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Autore: Sere_Anima    30/04/2011    2 recensioni
Premetto che questa storia mi è stata ispirata (in parte) da un'altra fanfiction che ho letto molto tempo fa, ma non ricordo il nome e né chi l'ha scritta, e dunque mi piacerebbe ringraziare questa persona sperando che non si arrabbi xD
Buona lettura!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Echo, Vincent Nightray
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una bambina diversa

≈ Una bambina diversa ≈

Premetto che questa storia mi è stata ispirata (in parte) da un'altra fanfiction che ho letto molto tempo fa, ma non ricordo il nome e né chi l'ha scritta, e dunque mi piacerebbe ringraziare questa persona sperando che non si arrabbi xD 

Quel buio era fitto e disarmante. Dalla finestra filtrava a malapena un raggio di luce fioca e debole e il cielo era coperto di nuvoloni che preannunciavano un acquazzone. Ma Echo era abituata alla pioggia e al buio. Da quando era al servizio di Vincent-sama, il più delle volte vagavano di notte, perciò si era abituata all’oscurità. 

Ora se ne stava seduta per terra, appoggiata alla porta, in attesa del suo padrone. Prima di andare a dormire, Vincent-sama passava da Echo per darle la buonanotte. E’ sempre stato un uomo freddo, sadico, diabolico. Ma con lei cambiava atteggiamento: diventava gentile e premuroso, anche se mai troppo. La trattava come una figlia. Ed era qui che a Echo non stava bene. Non voleva essere trattata come una bambina, nonostante fosse molto matura ed obbediente.

Quella sera aspettò Vincent per ore. Poi le venne un lampo: probabilmente si era addormentato da qualche parte in giro per il palazzo! Echo si alzò da terra con il cuore che le batteva all’impazzata, senza nemmeno sapere perché. Uscì dalla stanza ed iniziò a cercare Vincent. Ma non c’era nel palazzo e in nessuna delle stanze.

Aveva iniziato a piovere a catinelle. Echo si diresse a grandi passi verso la grande porta dell’ingresso e uscì sotto l’acqua senza l’ombrello. Aveva iniziato ad agitarsi. Dov’era il suo padrone? Chiamò il suo nome invano per diverse volte. Poi si diresse a est del grande giardino, dove c’erano le rose blu che Vincent aveva piantato e dove passava la maggior parte dei suoi pomeriggi, a tenersene cura amorevolmente per poi tagliarle via tutte. Un passatempo strano. Vincent stesso era strano.

Echo cercò tra le siepi e i rosari, poi vide un paio di forbici per terra luccicare ai raggi della luna. Stava diluviando e il cielo era ricoperto di nuvoloni, tuttavia si poteva scorgere ancora un po’ di luce. Il paio di forbici erano un indizio. Si diresse più avanti, superando l’oggetto senza raccoglierlo. Vincent-sama era per terra, che dormiva beato come un bambino, a malapena riparato dalla siepe. Era fradicio, e vedere il suo bel viso e i lunghi capelli biondi sciupati dalla pioggia, a Echo venne quasi una fitta al cuore. Ma si sentiva molto sollevata ora che l’aveva trovato. Dopo essersi ricomposta ed aver assunto la solita espressione fredda, si inginocchiò accanto al padrone e cercò di svegliarlo. Ma non riusciva. Provò in tutte le maniere possibili. Doveva tirargli uno schiaffo. Ma aveva paura che il padrone si sarebbe irritato. Lei non si sarebbe mai permessa di….

Ecco, l’ho fatto, mi sono permessa di tirargli uno schiaffo! pensò Echo quasi tremando.

- Sciocco…svegliatevi, Vincent-sama!- urlò.

Vincent aprì gli occhi improvvisamente, guardandosi intorno stordito. Echo sbuffò.

- Finalmente! Vi eravate addormentato qui…-

- Uhm…il mio Chain…-

- Sì, Vincent-sama. Torniamo a palazzo.-

Vincent si tirò su dalla terra infangata, sentendo che il corpo era pesante per via dei vestiti inzuppati. Entrarono a palazzo. Era tutto buio e la servitù dormiva già da ore. A tastoni raggiunsero il secondo piano e poi le sue stanze.

Echo fece per svoltare a sinistra per andare in camera sua, ma Vincent la prese dal polso.

- In camera tua non c’è il camino, e ti devi asciugare, Echo. – disse con tono amorevole, come quello di un padre.

Ella non pronunciò parola e seguì il padrone, obbediente come un cagnolino. Era raro che parlasse, e ancor di più che si opponesse a Vincent. Sembrava una bambolina di porcellana, bella e delicata, ma priva di emozioni e parole.

Una volta entrati nella stanza, ci volle un po’ prima che il fuoco si accendesse. Quando le fiamme furono cresciute abbastanza, tutta la camera si illuminò e si diffuse nell’aria l’odore della legna.

Senza indugiare, Vincent si tolse gli abiti di dosso, bagnando il pavimento. Echo lo osservava senza articolare parola né movimenti o espressioni. Lo osservava e basta, pensando dentro di sé che il suo padrone era davvero niente male. Scrutava in silenzio il suo torace, le sue spalle, la sua pancia, le sue mani…quelle mani che l’avevano presa con sé quando era stata trovata sola e spaesata davanti al cancello del palazzo. Ma i suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da Vincent, che si era voltato e le aveva piantato quegli occhi penetranti addosso. Erano occhi davvero particolari, uno color rame infuocato e l’altro verde, e ad ogni qualunque persona che li guardasse incutevano paura. Ma ad Echo no. Lei li conosceva meglio di chiunque altro.

