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Autore: _shesfearless_    02/05/2011    4 recensioni
C'è che al giorno d'oggi nessuno più vive di momenti. Aspettiamo in eterno che sia il destino a decidere per noi, e poi ci ritroviamo soli contro il mondo, come rondini in un cielo d'autunno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tiepida mattinata autunnale, una di quelle dove il sole ti carezza le guancie, ancora rosse per quella brezza fresca, e il cielo è dipinto d'azzurro chiaro, quasi non volesse mostrare del tutto il nuovo giorno, quasi volesse ricordare con rammarico la notte che se n'è appena andata. Pallido il sole faceva capolino, luccicante d'accecare, dietro un palazzo più alto degli altri. Lenta, stanca, rintontita e rallegrata da quell'atmosfera d'incertezza, camminava tremante verso la fermata dell'autobus. Non era pronta a ricominciare, a seguire di nuovo quei terribili ritmi che aveva cancellato, giorno dopo giorno da quando la scuola era finita, pochi mesi prima. Odiava il 'primo', davanti ad ogni parola; non sopportava pensare che ci dovesse essere in ogni cosa un inizio, perchè sapeva che l'unica conseguenza sarebbe stata la fine. Non era ottimista, non lo era mai stata, eppure quel giorno riusciva a trovare qualcosa per cui sorridere anche in una rondine che, solitaria come lei, attraversava il cielo a capriole di nulla. Quasi trascinando le sue AllStar in avanti, a piccoli passi giunse alla panchina, si sedette guardandosi le punte dei piedi e rimase in attesa del mezzo di trasporto; lo stomaco non la smetteva di brontolare. Era il quarto anno di liceo quello, e la spaventava a morte: non aveva mai preso l'autobus a quell'ora, saliva sempre su quello precedente, 'per arrivare puntuale a scuola'. Era una precisina, una precisina del cazzo che aveva cambiato vita; cambiato regole ed abitudini, cambiato idee ed amicizie, cambiato il mondo e cambiato se stessa. Non era più quella antipatica, quella lecchina, quella santa. Era diversa. E se ne sarebbero accorti presto tutti, a partire da quella mattina.
Poco dopo il suo arrivo, in lontanaza una figura femminile le sorrise, e prese a correre: la sua migliore amica. Si abbracciarono e iniziarono a parlare, del più e del meno, di quei mesi, della paura e delle stronzate; erano sempre assieme, inseparabili, dall'asilo. A mano a mano che i minuti scorrevano, altri studenti si ammucchiavano vicino a loro, in attesa. Ma non c'era nessuno che fosse in grado di riconoscere il suono del rumore dell'autobus, lontano un centinaio di metri, meglio di lei. Si alzò fulminea, seguita da Lù, e si avvicinò al bordo della strada. Inclinò lo sguardo in avanti e lo vide: le parve di non respirare più, da quanto era bello, tanto che Lù dovette spingerla per farla salire prima che l'autista ripartisse. Ma non riusciva a togliersi dalla testa quel ragazzo che, ansimante, ora sedeva qualche sedile dietro di lei. Lo conosceva, lo conosceva bene. Atleta, studente modello, il figlio perfetto, tutti sapevano chi era lì in città, eppure nessuno si avvicinava mai a lui, eccetto i suoi amici. Sedeva in fondo al bus, con una t-shirt bianca che gli disegnava gli addominali a tartaruga e quei jeans a mezza gamba che lasciavano intravedere polpacci muscolosi ed abbronzati, ricordo di giornate passate in spiaggia a vincere uno per uno i diversi tornei di beach volley che il padre, famoso dirigente nel settore calcistico, organizzava ogni estate. Si guardò velocemente, rendendosi conto di essere vestita come una sgualdrina; quella maglietta scollata, quei jeans troppo corti, le AllStar nere, rispetto a lui tutti lì dentro sembravano sputi. Cercò inutilmente di sistemarsi e si voltò verso Lù.
'Dimmi', sussurrò, mentre puntava gli occhi su di lui, che dormiva.
'Stasera usciamo?' chiese.
'Penso di si, non ho impegni!'
Un'ultima occhiata, mordendosi il labbro, e chiudendo gli occhi. Nell'oscurità, lampeggiava candido il suo nome: Angelo. Mai le sembrò più azzeccato; lo era davvero, un angelo. Così gentile, disponibile, educato. Avrebbe voluto essere come lui, non lo scarabocchio che invece era. Avrebbe voluto catturarlo e tenerselo per sè, non doverlo condividere con altri; avrebbe voluto essere qualcosa, anche un'amica, qualsiasi persona nella sua vita, non una stupida vestita con stracci che vive elemosinando amore. L'autobus si fermò, aprì gli occhi. Fermata di lui: le passò davanti, sorridente come sempre, e il suo profumo invase dolce le sue narici, scendendo svelto al cuore. Sospirò. Quella cotta per lui andava avanti da anni, tra alti e bassi: momenti d'odio e altri di puro amore, come quella mattina. Non sopportava essere invisibile, non sopportava dover stare nell'ombra. Voleva vederlo, voleva parlargli, e quel fottuto orgoglio la teneva legata stretta ad un rovo di spine.
