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Autore: coldfingergurl    30/04/2011    7 recensioni
Aveva letto quella stessa frase almeno dieci volte in un paio di minuti; non capiva.
Non capiva cosa volesse dirgli Jonghyun, né come mai gli avesse scritto una cosa del genere, ma soprattutto non capiva come mai il suo cuore avesse cominciato a battere più forte.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Ti condanno all’esilio sulla Terra. Passerai il resto della tua esistenza vivendo come un essere umano, reincarnandoti ogni volta giunta la morte.”

“Kibuuum, aspettami!”

Ancora lui.
Sospirò notando un ragazzo (basso)  correre verso di sé, ogni volta se lo ritrovava tra i piedi e non poteva fare veramente nulla per toglierselo di dosso.
Kim Kibum era un ragazzo apparentemente normale, studioso quel tanto che bastava per passare l’anno, gli piaceva la musica (stranamente,  a detta di qualcuno)e aveva sviluppato un’insana passione per lo shopping.
Kim Jonghyun, il nano, era ancora più comune di Kibum. Studiava solo per far contenti i genitori, anche se la maggior parte del tempo lo trascorreva sul tetto della scuola (o ad infastidire Kibum), prendeva lezioni di canto sperando di poter diventare famoso e, aspettando la sua grande occasione, si divertiva come meglio poteva.

“Ehi…”

“Jonghyun.”

“Perché non mi aspetti mai quando ti chiamo?”

Perché mi disturbi, ovvio.
Kibum non ricordava quand’era stata l’ultima volta che aveva visto l’amico mettere il broncio come un bambino, probabilmente era passato soltanto un giorno, ma tanto lo faceva continuamente e non ci faceva neanche più caso.
Loro due erano amici da un paio d’anni, Jonghyun era un anno più grande ma cerebralmente sembrava più piccolo, non aveva mai capito per quale motivo i loro destini si fossero incrociati e sinceramente ne aveva paura; quello aveva uno strano ascendente su di lui e Kibum non c’era abituato.

“Saltiamo le lezioni oggi?”

“Jonghyun.”

“Uhm?”

L’altro lo stava guardando con la testa inclinata, chiedendosi probabilmente cosa avesse detto di così sbagliato, e Kibum sospirò sconfitto: per quanto cercasse di allontanare Jonghyun dalla sua vita, lui tornava sempre con quel grosso sorriso da ebete.
“Come sta andando questa vita?”

“Noiosa, come tutte le altre.”

“Andiamo Key, non può essere così tremenda”

Kibum si svegliò, come tutte le altre mattine, di mal’umore.
Si doveva preparare per andare a scuola, come tutti i giorni, sapeva alla perfezione cosa gli sarebbe capitato di lì a poco perché, beh, era come un essere umano viveva, no?
Odiava quella routine ma non ci poteva fare nulla, era condannato a quella vita miserabile e, con tutta la buona volontà del mondo, non sapeva come diavolo fare a tornare a casa.
Guardò per un attimo il grande specchio in mezzo alla stanza, era completamente vuoto. Non se ne stupiva, Jinki spariva sempre nel bel mezzo della notte, dopo avergli chiesto come trovasse quella nuova vita (l’ennesima che si ritrovava a vivere), e fino alla sera dopo non lo avrebbe rivisto.

“Kibum, farai tardi a scuola!”

“Arrivo…”

Stupida umana.
Doveva ammettere che di tutte le famiglie in cui era capitato, quella attuale era la migliore…se così si poteva definire.
Si preparò lentamente, tanto sapeva che sarebbe arrivato puntuale e che a metà strada avrebbe incontrato Jonghyun, poi controllò il proprio aspetto davanti allo specchio e ghignò soddisfatto quando vide i suoi occhi nel proprio riflesso;  l’iride completamente rossa gli dava un’aria quasi demoniaca. Nessuno era in grado di vedere il suo vero aspetto, soltanto Jinki, e quello lo frustrava ancora di più.
Afferrando la cartella uscì di casa pensando a quando poter porre fine a quella vita.

