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Autore: Emily Alexandre    30/04/2011    2 recensioni
Libertà. Una parola apparentemente così semplice, un concetto così elementare... un'aspirazione così difficile da raggiungere. Lo sa bene Juliette, figlia di un ricco imprenditore, la cui vita è sempre stata scandita dalle rigide regole familiari. Quando il padre la invierà in Giappone a concludere una fusione, la ragazza assaporerà per la prima volta la possibilità di vivere una giornata come desidera. Libertà. La stessa libertà che agogna Jun.
Ma quando le loro vite si incroceranno, nulla sarà come appare.
STORIA NATA PER L'INIZIATIVA "AUTORI PER IL GIAPPONE", DI LARA MANNI.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'elastico verde
 

Quando le porte automatiche dell’aeroporto si aprirono Juliette fu accolta da una ventata di aria calda; Agosto era finito da pochi giorni, ma il clima a Tokyo era ancora afoso. La ragazza sorrise, chiamando un taxi con un cenno della mano; per lei, che proveniva dall’uggiosa Inghilterra, quel clima era semplicemente perfetto, un altro tassello che andava ad aggiungersi a quelli che sarebbero stati tre magnifici giorni.
Quando suo padre, la sera prima, le aveva comunicato un imprevisto che gli avrebbe impedito di partire per Tokyo ed occuparsi in prima persona della fusione della sua azienda con quella di Mr Hunt, un amico e socio di lunga data che viveva in Giappone da anni dopo aver sposato una donna del luogo, Juliette aveva faticato a comprendere la reale entità dell’informazione: sarebbe stata lei, l’indomani, a salire sull’aereo diretto in terra nipponica.
Quella notte era trascorsa in una lenta veglia, in attesa dell’agognato suono della sveglia; calmare il suo cuore impazzito era stata un’impresa in cui Juliette aveva miseramente fallito. Aveva sette anni appena la prima volta che aveva visto delle foto del Giappone e quel giorno aveva annunciato, con tutta la solennità che la sua voce di bimba poteva conferirle, che da grande vi ci sarebbe recata. La sua famiglia aveva sorriso accondiscendente, come si fa con una bambina che sogna il principe vestito d’azzurro in groppa ad un cavallo bianco. Eppure eccola lì, diciotto anni dopo, mentre Tokyo sfilava fuori dal finestrino luminosa e splendida al di là di ogni più rosea previsione.
Le era stata riservata una suite nell’hotel dove avrebbe avuto luogo la firma del contratto e da lì Juliette poteva ammirare quasi tutta la città; i suoi occhi e il suo cuore bevevano ogni singolo dettaglio, cercando di immagazzinare quanto più possibile… Non sapeva quando vi sarebbe tornata, e il tempo a sua disposizione era così poco.
Erano le undici del mattino e lei aveva ventiquattro ore di libertà prima di incontrare il socio del padre.
Libertà.
Quella parola sulle sue labbra aveva un gusto tanto dolce quanto sconosciuto: unica erede di una ricca famiglia di imprenditori, fin dalla più tenera età la sua vita era sempre stata scandita da una rigida etichetta che le aveva lasciato troppo poco spazio decisionale e lei, incapace di negare alcunché ai genitori, aveva sempre acconsentito ad ogni loro richiesta.
Tranne una.
Solo su una cosa Juliette aveva messo il veto ed era l’unico dettaglio spiacevole di quel viaggio: non aveva, né avrebbe mai, acconsentito ad un matrimonio programmato, e la ragazza sospettava che dietro quella trasferta vi fosse un neppure troppo velato tentativo di farle conoscere l’erede della società, che era stato ventilato come un ottimo partito.
Juliette si era sempre negata e sperava vivamente di non doverlo incontrare: aveva conosciuto abbastanza figli di ricchi imprenditori, egocentrici e viziati, per doverne affrontare un altro dall’altra parte del globo.
Libertà.
Lì, lontano dalla famiglia, per una giornata nessuno le avrebbe detto cosa fare.
Lasciò cadere disordinatamente i vestiti formali che aveva usato per il viaggio ed indossò un abito di lino verde e delle ballerine bianche; si rimirò attraverso il grande specchio della camera e sorrise a quella ragazza semplice che le sorrideva di rimando.
Libertà.
Afferrò la borsa e si concesse un’ultima occhiata prima di uscire, ma quando era già sulla porta si fermò: i capelli lisci e rossi erano, come sempre, stretti in una coda alta e Juliette aveva il disperato bisogno di sentirli liberi sulle spalle… Sfilò l’elastico verde e se lo mise al polso, mentre l’altra mano ravvivava le ciocche che, come fiamme, crepitavano nell’aria.
Libertà.
La hall dell’hotel era affollata di persone, ma nessuno fece caso a lei che camminava guardandosi intorno distratta.
Talmente distratta che finì tra le braccia di un ragazzo che entrava nell’hotel e che la fissò divertito.
