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Autore: Minnow19    29/04/2011    2 recensioni
L'amore per le persone è tutto.
E' difficile, duro, fa stare bene ma fa anche stare male.
Saremo anche masochisti, ma anche quando fa male l'amore è bello.
Ed è amore, Amore Vero, quello tra Joe e Mary.
Ma vi è mai capitato che i vostri genitori si opponessero ad un legame che per voi significa tutto? Vi è mai capitato che vi separassero dal vostro amato? Questo è quello che succede a Mary.
Riuscirà Joe a ritrovarla e a far tornare tutto com'era prima?
*Dedicata a __MariMalfoy*
Ti voglio bene tesorooo:):)
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ecco a voi la mia nuova FF, spero vi piaccia tanto perché ci ho messo davvero il cuore.
Premetto che la parte in grigio è il presente, mentre quella in nero è il flashback:)

Dedicata alla mia Mari, che tutti voi conoscete come __MariMalfoy.
Grazie per essere la mia fantastica fotocopia,
Grazie perché ogni volta che ci sentiamo mi diverto da matti,
Grazie per il futuro 11 Giugno (dai, che ci perdiamo anche noi nello stereo degli All Time Low),
Grazie per essere così fantastica come sei
E soprattutto grazie per aver dato vita a questa one shot.
Ti voglio un mondo di bene:)
Sei fantastica.. 
Ju

-This Love Is Difficult, But It’s Real-

{Joe/Mary}
Joe and Mary

Faccio scorrere la porta sotto le mie dita ed entro in cucina.
Il marmo gelido del pavimento sfiora i miei piedi freddi e mi godo la sensazione della pelle che si appoggia su di esso per poi lasciarlo dolcemente: amo camminare a piedi nudi per casa:
Mi siedo sulla penisola della cucina e apro il frigo davanti a me. Prendo una bottiglia di latte e afferro dietro di me un bicchiere: Svito il tappo e osservo il latte candido riempire lentamente il bicchiere rosso, trasparente.
Chiudo gli occhi e mi godo il sapore dolciastro e fresco del latte, per poi osservare il paesaggio fuori dalla finestra.
Guardo lo spicchio di luna nel cielo scuro e pesto.
Una mano si posa lentamente sulla mia gamba.
“Cosa fai sveglia a quest’ora?”
“Guardo il cielo e le stelle.”
“Le stelle?”
“Sì, sì. Le stelle. Mi fanno pensare.”
“E a cosa?”
“A una persona, tesoro mio”
Prendo Noah in braccio e passo una mano nei suoi capelli scuri come il carbone.
“Posso guardarle con te, mamma?”
“Certo piccolo.”
“Mamma?”
“Sì?”
“Quelle stelle brillano come i tuoi occhi.”
Quattro anni ed è già un poeta. Sorrido e inevitabilmente mi lascio trascinare dai ricordi che quella frase fa riemergere, fino a tornare a sei anni fa, a quei momenti che avevo ritenuto i più felici della mia vita.

“Quelle stelle brillano come i tuoi occhi” mi disse guardando il cielo.
“Grazie” risposi arrossendo.
“Ma ce n’è una che brilla più di tutte. La vedi quella stella lì, la terza a sinistra dalla luna, vicino alla costellazione dell’Orsa Maggiore?”
“Sì.”
“Ecco, quella è Mary.”
“Ma cosa dici? Non puoi dare i nomi alle stelle a tuo piacimento.”
“Non hai capito. Quella è la tua stella. Buon anniversario tesoro.”
“Anche a te amore.”
Mi baciò nel suo solito modo.

I suoi baci mi annebbiavano la mente, mi lasciavano senza respiro, mi portavano sulla Luna.
Le sue labbra combaciavano sulle mie alla perfezione mentre io mi annullavo completamente.

“Joe?” sussurrai. “Anche io ho un regalo per te.”
“Un altro? Mi hai già dato quello splendido orologio stamattina.”
Sorrisi al ricordo del Rolex che gli piaceva da mesi e per il quale avevo speso tutti i miei risparmi.
“Sì, ma vedi.. Il mio regalo non posso dartelo qui all’aperto. Non vorrei turbare i vicini”
Sorrisi maliziosa mentre vedevo il suo sguardo accendersi.
Lo baciai sulle labbra lentamente per poi alzarmi, scostarmi il piumone di dosso per entrare dentro l’appartamento dalla terrazza.
Lo sentii seguirmi dietro di me.