“Voglio tornare a casa Jinki”

“Lo so, ma la tua punizione non è ancora finita e-“

“Devo vagare all’infinito in questo posto? Trova un modo per farmi tornare!”

“L’ho scritta pensando a te!”

Jonghyun gli stava sorridendo, il suo classico sorriso da scemo, mentre gli passava quel foglio in mano.
Kibum osservò l’amico per un momento, sorprendendosi di non avergli ancora risposto in malo modo, poi alzò quel pezzo di carta al volto e si mise a leggere; quelle parole non avevano molto senso per lui, ma qualcosa dentro di sé sembrava risvegliarsi a quella lettura.

“Ever Thine, Ever Mine, Ever Ours.”

Aveva letto quella stessa frase almeno dieci volte in un paio di minuti; non capiva.
Non capiva cosa volesse dirgli Jonghyun, né come mai gli avesse scritto una cosa del genere, ma soprattutto non capiva come mai il suo cuore avesse cominciato a battere più forte.

“Andiamo in classe Kibummie”

“Non hai voglia di fumare oggi?”

Il più grande fumava sempre nella pausa tra le lezioni, diceva di rilassarsi a quel modo e, per quanto Kibum la considerasse una scusa, continuava a fargli compagnia durante la fumata giornaliera.

“No, sto cercando di smettere.”

Kibum annuì decidendo di non indagare oltre, quella mattina l’aria tra di loro era strana, a dire il vero lo era diventata dopo aver ricevuto quel foglio di carta, e non aveva voglia di comprendere il motivo dietro alle loro azioni (più dietro a quelle del più grande che le proprie).
Nonostante tutto, però, aveva una sensazione fastidiosa addosso, c’era qualcosa che non gli andava giù nel comportamento dell’amico e, se solo avesse saputo con precisione cosa fosse, glielo avrebbe fatto notare volentieri.

“Ho deciso che vado a casa, fai finta di non avermi visto, uhm?”

“Jonghyun…”

Si sorprese, il suo tono di voce non era uscito accusatorio o esasperato, c’era della preoccupazione nella sua voce e non era normale.
                                        
                                                                         
“Come mai non ti sei ancora suicidato?”

“Non ne ho avuto l’occasione.”

“Key, sai che continuando ad ucciderti commetti solo un altro peccato, vero?”

“Vorrà dire che la prossima punizione che avrò, sarà direttamente la morte.”

“Se ti dicessi che non sono umano, che ho vissuto altre vite prima di questa, mi crederesti?”

“Che razza di domanda è?”

Kibum e Jonghyun si trovavano in un parco in quel momento, era una bella giornata di sole e non avendo niente di meglio da fare, avevano deciso (unanimemente) di andare a fare un giro portando soltanto poche cose con sé: un telo da stendere per terra, un cesto con del cibo e un libretto, per la gioia del più grande.

“Rispondi.”

L’amico gli stava accarezzando i capelli, cosa che faceva spesso in quell’ultimo periodo, e una leggera risata gli sfuggì dalle labbra dopo aver udito quel, beh, ordine.
Lui non ci trovava niente di divertente, la sua era una domanda seria, qualcosa che aveva intenzione di chiedergli da tanto tempo ma che non era mai riuscito a togliersi di dosso, in fondo quale essere umano poteva credere alla sua storia?
Però Kibum aveva fiducia in Jonghyun, se non gli avesse creduto al primo ascolto, magari lo avrebbe fatto ad un secondo o a un terzo, ma prima o poi avrebbe accettato la realtà.

“Perché dovresti mentirmi?”

“Non puoi rispondere a una domanda con un’altra, non è una risposta!”

Scacciò la mano dalla propria testa e mise il broncio; Jonghyun aveva contagiato Kibum, ormai ne copiava le azioni e le reazioni, tutto senza nemmeno rendersene conto.