Juliette, avvampando per la vergogna, si scusò, per poi imporporarsi ulteriormente davanti al bel viso di lui e alla sua voce profonda che, in inglese, le disse di non preoccuparsi.
-Dove va una ragazza straniera tutta sola?-
-A visitare la città.- rispose lei semplicemente, ma senza riuscire a muoversi. Gli occhi scuri di lui avevano incatenato quelli verdi di lei e Juliette si sentì percorrere da un brivido, che non era decisamente attribuibile al clima.
Da parte sua, il ragazzo studiava la straniera con curiosità; era molto carina, ma ad averlo attirato era stato soprattutto il sorriso spontaneo ed immotivato che sembrava non voler abbandonare quelle morbide labbra.
E l’idea nacque dal nulla, spontanea ed irrazionale. Irresistibile.
-Le serve una guida?-
Non avrebbe dovuto. Non avrebbe potuto. Suo padre l’aspettava per discutere della fusione programmata per il giorno seguente, ma quella ragazza lo attirava troppo ed in maniera talmente inspiegabile da non potersi lasciare sfuggire l’occasione per conoscerla.
Quando la vide titubare, però, si rese conto di essere stato troppo avventato: per quel che ne sapeva lui, la ragazza poteva aver accompagnato il marito in viaggio di affari e le sue attenzioni sarebbero state totalmente fuori luogo.
-Mi dispiace, non volevo essere invadente, probabilmente qualcuno la sta aspettando.-
Lei sgranò gli occhi stupita, poi scosse la testa sorridente; in realtà, la faccia pulita dello sconosciuto e il suo sorriso impertinente l’avevano immediatamente affascinata e l’idea che le facesse da guida non le dispiaceva affatto. Quel comportamento era folle, sciocco e non etico. E terribilmente seducente.
-Non mi aspetta nessuno, sono qui con il mio capo ma ho la giornata libera.-
La bugia era nata senza essere stata programmata, ma Juliette non aveva voglia di rivelare chi fosse realmente: desiderava ardentemente l’anonimato, almeno per quel giorno. Desiderava essere solo se stessa e non l’erede degli Spencer.
Quello che non sapeva era che la stessa idea era balenata nella mente del ragazzo, che agognava quella libertà almeno quanto lei.
-Il mio nome è Jun e sarei lieto di poterle mostrare le bellezze della mia città.- le disse inchinandosi leggermente e guardandola dal basso in alto con quello sguardo divertito e irriverente.
-Il mio è Cat, e sarò lieta di seguirla.-
Si guardarono per un istante, poi scoppiarono a ridere. Fu subito palese la sintonia che si sprigionava nell’aria; Juliette respirava ampie boccate di libertà mentre passeggiava lungo le strade di Tokyo, tra musei e ristoranti, e la lasciava piacevolmente perplessa la sensazione che anche per lui fosse lo stesso. Quando il caldo era diventato soffocante aveva raccolto i capelli, ma lui le aveva impedito di legarli, rubandole l’elastico verde e mettendoselo al polso. “Lasciali liberi” , le aveva detto.
Lasciati libera, aveva pensato.
E lei aveva demolito quasi interamente il muro che si era costruita attorno, fidandosi ciecamente.
Per un tacito accordo non avevano mai accennato alla loro vita e alle loro famiglie; in compenso avevano parlato di tutto il resto, dai sogni alle passioni, alle speranze, e la sera era calata prima che se ne rendessero conto. Juliette si era dovuta arrendere all’evidenza che i suoi preziosi libri, in cui lei aveva sempre trovato le risposte che cercava, non avevano potuto rendere giustizia alla magia di quel paese, neppure nelle descrizioni più accurate; andava vissuto, il Giappone, per provare a capirlo davvero.
Un po’ come il bacio. O, almeno, quel tipo di bacio.
Si baciarono la prima volta davanti al ponte dell’Arcobaleno, timidamente. Si baciarono la seconda poco lontano da lì, assaporando quel contatto con maggiore consapevolezza e desiderio. E continuarono a baciarsi per una terza, una quarta, una quinta volta, senza fermarsi a ragionare, semplicemente rispondendo al desiderio dei cuori che non avevano mai smesso di battere forsennatamente.
Non avrebbero dovuto, ma lo volevano. L’incanto presto o tardi si sarebbe spezzato e loro volevano vivere ogni singolo istante. Goderne fino alla fine.
Libertà.
Davanti alla porta della camera Juliette si era sentita smarrita e al momento di salutarlo la sensazione di vuoto fu destabilizzante; non voleva lasciarlo, né voleva lasciare la se stessa che quello sconosciuto, in una terra altrettanto estranea, era riuscito a tirar fuori.
L’aveva fatto entrare nella sua camera, nel suo cuore e nel suo corpo, sentendo di essere per la prima volta nel posto giusto. Jun venerò ogni centimetro di quel corpo, chiedendosi cosa mai avesse fatto di così lodevole per essere stato benedetto in quel modo. Si amarono con dolcezza e passione, lottando entrambi contro il desiderio di chiudere gli occhi perché non volevano perdere neppure un istante del volto dell’altro.