“Dove vai?” mi chiese.
“Beh, non mi sembra che tu abbia molta voglia di questo regalo” dissi mettendo il broncio.
Mi si avvicinò e cominciò a baciarmi la spalla, per poi salire lungo il collo, facendomi sussultare.
“E ora?” chiese.
“No. Non mi sembra.”
Mi spinse leggermente sul divano e si mise sopra di me, cominciando a vestire le spalle con piccoli baci fugaci.
“E adesso?” chiese ad un centimetro dalla mia bocca, giocando con i gancetti del mio reggiseno.
“Comincio a sentire qualcosa” ammisi sorridendogli e impossessandomi di nuovo di quelle labbra.
Inutile dire che smettemmo presto di parlare per dedicarci al “mio regalo”.
**
Dopo aver fatto l’Amore con Joe mi accoccolai al suo petto roccioso mentre sentivo la sua mano che mi accarezzava i capelli dolcemente.
Era tutto perfetto quando sentimmo bussare violentemente alla porta.

“Jonas!! Apri subito questa porta!!” esclamò una voce maschile, furiosa.
Mi spaventai e tentai di vestirmi mentre Joe indossava di fretta i boxer per poi andare ad aprire.
Risi pensando alla reazione che avrebbe avuto chiunque l’avrebbe visto.
“JONAS!!”
“Un momento. Un momento! Che modi!!”

Joe aprì l’uscio e in quel momento cominciò l’inferno.
“Scusi ma le sembra questa l’ora di arrivare? E soprattutto chi è lei?” chiese Joe. Erano le tre del mattino.
“Sì, mi sembra proprio questa l’ora, dato che sei qui con MIA figlia!”
Sbiancai di colpo riconoscendo la voce di mio padre.
“Mary? MARY? Dove sei?”

Varcò la soglia della casa e mi vide.
Mi vide come non avrei mai voluto che mi vedesse.
Avevo i capelli scompigliati, il reggiseno con la spallina abbassata, la coperta che mi copriva la vita mentre tiravo su velocemente le mutande.
I miei vestiti erano sparsi per la stanza.

“Mary, prendi subito le tue cose, andiamo a casa.” disse a voce alta, irritato.
“Ma..” provai a ribattere.
"Niente ma. Prendi tutto. E tu.." disse rivolgendosi a Joe. "TU non provare mai più ad avvicinarti a mia figlia perché giuro che te ne pentiresti amaramente." detto questo, anzi, urlato questo gli tirò un pugno in pieno viso, facendo sanguinare il suo naso.
Mi alzai di colpo per avvicinarmi a Joe.
“Ma io amo Mary!!” ribatté lui, ricevendo in cambio un altro pugno, nell’occhio.
“Smettila papà, smettila!! Lascialo stare! Vuoi picchiare qualcuno? Picchia me, ma non lui! Lui non lo devi neanche toccare!”
“Smettila Mary. Questo era un avvertimento. E ora ce ne andiamo, sbrigati.” Si diresse verso la porta fissandomi.
Feci per prendere le mie cose, quando Joe mi diede la sua maglia per coprirmi.
“Così mi sentirai vicino a te.” sussurrò.

Una lacrima scese dal mio viso, seguita da altre.
“Mi dispiace Joe.”
“Shh. Stai tranquilla..” disse abbracciandomi.
“Ti amo Joe.”
“Anche io Mary. Ti amo da morire.”
Approfittai di quel momento per baciarlo un’ultima volta mentre mio padre non guardava.
Dieci schifosi secondi.
Uscii di fretta da lì, spinta a forza da mio padre.
Scesi le scale di corsa con mio padre dietro di me.
Uscita al buoi di quella città silenziosa vidi Joe che mi osservava affranto dalla terrazza.
“Ti amo” sillabai bene con le labbra.
Lo vidi rispondere allo stesso modo per poi rientrare in casa.

Entrai in macchina e mi sedetti nei sedili anteriori.
“Ti odio!” esclamai a mio padre.
“Smettila Mary! Sono tuo padre!”
“No! Non la smetto. Come hai potuto venire qui? Come facevi a sapere dov’ero?”
“Sono andato a casa di Kate perché avevi lasciato a casa il pigiama e lei ha cercato di farmi credere che tu fossi sotto la doccia, e ci sarebbe riuscita se non fosse uscita sua madre, dicendo che non ti aveva nemmeno vista! E dopo milioni e milioni di prediche Kate ha confessato che eri da quello lì.”
Vaffanculo alla Signora Browne.
“Prima di tutto non chiamarlo “quello lì”. Si chiama Joe, è il mio ragazzo e io lo amo.”
“Smettila di dire sciocchezze! Tu non lo vedrai più.”
“Non farò quello che vuoi tu. Seguirò il mio cuore, e esso appartiene a Joe, e quindi starò con lui!”
“Non esiste! Hai 16 anni e fino a quando sarò responsabile della tua vita e vivrai sotto il mio tetto farai ciò che dico io!”
“Non puoi impedirmi di vedere il ragazzo che amo!” urlai con le lacrime che scorrevano lungo le guance.
“Invece sì. Ha 23 anni compiuti, e se non la smetti di vederlo immediatamente gli arriverà una bella denuncia per aver avuto rapporti sessuali con una minorenne!”
“Smettila papà! Joe non è di certo un pedofilo! Sono ben cosciente di ciò a cui andavo incontro mettendomi con lui!”
“A quanto pare no! Non ti voglio più vedere vicino a quella rockstar da strapazzo” concluse parcheggiando l’auto “Ora devi fare la tua scelta.”
“Ti odio con tutto il mio cuore!” urlai sbattendo la portiera ed entrando a casa, correndo in camera mia.