“Ti crederei.”

“Cosa?”

“Ti crederei e ti direi che ti voglio baciare.”

Guardò l’amico negli occhi, dopo essersi alzato da terra, ci poteva vedere una certa serietà e qualcosa che non aveva mai visto nel suo sguardo.
Jonghyun lo stava osservando intensamente, come se volesse dirgli qualcosa ma non trovasse le parole, spesso Kibum aveva l’impressione di riuscire a comunicare con quell’umano attraverso un semplice sguardo, ma stavolta non ci riusciva.
Aveva paura di quello che avrebbe potuto capire guardando in quegli occhi marroni, grandi come quelli di un cucciolo.
Aveva il terrore di scoprire di provare sentimenti troppo comuni all’umanità, gli bastavano la rabbia tipica degli essere superiori, non aveva bisogno dell’amore.

“Sono un angelo Jonghyun. Beh, un angelo caduto, ma-“

Il resto della frase gli rimase in gola, intrappolata, perché il genio di Jonghyun aveva deciso di chiudere le loro bocche assieme e di realizzare il resto della propria fantasia.
Per un attimo rimase immobile, vedeva la faccia dell’altro premuta contro la propria, i suoi occhi chiusi e quella testa leggermente inclinata, forse per evitare che i loro nasi si scontrassero; Kibum doveva ammettere di essere affascinato da quella visione. A dire il vero, il suo stomaco stava facendo strane cose all’interno del suo corpo, sentiva come uno strano formicolio, qualcosa che non aveva mai provato prima e, se Jonghyun non avesse tentato di aprirgli la bocca usando la sua viscida lingua, il più piccolo avrebbe osato pensare che gli piacesse quella sensazione.

“Che diavolo fai!?”

“Ti stavo baciando?”

“Tieni lontano da me quella cosa.”
“Hanno punito comunque anche Taemin”

“Lo hai gettato nel buio come hai fatto con me?”

“E’ il mio dovere Key, non lo faccio divertendomi.”

Erano passati giorni da quel bacio, Kibum non aveva più visto Jonghyun, o meglio, quando lo vedeva lo evitava cambiando direttamente strada.
Non passavano più le mattinate sul tetto della scuola, saltando le lezioni ogni volta.
Non si scambiavano più commenti sui ragazzi e le ragazze che passavano davanti a loro, a Kibum mancava spettegolare sulla gente.
Ma cosa più importante, Jonghyun aveva smesso di cercarlo e quello faceva male, per qualche arcano e sconosciuto motivo.
Fu in quel giorno che, pieno di frustrazione e irritazione, decise di chiamare Jinki.  C’era ancora il sole fuori e probabilmente l’altro non si sarebbe presentato, ma Kibum voleva sfogarsi con qualcuno e con chi poteva farlo se non quello che lo aveva condannato a quella vita?

“Tanto lo so che ci sei, è inutile che fai finta di essere una bestia notturna.”

“Cosa vuoi?”

L’altro angelo lo stava guardando, gli occhi completamente rossi. Non doveva adorare particolarmente apparire durante il giorno, eh? Era ovvio, uno come Jinki non poteva amare il sole, in fondo aveva passato tutta la propria esistenza al buio, facendo cadere angeli su angeli.

“Perché Jonghyun non mi cerca più?”

“Cosa vuoi dire?”

“Sono giorni che non lo vedo e…”

E gli mancava, tanto.
Key aveva vissuto un sacco di vite, tutte finite troppo presto col suo suicidio, ma non si era mai affezionato agli esseri umani che gli stavano attorno, né ai genitori né agli amici. Perché con Jonghyun era diverso?
Perché gli importava tanto di quell’umano?
Per anni aveva evitato di provare sentimenti troppo “umani”, aveva evitato cose come l’amore o il senso di colpa (in fondo si era ucciso tante di quelle volte, lasciando dietro di sé genitori in lacrime) e un solo, misero, omuncolo era riuscito a farlo affezionare. Non era possibile.