Ora il suo padrone aveva stampato sul volto un sorriso smagliante che lasciava trapelare tutta la consapevolezza del suo fascino.

- Echo, vuoi restare lì impalata a fissarmi ancora per molto? Così ti prenderai un raffreddore. –

Detto questo lasciò cadere a terra i vestiti bagnati e si diresse verso l’armadio in cerca di un paio di pantaloni.

Echo annuì meccanicamente e sbloccandosi dalla sua posizione si avvicinò al fuoco. Si tolse i vestiti bagnati e si raggomitolò su sé stessa davanti alle fiamme, circondandosi con le braccia. Ancora aveva freddo, ma lentamente il calore le stava penetrando nel corpo.

- Questa ti va bene? – disse Vincent tirando fuori dall’armadio una delle sue camicie. – E’ un po’ grande per te ma…-

- E’ perfetta, Vincent-sama. – scattò lei, sentendosi le guance infiammarsi. Avrebbe voluto diventare piccolissima in quel momento, e si stringeva sempre di più a sé stessa.

- Tieni. – disse lui avvicinandosi e porgendole la camicia.

Echo se la infilò con velocità e scaltrezza, senza lasciare a Vincent il tempo di vedere il suo gracile corpo. La camicia le arrivava quasi alle ginocchia e le maniche erano piuttosto lunghe. Il suo padrone si sedette sul divano davanti al fuoco con un asciugamano tra le dita.

- Vieni. – disse a Echo battendo dei colpetti sulle ginocchia. Lei obbedì e sedette sulle sue gambe. Vincent iniziò ad asciugarle i capelli argentati.

- Grazie Echo. Se non fosse stato per te sarei rimasto lì sotto la pioggia ancora per molto. – disse ridendo. Poi tornò serio improvvisamente. – Ho fatto un sogno…-

- E’ una buona cosa, padrone. –

- Sì, è vero. Ma era un sogno di sangue, distruzione, fiamme…era un incubo più che un sogno. –

Sapevano entrambi di che cosa si trattasse, ma nessuno dei due parlò. Nella stanza era calato il silenzio. Si sentiva solo lo scoppiettare del fuoco e il ticchettio della pioggia sulle finestre.

Vincent lanciò l’asciugamano accanto agli altri vestiti bagnati, per terra. Tirò un sospiro, dopodiché circondò con le braccia il ventre della fanciulla sopra le sue gambe, e poggiò il viso sulla sua schiena. Echo si sentì trasalire e nello stesso momento invadere da un calore ben più confortante di quello del fuoco. Rimasero così per del tempo, in silenzio.

- Voi mi credete una bambina, vero Vincent-sama? -

Prima di rispondere, Vincent aspettò dei secondi.

- Non è forse ciò che sei? –

Echo abbassò lo sguardo e fece per staccarsi dalle braccia del suo padrone, ma Vincent-sama non mollò la presa, stringendo ancora più forte.

- Sei una bambina…ma una bambina diversa dalle altre. –

- Non ho nulla di diverso. –

- Sei mia, ecco la differenza. –

Dettò questo mollò la presa e si lasciò andare sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi. Intanto continuò: - Ora sei asciutta, puoi tornare nella tua stanza. Non ti trattengo. –

Echo si sentì quasi rifiutata, e di certo in colpa. Si girò di scatto a guardare Vincent, che teneva ancora gli occhi chiusi.

- Allora dimostratemi che è vero, che sono diversa, che sono vostra, che differenza c’è! – Echo si sentiva il viso in fiamme e non aveva mai usato quel tono col suo padrone.

Vincent aprì lentamente gli occhi, senza fare espressione.

- Sei mia, e sei diversa, perché altrimenti non potrei fare questo…-

Senza lasciare il tempo a Echo di formulare parola, l’attirò a sé baciandola. Dal canto suo, lei rimase paralizzata, senza muovere le braccia né le gambe, né provare a dimenarsi. Aveva gli occhi aperti, inchiodati sul viso di Vincent e i suoi lunghi capelli dorati.

Dopo diversi secondi, quest’ultimo si ritirò, guardando Echo con un sorriso malizioso sulla faccia, mentre la piccola bambolina, stordita, lo fissava incredula.

- Allora? Sei diversa? –

Echo borbottò qualcosa di incomprensibile, forse perfino in un’altra lingua.

- Ora sei legata al tuo padrone più di prima. E’ un privilegio concesso a pochi…ricordalo. Ora chiedi scusa. – continuò lui.

Echo esitò per un attimo.

- Chiedo scusa, Vincent-sama. Non userò mai più quel tono con voi. –

- Va’ avanti.-

- E non mi comporterò mai più così spudoratamente. Sarò obbediente e non ci contraddirò. –

- Bene, Echo. –

Rimasero in silenzio a guardarsi, lei seduta ancora sulle sue gambe. Poi Vincent sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. Dopotutto era una persona solare se conosciuta bene. Echo sospirò, come in gesto di rassegnazione, e si lasciò andare tra le braccia del padrone, affondando il viso nei suoi lunghi capelli e accarezzandogli il petto nudo. Vincent la cullò a sé mentre ascoltavano la pioggia.

Diversa…

  
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