'Deve venire lui da te, non tu da lui. E' lui l'uomo, non ti permetto di andarlo a cercare'. Infiniti discorsi con la coscienza che ormai nemmeno faceva più; se n'era convinta che con lui, nessuna possibilità. Nè ora, nè mai. E così i giorni passavano, e lei non faceva altro che aspettare la mattina, per poterlo guardare di nascosto mentre era felice senza averla al suo fianco. Fino alla sera in cui decise di passare davanti al campo di calcio dove, sapeva, si allenava. Camminava lenta e spaventata, sola, perchè il solo pensiero di lui bastava a tenerle compagnia. Si sedette dietro un cespuglio e lo osservò mentre rapido inseguiva un pallone rattoppato, con lo sguardo da bimbo e il sorriso da uomo. Se ne riempiva l'anima di quei momenti, più che poteva; sapeva che di lui era suo solo questo, e solo di questo si nutriva da un po'. E poi le mattine nascosta da un sedile, di così poco si rallegrava. Restando fuori dagli schemi con il mondo, e così maledettamente dentro con lui.
Fino a quella mattina in cui le sembrò che davvero Dio esistesse; uno sguardo. Lui, lui le rivolse uno sguardo. Un salto indietro al tempo di Dante e Petrarca, dove uno sguardo significava un mondo: ugualmente, per lei quell'incrocio di occhiate, quel secondo in cui i suoi occhi azzurri vennero accarezzati da quelli nocciola di lui, fu un tornado. Sentì la freccia di Cupido colpirla e non credette esistessero tante parole per poter maledire qualcuno. Nella rabbia però, si rallegrava; odiava se stessa per essersi lasciata scappare quel fugace incontro, eppure non faceva altro che sperare di poterne avere un altro, e un altro, e un altro ancora. E le sue preghiere furono esaudite: giorno dopo giorno, interminabili divennero gli sguardi, le occhiate veloci, intense, e una miriade di farfalle ad ogni attimo si alzava in volo nel suo stomaco. Innamorata non lo era, ma tutto quel gioco, quel mordi-e-fuggi, quel corteggiamento insolito le piaceva, le piaceva parecchio. Perchè l'amore partiva da lì, da uno sguardo, da uno sfiorarsi con gli occhi, da un contatto che senti dentro. Finalmente si sentiva orgogliosa di quel che era, come mai. Sentiva di valere qualcosa, di avere importanza: dipendeva da quel ragazzo, perchè essere 'considerata' da uno come lui era quasi un privilegio, un dono divino che tutte avrebbero voluto, che lei aveva. Ma la vita è strana e stronza, e l'amore lo è ancora di più, e come non possiamo decidere quanto, quando, e come vivere, così non possiamo scegliere quanto, quando e come innamorarci. E' il destino che decide, tu subisci: tu sei vittima, puoi cercare di cambiare quel che ti circonda, ma spetta a lui l'ultima parola. E il destino ha voluto che lei s'innamorasse d'un altro. Non un atleta, non uno studente modello, non un figlio perfetto, ma un ragazzo che la faceva sentire donna. Un ragazzo che per lei avrebbe fatto follie, e che per ogni suo sguardo moriva. Un ragazzo perfetto, di quelli delle fiabe. Senza sapere che lui, che Angelo l'amava. Che era cotto sin dal primo momento, che aveva paura di guardarla perchè sapeva che i suoi non avrebbero approvato, perchè lei non era come lui, era diversa. Lei era bella senza aver bisogno del trucco, era simpatica e dolce, scioglieva la neve con gli occhi, abbracciava la vita con la semplicità di un bambino e nemmeno se ne rendeva conto. Continuava a guardarla di nascosto lui, mentre lei, assorta nei suoi pensieri, non vedeva più il suo nome stamparsi sulle palpebre durante la notte, non pensava più a lui, era passato. Mentre lei aveva trovato il coraggio di essere se stessa e di venire derisa per la sua cotta, lui faceva finta di niente. Ce l'aveva tra le mani e non l'ha stretta a sè. E lei se n'è andata, facendo capriole nel nulla come l'ultima rondine che squarcia il timido cielo in autunno.
   
 
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