“Sei innamorato, vero? Di Jonghyun intendo”

“No, l’amore non esiste.”

“Eppure sei stato punito proprio per quel motivo, non ricordi?”

“Taemin non meritava di morire”

Key era stato punito per aver aiutato Taemin, uno dei nuovi arrivati. Si era affezionato a quel ragazzino coi capelli a fungo, lo vedeva così innocente per essere qualcosa di simile a Pestilenza (eppure aveva sentito parlare della sua crudeltà), per lui era stato naturale cercare di difenderlo quando avevano annunciato la sua punizione: Taemin doveva morire, non perdere solamente le ali, perché aveva risparmiato un’intera famiglia dalla morte, praticamente si era messo contro l’angelo della Morte e l’unica punizione era cessare di vivere.
Probabilmente l’esser stato punito a causa del proprio affetto/amore verso quel ragazzino, aveva fatto si che Key non provasse più quel sentimento.
                                                                                                                                             “Kibum, cosa stai facendo?!”

“J-Jonghyun..?”

“Qualcuno chiami un’ambulanza!”

Quando Kibum aprì gli occhi, la prima cosa che vide non fu lo specchio grande in camera propria, fu una strana luce bianca proveniente dal soffitto. Gli stava dando fastidio, così come quello strano e noioso rumore che sentiva accanto a sé (che cos’era?); aveva capito di non trovarsi né in camera propria né nuovamente a casa.
C’erano delle voci fuori dalla sua stanza, riconosceva quella di Jonghyun e quella di sua madre, gli sarebbe piaciuto sapere di cosa stessero parlando ma qualcosa lo tratteneva su quel letto; solo dopo un’attenta riflessione, con tanto sforzo, si accorse di essere legato a un letto. Letteralmente legato.

“Ti sei risvegliato, bene”

“J-Jinki?”

Che ci fai qua?
Non c’erano specchi in quella stanza, era sicuro di non averne visti, non era possibile che Jinki si trovasse di fronte a lui quindi, loro due potevano comunicare solamente tramite lo specchio in camera sua e..forse aveva assunto un aspetto umano per portarlo a casa?

“Sei venuto per riportarmi a casa?”

“Kibum, ci sono tua madre e Jonghyun qua fuori, li faccio entrare?”

“S-solo Jonghyun”

Non aveva voglia di vedere la madre, c’era qualcosa che gli diceva di stare lontano dalla donna, non aveva idea di cosa fosse di preciso, ma preferiva seguire il proprio istinto. In più erano giorni che non vedeva Jonghyun, l’unica cosa che aveva fatto per tutto quel periodo, era stato leggere la poesia che gli aveva scritto.
“K-Kibum, apri gli occhi”

Jonghyun non stava dicendo una parola, da quando era entrato nella sua stanza era rimasto in silenzio. Non faceva altro che guardare Kibum con occhi tristi, con un pizzico di delusione forse, e il più piccolo non capiva; cosa aveva fatto di così tremendo da deludere l’amico?

“Come ti senti?”

“Non lo so.”

E non lo sapeva sul serio.
La testa gli girava, i polsi avevano iniziato a fargli male (forse perché ancora legato a quel maledetto letto) e nella sue mente stavano prendendo forma immagini inquietanti, ricordi che aveva tentato di seppellire al meglio ma che, evidentemente, avevano pensato bene di tornare a fargli visita.
Kibum cercava di concentrarsi, tentava di dare una forma a quello che prendeva vita nella sua testa, voleva capire perché non vedesse più i volti delle persone che aveva incontrato in decenni di resurrezione. Più scavava a fondo nella sua memoria, più vedeva soltanto la vita attuale, quella con Jonghyun.

“Jjong…”

“Ti libero le braccia, ok?”