Mi gettai a letto e cominciai a sentire le lacrime pesanti che solcavano il mio viso senza sosta.
Mi rannicchiai su me stessa e cominciai a pensare davvero sul da farsi.
Non sapevo cosa fare. Essere egoista, continuare a frequentare Joe e rischiare che mio padre lo denunciasse, o lasciarlo andare per il suo bene e darla vinta a mio madre?
Da una parte il dolore per la perdita di Joe sembrava implacabile, stare senza di lui mi sembrava impossibile, ma non volevo rovinargli la vita. Dall’altra, da ragazza innamorata e fin troppo orgogliosa che ero, non volevo darla vinta a mio padre.
Con tutte le varie possibilità che si formulavano nella mia testa mi abbandonai alle braccia di Morfeo, che non mi accolsero proprio amichevolmente.
Feci un incubo in cui mio padre denunciava Joe e il giudice lo dichiarava colpevole, la sua carriera veniva rovinata e lui finiva in prigione. Nel sogno io passavo ogni giorno fuori dalla prigione per vederlo dalla finestra con il viso sofferente e quegli occhi tristi e innocenti.
Mi svegliai alle 10.30 a.m. e corsi in bagno per bagnarmi il viso sudato e pieno di gocce di rugiada ancora fresche: avevo pianto tutta la notte.
Poi mi lavai, indossai una t-shirt e un paio di shorts di jeans puliti e scesi giù per fare colazione.
La testa pulsava tremendamente e il mio cuore  pesava terribilmente nel petto, quasi come se volesse risucchiarmi al centro della terra.
Notai un post it sul frigo: <>
Non ci posso credere! Ero sorvegliata a vista dal giardiniere! Presi l’Iphone sopra al tavolo e mi venne un colpo quando comparve  una foto di me e Joe sorridenti sulla spiaggia di Santa Monica.
Nella foto si notava alle nostre spalle una bella giornata californiana; noi eravamo in costume e io facevo una faccia buffa mentre lui mi baciava una guancia.
Sussultai pensando a tutti i bei momenti passati assieme e decisi di mandargli un SMS.
“Mi dispiace” digitai solo questo. Inviai.
Qualche minuto dopo arrivò un SMS di Joe. “Mi manchi”
“Ti amo” scrissi.
“Ti amo anch’io.”
Digitai il numero di Joe in gran velocità sul tastierino e dopo qualche squillo rispose:
“Non mi aspettavo una tua telefonata!”
“Mi dispiace”

“Anche a me. Vorrei parlare con tuo padre, spiegargli.”
“No, sul serio. Non capirebbe.”
“Ma qual è il suo problema? Il fatto che sono una rockstar? Guarda che mollo tutto per te..”
“No, no. Non dire cavolate. Il suo problema è la nostra differenza di età.”

Sentii il silenzio dall’altra parte della linea.
Il vuoto.
Sapevo bene a cosa pensava.
Era il problema che si ponevano tutti. Sette anni.
Sette fottuti anni.
Poco importava il sentimento che ci univa.
Tutti sembravano soffermarsi su quei sette maledetti anni.
Anche i suoi genitori inizialmente si erano opposti al nostro amore, forse per il fatto che sono più piccola del fratello di Joe, Nick, ma alla fine avevano accettato la situazione.
Mi accoglievano come una figlia ormai: ero di casa, da loro.
Le uniche persona che non sapevano nulla della mia situazione sentimentale erano mia madre e mio padre.

“Joe, ci sei?”
“Sì”
“Beh, ecco. Ti vorrei vedere ma sono sotto sorveglianza.”
“Ah.. Tuo padre?”
“Sì, ma giuro, niente e nessuno potrà mai separarmi da te. Ti amo Joe.”
“Ti amo anch’io piccola.”
“Vedrai, lo dovranno accettare, come hanno fatto i tuoi.”
“Lo spero.. Anche se i miei non ci hanno mai trovato dopo che.. dopo.. dai, hai capito.”
Lo potevo immaginare mentre le sue guance si tingevano di rosso e si passava nervosamente una mano tra i capelli scuri.
“Se è per questo i tuoi non se lo immaginano nemmeno.”
Sorrisi pensando al fatto che l’unico motivo per cui si era tolto quell’anello ero io.
‘Voglio viverti in ogni modo possibile, perché so che sarai sempre e solo mia.’ Così aveva detto, prima di infrangere quella promessa che per lui era stata sempre fondamentale.

