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Una bambina diversa ≈
Quel buio era fitto e disarmante. Dalla finestra filtrava a malapena un
raggio di luce fioca e debole e il cielo era coperto di nuvoloni che
preannunciavano un acquazzone. Ma Echo era abituata alla pioggia e al buio. Da
quando era al servizio di Vincent-sama, il più delle volte vagavano di notte,
perciò si era abituata all’oscurità.
Ora se ne stava seduta per terra, appoggiata alla porta, in attesa del
suo padrone. Prima di andare a dormire, Vincent-sama passava da Echo per darle
la buonanotte. E’ sempre stato un uomo freddo, sadico, diabolico. Ma con lei
cambiava atteggiamento: diventava gentile e premuroso, anche se mai troppo. La
trattava come una figlia. Ed era qui che a Echo non stava bene. Non voleva
essere trattata come una bambina, nonostante fosse molto matura ed obbediente.
Quella sera aspettò Vincent per ore. Poi le venne un lampo:
probabilmente si era addormentato da qualche parte in giro per il palazzo! Echo
si alzò da terra con il cuore che le batteva all’impazzata, senza nemmeno
sapere perché. Uscì dalla stanza ed iniziò a cercare Vincent. Ma non c’era nel
palazzo e in nessuna delle stanze.
Aveva iniziato a piovere a catinelle. Echo si diresse a grandi passi
verso la grande porta dell’ingresso e uscì sotto l’acqua senza l’ombrello.
Aveva iniziato ad agitarsi. Dov’era il suo padrone? Chiamò il suo nome invano
per diverse volte. Poi si diresse a est del grande giardino, dove c’erano le
rose blu che Vincent aveva piantato e dove passava la maggior parte dei suoi
pomeriggi, a tenersene cura amorevolmente per poi tagliarle via tutte. Un
passatempo strano. Vincent stesso era strano.
Echo cercò tra le siepi e i rosari, poi vide un paio di forbici per
terra luccicare ai raggi della luna. Stava diluviando e il cielo era ricoperto
di nuvoloni, tuttavia si poteva scorgere ancora un po’ di luce. Il paio di
forbici erano un indizio. Si diresse più avanti, superando l’oggetto senza
raccoglierlo. Vincent-sama era per terra, che dormiva beato come un bambino, a
malapena riparato dalla siepe. Era fradicio, e vedere il suo bel viso e i
lunghi capelli biondi sciupati dalla pioggia, a Echo venne quasi una fitta al cuore.
Ma si sentiva molto sollevata ora che l’aveva trovato. Dopo essersi ricomposta
ed aver assunto la solita espressione fredda, si inginocchiò accanto al padrone
e cercò di svegliarlo. Ma non riusciva. Provò in tutte le maniere possibili.
Doveva tirargli uno schiaffo. Ma aveva paura che il padrone si sarebbe
irritato. Lei non si sarebbe mai permessa di….
Ecco, l’ho fatto, mi sono permessa di tirargli
uno schiaffo! pensò Echo quasi tremando.
- Sciocco…svegliatevi, Vincent-sama!- urlò.
Vincent aprì gli occhi improvvisamente, guardandosi intorno stordito.
Echo sbuffò.
- Finalmente! Vi eravate addormentato qui…-
- Uhm…il mio Chain…-
- Sì, Vincent-sama. Torniamo a palazzo.-
Vincent si tirò su dalla terra infangata, sentendo che il corpo era
pesante per via dei vestiti inzuppati. Entrarono a palazzo. Era tutto buio e la
servitù dormiva già da ore. A tastoni raggiunsero il secondo piano e poi le sue
stanze.
Echo fece per svoltare a sinistra per andare in camera sua, ma Vincent
la prese dal polso.
- In camera tua non c’è il camino, e ti devi asciugare, Echo. – disse
con tono amorevole, come quello di un padre.
Ella non pronunciò parola e seguì il padrone, obbediente come un
cagnolino. Era raro che parlasse, e ancor di più che si opponesse a Vincent.
Sembrava una bambolina di porcellana, bella e delicata, ma priva di emozioni e
parole.
Una volta entrati nella stanza, ci volle un po’ prima che il fuoco si
accendesse. Quando le fiamme furono cresciute abbastanza, tutta la camera si
illuminò e si diffuse nell’aria l’odore della legna.
Senza indugiare, Vincent si tolse gli abiti di dosso, bagnando il
pavimento. Echo lo osservava senza articolare parola né movimenti o
espressioni. Lo osservava e basta, pensando dentro di sé che il suo padrone era
davvero niente male. Scrutava in silenzio il suo torace, le sue spalle, la sua
pancia, le sue mani…quelle mani che l’avevano presa con sé quando era stata
trovata sola e spaesata davanti al cancello del palazzo. Ma i suoi pensieri
furono improvvisamente interrotti da Vincent, che si era voltato e le aveva
piantato quegli occhi penetranti addosso. Erano occhi davvero particolari, uno
color rame infuocato e l’altro verde, e ad ogni qualunque persona che li
guardasse incutevano paura. Ma ad Echo no. Lei li conosceva meglio di chiunque
altro.
Ora il suo padrone aveva stampato sul volto un sorriso smagliante che
lasciava trapelare tutta la consapevolezza del suo fascino.