Annuì debolmente, le poche forze che gli erano rimaste lo stavano abbandonando ed era sicuro di aver vissuto quello stesso momento altre volte, anche la liberazione da parte del più grande.
Quando Jonghyun ebbe finito di slegarlo, Kibum notò l’uniforme bianca che indossava; non era la divisa scolastica, vero?

“Jonghyun, che sta succedendo?”

“Riposa Kibummie, ti spiegherò tutto domani”

Gli aveva iniettato qualcosa, aveva sentito la pelle venire bucata da un ago e, lentamente, tutto quello che lo circondava aveva iniziato a svanire, come se la sua vita venisse risucchiata in un buco nero. Non ci mise molto ad addormentarsi ma stranamente non sognò niente, non vide il volto di Taemin o una delle sue conversazioni con Jinki, non c’era niente. Niente.

“L’ho trovato nella sua stanza, te l’ho detto”

“Jonghyun, cosa ci facevi nella stanza di Kibum?”

“V-volevo vedere come stava, l’ultima volta non-“

“Sai che non dovresti prendertelo tanto a cuore, vero?

“Come ti senti questa mattina?”

“Voglio tornare a casa.”

Era stufo di stare sdraiato in quel letto, stufo di passare ore ed ore a dormire (tutto perché Jonghyun continuava ad iniettargli qualcosa nelle vene), si sarebbe accontentato anche di tornare a scuola pur di non stare chiuso in quel posto. Dove si trovava poi, in un ospedale? Dall’odore che c’era nella propria stanza, Kibum avrebbe giurato che lo fosse.

“Ti ricordi come sei finito qua dentro?”

No, razza di idiota.
Dov’era Jinki? Lo spilungone che si ritrovava davanti non gli piaceva affatto, aveva quell’aria di sfida che lo irritava ed in più gli aveva posto quella domanda con un pizzico di superiorità, o comunque con una certa altezzosità che non reggeva.
Appurato che Jinki ormai girava tra gli umani, lo aveva visto anche quella mattina passare nei corridoi (trotterellando), a Kibum rimaneva da capire perché non lo avesse ancora riportato a casa, nella sua vera casa.

“Guardati i polsi”

“Uhm?”

Fece come gli aveva detto e i suoi occhi si posarono su due bende bianche, non del tutto, e fissandole ricominciò a ricordare. Ricordava di aver rotto lo specchio dove appariva Jinki (“Perché Jonghyun non mi cerca più?! Cosa gli ho fatto?!”), ricordava di aver raccolto un pezzo di vetro da terra (“E’ arrivato il momento di lasciare questa vita per iniziarne un’altra, eh?”). Poi, prima di affondare quel pezzo di vetro sulla pelle, Kibum aveva visto il suo stesso riflesso, non quello che tutti i comuni mortali vedevano, no, aveva visto il suo vero aspetto.
In poche parole, aveva tentato di uccidersi senza neanche volerlo, o almeno così credeva, l’unico pensiero che aveva avuto nei giorni precedenti era stato Jonghyun.

“Minho-ah, torna in camera tua e smettila di giocare a fare il medico”

“Uff…”

Jonghyun era appena entrato nella stanza, aveva mandato via quel Minho, che nel mentre aveva sbuffato come se gli avessero tolto il giocattolo preferito, e poi si era seduto vicino a Kibum, prendendogli una mano tra le sue.

“Ho tentato di ammazzarmi, vero? Tu…tu mi hai salvato la vita.”

Sapeva di aver sentito la voce dell’altro chiamarlo, lo ricordava perché ne era stato sorpreso, credeva che nessuno sarebbe entrato in camera sua quella mattina, i genitori erano a lavoro e Jonghyun doveva essere a scuola, non a casa sua.

“Kibum, ricordi la poesia che ti ho scritto?”

“S-si”

Arrossì al pensiero di quelle parole, gli tornavano in mente automaticamente ogni volta che sentiva pronunciare “poesia”.
Aveva perso il conto di quante volte l’aveva letta, la sapeva a memoria ormai, e ogni volta non poteva fare a meno di pensare al bacio che il più grande gli aveva rubato. Il bacio che poi aveva scaturito il loro allontanamento.