“Voglio viverti in ogni modo possibile, perché so che sarai sempre e solo mia.” Disse come se mi avesse letto nel pensiero.
“Dubito che Denise sarebbe d’accordo.”
“Non sono cose che la riguardano, comunque. È una mia scelta. E io ho scelto te, lo sai.”
“Sì, lo so. Vorrei che i miei la pensassero allo stesso modo.”
“Dai stai tranquilla. Ce la faremo. E poi, tra due anni, possiamo scappare assieme, e io non verrei ritenuto un criminale in tutti e 50 gli stati per averti rapita. Due anni e sei tutta mia.”
“Due anni. Sono tanti, sai? Potresti anche scordarti di me.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Ti amo, lo sai. Ci siamo conosciuti per caso, ma esserti venuto addosso mentre facevo jogging è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata.”
“È la stessa cosa per me, Joe. Ti amo infinitamente.”
Sentii la chiave girare nella serratura.
“È arrivato mio padre. Ti chiamo io. Ti amo.”
“Anche io. Un bacio grande. A dopo.”
Riagganciai e mi sedetti velocemente su una sedia.

“Ciao Mary” mi salutò mio padre.
“Ciao” risposi io arrabbiata.
“Tra una settimana parti” buttò lì.
“Cosa?” Esclamai sbalordita.
“Ho parlato con tua madre. Ora che si è trasferita definitivamente puoi andare a stare da lei.” Rispose.
Mia madre si era sposata in seconde nozze con uno dei più famosi allenatori di baseball d’America, Jhonny Narron, e quindi ogni volta che c’erano partite fuori casa lo seguiva ovunque.
“E Jhonny?” chiesi pensando a quell’idiota del mio patrigno.
“Gli hanno offerto un posto fisso come direttore generale. Non dovrà più spostarsi più di tanto. Allenerà i Texas Rangers solo in casa. Lavorerà a Dallas.”
“A DALLAS??” no, doveva esserci un malinteso. Forse era uno scherzo.
“Sì”
“Io non me ne vado da Los Angeles!”
“Dovrai farlo tesoro. Abbiamo già mandato i fogli per l’affidamento al giudice.”
Odiavo profondamente il fatto che i miei genitori fossero divorziati. Se mi madre fosse ancora qui, magari non mi sarei trasferita a chilometri di distanza dalla persona più importante della mia vita.
“Non provare nemmeno a chiamarmi tesoro!!”
“Mary..” cominciò.
“Io esco” afferrai di corsa la borsa e le scarpe e mi diressi verso la porta.
“Dove.. ?” Provò a chiedermi.
“Sì, vado da Lui!! Me ne vado tra una settimana, non ho altra scelta purtroppo, quindi vorrei salutarlo come si deve!!!”

Uscii sbattendo la porta, ma non riuscii ad impedire a mio padre di vedere una grossa lacrima che scendeva sulla mia guancia, la prima di molte.
Entrai in auto e misi in moto per andarmene, senza guardare indietro.
Cominciai a piangere, e dentro di me il mio cuore si riempiva della consapevolezza che stavo per perdere la cosa più importante della mia vita, e non potevo fare nulla per impedirlo.
Ero a metà strada per arrivare a casa di Joe quando mi ricordai che era Domenica.
Era a casa dei suoi per il solito pranzo di famiglia.
Cercando di non perdere il controllo feci un’inversione a U nella strada deserta e premetti forte il piede contro l’acceleratore. Il motore ruggì, la gente dietro di me mi maledì e con la macchina a 200 km/h mi diressi verso la cittadina di Toluca Lake.
Avevo bisogno di vederlo.
Sgommai sul vialetto tirando su una valanga di polvere e parcheggiai la macchina rumorosamente.
Mi diressi verso la veranda di casa Jonas, dove cominciai a suonare il campanello più volte, fino a quando Denise venne ad aprirmi.
Appena mi vide si portò le mani alla bocca, e realizzai come dovevo apparire ai suoi occhi.
I capelli erano tutti arruffati da quanto li avevo tormentati, e gli occhi erano terribilmente rossi e gonfi. Le guance erano sicuramente rosse e bagnate, inondate dalle lacrime incessanti. E per finire ero vestita da casa, shorts in cotone, maglietta e un paio di sneakers tutte rovinate: in poche parole, impresentabile.
Sembrava proprio che mi fossi appena svegliata.
“Mary, che cosa..?” mi chiese lei amorevolmente.
“Denise, mi dispiace interrompervi, so quanto sia importante per voi il pranzo di domenica, ma è urgente. Devo parlare con Joe. È qui?” chiesi singhiozzando, mortificata.
“JOE!! Vieni qui!” chiamò Denise il figlio, che arrivò borbottando.
“Ancora posta mamma? Ma i fan non hanno niente di meglio da..” si interruppe appena mi vide.
Probabilmente capì che portavo cattive notizie.