- Echo, vuoi restare lì impalata a fissarmi ancora per molto? Così ti
prenderai un raffreddore. –
Detto questo lasciò cadere a terra i vestiti bagnati e si diresse verso
l’armadio in cerca di un paio di pantaloni.
Echo annuì meccanicamente e sbloccandosi dalla sua posizione si
avvicinò al fuoco. Si tolse i vestiti bagnati e si raggomitolò su sé stessa
davanti alle fiamme, circondandosi con le braccia. Ancora aveva freddo, ma
lentamente il calore le stava penetrando nel corpo.
- Questa ti va bene? – disse Vincent tirando fuori dall’armadio una
delle sue camicie. – E’ un po’ grande per te ma…-
- E’ perfetta, Vincent-sama. – scattò lei, sentendosi le guance
infiammarsi. Avrebbe voluto diventare piccolissima in quel momento, e si
stringeva sempre di più a sé stessa.
- Tieni. – disse lui avvicinandosi e porgendole la camicia.
Echo se la infilò con velocità e scaltrezza, senza lasciare a Vincent
il tempo di vedere il suo gracile corpo. La camicia le arrivava quasi alle ginocchia
e le maniche erano piuttosto lunghe. Il suo padrone si sedette sul divano
davanti al fuoco con un asciugamano tra le dita.
- Vieni. – disse a Echo battendo dei colpetti sulle ginocchia. Lei
obbedì e sedette sulle sue gambe. Vincent iniziò ad asciugarle i capelli
argentati.
- Grazie Echo. Se non fosse stato per te sarei rimasto lì sotto la
pioggia ancora per molto. – disse ridendo. Poi tornò serio improvvisamente. –
Ho fatto un sogno…-
- E’ una buona cosa, padrone. –
- Sì, è vero. Ma era un sogno di sangue, distruzione, fiamme…era un
incubo più che un sogno. –
Sapevano entrambi di che cosa si trattasse, ma nessuno dei due parlò.
Nella stanza era calato il silenzio. Si sentiva solo lo scoppiettare del fuoco
e il ticchettio della pioggia sulle finestre.
Vincent lanciò l’asciugamano accanto agli altri vestiti bagnati, per
terra. Tirò un sospiro, dopodiché circondò con le braccia il ventre della
fanciulla sopra le sue gambe, e poggiò il viso sulla sua schiena. Echo si sentì
trasalire e nello stesso momento invadere da un calore ben più confortante di
quello del fuoco. Rimasero così per del tempo, in silenzio.
- Voi mi credete una bambina, vero Vincent-sama? -
Prima di rispondere, Vincent aspettò dei secondi.
- Non è forse ciò che sei? –
Echo abbassò lo sguardo e fece per staccarsi dalle braccia del suo
padrone, ma Vincent-sama non mollò la presa, stringendo ancora più forte.
- Sei una bambina…ma una bambina diversa dalle altre. –
- Non ho nulla di diverso. –
- Sei mia, ecco la differenza. –
Dettò questo mollò la presa e si lasciò andare sullo schienale del
divano, chiudendo gli occhi. Intanto continuò: - Ora sei asciutta, puoi tornare
nella tua stanza. Non ti trattengo. –
Echo si sentì quasi rifiutata, e di certo in colpa. Si girò di scatto a
guardare Vincent, che teneva ancora gli occhi chiusi.
- Allora dimostratemi che è vero, che sono diversa, che sono vostra,
che differenza c’è! – Echo si sentiva il viso in fiamme e non aveva mai usato
quel tono col suo padrone.
Vincent aprì lentamente gli occhi, senza fare espressione.
- Sei mia, e sei diversa, perché altrimenti non potrei fare questo…-
Senza lasciare il tempo a Echo di formulare parola, l’attirò a sé
baciandola. Dal canto suo, lei rimase paralizzata, senza muovere le braccia né
le gambe, né provare a dimenarsi. Aveva gli occhi aperti, inchiodati sul viso
di Vincent e i suoi lunghi capelli dorati.
Dopo diversi secondi, quest’ultimo si ritirò, guardando Echo con un
sorriso malizioso sulla faccia, mentre la piccola bambolina, stordita, lo
fissava incredula.
- Allora? Sei diversa? –
Echo borbottò qualcosa di incomprensibile, forse perfino in un’altra
lingua.
- Ora sei legata al tuo padrone più di prima. E’ un privilegio concesso
a pochi…ricordalo. Ora chiedi scusa. – continuò lui.
Echo esitò per un attimo.
- Chiedo scusa, Vincent-sama. Non userò mai più quel tono con voi. –
- Va’ avanti.-
- E non mi comporterò mai più così spudoratamente. Sarò obbediente e
non ci contraddirò. –
- Bene, Echo. –
Rimasero in silenzio a guardarsi, lei seduta ancora sulle sue gambe.
Poi Vincent sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. Dopotutto era una persona
solare se conosciuta bene. Echo sospirò, come in gesto di rassegnazione, e si
lasciò andare tra le braccia del padrone, affondando il viso nei suoi lunghi
capelli e accarezzandogli il petto nudo. Vincent la cullò a sé mentre
ascoltavano la pioggia.
Diversa…