.

 

 

 

Incapace di mascherare la smorfia che gli nasceva spontanea sul viso, Scozia squadrò minacciosamente il muso del cavallo che, ignaro di quanto accadeva attorno a lui, stava pacificamente ruminando un paio di fili di fieno, attendendo paziente che qualche dipendente delle scuderie reali si recasse a badare a lui. Parzialmente rassicurato, Kenneth si avvicinò diffidente all’equino, nascondendo la spazzola che impugnava in mano dietro la schiena e tendendo invece l’altra per carezzargli benevolo il collo maestoso e la lucida criniera.

-Buono…-

L’animale lo lasciò fare di buon grado, limitandosi a fare un mezzo passo di lato e a mostrargli di più il fianco; la Nazione allora decise di approfittarne, provando a sfoderare la striglia e iniziando a passarla, prima con delicatezza e poi con maggiore energia, sul pelame della bestia iniziando di buona lena a spazzolarglielo per renderlo presentabile per il Gran Giorno.

Sennonché, proprio in quel momento, la porta della scuderia venne spalancata di colpo e una minacciosa figura si stagliò all’orizzonte, richiamandolo per l’ennesima volta.

-SCOZIA!-

Spaventato dal gran grido, il cavallo nitrì paurosamente, scartando in avanti e impennandosi sulle zampe posteriori. Scozia provò a calmarlo, ma nella concitazione l’unica cosa che ottenne fu di beccarsi un bel calcio e di finire a gambe levate nel mucchio di paglia appena rastrellata nell’angolo del box.

-Vedi di darti una mossa! Devi pulire tutti i bagni e poi disinfestare il giardino, è pieno di pixies! Muoviti!-

Senza degnarlo nemmeno di uno sguardo – d’altronde, manco l’aveva visto, e se mai i suoi occhi si fossero degnati di soffermarsi sulla sua persona si sarebbe unicamente irritata ulteriormente, vista la pietosa posizione assunta dal marito e le vergognose condizioni in cui verteva il kilt del suddetto – Galles tornò alle proprie mansioni, lasciando Scozia alle prese con un cavallo terrorizzato, una carrozza da lustrare, dei gabinetti da tirare a lucido e un giardino da bonificare.

 

 

 

Dopo aver colloquiato per l’ennesima volta con Sua Altezza, dopo aver parlato con l’Arcivescovo di Canterbury, il suo boss, i boss dei suoi fratelli, il fotografo, il fioraio, il giardiniere, il direttore dell’orchestra, i musicisti, il padre della Sposa, e pure metà degli invitati, dopo aver assistito alle prove generali, dopo essersi assicurato che il percorso della carrozza reale era stato studiato alla perfezione, dopo aver personalmente provveduto alla scelta delle Guardie Reali, dopo aver deciso i posti a sedere a tavola, dopo aver tentato di spiegare a Francis che no, non era invitato e guai se si presentava, agli Italiani che non serviva della pasta, a Prussia che di birra ce n’era più che in abbondanza, a Spagna di lasciare a casa i tori e a Danimarca di far sparire l’ascia, Inghilterra pensava seriamente di aver finito con i propri doveri e di potersi concedere un bicchierino di whiskey.

Evidentemente si sbagliava.

-Giappone ha declinato l’invito, quindi dobbiamo rivedere di nuovo la disposizione dei posti…-

Con un sospiro, Arthur si strofinò piano le palpebre, prima di sfilare la lista dalle minute mani della sorella e di dare un’occhiata al piccolo schema.

-Dov’è il problema? Basta togliere il suo nome-.

-Sì, certo – assentì Erin, paziente – però se ti ricordi lo avevamo messo vicino a Olanda, così da non farlo litigare con Spagna. A questo punto conviene spostare Antonio dall’altro lato e mettere Monaco al posto suo-.

Fin troppo stanco per ribattere, Inghilterra si limitò ad annuire, rendendole il foglio cosicché potesse modificare la pianificazione. Giusto in quel momento il telefono riprese a strillare, e il poverino si vide costretto ad afferrare la cornetta e a prendere di persona la conversazione.

-Pronto? America, che diavolo c’è di nuovo? No, non puoi venire in jeans e maglietta. Non m’interessa, è un Matrimonio Reale! Fatti prestare qualcosa da Canada… come chi? Canada, idiota! Sì, sì, sei l’eroe, ma l’eroe deve venire in smoking, o giuro che è la volta buona che ti taglio la testa! No, non ci saranno gli hamburger…-

Con discrezione, Erin ripiegò velocemente verso il corridoio, lasciando che il fratello se la sbrigasse da solo con l’adorata ex-colonia, e andò a provvedere alle ultime mansioni domestiche.

 

 

Notte buia. Poche stelle. Temperatura tiepida. Quatto quatto, Inghilterra attraversò rapidamente la strada cercando di farsi notare il meno possibile, e dopo essersi accuratamente guardato attorno s’infilò discretamente nel piccolo pub irlandese incuneato all’angolo tra le due strade, appoggiandosi delicatamente alla porta per controllare che nessuno lo avesse seguito. Il locale, immerso in una salubre penombra, era come al solito mediamente affollato, cullato da una melanconica serenata celtica, e nessuno parve fare caso a lui, se non il barista che lo riconobbe e accennò a un gesto di saluto. Cauto, Arthur si avvicinò al bancone, sedendosi allo sgabello libero tra due altri avventori.