Quando la mattina dopo si svegliò Juliette si ritrovò sola; inizialmente il letto sfatto e il suo essere nuda la confusero, ma presto i ricordi della giornata precedente l’assalirono come un fiume in piena, tanto che si chiese se non fosse stato solo un sogno. Sul cuscino accanto al suo giaceva l’elastico verde e quando lo annusò l’odore pungente di lui le diede la risposta alla domanda che non aveva avuto il coraggio di formulare.
Mordendosi il labbro per non cedere alle lacrime si costrinse ad andare sotto la doccia, per rendersi presentabile in vista dell’incontro di quella mattina. Non avrebbe più rivisto Jun e nonostante non fosse assolutamente pentita per ciò che era successo, non poteva fare a meno di chiedersi che senso aveva avuto per loro incontrarsi e scoprirsi così affini, se non erano destinati a stare insieme.
Come se il suo umore non fosse stato già abbastanza a terra, quando uscì dalla camera diretta alla sala conferenza un uomo le si avvicinò per avvisarla che avrebbe incontrato il figlio del signor Hunt, anziché lui in persona.
Sbuffò, decisa a terminare in fretta quell’incontro. Quando entrò nella sala, però, si gelò sul posto: impeccabile e splendido in un elegante completo blu stava Jun, che la fissava con un’espressione altrettanto sbalordita.
-Mr Misao, le presento la Miss Juliette Spencer.-
Nessuno dei due guardò l’avvocato che aveva parlato e quando il ragazzo si riprese ordinò a tutti di uscire, per poi tornare a fissarla. Quanto a lei, era divisa tra la rabbia per esser stata presa in giro e quella per l’impossibilità di recriminare qualcosa, dal momento che anche lei si era finta qualcuno che non era.
-Mi hai mentito, Cat .-
Fu di nuovo lui a spezzare il silenzio, e lei rispose all’ironia con la stessa moneta.
-Anche tu, Jun. -
-Perché?-
-Probabilmente per il tuo stesso motivo.-
Era evidente, in quel momento più che mai, che entrambi avevano cercato nell’altro uno spiraglio di libertà in quella vita costellata da formalismi.
-Mio padre evidentemente non ha avvisato del cambio di programma.-
-O l’ha fatto, ma il mio non ha avvisato me.-
Appariva cristallino l’intento dei genitori, che però probabilmente non avevano previsto che l’incontro dei figli avvenisse il giorno precedente in maniera così poco ortodossa.
-Subdoli-
-Sleali.-
-È buffo sai?- le aveva detto avvicinandosi e Juliette aveva alzato un sopracciglio, perplessa.
-Lo è senz’altro, ma a cosa ti riferisci in particolare?-
-Ieri mio padre mi ha proposto di venire in Inghilterra con te, ma io gli ho detto di no; immaginavo una ragazza rigida e triste con cui non volevo avere nulla a che fare… e invece.- le aveva accarezzato la guancia titubante, con una ritrosia che contrastava con tutto quello che avevano condiviso quella notte.
Era come se dovessero riscoprirsi e al tempo stesso come se si conoscessero da sempre.
-Buffo e triste…-
-Stamattina gli ho detto che avevo cambiato idea. Mentre camminavo verso il suo studio dopo essermi sistemato l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che dovevo rivederti, nonostante sapessi quanto fosse sconveniente.-
Juliette sgranò gli occhi, mentre il cuore le batteva furioso nel petto. -È Cat che vuoi.-
-È te che voglio, la ragazza per cui ho perso la testa ieri e che stanotte ho amato e venerato, sentendomi quasi Peleo in presenza della dea Teti.-
Juliette sorrise, sfiorandogli appena le labbra con le proprie.
-Non avrai vita facile, con una dea.-
Misao le sorrise, stringendola a sé.
-Non aspetto altro.-
-Ho detto a mio padre che avrei posticipato la partenza. Anche io volevo rivederti.-
Potevano percepire i loro cuori battere all’unisono, in una danza conoscibile solo a loro.
Mentre si incamminavano fuori dall’hotel, dove Tokyo li attendeva, la mano di Misao le sciolse i capelli e l’elastico verde tornò sul polso di lui.
E Juliette sorrise. 







Questa storia è nata grazie all'iniziativa di Lara Manni, AUTORI PER IL GIAPPONE, che si propone di raccogliere fondi per Save The Children destinati all'emergenza in Giappone. Questo è il mio modestro contributo, ma vi invito a dare un'occhiata al sito, dove potrete trovare storie di autori più o meno famosi che vale decisamente la pena di leggere. E, permettetemelo, vi invito anche a fare una donazione: anche un euro può fare la differenza in questi casi. Dal terremoto sono passati quasi due mesi, ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare.
Emily Alexandre

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