“MARY!!” mi corse incontro e lo sentii stringermi forte al petto, e in quel momento mi lasciai andare.
Piansi tutte le lacrime che avevo, sostenuta dalle sue forti braccia, le uniche che mi potevano impedire di cadere in un pozzo senza fondo.
“Vai, mamma. Sto io con lei, non ti preoccupare. Andiamo in camera, casomai scendo tra un po’”
Disse lui a Denise, che si allontanò velocemente, per andare a parlare con il resto della famiglia.
“Ehi” sussurrò poi. “Cosa succede? Lo sai che ci sono sempre per te, vero?”
Non riuscivo nemmeno a parlargli, faceva troppo male.
Lo sentii sollevarmi da terra e poi salire velocemente le scale, per poi entrare nella sua vecchia camera.
Si sedette sul letto tenendomi sempre in braccio e mi strinse forte a sé.

“Cosa succede?” mi domandò di nuovo, gentilmente.
Lo guardai negli occhi e mi sentii morire dentro.
“Devo partire.” Spiegai.
“Ah” rispose spaesato. “Per quanto? Un mese? Due?” ma vedendo che continuavo a piangere smise di parlare, si bloccò.
“Mi trasferisco Joe.Da mia madre. Mio padre ha deciso che non vuole che io resti qui.”
“Non è vero. Ti prego Mary. Dimmi che non è vero. Dimmi che è solo un incubo, e tra poco finirà tutto.”
“Lo vorrei tanto, ma non è così” conclusi io con la voce incrinata.
“Tra quanto?” mi domandò con un nodo alla gola.
“Una settimana.”
“Possiamo vederci lo stesso.” Propose.
“E come? La lontananza non fa per noi, Joe. Non potrei sopportare di vederti una volta ogni tanto, dormire con te e poi salutarti il giorno dopo perché te ne devi andare via ogni volta. Cominceremmo a litigare, ed è l’ultima cosa che voglio.”
“Dove?”
“Dove cosa?”
“Dove abita tua madre?”
“Dallas.”
“Dallas?” ripeté incredulo.
“Già” confermai io rassegnata.
“È vicinissima Mary! Due orette scarse di aereo. E a Dallas c’è la casa di famiglia! Mi posso trasferire lì, così possiamo continuare a vedervi e per il lavoro c’è internet, al massimo prendo un aereo. Possiamo farcela.”
Scossi la testa.
“Joe, tu non puoi lasciare Los Angeles. Tu sei Los Angeles. È questo il tuo posto. Non voglio che tu lasci tutto ciò a cui tieni per me. Non potrei sopportarlo.
“Il mio posto è dove sei tu. Io ti amo.”
“Lo so che sembra scontato da dire, ma a volte l’amore non basta.”
“Amore mio, cerca di capire. Due anni senza di te io non vivo. Voglio parlare con tuo padre. Voglio combattere, non possiamo arrenderci così. Bisogna lottare per ciò che si vuole.”
“Suona bene, Joe. Ma non c’è niente da fare, i miei non l’accetteranno mai. Sono venuta per dirti..”
Singhiozzai e continuai. “Ti amo, Joe, ma sono venuta per dirti addio.”
“Non dirlo neanche per scherzo.”
“Devo.”
“No, non devi.”
“Sì, invece. Lo faccio per il tuo bene. Io voglio solo il tuo bene”
“Se vuoi davvero il mio bene allora resta e combatti al mio fianco. Per noi.”
“Non posso.”
“Per continui a ripeterlo?”
“Vuoi saperlo? Perché io sono minorenne Joe, e tu hai quasi dieci anni più di me. Mio padre ha detto che se non smetto di vederti ti denuncerà, d’accordo? Ti piace di più la verità? A me no, per niente! Devo andarmene.”
“Mary io..”
“Mary niente!! Se ti denunciasse finirebbe su tutti i giornali, lo saprebbero tutti. Sarebbe la fine della tua carriera, e io non voglio esserne la causa
Il processo magari finirebbe anche bene, se avessimo fortuna e dei buoni avvocati, ma tutto quello che hai fatto finora andrebbe distrutto! Non posso! Non posso!”
Cominciai a colpirlo con dei pugni sul petto, mentre lui mi lasciava sfogare, ma alla fine scoppiai a piangere nuovamente tra le sue braccia, inzuppai la sua camicia di lacrime e lui mi lasciava fare.
Mi distese sul letto e mi abbracciò da dietro, facendomi poggiare la nuca all’altezza del suo cuore.
Ad un certo punto non potei fare a meno di sentire una lacrima, di sicuro non mia, depositarsi nella mia spalla.
Mi voltai verso di lui e vidi che aveva quegli occhi stupendi color nocciola del tutto inumiditi.
“Non piangere Joe.”
“Mi chiedi l’impossibile. Non voglio lasciarti andare.”
Si avvicinò al mio viso, e all’istante il suo dolce profumo mi inebriò la mente.
Mi baciò dolcemente e anche tristemente.
Risposi a quel bacio con foga, quasi con violenza:
Se quella doveva essere la nostra ultima volta assieme ne dovevo approfittare, non sapevo quando l’avrei rivisto.
“Mary, ti voglio, un’ultima volta. Se questa è davvero l’ultima volta che ci vediamo, voglio imprimerti nella mia mente, voglio sentire il tuo profumo della tua pelle sulla mia, voglio sentire i tuoi baci leggeri. Voglio fare l’amore con te per l’ultima volta.”
“Potrebbero arrivare i tuoi, o Nick e Kevin da un momento all’altro.”
“Sono di sotto, e da come ti ha visto mia madre avranno capito di non salire. Vieni con me.”
Mi prese per mano ed entrammo nella cabina armadio, che era grande come la camera.
Joe chiuse la porta, facendo girare la chiave sotto le sua mano.
Poi portò le sue labbra avide sulle mie.
Con le mani esplorai ogni centimetro della sua pelle, per imprimere nella memoria ogni nostri contatto.
Lo osservai mentre si spogliava sotto i miei occhi e lui fece lo stesso con me.
Facemmo lì dentro l’amore, nascosti, in silenzio per quanto possibile, e quel giorno di Dicembre, ci vivemmo davvero per la prima volta.
Ricordo tutto di quei momenti, che custodisco come i più belli e i più brutti della mia vita.
Era il 29 Dicembre, l’ultima volta che facemmo l’amore, così violentemente e profondamente.
Era il 29 Dicembre, l’ultima volta che lo vidi.
Era il 29 Dicembre, il mio ultimo giorno di vita.

