-CAPITOLO
1-
-INCANCELLABILE-
La neve si sbriciolava tenera e gelida dal
cielo, l’aria era talmente pungente da raggelare il fiato con un solo respiro.
Ma tutto questo non la fermò, non poteva fermarla. Correva in piena notte, con
i pantaloni del pigiama inzuppati fino alle caviglie, la neve era ancora troppo
fresca per non sprofondarci dentro. Eppure non smetteva di correre,
scivolava, cadeva con tutto il corpo tra
le lastre di ghiaccio aggrappate ad ogni angolo della città ma nonostante ciò
si rialzava, sempre, avvitando le mani congelate nelle maniche della vestaglia,
fino a giungere davanti ad una porta.
Serrò i pugni sbattendoli violentemente
contro di essa, una, due, tre volte, facendola barcollare. Dalla piccola
serratura intravide la fioca luce artificiale dei faretti posti lungo il
soffitto, accompagnata dallo scricchiolio della chiave che echeggiò
insaziato.
“Bunny!” si meravigliò Heles trovandosela
davanti, affannata ed in principio di assideramento “cosa fai qui? Sono le tre
di notte!”. Bunny la fissò crudelmente, tentando il più possibile di conciliare
il respiro con i battiti impazziti del cuore.
Sbalordita dallo stato in cui si trovava,
afferrò Bunny per il polso costringendola ad entrare immediatamente “Milena!”
urlò a gran voce “Milena vieni qui!”.
I passi affrettati di Milena fecero tremare
il pavimento “Heles che succede?”chiese, per poi accorgersi della presenza di
Bunny, seduta tremante sul divano “Bunny?! Che cos’hai?” “E’ gelida!”
intervenne Heles, coprendola con un plaid di cashmere “presto, scalda
dell’acqua, fai in fretta!” “Si subito!” rispose, mentre contemporaneamente
correva verso la cucina.
Heles strofinava energicamente un largo
asciugamano fra i ciuffi dei codini, fradici ed intrecciati “ma cosa ti è
venuto in mente, Bunny!” borbottò Heles “uscire a quest’ora, con questa
temperatura e per di più senza neanche vestirti, sei per caso impazzita?”
“Perché l’hai fatto Heles?” la interrupe
Bunny. Heles si fermò, lasciando cadere l’asciugamano a terra. Guardò Bunny,
impaurendosi di quegli occhi languidi, persi nel vuoto di quelle risposte che
così ardentemente tentava di trovare “Perché mi hai fatto questo?” chiese
nuovamente, scuotendole i pensieri “Di costa stai parlando, Bunny?” sibilò
Heles, tramortita.
“Sai benissimo di cosa sto parlando!”
aggredì “cosa mi avete fatto? Cosa avete fatto alla mia mente?” “…tu…”
singhiozzò Milena da dietro le spalle, tornata con la boccia d’acqua calda fra
le mani “…tu ricordi tutto?”. Bunny si voltò, posando lo sguardo sul suo volto
“Ricordo di esser stata privata della libertà di poter scegliere” rispose,
adirata più che mai. Inebriata dalla convinzione, Heles si parò davanti a
Milena, per avere l’attenzione di Bunny, ancora seria, ancora furiosa.
“Tutto ciò è stato fatto per un motivo!Il
nostro futuro, quello della futura Crystal City era in pericolo!” gridò Heles,
sbattendo i piedi a terra “Ed il mio futuro?” chiese Bunny, a testa bassa “vi
siete mai preoccupate veramente di me? Di cosa volessi, di cosa desiderassi?”
“No, principessa” rispose Milena
affiancandola “ma è questo il nostro compito” “Smettila di chiamarmi in quel
modo!” reagì Bunny, scansandosi da lei,
“Sbagli a parlare così! Non devi rinnegare
la tua natura, fa parte di te, è ciò che sei!” “Voi non sapete minimamente chi
sono, nessuno lo sa!”. Bunny era infervorata, non si era mai sentita in quel
modo, non si era mai sentita…tradita. Sputava le parole fuori dalla bocca come
veleno rovente, non riusciva a contenere tutta la rabbia, tutta la sofferenza
che aveva nel cuore, il suo animo in quel momento sembrava essere un vulcano
rimasto inattivo per troppo tempo e che ora non poteva far altro che esplodere
gettando fuori tutta la lava che la stava logorando da dentro.
“L’unica vera persona che mi conosce davvero
è la stessa da cui così intensamente state cercando di tenermi lontana! Fin dal
primo momento avete cercato di dividerci ed ora ci siete riuscite ma con
l’inganno!” “Bunny, calmati” la pregò Milena “No! Non posso calmarmi, non puoi
chiedermi di calmarmi! Ciò che avete fatto è ignobile da tutti i punti di
vista. E non vi perdonerò mai per questo…”.