-Una Guinnes, prego – ordinò per iniziare.

-Irlandese? Mi stupisci, vecchia calzetta. Fossi in te mi vergognerei, tra parentesi-

Sobbalzando per la sorpresa, Inghilterra si voltò immediatamente a individuare chi avesse parlato, stupendosi ancora di più quando Scozia, seduto al suo fianco, gli assestò pure una pacca sulla spalla ridendo sguaiatamente. Punto sul vivo, l’inglese arricciò il naso.

-Perché, tu che hai preso?-

-Una Caledonian Double Amber, ovviamente- rise lo scozzese, picchiettando un indice contro il bicchiere già mezzo vuoto. Un brontolio, e un’altra persona s’intromise nella conversazione

-Bleah, quella roba fa schifo. Dovresti provare una Hilden ale-

Irlanda del nord, si sporse appena al loro indirizzo con aria saputa, scatenando una nuova ondata di risate in Scozia, che per poco non si rovesciò per terra.

-Cosa vuoi saperne tu, mocciosa?-

-Ho imparato dal migliore, io-

-Grazie per il complimento- ironizzò Arthur, afferrando il boccale appena giunto sul bancone e portandolo alle labbra. Erin fece una smorfia di disappunto.

-Non parlavo mica di te-

-La volete far finita? Sto cercando di ascoltare il notiziario!-

Il terzetto ammutolì all’unisono, riconoscendo la ben nota voce: infatti, alla destra di Erin, stava seduta proprio Galles, l’ampio abito ben raccolto attorno alle gambe e la crocchia di capelli che reggeva ancora in capo, per quanto un poco spettinata. La donna, senza dar loro la minima attenzione, sorseggiò un goccio della sua Welsh Ale –prodotta solo ed unicamente per lei, unica consumatrice dell’antica ricetta in tutto il Regno Unito – e seguitò a provare a riconoscere qualche suono comprensibile proveniente dal piccolo televisore che ronzava nell’angolo, ignorato dalla maggior parte dei presenti. In religioso silenzio, anche le altre tre Nazioni la imitarono, ma il brusio delle chiacchiere degli altri avventori era ben più alo del volume del teleschermo, così si limitarono ad osservare le immagini scorrere una dopo l’altra. Quando poi partì un servizio sul Gran Giorno ormai imminente, scappò loro un sospiro all’unisono.

-Ormai ci siamo – ponderò Scozia, rimestando i rimasugli di birra nel suo boccale.

-Meno male. Giuro che se anche per Harry dobbiamo fare tutto questo pandemonio, mi rifiuto di dargli il permesso – brontolò Inghilterra, depositando la sua pinta e restando a fissare la birra scura.

-Speriamo che vada tutto bene… - sospirò Erin, ravviandosi i corti capelli biondi con aria alquanto esausta.

-Ah, quello è il minimo. Poi, al massimo li rimetto in riga io- brontolò Galles, abbassando lo sguardo a sistemarsi meglio l’abito e allentando appena i nodi del corsetto fin troppo stretto.

Tacquero tutti e quattro un altro istante, poi Scozia, con fare serafico, alzò nell’aria il proprio bicchiere, un mezzo sorriso sulle labbra sottili.

-Al Regno Unito, a William, a Kate, e al matrimonio!-

Seppur manifestando riluttanza, anche gli altri tre fratelli lo imitarono, picchiando gentilmente tra loro i quattro boccali all’indirizzo dei futuri sposi.

-Al Regno Unito, a William, a Kate, e al matrimonio!- ripeterono in coro. Poi li scolarono all’unisono senza la minima esitazione, chiamando subito dopo il barista per avere una seconda razione.

E sul ritmo di una jig esuberante ma un po’ malinconica, la serata galoppò rapida fino al termine, accompagnando il Regno Unito verso il Gran Giorno.

 

 

 

 

 

Note:

-Tra gli invitati alle nozze tra William d’Inghilterra e Kate Middleton figurano tra gli altri: l’ambasciatore di America (il moccioso), quello di Polonia (l’incapace), il presidente di Germania (il crucco), i principi di Monaco, la regina di Spagna e quella di Danimarca, nonché una serie di governatori di vari paesi del Commonwealth e quelli dei territori d’oltremare. Il primo ministro del Canada e il principe del Giappone hanno declinato l’invito. Non ci saranno rappresentanti di Francia e Italia, mentre per l’Irlanda sarà presente solo l’arcivescovo di Dublino

-il cuoco del pranzo offerto dalla regina è svizzero.

-In corpo di storia sono presenti: Inghilterra, Scozia (Kenneth), Galles (Rhiannon), Irlanda del Nord (Erin), Eire (Niall), Sealand, Isola di Mann, i Baliati di Jersey (Henry) e Guernsey (Charles) [i quali sono Dipendenze della Corona in quanto la regina è Duchessa di Normandia, indi sono di ascendenza francese], Sant’Elena (Josephine), Gibilterra (Estevan), Falkland (la cui “mamma” è Argentina), Cayman, Akroiti e Dhekelia.

-Le birre citate sono tipiche ciascuna della Nazione che la beve (a parte ovviamente la Guinnes, celeberrima stout irlandese e non inglese e che ho piazzato per puro sfizio). La welsh ale è una birra di epoca anglosassone, ormai fuori produzione.

-La jig è un tipo di musica e ballo irlandese.

-…credo di aver detto tutto O_ò

   
 
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