Passai il resto della settimana da sola, rinchiusa tra le quattro mura della mia camera, e come aveva deciso mio padre, partii per Dallas.
Il resto è storia.

 

 

 

No, non è vero, il resto non è storia.
Il resto non lo sa nessuno, sarete voi i primi a sapere com’è andata davvero.
Passai due anni a Dallas in piena depressione: pianti e urla ogni giorno, incubi terribili di notte e un odio spropositato verso i miei genitori mi procurarono un biglietto di sola andata presso lo strizza cervelli.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno fu credo il più brutto di tutta la mia vita, secondo solo quel 29 Dicembre che ricordo ancora alla perfezione.
Passai più di mezza giornata davanti al cellulare, in attesa di un segnale qualsiasi, un messaggio, una telefonata, una mail. Qualsiasi cosa. Non arrivò nulla.
Da quello che sapevo lui non se la cavava meglio di me.
Cercavo di evitare qualsiasi notizia che lo riguardasse, ma a volte anche per me era impossibile evitare qualche intervista sui miei giornali preferiti.
I giornali dicevano fin troppe cose sul suo conto, ed era impossibile ignorarle tutte.
Secondo molte riviste Joe Jonas, la rockstar, era depressa da circa due anni per causa ignota.
Da due anni piangeva quando cantava sul palco Inseparable, da due anni frequentava uno strizza cervelli come me e da due anni era totalmente cambiato agli occhi del pubblico.
Si era come spento.
E io sapevo che ero il motivo per cui stava male.
Erano passati due anni, e ancora pensavo a lui.
E con un po’ di fortuna forse anche lui pensava ancora a me.
Erano stati i peggiori anni della mia vita. Quegli anni che i giovani vivevano in spensieratezza e gioia io li avevo passati tra lacrime e dolore, tanto dolore. TROPPO. E dopo due anni da quell’addio forzato stavo ancora male.
Il problema era che era arrivato il mio diciottesimo compleanno, e di lui nessuna traccia.
Sebbene avessi tagliati i ponti del tutto con lui, per facilitare quella stupida separazione, continuavo a sperare in un misero ‘Tanti Auguri’ che però non sarebbe mai arrivato.
Quel giorno mi diedi della stupida tante volte.
Lui mi aveva dimenticata, e a dirla tutta aveva anche fatto bene. Non avevo mai capito cosa ci trovasse in me.
Quella sera mi addormentai con il cellulare sotto le orecchie per sentire l’arrivo di eventuali messaggi che non arrivavano.