“Non farla vedere a nessuno, va bene? Jinki potrebbe arrabbiarsi e-“

“Conosci Jinki?”

Kibum guardò l’amico con sorpresa, come faceva a conoscere l’altro angelo? Credeva che nessuno potesse vederlo a parte lui, ma da come ne aveva parlato il biondo (quando si era tinto i capelli?), sembravano conoscersi da tanto tempo.
Dopo la sua domanda piena di stupore, il silenzio era sceso in quella stanza e Jonghyun aveva assunto un’espressione inusuale: i suoi occhi erano pieni di tristezza.

“Jonghyun?”

Voleva chiedergli come mai era triste, da quando lo conosceva, non lo aveva mai visto a quel modo.
Kibum era in stato confusionale, se ne accorgeva da solo,  era come se quello in cui aveva sempre creduto si stesse sgretolando piano piano, lasciandolo senza respiro.
Perché Jinki sembrava non essere più Jinki?
Perché sua madre continuava ad andarlo a trovare dicendogli quanto le dispiaceva? Non era colpa sua se il figlio che credeva di conoscere, in realtà non era un essere umano.

“Devo andare, Jinki sarà qui a momenti”

“N-non mi lasciare solo con lui”

Jonghyun annuì mettendosi di nuovo seduto, continuava ad esserci qualcosa di strano in lui (o forse era in Kibum?) e il più giovane lo guardò attentamente prima di vederlo tirare fuori una pasticca colorata dalla tasca. Lentamente l’avvicinò alla bocca di Kibum, che stranamente non disse una parola, e gli sorrise, baciandogli poi la fronte.
 “Parlami di Taemin”

“Lo conosci, lo hai ucciso tu”

“E Jonghyun?”

“Mi ha scritto una poesia…”

“Ever Thine, Ever Mine, Ever Ours.”

“Leggimela di nuovo.”

“L’ultima volta, poi devo rientrare a lavoro”

Kibum appoggiò la testa sulle gambe di Jonghyun, che stava seduto sul letto con le gambe distese,e chiuse gli occhi ascoltando ancora una volta quella poesia; il foglio di carta era consumato, le parole erano diventate ripetitive, ma nonostante quello, a lui piaceva sentirla una volta di più.
E mentre sentiva la voce armoniosa del biondo (ormai si era abituato a vederlo così),  scoppiò a piangere rendendosi conto di provare quello che tutti definivano amore.

“Kibum…”

“Credo di essermi innamorato di te.”

“E ci hai messo due anni per dirmelo?”

Il più grande gli accarezzò la testa sussurrandogli parole dolci all’orecchio.
Kibum non aveva idea di come fosse stato possibile, non sapeva quando aveva iniziato a covare quel sentimento verso quello che riteneva il suo migliore amico, ma era successo e a causa di quello si sentiva molto più umano.
Jinki continuava a vederlo tutti i giorni, non aveva gli occhi rossi come ricordava, ma degli occhiali di quel colore, gli chiedeva spesso come andassero le cose, se pensasse ancora di tentare il suicidio e lui gli rispondeva sempre allo stesso modo: “Ho Jonghyun adesso”.

Aveva capito di non essere a casa e di non frequentare nessuna scuola, non era stato difficile arrivarci visto che passava le giornate in un grande salone a non fare niente, era riuscito persino ad accettare il fatto di non poter tornare a casa.

“Devo andare Kibum, ci vediamo non appena finisco il turno”

“Uhm”

Quando Jonghyun uscì dalla sua stanza, di un colore bianco irritante, Kibum si voltò per guardarsi allo specchio: Key era ancora lì, con quell’aspetto demoniaco e gli occhi di uno strano colore rosso, non era lo stesso rosso di sempre.

“Prima o poi riuscirò a portarti a casa, Kibum.”
   
 
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