Dando le spalle ad entrambe, Bunny si
diresse alla porta, lasciando che il plaid le scivolasse lungo le spalle “Dove
stai andando?” la fermò Heles, parandosi davanti a lei prima che potesse
aggrapparsi alla ferrea maniglia, calda in confronto alle sue mani “Non lo so”
rispose Bunny, non guardandola nemmeno “non so dove sto andando né dove
andrò…non so cosa farò…non so più nulla. Ma di una cosa sono certa…” “…cosa?”
balbettò Milena, come se temesse la risposta. Bunny aprì la porta, costringendo
Heles a farsi da parte, dando così la possibilità al freddo vento di
intrufolarsi nell’abitazione “…ora si che sono sola !” rispose, per poi uscire,
sbattendo efficacemente la porta.
Senza meta ne filo da arrotolare per
ritrovare la via, Bunny trascinava le gambe in mezzo a quella coltre perlata.
Ogni singolo passo era un ricordo che lentamente riaffiorava, come i primi
germogli dell’albero di pesco. Erano i piccoli gesti, le tenui parole intonate alla
sua voce ad abbeverarle la memoria. Scalciava i pezzi di ghiaccio frantumatisi
a contatto col manto stradale, posando la mano sulla guancia come a voler
sentire di nuovo il tocco caldo ed unico di Seiya, che dolcemente la sfiorava
per farle iniziare un nuovo giorno, una nuova vita…insieme a lui.
Lacrime d’argento caddero sulle labbra, le
stesse labbra che, come previsto, avevano mantenuto l’irrefrenabile voglia di
assaporare di nuovo quell’istante di eternità, quel bacio così desiderato e voluto.
E poi il tramonto, quell’amore incessante, illimitato, “al di là
dell’orizzonte” sussurrò tra se e se, stringendosi le mani al petto, per poi
portarsele davanti agli occhi, concentrando così lo sguardo sullo stesso palmo
che così intensamente aveva stretto fra le dita di Seiya, per far scaturire la
sinergia perfetta.
Il percorso si faceva sempre più lungo e
sconosciuto, non sapeva dove l’avrebbe condotta, non sapeva cosa le aspettava
ora che ricordava tutto, ora che iniziava a capire come fossero veramente andate
le cose. Cercò di guardare dentro a se stessa, sempre di più, sempre più a
fondo. Varcò i cancelli insolitamente aperti del parco, lasciando le sue
impronte impresse sulla neve, insieme a quelle lisce degli uccellini che come
lei non facevano altro che scavare, cercando qualcosa per cui vivere. Seguì le
onde dei vialetti, mentre la rugiada ghiacciata scioltasi sulle foglie le
cadeva sul viso, mescolandosi alle lacrime, che autonomamente si liberavano
dagli occhi distrutti da una realtà così costantemente infernale. Stanca,
stremata, si sedette su una panchina, non una qualsiasi, ma quella panchina…la
stessa dove conobbe Seiya, la stessa dove si scambiarono le prime parole,
quell’attimo fuggente che non sarebbe rimasto sotterrato, che non sarebbe stato
mai dimenticato. Accarezzando il legno della panca, sorrise, come se i suoi
occhi riuscissero a proiettare la figura di Seiya, disteso li, accanto a lei
“E’ incredibile” sussurrò “ti ho incontrato così inaspettatamente…non avrei mai
pensato che la mia vita potesse cambiare così radicalmente”
“Sapevo di trovarti qui, Bunny”. Bunny si
voltò, la voce proveniva dalle sue spalle. Incrociò velocemente lo sguardo, per
poi distoglierlo con la stessa rapidità “Che cosa ci fai qui, Rea?”. Rea le si
sedette accanto, stringendosi nelle spalle per il freddo pungente “Non volevo
che rimanessi sola in un momento come questo” “Che momento è?” chiese Bunny,
ironica “Ora ti senti confusa, persa, hai bisogno che qualcuno ti stia accanto”
“Mi sento tradita, Rea, ecco come mi sento! E quel che è peggio è che siete
state voi, le mie migliori amiche! Io mi fidavo di voi, mi sono sempre fidata,
perché l’avete fatto!”.