Il giorno dopo mi svegliai presto ed andai a correre per sfogarmi al meglio e come mi accadeva spesso passai davanti a casa Jonas.
Mi succedeva sempre, ogni volta che ero sovrappensiero e non correvo senza una direzione precisa, i miei piedi, e forse anche il mio cuore mi portavano sempre lì.
Ogni tanto capitava che i Jonas fossero in casa, come quella mattina, ma io non andavo mai a salutarli, non c’era mai l’unico che volevo vedere.
Lui non veniva mai a Dallas.
Anche quel giorno, nonostante le luci delle finestre fosse accese, andai avanti dritta.
Tornai a casa e mi feci una bella doccia veloce, per poi vestirmi e andare a fare la spesa.
Mi vestii in fretta, con una t-shirt e i pantaloni della tuta e un paio di Ugg.
Passando davanti allo specchio di casa non potei fare a meno di notare il cambiamento rispetto ai due anni precedenti.
I capelli un tempo castano chiaro erano scuri come l’ebano, gli occhi azzurri, una volta luminosi e curiosi, erano tristi e spenti.
Nonostante fossi vestita, si notava tutta la mia fragilità.
Avevo perso più di 10 chili, e il mio viso era sciupato e triste, cupo.
Le labbra tirate nascondevano un sorriso che non esisteva più.
Uscii di fretta e mi diressi al supermercato, in macchina.
Appena salii accesi la radio, e alzai il volume. Una delle poche cose a cui non avevo rinunciato da quando avevo lasciato Joe, era la musica. Per quanto ogni singola nota di ogni canzone mi ricordasse lui e la sua perfezione, se mi fossi privata anche della musica, avrei perso l’unica cosa che mi teneva in vita: il suo ricordo. Perché per me Joe era musica.
Era la musica del mio cuore.
Il dj presentò la nuova canzone:
“Bene, ed eccoci con la canzone che è già prima in classifica ovunque, il nuovo singolo di Joe Jonas, uscito proprio ieri, Two Years.”
Inchiodai di colpo. Cosa?
Subito l’aria si riempì con una dolce melodia, di pianoforte e chitarra.
E poi la sua voce. La sua bella voce, vellutata e sensuale.
E le parole. Oh, quelle parole.

They told me
I had to wait to have you.
But I was never good at it.
Two fucking years have always seemed to many, and now that you're not here I can't breathe.
Two years and still think of you.
Two years and still feel your scent on me.
They separated us, but it's not said that this should be forever.
Wherever you are, you'll hear this song, your heart will catch fire, because I know that you have not forgotten me.
They have imposed rules to us that we should not necessarily be respected.
We follow only the laws of love, baby.
I remember you and I, watching the stars.
You cling to me, you whispered my name.
Come back to me, they can't forbid us to do that.
We're big enough to truly love.

[..]
Quella canzone.
Sentii le lacrime che scendevano dal mio viso, e chiusi la radio.
Quelle parole erano così giuste, così vere e perfette.
Se solo lui ci fosse stato. Era stato facile scrivere quella canzone e pubblicarla il giorno del suo compleanno, ma lui non c’era.
Sembrava uno stupido scherzo del destino.
Mi asciugai il viso con un fazzolettino e scesi dall’auto, dopo aver parcheggiato l’auto, un po’ lontana dal supermercato.
Entrai e cercai di distrarmi comprando della carne e un po’ di frutta e verdura e dopo aver pagato uscii di fretta per tornarmene a casa.
Odiavo passeggiare, ogni cosa che vedevo mi ricordava lui.
Era tutto tranquillo fino a quando non sentii quello che forse non avrei mai dovuto sentire.
“Mary.” Disse e mi girai.
Lo vidi.
Sentii le mie dita che lasciavano le borse che avevo in mano e le tenebre che mi avvolgevano.
Poi, il buio.