Rea abbassò la testa, affranta dallo stato
d’animo dell’amica “Bunny, mi dispiace così tanto…ma non eri più te stessa, lo
capisci?” “Ti sbagli Rea…li ero davvero me stessa!” “E Marzio? Non pensi più a
lui?”. Bunny fu percossa da un energico sussulto. Strinse forte la vestaglia
tra le mani secche e ruvide. Rea la guardò, osservò il suo viso contratto, le
gocce del suo essere franare indiscusse. Cercò di raccoglierle, ponendole un
dito sulla guancia “Perché piangi Bunny?”. Bunny le rivolse lo sguardo. Le
labbra tremavano, batteva i denti, non sarebbe riuscita a parlare, se non con
l’immensa forza di volontà spinta dal suo cuore “…io lo amo, Rea…perché non
posso amarlo?” rispose, per poi scoppiare in un pianto disperato, lasciando che
testa e corpo crollassero tra le sue ginocchia.
Gli occhi di Rea risposero a quello strazio
prosternato, inumidendo delicatamente le ciglia. E mentre Bunny piangeva fra le
sue braccia, lei le accarezzava premurosamente la testa, lasciando che si
sfogasse, che desse adito a quella battaglia ingiustificata. Respirò
profondamente, socchiudendo gli occhi “Bunny non ho una risposta, vorrei
dannatamente trovare un modo per farti stare meglio, per non vederti così ma
purtroppo non c’è…le cose stanno così e basta, dovresti solo accettarle e fare
finta che non sia mai accaduto niente”.
Bunny si risollevò, asciugandosi il volto
con le mani violacee “Sai che cosa spero?”. Rea scosse la testa. “Spero che un
giorno non dobbiate più dirmi cosa devo fare o chi devo essere…spero che un
giorno lascerete che viva la vita che ho scelto per me e non per voi”.
Con la voce frantumata, Bunny si rialzò da
quel lungo pezzo di legno, portatore di un bellissimo ed inestimabile ricordo. Senza
guardarla né salutarla, s’incamminò nuovamente, alla ricerca di quell’unica
unica strada che l’avrebbe ricondotta da lui, anche se per incrociarlo avrebbe
dovuto percorrere un sentiero tortuoso, invalicabile. Ma non le interessava
perché sapeva che non ci sarebbe stato percorso più incalzante di quel
desiderio, non ci sarebbe stata magia, incantesimo, a toglierlo dalla testa,
perché lui era semplicemente così…semplicemente incancellabile.
Rea la lasciò andare, decise di non fermarla
perché in quel momento nessun gesto, nessuna parola sarebbero serviti a
qualcosa. Prese il cellulare dalla tasca del cappotto per controllare l’ora.
Era quasi l’alba, troppo presto per poter chiamare ma troppo tardi per poter
rimediare. Senza pensarci troppo, compose il numero sulla tastiera, pregando
dentro di se in una risposta. Il telefono squillò a vuoto per vari minuti, ma
non mollava. Con tenacia ricompose nuovamente il numero, insistendo fortemente
“Pronto?” rispose Amy, con tono a dir poco assonnato “Amy, sono Rea”. Dai
rumori repentini della cornetta, Rea capì che Amy si era alzata di colpo,
balzando all’impazzata sul letto, reazione prevedibile contando l’ora mattutina
“Rea, che succede?”
“Quello che abbiamo sempre temuto…”. Amy
tacque, cadendo nel silenzio più profondo. Rea poteva percepirne i respiri
affannati, poteva sentire la paura che si invaghiva di lei “Amy, dannazione
dimmi qualcosa!”
“Cosa vuoi che dica? Sapevamo che sarebbe
successo, io me lo sentivo!” “Bunny è distrutta, non l’ho mai vista così”.
Ancora nessuna risposta, ancora nessun accenno a qualunque soluzione. “…Amy?”
chiamò, per poter riprendere la sua attenzione. Conosceva bene l’amica, sapeva che
in quel momento era in preda al panico, sapeva che stava rimuginando su quella
scelta presa così avventatamente senza un minimo di razionalità e soprattutto
senza pensare alle conseguenze devastanti.
“Amy!” urlò Rea, di soprassalto “Si, dimmi”
rispose bassamente “…sai quello che devi fare”. Amy non rispose, si limitò ad
emettere un suono di assenso, affinché Rea capisse. Interruppe la chiamata, per poi alzare la
cornetta del telefono di casa, saldamente appeso alla parete della cucina. Amy
si portò la cornetta all’orecchio, esitando. Non sapeva da dove iniziare né
tanto meno che parole usare, ma lo doveva fare. Era la cosa giusta, si. Molto
lentamente pigiò i tasti, fino a comporre il numero. Ad Amy bastò sentire il
fruscio del soffio provocato dalle labbra apertesi, ancor prima che rispondesse
alla chiamata, per anticiparlo “Sono Amy!” disse, frettolosamente “devi
vederla…subito!”.