Mi svegliai non so quanto tempo dopo, all’ombra di un cipresso, nel parchetto più isolato di tutta Dallas, con la testa poggiata sulle sue ginocchia.
“Sei davvero tu?” domandai con gli occhi chiusi.
“Sì” rispose.
Aprii gli occhi e lo vidi.
Due anni erano passati, ma era sempre lo stesso, uguale a come l’avevo lasciato, tranne per lo sguardo spento e cupo, che ricordava un po’ il mio.
“Cosa ci fai qui?” chiesi.
“Pensavi che me lo fossi scordato?”
“Cosa?”
“Il tuo compleanno.”
“Era ieri Joe.”
“Lo so”
“Sei un po’ in ritardo”
“Ieri ero a New York, sai, è uscito il mio nuovo singolo. Sono corso qui appena possibile. Sono arrivato alle due di notte. Non pensavo fosse il caso di venire a trovarti così tardi.”
“Potevi almeno scrivermi”
“Non ci vediamo da due anni, e mi dici che dovevo scriverti?”
“Fa male, Joe. Fa dannatamente male.”
Mi abbracciò forte, e venni inondata dal suo dolce profumo.
“Anche a me, ma sono tornato per restare.”
“Lo so.”
“Come lo sai?”
“Ho sentito la canzone.”
“Sul serio?”
“Già. È bellissima.”
“Sono contento, speravo proprio che l’ascoltassi.”
“Ma io.. Non lo so Joe.”
“Qual è il problema ora?”
“Ho paura”
“E di cosa? Di me?”
“No, di noi. Se finisse tutto di nuovo, non lo sopporterei. Ho vissuto due anni con il ricordo del nostro amore, ma se poi ci lasciassimo e restasse solo odio? Non voglio rovinare tutto.”
“Ho aspettato due fottuti anni per averti Mary, e ora che posso farlo, non mi scapperai di nuovo. Nonostante tutto, io ti amo ancora Mary. Sono stati i due anni peggiori della mia vita e io voglio rischiare, perché so che non me ne pentirò.”
“Ti amo anche io Joe, Dio solo sa quanto. Non voglio più vivere anni come questi. Sono troppo giovane per averlo tollerato una volta, non voglio che ricapiti. Ne morirei.”
“Ce la possiamo fare. Noi possiamo fare tutto, basta che stiamo uniti, ricordi?”
“Me lo ricordo bene.”
“Dai Mary, facciamo tornare tutto come prima.”
“Ho paura, Joe.”
“Anche io, non sai quanta. Ma se non tentiamo non sapremo mai come sarebbe potuta andare. Con te al mio fianco posso sconfiggere tutte le mie paure, perché so che tu mi proteggerai, come io faccio con te.”

Detto ciò prese titubante il mio viso tra le mani e mi diede un bacio incerto.
Sorrise e poi ripoggiò le sue labbra sulle mie.
Le nostre mani si intrecciarono, i nostri visi si sfioravano e finalmente riprendevamo confidenza l’uno con l’altra.
Finalmente il tanto agognato lieto fine era arrivato anche per noi.

Sorrisi pensando a quante ne avevamo passate io e Joe, ma fui costretta a tornare al presente.
Strinsi Noah al mio petto, cullandolo dolcemente, affondando il viso nei suoi piccoli riccioli scuri.
Il suo respiro si era appena fatto regolare, quando andai a poggiarlo nel suo lettino, per poi tornare in cucina.
Stavo in piedi davanti alla finestra quando due braccia possenti mi strinsero la vita.
“Buona sera” mi disse sorridendo.
“Buona sera” risposi io.
“Cosa fai?”
“Guardo le stelle. La vedi quella stella lì, la terza a sinistra della Luna? Quella più luminosa?”
“Sì”
“Quella stella si chiama Mary, ed è la mia stella. Me l’ha regalata una persona molto speciale.”
“E chi?”
“Uhm.. vediamo.. Ah sì, un certo.. TU!”
Risposi ridendo e abbracciandolo, sfiorando i suoi capelli scuri, tanto simili a quelli del nostro piccolo Noah.
“Già” rispose lui posandomi un bacio sulle labbra.
Erano passati sei anni da quel giorno nel parco e finalmente potevo dirlo con certezza.
Ne era valsa la pena di rischiare, di buttarsi nel vuoto, e di farlo assieme a Joe, perché lui era ancora lì.
Ma come lì dove? Lì, al mio fianco, dove sarebbe sempre stato.

 P.S. il testo della canzone di Joe l'ho scritto io, volevo dirvelo insomma:)
Qui la traduzione -spero vi sia piaciuta:
Mi hanno detto che dovevo aspettare per averti.
Ma non sono mai stato bravo in questo.
Due fottuti anni sono sempre sembrati tanti, e ora che non sei più non riesco a respirare.
Due anni e ancora ti penso.
Due anni e sento ancora il tuo profumo addosso.
Ci hanno separati ma non è detto che debba essere per sempre.
Ovunque tu sei, sentirai questa canzone, il tuo cuore prenderà fuoco, perché so che non mi hai dimenticato.
Ci hanno imposto regole che non dobbiamo per forza rispettare.
Seguiamo solo le leggi dell’amore, piccola.
Mi ricordo io e te, a guardare le stelle.
Ti stringevi a me, sussurravi il mio nome.
Torna qui da me, non possono più proibirci di farlo.
Siamo grandi abbastanza per amarci davvero.

 

   
 
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